giovedì 27 settembre 2012

Fiorito andrà in pensione a 50 anni con vitalizio da 4mila euro al mese.


Franco Fiorito a

Grazie ad un emendamento proposto dallo stesso Fiorito e approvato nel dicembre scorso.

Franco Fiorito, tra nove anni, a soli 50 anni potrà incassare il vitalizio di circa 4mila euro al mese che spetta agli ex consiglieri della regione Lazio. Tutto questo grazie ad un emendamento proposto proprio dallo stesso Fiorito (che chiedeva l'indicizzazione) e approvato nel dicembre scorso in Commissione Bilancio del Consiglio regionale da: Pdl, Udc, Lista Polverini e Lista Storace. L'emendamento Fiorito incassò il parere favorevole anche dell'assessore al Bilancio, Stefano Cetica, uno dei 14 assessori esterni della giunta Polverini a percepire il vitalizio. E i tagli ai vitalizi votati dalla Regione? Entreranno in vigore solo a partire dalla prossima legislatura.
I CONTI - Come scrive Il Giornale «la legge del Lazio del 1995 prevede come base di calcolo l'80% dell'indennità parlamentare (circa 5.200 euro) più l'intera diaria (3500 euro) per un totale di quasi 9mila euro. L'importo del vitalizio poi si ottiene a seconda degli anni di consiliatura. A Fiorito, che aveva già all'attivo una legislatura prima di quella targata Polverini, spetta il 40%, quindi circa 4mila euro al mese». Il diritto all'assegno maturerebbe a 55 anni ma rinunciando a una piccola percentuale si può anticipare a 50 anni, quindi anche Fiorito potrebbe seguire qusto iter. Tutto questo anche se la legislatura finisce in anticipo (così come sembra) rispetto alla sua scadenza naturale.
FOSCHI - Intanto il consigliere regionale del Pd alla Regione Lazio Enzo Foschi, ha deciso di rinunciare al vitalizio maturato in questa legislatura. Lo ha annunciato lui stesso in una nota. «Rinuncio al vitalizio maturato in questa legislatura - spiega -. Non perché io abbia rubato o compiuto illegalità, non ho visto un euro di quei 100 mila di cui parla Fiorito, ma perché come esponente del consiglio regionale per il Pd mi sento moralmente responsabile di quanto accaduto. Ma, e questo deve essere chiaro, non tutti fanno politica per fare soldi, perlomeno io non sono fra questi. La politica è passione e servizio. Il mio gesto vuole essere semplicemente un risarcimento a un'istituzione ferita nella sua sacralità - continua Foschi -, nei confronti dei cittadini giustamente offesi da quanto accaduto e anche per rispetto verso gli uomini e le donne che volontariamente nel quotidiano si impegnano nei circoli del Pd. Per queste ragioni ho già presentato la mia lettera formale al presidente del Consiglio del Lazio. Sarebbe bello se anche i miei colleghi della Pisana facessero altrettanto».

Le nomine in extremis di Polverini. - Ernesto Menicucci


Renata Polverini (Ansa)

Il governatore vuole un rimpasto: i nemici interni rischiano di uscire.

ROMA - L'ultimo atto di Renata Polverini, alla fine, sarà il più politico: «Taglio gli assessori e mi dimetto: i consiglieri non li posso ridurre, la mia giunta la posso diminuire. Non serve lo stesso numero di assessori per l'amministrazione ordinaria. Ho lavorato all'accorpamento delle deleghe, domani (oggi, ndr ) le riassegnerò e allora potrò dimettermi».
È l'effetto dei veleni nel Pdl. Perché a fare le spese del rimpasto quasi «postumo» saranno, molto probabilmente, i membri di giunta più vicini ai rivali interni della Polverini, in particolare quelli legati ad Antonio Tajani. «Ballano» quasi tutti gli ex forzisti: Fabio Armeni (Patrimonio), Marco Mattei (Ambiente) e Stefano Zappalà (Turismo). Ma rischiano anche Angela Birindelli (Agricoltura), indagata a Viterbo, e gli ex An Pietro Di Paolo (Rifiuti) e Luca Malcotti (Lavori pubblici). Uomini, questi ultimi, vicini ad Alemanno il primo e al senatore Andrea Augello il secondo.
Salvi tutti gli assessori vicini alla Polverini. I due dell'Udc (Ciocchetti e Forte), «er pecora» Teodoro Buontempo (La Destra), l'ex Ugl Stefano Cetica, gli amici di Renata come Mariella Zezza, Pino Cangemi e Fabiana Santini che con lei vanno a correre la domenica mattina. Ha tutta l'aria di un regolamento di conti: la Regione è caduta, ma la guerra col Pdl non è finita. La governatrice, in una riunione-lampo con gli assessori, è chiara: «Tengo solo quelli di cui mi fido». Deciso anche il percorso: azzeramento dell'esecutivo regionale e rinomina con nuove deleghe. Mossa che scatena i malcontenti nel Pdl. Tanto che, di nuovo, è intervenuto Berlusconi, avvertito dagli uomini del Lazio a lui più vicini: «Evitiamo di esasperare gli animi», il tentativo in extremis del Cavaliere. Che, però, come nel caso delle dimissioni della governatrice, ha poi mollato la presa. La Polverini è determinata: «Sono il presidente uscente della Regione Lazio, ma non sono ancora uscita. Stiamo concordando con il ministro Cancellieri alcuni aspetti: mi spiace non essere rimasta cinque anni». E aggiunge: «Sono dettagli per chi fa demagogia, ma continuo ad agire con senso di responsabilità. Aspetto ancora le dimissioni annunciate dai consiglieri». Ma la diminuzione da 70 a 50 rimane lettera morta? Al mattino, Gianni Alemanno si sbilancia: «La Polverini, prima di uscire, vuole convocare il consiglio in seduta straordinaria e approvare i tagli». Lei prima lo gela («è l'ennesima invenzione di Alemanno»), poi - a Porta a Porta - conferma: «Il consiglio rimane in carica e può essere chiamato per questioni straordinarie. C'è la proposta della giunta sul taglio dei consiglieri e degli assessori. Oppure se arriva un decreto governativo condiviso, si può approvare la proposta». Ringrazia Napolitano «perché non si può circoscrivere tutto al Lazio», loda un consigliere di Rifondazione («una persona perbene») e poi torna all'attacco, sulle spese della Pisana: «Questa Regione è talmente indebitata che dovevamo trasferire i fondi al Consiglio regionale quando ce li chiedevano, altrimenti rischiavano il pignoramento, di non pagare gli stipendi o di essere commissariati e fare la fine della Campania». E ancora: «Ai gruppi 14 milioni? Non esiste. Ne mancherebbero 10 all'appello».
Il penultimo atto della giunta, ieri, è stato però la conferma di una serie di direttori: sette interni, uno esterno (il capo dell'avvocatura) e uno proveniente da un'altra amministrazione (Raffaele Marra, altro ex Ugl). Angelo Bonelli (Verdi) ed Esterino Montino (Pd) attaccano: «La Polverini vada via, è un bluff. Una di queste nomine è stata già bocciata dal Tar due volte». Tra i provvedimenti anche il ricorso alla Consulta sull'accorpamento delle Province previsto nella spending review . È sotto pressione, la governatrice. I fotografi la inseguono, lei rischia di finire sotto l'auto di servizio e sbotta: «Basta, sono dieci giorni che mi state appresso». E il futuro politico? In molti la vedono in Parlamento con Casini, possibile ministro di un governo tecnico ma con una spruzzata di politici. Ma, da ieri, circola un'altra voce: la tentazione del Campidoglio con Alemanno dirottato sul rinnovamento del Pdl. Fantapolitica? Chissà.

Ironizzando.



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In Sicilia la prima centrale elettrica solare produrrà 30 megawatt senza emissioni.


In Sicilia la prima centrale elettrica solare produrrà 30 megawatt senza emissioni


La centrale - la prima operativa al mondo - sarà realizzata da Enel Green Power in provincia di Catania e sarà comparabile per potenza a quelle tradizionali a combustibili fossili, ma senza emissioni inquinanti e produzione di gas che alterano il clima.

Sarà siciliana, sarà pronta nel 2015 e fornirà elettricità sufficiente agli usi domestici di circa 40 mila famiglie la prima centrale operativa nel mondo a solare termodinamico e integrata a biomasse. La centrale sarà realizzata da Enel Green Power in provincia di Catania e sarà comparabile per dispacciamento a quelle tradizionali a combustibili fossili, ma senza emissioni inquinanti e produzione di gas che alterano il clima. L'impianto, che avrà una potenza di 30 megawatt e costerà circa 200 milioni di euro, è già in fase di autorizzazione e produrrà il 60% di una centrale di pari potenza che utilizzi una fonte fossile (una quantità di energia molto alta per una fonte rinnovabile, doppia rispetto a quella prodotta dal solare fotovoltaico).

Lo ha annunciato la stessa Enel Green Power durante il convegno "Sicilia, l'isola del solare termodinamico. Carta del Sole, un patto per l'energia tra territorio e industria", organizzato da Anest (Associazione nazionale per l'energia solare termodinamica) e Fred Sicilia (Forum regionale energia distribuita), che si è tenuto il 19 settembre scorso a Palermo. Secondo le stime di Anest, il numero di lavoratori direttamente occupato in una centrale di queste dimensioni può arrivare fino a 150 unità in fase di funzionamento, mentre molto maggiore sarebbe il numero di operai coinvolti nella costruzione: da 1.000 a 1.500 in tre anni.

La Sicilia già oggi è la vera capitale del solare termodinamico. Una vocazione sancita dalla firma della Carta del Sole, un documento di impegno sullo sviluppo di questa nuova fonte rinnovabile proposto da Anest e Fred e sottoscritto dal ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, dal vicepresidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, dalla segretaria della Cgil Sicilia, Mariella Maggio, dal presidente della Fondazione Sicilia, Giovanni Puglisi e dai candidati presidenti della Regione Siciliana Rosario Crocetta, Claudio Fava e Mariano Grillo.

mercoledì 26 settembre 2012

Sicilia, pignorati i conti dell’Assemblea regionale: stop agli stipendi. - Giuseppe Pipitone


Sicilia, pignorati i conti dell’Assemblea regionale: stop agli stipendi


I dipendenti del Parlamento più antico d'Europa domani non percepiranno lo stipendio: non era mai successo. Tutto nasce dalla sentenza del tribunale del lavoro che ha dato ragione a 76 dipendenti riconoscendo scatti d'anzianità dal 2005.

Per anni è stato l’obiettivo di ogni siciliano alla ricerca di un lavoro sicuro. Da domani però il mitico “posto fisso alla Regione” rischierà di perdere la simbolica aurea di stabilità eterna. Per la prima, infatti, ai dipendenti dell’Assemblea Regionale Siciliana non verrà, accreditato lo stipendio come accade ogni 27 del mese da 67 anni. A comunicarlo agli oltre trecento dipendenti dell’Ars una striminzita circolare che ha spiegato come i conti correnti del parlamentino siciliano siano al momento congelati e gli stipendi di settembre verranno quindi “differiti”. Come dire che le casse del parlamento più antico e ricco d’Italia sono al momento inaccessibili.
Ieri è stato infatti notificato a Palazzo dei Normanni un decreto ingiuntivo da quasi 24 milioni e trecentomila euro. Il congelamento dei fondi dell’Ars da parte del tribunale è dovuto ad un ricorso presentato da 72 dipendenti della stessa assemblea che lamentavano il mancato avanzamento di carriera. I dipendenti dell’Ars, assistenti parlamentari e amministrativi, hanno diritto ad un aumento di stipendio fisso ogni due anni fino al massimo di quattro mila e cinquecento euro netti.
Alcuni di questi scatti di carriera, e quindi di stipendio, sarebbero però stati ignorati dall’Assemblea regionale. I dipendenti hanno quindi fatto causa al loro datore di lavoro nel 2010 e nel marzo scorso hanno ottenuto una sentenza favorevole. Ma nonostante la sentenza sia divenuta esecutiva l’ente regionale ha continuato a fare orecchie da mercante, ignorando le sollecitazioni dei dipendenti. Che a questo punto hanno deciso di ricorrere alle maniere forti. Il problema è che dopo aver ricevuto il super pignoramento da quasi 25 milioni di euro, all’Assemblea regionale si sono accorti di non avere abbastanza denaro in cassa. E i conti correnti del parlamento più ricco d’Italia sono stati quindi sigillati dal tribunale.
Nel luglio scorso, causa di un errore nei fondi trasferiti dall’assessorato al Bilancio, erano slittati di qualche giorno gli emolumenti degli stipendi da 13 mila euro dei novanta deputati regionali siciliani. In quell’occasione il presidente dell’Ars, il pidiellino Francesco Cascio, aveva protestato animosamente contro il governo di Raffaele Lombardo per il lieve ritardo dell’accredito degli stipendi agli onorevoli. “L’assessore all’Economia, Gaetano Armao, tratta l’Ars alla stregua di un qualunque fornitore o di una partecipata della Regione. Ciò non è consentito” aveva tuonato dallo scranno più alto di palazzo dei Normanni.
Oggi, a proposito del maxi pignoramento, spiega invece di aver già fatto ricorso contro la sentenza che blocca i fondi dell’ente da lui presieduto. “Abbiamo ragionevoli speranza di vincere quel ricorso – racconta – anche perché nel frattempo le regole sugli scatti di anzianità sono state modificate dal Consiglio di presidenza”. Nel frattempo però tutti i 270 dipendenti dell’Assemblea rimarranno senza stipendio. E, ironia della sorte, tra loro ci sono anche i 72 dipendenti querelanti, autori del maxi decreto ingiuntivo, che in pratica hanno causato il blocco dei loro stessi stipendi e di quelli dei loro colleghi.

Sallusti condannato a 14 mesi, Travaglio: «E' quello che voleva».




ROMA - «È quello che voleva Sallusti. L'unica strada decente per chiudere questa partita, come avevo scritto fin dal primo giorno, era che Sallusti chiedesse alla parte offesa di accontentarsi delle sue scuse e del risarcimento e di ritirare la querela. Sallusti ha detto che non aveva commesso nessun reato e non aveva intenzione né di chiedere scusa né di risarcire. Naturalmente il processo è andato avanti». Così Marco Travaglio, vicedirettore del "Fatto quotidiano" commenta la conferma della condanna a 14 mesi di reclusione per il direttore del "Giornale". 

«La legge è uguale per tutti e se la legge fa schifo è colpa di chi l'ha fatta e di chi non l'ha cambiata - prosegue Travaglio- certamente né della Corte di Cassazione, né delle Corte d'Appello, né di nessun altro. Ci sono soggetti politici che usano questa legge sulla diffamazione per ricattare i giornalisti, quelli che scrivono opinioni non gradite e quelli che raccontano balle». «Ci vorrebbe una legge che aiuti a distinguere tra quelli che raccontano balle, mentendo sapendo di mentire e quelli che esprimono opinioni sgradite, che oggi purtroppo -conclude il giornalista- sono nello stesso calderone».

Mercoledì 26 Settembre 2012 - 19:40


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Sallusti, Cassazione lo condanna a 14 mesi Severino: "No comment ma cambiare norma".


Sallusti, Cassazione lo condanna a 14 mesi Severino: "No comment ma cambiare norma"

"La notizia pubblicata da Libero era falsa", spiega la Corte in una nota. Il giornalista ha rifiutato le misure alternative al carcere e ha annunciato le proprie dimissioni entro domani. Dovrà rifondere le spese processuali, risarcire la parte civile e pagare 4.500 euro. Stamane il Pg aveva chiesto uno sconto della pena.


ROMA - I giudici della quinta sezione penale della Cassazione hanno confermato la condanna a 14 mesi per Alessandro Sallusti, attuale direttore de Il Giornale, per diffamazione a mezzo stampa nei confronti del magistrato Giuseppe Cocilovo. La Corte, presieduta da Aldo Grassi, dopo una camera di consiglio di circa due ore e mezzo, ha respinto completamente il ricorso presentato dalla difesa di Sallusti. Negate anche le attenuanti generiche come richiesto dal Pg Gioacchino Izzo che avrebbero potuto portare a una riduzione della pena. "La notizia pubblicata" da Libero per la quale l'allora direttore del quotidiano Alessandro Sallusti è stato condannato "era falsa". Sottolinea la Corte di Cassazione in una nota. 

L'esecuzione della pena detentiva sarà 'automaticamente' sospesa in quanto risulta non avere cumuli di pena né recidive, lo ha spiegato il procuratore Bruti Liberati.

Il ministro della Giustizia Paola Severino non ha commentato la sentenza: "Prendo atto della decisione della Corte di Cassazione. Non conosco il merito della vicenda e ho troppo rispetto delle sentenze", ha detto. Quanto però "al profilo normativo, confermo quanto oggi detto in Parlamento sulla necessitàma ha ribadito "la necessità di intervenire al più presto sulla disciplina della responsabilità per diffamazione del direttore responsabile omogeneizzandola agli standard europei che prevedono sanzioni pecuniarie e non detentive".

Dopo aver deciso di non chiedere una misura alternativa alla pena come i servizi sociali, per il giornalista si aprono ora le porte del carcere. Sallusti è anche stato condannato alla rifusione delle spese processuali, a risarcire la parte civile e a pagare 4.500 euro di spese per il giudizio innanzi alla Suprema Corte. E' stato così confermato il verdetto emesso dalla Corte d'Appello di Milano il 17 giugno 2011. Dopo la decisione della Cassazione, dove e come il giornalista dovrà scontare la pena, passa nelle competenze della magistratura di Sorveglianza di Milano. Ci sarà, invece, un nuovo processo per il cronista Andrea Monticone imputato insieme a Sallusti. 

Dopo avere appreso la notizia della condanna a 14 mesi di carcere, Sallusti ha convocato in riunione straordinaria i caporedattori del Giornale, al terzo piano dell'edificio che ospita il quotidiano. Poi si è dimesso. Sull'edizione online è apparso il titolo a tutta pagina: 'Vergogna' (FOTO 1).

La richiesta del pg. Stamane la Procura della Cassazione aveva proposto l'annullamento 2 con rinvio della condanna a 14 mesi di reclusione solo "limitatamente alla mancata valutazione della concessione delle attenuanti generiche". Per il pg della Cassazione, Giovacchino Izzo sarebbe stato necessario "valutare la possibilità di uno sconto di pena". Secondo il pg, il ricorso presentato dai difensori di Sallusti in Cassazione doveva essere dichiarato inammissibile sul punto in cui si contesta che l'allora direttore diLibero fosse l'autore dell'articolo a firma 'Dreyfus' 3, pubblicato nel 2007 e ritenuto diffamatorio nei confronti del giudice tutelare di Torino, Giuseppe Cocilovo. Anche sul diniego della sospensione della pena, il pg Izzo aveva sollecitato il rigetto del ricorso di Sallusti, ritenendo fornita di "tenuta logica" l'argomentazione dei giudici d'appello. 

Unico punto, dunque, da accogliere del ricorso dei difensori, sarebbe stato, secondo Izzo, quello sulle attenuanti generiche. Per il Pg, dunque, sarebbe stato necessario un processo d'appello-bis per valutarne la concessione e, qualora fossero state accolte, queste avrebbero portato automaticamente a una riduzione della condanna. Gli articoli al centro della vicenda riguardavano un caso di aborto di una ragazza tredicenne.

Legale parte civile. Per Monica Senor, che rappresenta Cocilovo, parte civile nel processo a Sallusti, "si tratta di una vicenda che coinvolge un magistrato leso nella sua reputazione. Non possiamo prescindere dal considerare la libertà di informazione come un diritto non assoluto, ma da bilanciare con i diritti del privato cittadino", ha detto nella sua arringa davanti ai giudici. L'avvocato Senor ha inoltre voluto sottolineare i toni "particolarmente violenti" dell'articolo al centro del processo per diffamazione, nel quale mancano i requisiti di "veridicità e continenza". Inoltre, ha osservato, "passaggi molto brutti nei confronti del giudice Cocilovo, che viene definito un abortista, ci sono anche nel ricorso". 

Trattative.
 Nei giorni scorsi erano state avviate trattative 4 per risolvere la questione attraverso il ritiro della querela da parte di Cocilovo. I contatti sono però naufragati, come aveva spiegato ieri Sallusti in un editoriale sul suo quotidiano: "Ho dato disposizione ai miei avvocati di non chiudere l'ipotesi di accordo con il magistrato che mi ha querelato per un articolo neppure scritto da me e che ha ottenuto da un suo collega giudice la condanna nei miei confronti a un anno e due mesi di carcere".  


Reazioni. 
"E' davvero molto grave che si arrivi ad ipotizzare il carcere per un collega su un cosiddetto reato d'opinione", ha detto Ferruccio De Bortoli, "è un momento molto basso della nostra civiltà giuridica", ha sottolineato il direttore del Corriere della Sera. "Questo mestiere non si può più 
fare. Se i giornalisti devono pagare con la propria libertà le opnioni che esprimono, non si può più fare", ha detto il direttore di Libero, Maurizio Belpietro. "La notizia della conferma della condanna a Sallusti è terribile. E' una cosa sbagliatissima e un precedente inquietante. Mi dispiace tantissimo", ha commentato Lucia Annuziata, neo direttore di Huffington Post Italia. "Nessuno dovrebbe andare in carcere per questo reato", ha affermato il direttore di Avvenire Marco Tarquinio. "La vicenda per una volta - ha scritto Famiglia Cristiana sul sito - ha unito i giornali, anche quelli di opposti schieramenti, nella solidarietà a Sallusti in nome di un principio fondamentale: non si manda in galera una persona per un reato a mezzo stampa.

Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, in una nota: "Una sentenza liberticida che segna una delle pagine più buie della magistratura italiana". Per Franco Siddi, segretario della Federazione Nazionale della Stampa (Fnsi): "E' sconvolgente. In questo momento siamo tutti Sallusti. E siamo pronti a iniziative straordinarie". "Questo Paese fa schifo e spero che gli italiani scendano in piazza perché abbiamo raschiato il fondo. Sono sotto shock", ha commentato Daniela Santanchè, deputata del Pdl. La sentenza è "eccessiva nella pena comminata e quindi sbagliata", ha detto Gad Lerner. "Credo che il Parlamento e il Governo non possano restare inermi di fronte a fatti come questi e debbano porvi immediatamente rimedio", ha dichiarato Ignazio La Russa, coordinatore nazionale del Pdl. "La condanna assume i contorni di una intimidazione inaccettabile", ha detto il segretario del Pdl Angelino Alfano.

In mattinata il premier Mario Monti aveva affrontato il caso Sallusti dal punto di vista legislativo. "Ho seguito il problema direttamente, bisogna trovare un equilibrio tra i due beni della società: la libertà di stampa e la tutela della reputazione delle persone. Ci sono - aveva osservato - diverse soluzioni in diversi Paesi, è naturale per noi italiani fare riferimento alle posizioni dell'Unione europea, il ministro della Giustizia Severino avrà occasione oggi alla Camera di illustrare la posizione del governo". "Verrà utilizzato - ha spiegato il premier - uno dei disegni di legge già presentati e arrivare a una formulazione ben chiara anche per quanto riguarda le pene che sia in linea con la Corte di Strasburgo e le legislazioni vigenti" in tutta Europa. 


Del caso nei giorni scorsi si era interessato anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano 5 e appelli affinché Sallusti non finisca in carcere per un reato d'opinione sono arrivati anche da politici su posizioni diametralmente opposte a quelle del direttore del Giornalecompreso il leader dell'Idv Antonio Di Pietro 6.

La motivazione della Corte.
 "La condanna dei giudici del merito riguarda il reato previsto dagli art. 595 cod. pen. e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, la quale prevede la pena della reclusione da uno a sei anni, oltre alla multa". L'articolo contestato si intitolava, ricorda la Cassazione, 'Il dramma di una tredicenne. Il giudice ordina l'aborto'. "Pur essendo necessario - spiega l'ufficio stampa della Corte - attendere le motivazioni della sentenza per verificare le ragioni della decisione adottata, è opportuno precisare aspetti della questione, che non sono stati esattamente evidenziati dalla stampa nei giorni scorsi". "La notizia pubblicata dal quotidiano diretto dal dottor Sallusti era falsa", spiega, dal momento che "la giovane non era stata affatto costretta ad abortire, risalendo ciò a una sua autonoma decisione, e l'intervento del giudice si era reso necessario solo perché, presente il consenso della mamma, mancava il consenso del padre della ragazza, la quale non aveva buoni rapporti con il genitore e non aveva inteso comunicare a quest'ultimo la decisione presa".