mercoledì 13 dicembre 2017

Media USA: il giorno della vergogna totale. - Glenn Greenwald.

CNN è Fake News

Fake News del mainstream: Le testate giornalistiche USA hanno subito la loro più umiliante disfatta da tempo: ora rifiutano qualsiasi trasparenza su ciò che è successo.

Venerdì 8 dicembre è stato uno dei giorni più imbarazzanti per i media USA da un sacco di tempo in qua. L'orgia di umiliazioni è stata innescata dalla CNN, con MSNBC e CBS sulla sua scia, con innumerevoli opinionisti, commentatori e operatori politici che si sono uniti alla festa per tutto il giorno. Alla fine della giornata, era chiaro che molti dei più grandi e influenti organi di informazione della nazione avevano diffuso a milioni di persone una notizia esplosiva, benché completamente falsa, intanto che si rifiutavano di fornire alcuna spiegazione su come tutto questo fosse successo.

Lo spettacolo è iniziato venerdì mattina alle ore 11 della costa orientale USA, quando la testata che si proclama “Il nome più attendibile nel dare notizie” (ossia la CNN, “The Most Trusted Name in News™”NdT) ha speso ben 12 minuti consecutivi di trasmissione cavalcando in modo scintillante un reportage-bomba in esclusiva che sembrava dimostrare che WikiLeaks, lo scorso settembre, aveva segretamente offerto alla macchina elettorale di Trump, e persino a Donald Trump in persona, un accesso speciale alle e-mail del Comitato Nazionale Democratico (DNC) prima che fossero pubblicate su Internet. 
Siccome la CNN si affaccia sul mondo, tutto questo proverebbe collusione tra la famiglia Trump e WikiLeaks e, cosa più importante, tra Trump e la Russia, dal momento che la comunità dei servizi segreti degli Stati Uniti considera WikiLeaks come un "braccio dell'intelligence russa", e quindi fanno così anche i media statunitensi.

Tutta questa rivelazione era basata su un’e-mail che la CNN con forza sottintendeva di aver ottenuto in esclusiva e che aveva ormai a disposizione. L'e-mail era stata inviata da un tale di nome "Michael J. Erickson" - qualcuno di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima di allora e che la CNN non poteva identificare - a Donald Trump Junior, e offriva una chiave di decrittazione nonché l'accesso alle e-mail del DNC che WikiLeaks aveva "caricato". L'e-mail era una pistola fumante, agli occhi estremamente eccitati della CNN, perché era datata 4 settembre – dunque dieci giorni prima che WikiLeaks iniziasse a promuovere l'accesso a quelle e-mail online - dimostrando così che alla famiglia Trump veniva offerto un accesso speciale e unico all'archivio del DNC: presumibilmente da Wikileaks e dal Cremlino.

È impossibile comunicare a parole che tipo di scoop spettacolare e devastante credeva di avere la CNN, perciò è necessario che guardiate voi stessi con i vostri occhi per notare quali toni accalorati, quali inflessioni mozzafiato e quanta gravità trasmetteva questo canale, considerato che chiaramente credeva di dare oramai un colpo quasi fatale in merito alla storia della collusione Trump/Russia:


C'era solo un piccolo problema con questa storia: era fondamentalmente falsa, e lo era nel modo più imbarazzante possibile. Ore dopo che la CNN aveva trasmesso il suo racconto - e dopo averlo ripetutamente rilanciato e pompato - il Washington Post ha riferito che la CNN ha toppato di brutto proprio sul fatto cruciale della vicenda.

L'e-mail non era datata 4 settembre, come pretendeva la CNN, bensì 14 settembre: il che significa che era stata inviata dopo che WikiLeaks aveva già pubblicato l'accesso alle e-mail del DNC online. Quindi, anziché offrire una sorta di accesso speciale a Trump, "Michael J. Erickson" era semplicemente una persona a caso del pubblico che incoraggiava la famiglia Trump a guardare le e-mail del DNC apertamente disponibili che WikiLeaks - come tutti già sapevano - aveva pubblicamente promosso. In altre parole, l'e-mail era l'esatto opposto di ciò che la CNN sosteneva che fosse.


Com’è che la CNN è giunta a pompare con irruenza una storia così tanto spettacolarmente falsa? Si rifiutano di dirlo. Molte ore dopo che la loro narrazione è stata svelata in tutta la sua falsità, il giornalista che l'ha presentata in origine, il cronista parlamentare Manu Raju, ha finalmente pubblicato un tweet che annotava la correzione

Il dipartimento di pubbliche relazioni della CNN ha quindi affermato che "più fonti" avevano fornito alla CNN una data falsa. E Raju è andato alla CNN, con toni più dimessi, per annotare la correzione, affermando esplicitamente che "due fonti" gli avevano fornito ciascuna la data falsa in merito all'e-mail, mentre chiariva anche che la CNN non aveva mai nemmeno visto l'e-mail, ma aveva solo fonti che descrivevano i suoi presunti contenuti:


Tutto ciò fa sorgere la domanda lampante, ovvia e critica, che la CNN si rifiuta di affrontare: in che modo le "fonti multiple" hanno erroneamente interpretato la data in testa a questo documento, esattamente nello stesso modo, e verso le stesse conclusioni, e hanno quindi dato in pasto queste informazioni false alla CNN?

È, ovviamente, del tutto plausibile che una fonte possa in modo incolpevole interpretare erroneamente la data di un documento. Ma in che modo sarebbe anche lontanamente plausibile che più fonti possano del tutto innocentemente e in buona fede interpretare erroneamente la data proprio nello stesso modo, tutto per causare la propagazione di una rivelazione diffusa su tutti i media in merito alla collusione Trump/Russia /WikiLeaks? Questa è la domanda fondamentale cui la CNN si rifiuta semplicemente di rispondere. In altre parole, la CNN si rifiuta di fornire la massima trasparenza per consentire al pubblico di capire cosa è davvero successo in questo frangente. 

PERCHÉ TUTTO QUESTO CONTA COSÌ TANTO? Per tanti motivi importanti:

Per cominciare, è difficile esagerare su quanto velocemente, quanto lontano e quanto diffusamente abbia viaggiato questa falsa notizia. Opinionisti, funzionari e giornalisti del Partito Democratico con enormi piattaforme sui social media si sono immediatamente tuffati sulla storia, annunciando che dimostrava una collusione tra Trump e la Russia (attraverso WikiLeaks). Un tweet del parlamentare democratico Ted Lieu, il quale sosteneva che tutto questo evidenziava le prove di una collusione criminale, è stato ri-twittato migliaia e migliaia di volte in poche ore (Lieu ha flemmaticamente cancellato il tweet dopo che io ne ho annunciato la falsità, e molto tempo dopo che era diventato assai virale, senza mai dire ai suoi seguaci che la storia della CNN, e quindi la sua accusa, erano state sbufalate).

Benjamin Wittes del Brookings Institute, la cui stella era in ascesa mentre si autopromuoveva come amico dell'ex direttore dell'FBI Jim Comey, non solo ha rilanciato la storia della CNN alla mattina, ma lo ha fatto con la parola "Boom" - usata per segnalare che un grande colpo è stato inferto a Trump sulla vicenda della Russia - insieme alla gif di un cannone che viene fatto detonare.

Josh Marshall del blog Talking Points Memo ha creduto che la storia fosse così significativa da usare in cima al suo articolo l'immagine di una bomba atomica che esplodeva, discutendo le sue implicazioni, un articolo che ha twittato ai suoi circa 250.000 follower. Solo di notte è stata aggiunta una nota redazionale che annunciava che l'intera faccenda era falsa.

È difficile quantificare esattamente quante persone siano state ingannate - riempite di notizie false e propaganda - dalla narrazione della CNN. Ma grazie a giornalisti e funzionari fedeli al Partito Democratico che decretano che ogni affermazione in tema Trump/Russia debba essere vera senza guardare alcuna prova, è certamente cosa sicura affermare che molte centinaia di migliaia di persone, quasi certamente milioni, sono state esposte a queste false affermazioni.

Sicuramente chiunque abbia qualche minima preoccupazione sull'accuratezza del giornalismo - che presumibilmente includerà tutte le persone che hanno passato l'ultimo anno a lagnarsi di Fake News, propaganda, bot di Twitter e via lamentando - pretenderebbe una rendicontazione su come uno dei maggiori organi mediatici americani sia finito a subissare il cervello di così tante persone con notizie totalmente false. Basterebbe solo questo per dover sollecitare alla CNN un’esauriente spiegazione su cosa esattamente sia capitato. Nessun bot russo su Facebook o Twitter potrebbe avere un impatto neanche lontanamente paragonabile all'impatto di questa narrazione della CNN quando si tratti di ingannare la gente con informazioni sfacciatamente inesatte.

In secondo luogo, le "fonti multiple" che hanno fornito alla CNN questa falsa informazione non si sono limitate a quella rete. Erano apparentemente molto impegnate a diffondere avidamente le false informazioni a quanti più media potevano trovare. A metà giornata, la CBS News ha affermato di aver "confermato" in modo indipendente la storia della CNN sull'e-mail, e ha pubblicato anche il suo articolo mozzafiato, discutendo le gravi implicazioni di questa collusione disvelata.

Ma la cosa più imbarazzante di tutte l’ha fatta la MSNBC. Dovete solo guardare questo servizio del suo «corrispondente in materia di intelligence e sicurezza nazionale», Ken Dilanian, per crederci. Così come la CBS, anche Dilanian ha affermato di aver «confermato» in modo indipendente il falso rapporto della CNN da «due fonti che hanno conoscenza diretta di questo fatto». Dilanian, la cui carriera nei media statunitensi continua a prosperare quanto più viene esposto come qualcuno che fedelmente ripete a pappagallo ciò che la CIA gli dice di dire (dal momento che questo è uno degli attributi più ambiti e apprezzati nel giornalismo USA), ha utilizzato tre minuti per mescolare affermazioni della CIA (prive di prove e trattate come fatti) con affermazioni totalmente false su ciò che le sue molteplici "fonti con conoscenza diretta" gli avevano riferito su tutto questo. Si prega di guardarlo di nuovo: non tanto per il contenuto, quanto per il tenore e il tono in cui si “riferiscono” le “notizie”. È una roba imbarazzante ai livelli del portavoce di Saddam Hussein, il famigerato Baghdad-Bob:


Pensate esattamente a cosa significhi tutto questo. Significa che almeno due - e possibilmente più - fonti, che tutti questi media hanno giudicato credibili in termini di accesso a informazioni sensibili, hanno fornito le stesse false informazioni a più organi di informazione contemporaneamente. Per molte ragioni, è molto alta la probabilità che queste fonti fossero membri democratici della Commissione sull’Intelligence della Camera (o dei funzionari di alto livello delle loro squadre), poiché è stata la Commissione ad aver ottenuto l'accesso alle e-mail di Trump Jr., benché sia certamente possibile che sia qualcun altro ancora. Non lo sapremo fino a quando questi organi di informazione non si degneranno di riferire al pubblico queste informazioni cruciali: quali «molteplici fonti» hanno mai agito congiuntamente per divulgare informazioni false e incredibilmente incendiarie presso i maggiori organi di informazione nazionali?

 
Appena la settimana scorsa, il Washington Post (con grande plauso, anche mio) ha deciso di esporre una fonte – una donna a cui avevano promesso l'anonimato e le protezioni a microfoni spenti - perché hanno scoperto che aveva intenzionalmente loro fornito false informazioni come parte di una trama ordita da Project Veritas per screditare il Post. È un principio ben consolidato del giornalismo (raramente seguito quando si parla di persone potenti a Washington): il fatto cioè che i giornalisti dovrebbero esporre, anziché proteggere e nascondere, le fonti che abbiano fornito di proposito false informazioni da diffondere presso il pubblico.

È forse quello che è successo nel nostro caso? Queste "fonti multiple" che hanno dato in pasto le informazioni completamente false non solo alla CNN, ma anche a MSNBC e CBS, lo fanno deliberatamente e in malafede? Fino a quando queste testate giornalistiche non forniranno un rendiconto di quel che è successo - ciò che si potrebbe chiamare "trasparenza giornalistica minima" - è impossibile dirlo con certezza. Ma al momento, è molto difficile immaginare uno scenario in cui più fonti abbiano tutte indicato la data sbagliata a diversi media in modo innocente e in buona fede.

Se si trattasse, in realtà, di un deliberato tentativo volto a causare una narrazione falsa e molto incendiaria, allora questi media hanno l'obbligo di mettere in vista chi sono i colpevoli - proprio come il Washington Post ha fatto la scorsa settimana nei confronti della donna che faceva affermazioni false su Roy Moore (era molto più facile in quel caso perché la fonte che mettevano in vista era una persona che a Washington non contava, anziché qualcuno su cui fare affidamento per un flusso costante di notizie, ossia il modo in cui CNN e MSNBC si affidano ai membri democratici della Commissione sull'intelligence). Per contro, se questo fosse solo un errore innocente, allora queste testate giornalistiche dovrebbero spiegare come una sequenza di eventi così inverosimile possa essere accaduta.

Finora, queste multinazionali stanno facendo l'opposto di ciò che i giornalisti dovrebbero fare: piuttosto che informare il pubblico su ciò che è accaduto e assicurare una minima trasparenza e responsabilità per se stessi e gli alti funzionari che hanno causato tutto questo, si nascondono dietro a qualcosa di insignificante, dichiarazioni nebulose redatte da manager di pubbliche relazioni e avvocati.

Come possono mai certi giornalisti e certe testate reagire e fare così tanto gli offesi, se vengono attaccati come "Fake News", quando proprio questa è la condotta dietro la quale si nascondono una volta che siano scoperti a diffondere storie false e incredibilmente ricche di conseguenze?

Quanto più pensate che la vicenda Trump/Russia sia una cosa seria, quanto più pericoloso ritenete che sia Trump quando attacca i media statunitensi in quanto "Fake News", tanto più dovreste risultare turbati da ciò che è successo in questo caso, e tanto più dovreste esigere maggiore trasparenza e responsabilità. Se siete gente che ritiene che gli attacchi di Trump ai media siano pericolosi, allora dovreste essere in prima fila a obiettare quando i media agiscono in modo avventato, in modo da pretendere trasparenza e responsabilità da parte loro. Sono delle disfatte totali come questa - e i successivi sforzi delle grandi imprese mediatiche volti a offuscare il tutto - che hanno reso i media statunitensi così antipatici fino ad alimentare e rafforzare gli attacchi di Trump contro di loro.

In terzo luogo, questo tipo di incoscienza e falsità è ora una tendenza chiara e altamente preoccupante - si potrebbe dire una costante - quando si parla di Trump, Russia e Wikileaks. Ho passato buona parte dell'ultimo anno a documentare le notizie straordinariamente numerose, ricche di conseguenze avventate che sono state pubblicate - e poi corrette, annullate e ritrattate - dai principali media tutte le volte che viene affrontata questa vicenda.

Tutte le testate, ovviamente, commetteranno degli errori. The Intercept ha certamente fatto la sua parte, così come accade a tutti gli organi di informazione. Ed è particolarmente naturale e inevitabile, che si commettano errori ove ci sia una storia molto complicata e opaca come la questione del rapporto tra Trump e i russi, e le domande relative a come WikiLeaks abbia ottenuto le e-mail del DNC e di Podesta. È tutto quel che c’è da aspettarsi.

Ma quello che ci si dovrebbe aspettare dagli "errori" giornalistici è che a volte vadano in una direzione, e altre volte vadano nella direzione opposta. Questo è esattamente ciò che non è successo in questo caso. Praticamente ogni falsa storia pubblicata va solo in una direzione: essere la più incendiaria e dannosa possibile sulla vicenda di Trump/Russia e in particolare sulla Russia. A un certo punto, una volta che gli "errori" iniziano ad andare tutti nella stessa direzione, verso l'avanzamento del medesimo ordine del giorno, smettono di sembrare errori.

A prescindere dalla vostra opinione su quelle polemiche politiche, a prescindere da quanto odiate Trump o consideriate la Russia un cattivone e una minaccia per la nostra benamata democrazia e libertà, bisogna riconoscere che quando i media statunitensi non fanno altro che diffondere continue false notizie su tutta questa materia, anche loro rappresentano una grave minaccia per la nostra democrazia e adorata libertà.

Sono talmente tante le false storie sulla Russia e su Trump nel corso dell'ultimo anno che non riesco letteralmente a elencarle tutte. Prendete in considerazione appena quelle dell'ultima settimana soltanto, come riportato ieri dal New York Times nel suo articolo che riferisce sull’imbarazzo della CNN:

C’è stato anche un altro importante errore di cronaca in un momento in cui le organizzazioni giornalistiche si stanno confrontando con un pubblico scettico e un presidente che si diletta nell'attaccare i media come "Fake News". Sabato scorso, ABC News ha sospeso un giornalista star, Brian Ross, dopo aver riferito distortamente che Donald Trump aveva incaricato Michael T. Flynn, l'ex consigliere per la sicurezza nazionale, di contattare i funzionari russi durante la corsa presidenziale. Il rapporto ha alimentato le teorie sul coordinamento tra la campagna di Trump e una potenza straniera e le azioni in borsa sono calate dopo la notizia. In realtà, le istruzioni di Trump a Flynn arrivarono solo dopo essere stato eletto presidente. Diverse agenzie di stampa, tra cui Bloomberg e The Wall Street Journal, hanno anche riportato erroneamente questa settimana che la Deutsche Bank aveva ricevuto una citazione dal consigliere speciale, Robert S. Mueller III, per i documenti finanziari del Presidente Trump.Il presidente e il suo gruppo non si son fatti pregare nel calcare la mano su questi errori.

E qui stiamo parlando appena dell’ultima settimana. Ricordiamoci di quante e quante volte le maggiori testate giornalistiche hanno commesso errori umilianti e strabilianti sulla storia di Trump/Russia, ogni volta nella stessa direzione, verso gli stessi obiettivi politici. Ecco appena un assaggio delle affermazioni incredibilmente provocatorie che hanno percorso ogni angolo di Internet prima che fossero corrette, ritrattate o ritirate, spesso molto tempo dopo che le false affermazioni iniziali si erano diffuse, e dove le correzioni ricevono solo una minima parte della spasmodica attenzione che alle notizie false viene invece tributata all’inizio:

• La Russia ha violato la rete elettrica degli Stati Uniti per privare gli americani di calore durante l'inverno (Washington Post)

• Un gruppo anonimo (PropOrNot) ha documentato in che modo i principali siti politici degli Stati Uniti sono agenti del Cremlino (Washington Post)

• WikiLeaks ha una relazione di lunga data e documentata con Putin (Guardian)

• È stato scoperto un server segreto tra Trump e una banca russa (Slate)

• RT ha hackerato C-SPAN e ha causato interruzioni nelle sue trasmissioni (Fortune)

• Crowdstrike scopre che i russi hanno hackerato un'app dell’artiglieria ucraina (Crowdstrike)

• I russi hanno tentato di hackerare i sistemi elettorali di 21 stati (testate giornalistiche varie, che fanno eco al dipartimento della Sicurezza Nazionale)

• Sono stati trovati collegamenti tra l'alleato di Trump Anthony Scaramucci e un fondo di investimento russo sotto inchiesta (CNN)

Questo è davvero appena un piccolo assaggio. Questo modo di coprire l’argomento è così costantemente pessimo e fuorviante, che perfino i più partecipi fra i critici di Vladimir Putin - come l'espatriato russo Masha Gesseni giornalisti russi di opposizionenonché gli attivisti liberali anti-Cremlino che operano a Mosca - stanno continuamente avvertendo che i reportage disinformati, ignoranti e paranoici dei media statunitensi sulla Russia stanno danneggiando la loro causa in tutti i modi, intanto che distruggono la credibilità dei media USA agli occhi dell'opposizione di Putin (che - a differenza degli americani, che sono stati nutriti con una dieta costante a base di news e propaganda sulla Russia – capisce effettivamente le realtà di quel paese).





I media USA sono molto bravi nel pretendere rispetto. Amano implicare, ove non lo dichiarino apertamente, che uno - per essere patriottico e un buon americano - dovrebbe respingere gli sforzi per screditare loro e il loro modo di riferire le notizie, perché è così che si difende la libertà di stampa.

Ma i giornalisti hanno anche la responsabilità non solo di chiedere rispetto e credibilità, ma di guadagnarseli. Ciò significa che non dovrebbe esserci una lista così lunga di abiette umiliazioni, dentro cui vediamo pubblicate storie completamente false per ottenere plausi, traffico sui siti e altre ricompense, benché crollino al minimo scrutinio. Certamente significa che tutti questi "errori" non dovrebbero puntare nella stessa direzione, perseguendo lo stesso risultato politico o la medesima conclusione giornalistica.

Ma quel che è più significativo è che quando i media sono responsabili di errori gravi e forieri di conseguenze come nel caso dello spettacolo cui abbiamo assistito ieri, devono assumersene la responsabilità offrendo trasparenza e responsabilità. In questo caso, ciò non può significare nascondersi dietro i PR e il silenzio degli avvocati aspettando che intanto passi la bufera.

Come minimo, queste reti - CNN, MSNBC e CBS - devono identificare chi ha fornito intenzionalmente queste informazioni palesemente false, o spiegare come sia possibile che "più fonti" abbiano tutte le stesse informazioni sbagliate in modo innocente e in buona fede. Fino a quando non lo fanno, le loro grida e proteste, la prossima volta che vengono attaccati come "Fake News", dovrebbe cadere nel vuoto, dal momento che i veri autori di quegli attacchi - il motivo per cui quegli attacchi risuonano – sono loro stessi e la loro condotta. 

(Aggiornamento: ore dopo che questo articolo era stato pubblicato, sabato - un giorno e mezzo dopo i suoi tweet originali che promuovono la falsa storia della CNN con un “boom” e un cannone - Benjamin Wittes ha alla fine capito che la storia della CNN che lui aveva pompato presentava "problemi seri"; inutile dire che il tardivo riconoscimento ha ricevuto solo una piccola porzione dei ri-tweet da parte dei suoi seguaci rispetto ai tweet originali che pompavano la storia all’inizio).

Consip, Saltalamacchia interrogato per la fuga di notizie. Ma oggi può essere promosso dal coindagato Del Sette. - Marco Lillo, Valeria Pacelli



Cortocircuito - Il generale dei Carabinieri della Toscana sentito ieri per 4 ore dai pm a Roma. Oggi potrebbe essere promosso. Entrambi indagati per fuga di notizie, ma il primo vuole premiare l’altro.

La Procura di Roma riaccende i motori sul caso Consip. Ieri è stato interrogato uno degli indagati eccellenti. Il generale Emanuele Saltalamacchia, già comandante della Regione Toscana, amico di Matteo Renzi e candidato in passato alla guida dei servizi segreti ‘in quota Matteo’, è stato sentito fino a tarda sera dai pm Mario Palazzi e Paolo Ielo.
In quella sede aveva aggiunto: “Con il generale Saltalamacchia intercorre un rapporto di amicizia da diversi anni e anche lui mi disse che il mio telefono era sotto controllo, anche in questo caso – spiegò Marroni al Noe – l’informazione la ricevetti prima dell’estate 2016. Ho incontrato Saltalamacchia di recente, una domenica durante una passeggiata organizzata con le nostre signore (…) in disparte, in quell’occasione, ho chiesto al Saltalamacchia se il mio cellulare fosse ancora sotto controllo ma lui mi disse che non aveva avuto aggiornamenti”.
Ai pm napoletani Henry John Woodcock e Celeste Carrano, giunti di corsa da Napoli per riascoltarlo, Marroni precisò in serata: “Confermo ancora che anche il generale dei Carabinieri Emanuele Saltalamacchia mi ha detto sicuramente in un’occasione, prima dell’estate del 2016, che la procura della repubblica di Napoli stava svolgendo una indagine sull’imprenditore Romeo e sui suoi rapporti con la Consip, dicendomi anche lui che c’erano operazioni di intercettazione in corso”.
Sono tante le cose che i pm romani avranno chiesto ieri a Saltalamacchia. Per esempio la storia della grigliata a casa Renzi raccontata dal sindaco di Rignano sull’Arno Daniele Lorenzini.
“Ricordo – ha spiegato il sindaco ai pm Mario Palazzi ed Henry John Woodcock, prima che Palazzi indagasse Woodcock – che, sempre nel mese di ottobre (2016) pochi giorni dopo il primo incontro nell’ufficio di Tiziano Renzi sono stato invitato a una cena a casa di Tiziano. Tra gli invitati c’erano oltre a me e mia moglie il generale Emanuele SaltalamacchiaMassimo Mattei, già assessore del comune di Firenze nella giunta di Matteo Renzi, e la moglie e tale Paolo che credo sia socio di Massimo Mattei; Andrea Conticini (genero di Tiziano Renzi, Ndr)”. Cosa si dissero quel giorno Tiziano e il generale mentre gli spiedini andavano sul braciere della villa in contrada Torri?
“A un certo punto mentre eravamo in giardino ho sentito il generale Saltalamacchia – prosegue il verbale di Lorenzini – dire a Tiziano Renzi che sarebbe stato meglio per lui non frequentare un soggetto, di cui tuttavia non ho sentito il nome, perché era oggetto di indagine (…) ho avuto modo di constatare la familiarità perché si davano del tu. Ricordo anche che sentii Saltalamacchia dire a Tiziano Renzi di non parlare al telefono. Ricordo perfettamente che questo colloquio a cui ho assistito è avvenuto nel giardino di casa Renzi in occasione della suddetta cena intorno alla bistecchiera mentre si faceva la brace”.
Sull’interrogatorio di ieri del generale c’è un tale riserbo che i pm e i carabinieri e l’avvocato Grazia Volo in coro negano persino la sua esistenza: “Quale interrogatorio? Sono stata impegnata in una riunione”, giurava Grazia Volo ieri. Un riserbo comprensibile. Oggi si decideranno le graduatorie di avanzamento dei generali di brigata che vogliono diventare generali a due stelle, cioé di divisione. Del Sette dovrebbe presiedere la commissione di valutazione anche se la situazione per lui è imbarazzante oggettivamente: il comandante generale dei Carabinieri è indagato nel caso Consip per la stessa accusa di Saltalamacchia. Non solo. Dovrà decidere sulla carriera del generale coindagato ma anche su quella del generale che guidava il corpo che indagava entrambi. Tra i generali che aspirano alla promozione, in concorrenza con Saltalamacchia, infatti, c’è Sergio Pascali. Pascali e Saltalamacchia sono compagni di corso e vecchi amici ma il caso Consip li vede, almeno in teoria, su posizioni contrapposte. Pascali comandava il Noe e Saltalamacchia ne ha subito l’inchiesta.
Tra i generali di brigata da valutare oggi ci sarà anche Antonio Bacile, ex comandante della Regione Sardegna, iscritto a marzo 2017 sul registro degli indagati, sempre con il comandante Tullio Del Sette, dalla Procura di Sassari per abuso d’ufficio in relazione ad alcuni trasferimenti di ufficiali in Sardegna. Per questa inchiesta però c’è stata, dopo il trasferimento a Roma, la richiesta di archiviazione.
Non basta. Oggi al Comando si deciderà il destino dei colonnelli che vogliono diventare generali di brigata. In questo caso da valutare c’è Giovanni Adamo, trasferito da Del Sette e parte offesa del procedimento di Sassari per il quale pende la richiesta di archiviazione del comandante.

martedì 12 dicembre 2017

Hacking team, i pm di Milano trovano chi finanziò i ladri del software spia: ma Usa non collaborano. Chiesta l’archiviazione.

Hacking team, i pm di Milano trovano chi finanziò i ladri del software spia: ma Usa non collaborano. Chiesta l’archiviazione

I pm lombardi hanno dovuto dunque chiedere l'archiviazione dell'inchiesta sul cittadino americano che finanziò in Bitcoin l’intrusione informatica del 2015 nella società milanese ideatrice di un virus spia venduto alle polizie di mezzo mondo. Il motivo? Il Dipartimento di Stato non intende consegnare all'Italia i computer sequestrati dall'Fbi su rogatoria italiana.

Sanno chi è. Sanno dove si trova. Ma non possono arrestarlo. Il motivo? Gli Stati Uniti non intendono consegnare all’Italia i computer sequestrati dall’Fbi su rogatoria italiana. E la procura di Milano ha dovuto dunque chiedere l’archiviazione dell’inchiesta sul cittadino americano accusato di aver finanziato in Bitcoin  l’intrusione informatica del 2015 nella società milanese Hacking team, ideatrice di un virus spia venduto alle polizie di mezzo mondo. Lo scrive Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera spiegando che l’uomo è stato individuato in un 30enne concessionario d’auto del Tennessee.
È lui il mandante del furto del segretissimo codice sorgente del programma di intercettazione telematica Galileo, venduto alle polizie di mezzo mondo e quindi diffuso su Internet dagli hacker: un’operazione che provocò per giorni il prudenziale blocco in Italia delle intercettazioni autorizzate dai magistrati. 
E dire che per il cittadino americano i pm milanesi avevano ottenuto nei mesi scorsi, in gran segreto, addirittura un mandato d’arresto. Ordine che hanno dovuto revocare dopo il rifiuto di collaborazione del Dipartimento di Stato. Una scelta poco comprensibile – annota il Corsera – salvo non si immagini che l’hacker sia un collaboratore di una agenzia di sicurezza Usa.

I segreti rubati ad Hacking Team compaiono online la notte del 6 luglio 2015 su un server tedesco su cui si mescolano 530 indirizzi Ip tra utenti veri o inventati:  i poliziotti del Compartimento postale lombardo si concentrano su uno dei 530, che aveva raggiunto anche un server in Olanda dal quale risultava sferrata l’intrusione informatica all’archivio milanese di HT. A sua volta il server della società olandese era stato noleggiato: da chi? Da una connessione anonima che aveva pagato l’affitto in Bitcoin.
Le indagini conducono direttamente a un tale Fariborz Davachi, 30 anni, cittadino statunitense di origine iraniana, residente a Nashville dove vende automobili. Tra la fine del 2014 e l’inizio 2015 era stato prima a Teheran e poi a Roma. Il gip Alessandra Del Corvo emette la misura cautelare richiesta dal pm Alessandro Gobbis, che ha già chiesto agli Usa chiede di sequestrare i computer del sospettato. 
Gli agenti Fbi eseguono, interrogano l’uomo che ammette di aver comprato le scratch card con i Bitcoin. Dice, però, di non essere stato lui a usarle: le ha cedute a persone che però non sa indicare. Il motivo? È legato ai suoi problemi di droga. Una giustificazione surreale. Eppure gli Stati Uniti decidono di non consegnare a Milano i computer di Devachi: per il  Dipartimento di Stato, infatti,  non esistono ragioni per pensare che quei pc contengano notizie utili.

L’inchiesta di fatto muore qui. Per contestare all’americano il concorso in accesso abusivo a sistema informatico, occorre il dolo. Manca la prova della consapevolezza che i mezzi da lui pagati sarebbero poi stati usati da terzi per commettere quel reato. Ipotesi impossibile da dimostrare senza i suoi computer. Tutto finisce dunque con la richiesta d’archiviazione. Come archiviati sono anche gli indagati originari dell’inchiesta, cioè Mostapha Maanna, Guido Landi e Alberto Pelliccione, ex collaboratori del titolare di Ht David Vincenzetti.

Bitcoin, nel secondo giorno crollano gli scambi (-93%).

Reuters

Quotazioni sempre molto volatili per il Bitcoin mentre si moltiplicano gli allarmi su una possibile bolla pronta ad esplodere. La criptovaluta oggi ha sofferto un netto calo per poi risalire a quota 17mila dollari. Soprattutto, però, sono crollati i volumi di scambi sui futures del Chicago Board of Options Exchange (Cboe), che domenica sera ha inaugurato le contrattatazioni: nelle prime cinque ore di oggi solo 147 contratti di future sono stati scambiati, per un controvalore di appena 2,6 milioni di dollari, contro i 35 milioni di ieri, quando le quotazioni del future a un mese erano decollate di oltre il 20 per cento nelle prime ore.
Con la frenata suonano anche nuovi campanelli di allarme. Secondo Paul Donovan, capo economista del wealth management di Ubs, la banca d'investimenti svizzera che aveva già definito Bitcoin una “bolla speculativa”, la corsa di potrebbe rivelarsi «distruttiva». «Le bolle attraggono un gran numero di persone, prendono i loro soldi e li trasferiscono a pochi - ha detto in un’intervista alla Cnbc - Questo è molto distruttivo nel lungo termine. E penso sia uno dei problemi che abbiamo» con Bitcoin, ha spiegato l'analista.
Anche un premio Nobel per l’economia si schiera con il partito degli scettici. «La probabilità che la corsa di Bitcoin finisca in lacrime è alta», ha detto Joseph Stiglitz in un'intervista a Bloomberg Tv, «È proprio perché non ha trasparenza, che il Bitcoin come mezzo di pagamento è richiesto. Lo è da persone che lo usano principalmente per attività illecite», dice Stiglitz. «Quando questo sarà chiaro, i governi lo faranno cadere e la domanda andrà a picco». In alternativa, «i governi chiederanno trasparenza, e anche in questo caso la domanda per il Bitcoin sparirà». Sulla stessa lunghezza d’onda è Blackrock: «Vediamo valutazioni da bolla» e la criptovaluta ha raggiunto un territorio «estremo», spiega Belinda Boa, responsabile per gli investimenti in Asia e Pacifico del colosso americano.
Faro delle autorità Usa 
Anche le autorità americane accendono un faro. Gli investitori dovrebbero essere consapevoli del «potenziale alto livello di volatilità e di rischio» del Bitcoin, afferma Christopher Giancarlo, numero uno della Cftc, sottolineando che il Bitcoin non è regolato e le autorità hanno poteri limitati per intervenire. «La Sec guarda con attenzione a come le transazioni sul dollaro, l'euro e lo yen hanno effetto sui mercati, abbiamo la stessa attenzione e le stesse responsabilità sulla criptovaluta» aggiunge Jay Clayton, responsabile della Sec.

Scoperti campi di torsione di Tesla sulle piramidi bosniache.

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Il Dr. Semir Osmanagic, lo scopritore delle piramidi bosniache racconta di aver fatto un'altra affascinante scoperta che cambia non solo la storia del continente europeo, ma quello di tutto il pianeta. La scoperta di onde stazionarie di Tesla nella parte superiore della piramide bosniaca del Sole che si ritiene viaggino più veloce della velocità della luce, senza perdere potenza mentre attraversano i cosmici corpi dimostra l’esistenza di qualcosa denominato una rete cosmica o internet cosmico che consente una comunicazione intergalattica immediata in tutto l’universo, scrive il Dott Osmanagic.
Fenomeni energetici registrati sopra la Piramide del Sole a Visoko danno una diversa visione delle piramide rispetto alle convenzionali spiegazioni dogmatiche. Le piramidi sono ripetitori di energia che inviano e ricevono informazioni attraverso il sole.
UN INTERNET COSMICO?
Per molti altri ricercatori, tra i quali il più importante è Nikola Tesla, le onde scalari, o onde stazionarie, creati nell’interazione dei campi di torsione viaggiano a velocità superiori a quella della luce. Si stima una velocità di 10 miliardi di volte più veloce di quella della luce. In tal modo, i campi di torsione possono muoversi attraverso qualsiasi altro corpo cosmico (pianeti, soli) senza spreco di energia.
Questo significa che sono in grado di viaggiare a grande velocità, trasferire informazioni / energia e che non c’è alcuna perdita in qualità e in quantità di informazioni. (Fonte)
E’ come avere a due estremità due produttori (generatori) dell’energia che stanno mutuamente comunicando attraverso i Campi di Torsione di Tesla (Onde). Il trasferimento dati tra le due estremità è quasi istantaneo, anche tra due corpi distanti del Cosmo e le informazioni non perdono la loro qualità durante il trasferimento. (Fonte)
La piramide è la più potente di tutte le forme geometriche in termini di energie. Se situata sopra un punto potente di energia, la piramide diventa un amplificatore di tale energia. Sotto la piramide bosniaca del Sole, ci sono piastre di ferro (che generano campi elettromagnetici) e un flusso di acqua sotterranea (che rilascia ioni negativi). Il sottostante flusso d’acqua sotterranea, crea l’energia elettrica insieme alle piastre di ferro presenti sopra. Inoltre, troviamo del magnetismo naturale, energia Orgone.
Questi fenomeni energetici possono essere misurati con i nostri strumenti scientifici.        Ma, come possiamo misurare i fenomeni energetici per i quali non abbiamo ancora sviluppato gli strumenti scientifici?
Sulla superficie della Piramide bosniaca del Sole, durante gli scavi archeologici, abbiamo trovato un sacco di cristalli di quarzo. Il cristallo è presente anche nei tunnel sotterranei e probabilmente sotto la piramide.
È noto che il cristallo di quarzo riceve e quindi amplifica l’energia. Le cavità e le gallerie sotterranee possono aumentare l’energia.
La disposizione a spirale dei sette livelli di gallerie all’interno delle piramidi porta all’accelerazione del movimento dell’energia ed amplifica la loro intensità. Il ricercatore finlandese Mika Virpiranta ha scoperto che 26 linee vulcaniche conducono verso la Piramide bosniaca del Sole. Se la piramide si trova sulla linea che collega due vulcani allora la struttura si trova su una linea vulcanica.
Nel caso delle piramidi bosniache, ben 15 delle 26 linee hanno tre, quattro o cinque vulcani posizionato nella stessa linea.
Questo fattore dimostra ancora una volta l’importanza della posizione delle piramidi a Visoko, perché i vulcani sono fonti di energia: lava, ferro, cristalli e minerali scrive il Dott Osmanagic.
Inoltre, se osserviamo le posizioni precise della serie di piramidi a Visoko (un triangolo equilatero tra la Piramide del Sole, della Luna, e del Drago, un altro triangolo tra la Piramide dell’Amore, quella della Terra e quella della struttura Fojnica) e osserviamo gli elementi di geometria sacra (“Fiore della vita, formula di Fibonacci), notiamo che l’intera area è stata progettata per creare un potente complesso di energia che chiamiamo la valle delle piramidi bosniache.
I confini originali sono qualcosa che probabilmente non conosceremo mai.
Inoltre, il flusso di energia utilizzata era molto più intenso in passato. Il nostro pianeta una volta era più forte e più sano, in qualche momento durante la fine dell’ultima era glaciale, circa 12.000 anni fa.
“Una quindicina di anni fa, ho scritto circa il ruolo degli antichi Maya come” cronometristi cosmici “nei libri e sulla civiltà il cui scopo era quello di armonizzare la frequenza del nostro pianeta con quella del Sole A quel tempo la mia ipotesi è stata presa dalla redazione di Wikipedia e utilizzata come “un argomento per screditarmi” .- Dr. Osmanagic.
La mia ricerca e la tesi secondo cui le piramidi sarebbero state costruite in tutto il mondo, e che le piramidi più antiche sono anche le più grandi, ha portato a situazioni in cui gli egittologi hanno creato un muro di ostilità nei miei confronti.
La mia affermazione che la Piramide bosniaca del Sole è la più antica piramide in tutto il mondo ha portato ad una reazione del più influente egittologo sul pianeta: Zahi Hawass, che ha fatto molto per impedirmi di accedere ai principali canali televisivi scientifici di tutto il mondo.
La nostra prova che indica che la piramide più antica e meglio costruita sulla Terra può essere identificata con la Piramide del Sole e l’esistenza della più grande rete di tunnel preistorici ha portato a petizioni scritte inviate alla Associazione Archeologica europea contro la nostra ricerca .
Tuttavia, il tempo e gli argomenti scientifici confermano che avevamo ragione e che loro avevano torto, scrive il Dott Osmanagic.
Ma non solo sono libri di storia ad essere sbagliati, ciò che ci viene insegnato è sbagliato, o meglio, tutti i settori di base della conoscenza sono programmati male.
Il Dr. Osmanagic sostiene che i fisici, gli astronomi e i geologi insistono sul fatto che l’universo è stato creato a seguito del Big Bang e che oggi l’universo è in rapida espansione.
I biologi continuano a sostenere il darwinismo e dire che la vita nasce dalla materia inorganica, che l’evoluzione rende possibile lo sviluppo delle specie viventi e che l’uomo discende dalle scimmie.
Si sbagliano, sostiene il Dr. Osmanagic.
La vita ha avuto origine grazie ad un intervento sul nostro pianeta, le specie sulla Terra sono cambiate, nel lungo termine, in seguito ad esperimenti in cui l’evoluzione ha un ruolo minore, e l’homo sapiens è il risultato di ingegneria genetica.
E, naturalmente, non siamo la prima né la civiltà più avanzata nella storia del pianeta.
Tratto da: ascensionwithearth
Traduzione di ununiverso
https://ununiverso.it/2017/02/24/scoperti-campi-di-torsione-di-tesla-sulle-piramidi-bosniache/

lunedì 11 dicembre 2017

Un debito figlio di tanti governi Come nasce il “buco” della Regione. - Accursio Sabella


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Tra mutui e anticipazioni l’indebitamento della Sicilia supera gli 8 miliardi. Di chi è la responsabilità?

PALERMO - Un botta e risposta sui conti. Sull’eredità ricevuta e sulla zavorra ai piedi della Sicilia. Nei giorni scorsi ecco tornare lo spettro del default o quantomeno la concreta presenza di un mega indebitamento della Regione. Di chi è la responsabilità di questo peso? "Non voglio polemizzare - ha detto il neo governatore Musumeci - con il governo precedente. Lo dico con la sobrietà che un presidente deve avere. Ma va detto che la condizione delle finanze della Regione, con le partecipate quasi tutte in deficit, si presenta drammatica. Perciò urge un confronto sereno con il governo centrale”. Secondo il neo governatore il deficit di Palazzo d'Orleans "ammonta a cinque miliardi" ed "è fuor di dubbio che la crisi finanziaria condizionerà l'operato del governo almeno per i primi anni”. Da lì, le prime azioni, come la “missione” romana dell’assessore all’Economia Gaetano Armao.

Ma a stretto giro, ecco arrivare le precisazioni del predecessore, cioè Alessandro Baccei: “Mi aspetterei, conoscendo la serietà del presidente, informazioni più precise e puntuali e una maggiore competenza. Cinque miliardi di deficit, o 8 miliardi se consideriamo le anticipazioni di liquidità, comunque ereditati dai governi Lombardo e Cuffaro - afferma Baccei -. Sono tanti? Il numero in assoluto non è rappresentativo di nulla, come ben chiariscono le agenzie di rating”.

Insomma, Musumeci fa riferimento al governo precedente, Baccei ai governi di Cuffaro e Lombardo. Dove sta la verità? Come accade spesso, nel mezzo. E per trovare una rappresentazione imparziale del reale andamento del deficit della Sicilia, si può far riferimento all’atto più “ufficiale” che esista sui conti regionali: il giudizio di parifica, sul rendiconto dell’ultimo esercizio finanziario.

Da quelle pagine, al di là delle parole di Baccei, non viene fuori un bel quadro. Anzi. “Al 31 dicembre 2016 – si legge nella relazione delle Sezioni riunite presiedute da Maurizio Graffeo – il debito di finanziamento residuo della Regione ammonta complessivamente a 8.035 milioni di euro”. Più di otto miliardi, quindi, e un trend preoccupante, visto che la Corte parla di “un incremento rispetto all’inizio del quinquennio del 41,4 per cento”. Con Crocetta, quindi, il debito è cresciuto di quasi la metà rispetto al debito lasciato dai suoi predecessori. “Una notevole anticipazione di liquidità tra il 2014 e 2015 (2 miliardi e 667 milioni di euro, per un residuo al 2016 di 2 miliardi e 567 milioni di euro) – ha ammonito nel corso della sua requisitoria il Procuratore generale d’appello Pino Zingale – influisce pesantemente sul servizio di debito e, quindi, sulla capacità di spesa futura della Regione: tale liquidità – prosegue il Procuratore – pur non essendo tecnicamente considerata come indebitamento, composta comunque l’assunzione di obblighi da parte della Regione”. Gli effetti sulle future generazioni, insomma, di cui parlava anche Graffeo: “La restituzione, - prosegue Zingale – gravata naturalmente da interessi, peserà sulle già esangui casse della Regione Siciliana per un trentennio e cioè sino al 2044-2045”. Le anticipazioni di cassa, insomma, che si aggiungono ai mutui già esistenti, hanno appesantito l’indebitamento della Regione.

Che però, come detto, non nasce certamente con Rosario Crocetta. Ma è il figlio anche dei governi precedenti, in particolare quelli di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. Affrontando il tema dei mutui e dei finanziamenti della Regione, i giudici contabili annotano che “la loro consistenza finale era di 5.816 milioni di euro nel 2011 e, poi, di 5.934 milioni nel 2012”. Eccolo il debito lasciato nelle mani di Crocetta: poco meno di sei miliardi di euro. E gli assessori all’Economia di quei governi che contribuirono, ognuno per la propria 'quota' a creare quel debito, non possono certamente essere considerati, in molti casi, estranei ai partiti su cui poggia il governo Musumeci: dal ‘neoleghista’ Alessandro Pagano che fu assessore al Bilancio di Cuffaro a Roberto Di Mauro, nel listino dello stesso Musumeci alle ultime elezioni, che ebbe quella delega da Raffaele Lombardo, prima che questa passasse proprio a Gaetano Armao, che oggi torna sempre nelle vesti di assessore all’Economia nel governo di centrodestra.

E il “peso” di quei governi va cercato anche altrove. Nella vicenda, cioè, relativa ai cosiddetti “derivati” accesi dalla Regione nel 2005, quando a governare era Totò Cuffaro. Contratti che diedero dei risultati positivi per un paio di anni, ma che dal 2008 in poi hanno solo creato dei passivi per le casse pubbliche, quantificati in quasi 160 milioni di euro. Il “debito” miliardario della Regione, insomma, ha tanti padri.

[L’analisi] Dalle armi di distruzione di massa dell’Iraq a Biden. Ecco chi ha inventato la madre di tutte le bufale. - Alberto Negri

Joe Biden

Fu il capo della National Geospatial Intelligence Agency, James Clapper, a costruire le prove, lo stesso che come direttore della Nsa molti anni dopo ha cercato di dimostrare l’interferenza degli hacker russi nelle elezioni presidenziali americane. Forse anche Joe Biden, l’ex vicepresidente americano, si è servito da lui per scrivere l’articolo sui presunti tentativi d'ingerenza della Russia nell'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 in Italia.


Dagli Stati Uniti arrivano, con una certa regolarità, “bufale” con il marchio di fabbrica. Ma la madre di tutte le “fake news” fu certamente la storia delle presunte armi di distruzione di massa del dittatore iracheno Saddam Hussein. Quelle armi, che dovevano giustificare la guerra del 2003, non furono mai trovate e hanno continuato a fare vittime molti anni dopo.
Come nascono le “bufale” americane compresa probabilmente quella dell’ex vicepresidente Joe Biden sulle interferenze russe in Italia? È il novembre 2015 quando France 5, canale pubblico di informazione, invia una giornalista a intervistare Ahmad Chalabi, l’uomo politico scelto da Washington per guidare l’Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003: Time gli dedicò allora una cover story intitolata al “George Washington iracheno”. La parabola politica di Chalabi è nota, un po’ meno chiaro è come contribuì alla guerra e persino la sua fine lascia più di qualche dubbio. 
Fu lui fu il grande ispiratore della madre di tutte le bufale: le armi di distruzione di massa irachene. L’intervista con France 5 si rivela laboriosa. La giornalista alla fine riesce a ottenere il sospirato incontro: è il tardo pomeriggio del 2 novembre del 2015. Le domande sono riferite quasi tutte a una questione. Come fu costruito il dossier americano che imputava a Saddam il possesso di un arsenale chimico e biologico che non fu mai trovato e costituì una delle basi legali all’intervento militare che ha segnato l’inizio della disgregazione del Medio Oriente?
Quando la tv francese mi ha raccontato la storia di questa intervista ha ovviamente sollevato il mio interesse. Come inviato seguo sul campo gli eventi mediorientali da oltre 35 anni e in Iraq ho trascorso molto tempo, in particolare oltre cinque mesi di fila tra la fine del 2002 e la primavera del 2003 quando cadde il regime baathista.
L’arsenale di Saddam era materia di articoli quasi quotidiani. Eravamo inondati da centinaia di pagine di rapporti del dipartimento di Stato, del Pentagono di think tank Usa e britannici. Faldoni enormi, densi di dati e di riferimenti: per sfogliarli ogni giornalista all’epoca spese intere settimane. A Baghdad l’arsenale proibito di Saddam si “materializzò” davanti agli occhi dei reporter, come in un gioco di prestigio. Squadre di ispettori dell’Onu percorrevano l’Iraq alla ricerca di prove. Nella capitale sbucavano su jeep bianche con la bandiera delle Nazioni Unite, entravano negli edifici del regime e ne uscivano con montagne di incartamenti. Erano quelle le prove?
Talvolta i giornalisti erano invitati a verificare le accuse. Fu così che un giorno andai a Falluja dove in una spianata sassosa si potevano vedere delle strutture di metallo assai sghembe, che sembravano disegnate un geometra distratto: ci fu detto che erano rampe di lancio di missili da armare con testate chimiche. Eppure i famosi Scud di Saddam, sottoposto a sanzioni da oltre 12 anni, dovevano essere quasi tutti spariti da tempo. Infatti durante la guerra non vennero mai usati. 
Le accuse potevano sembrare credibili. Nel 1988 avevo visto i sopravvissuti di Halabja, la popolazione curda irachena colpita dai gas di Baghdad che avevano fatto cinquemila morti. Ricordavo benissimo che allora nessuno aveva rivolto alcuna accusa al regime perché combatteva contro l’Iran di Khomeini.
Per costruire delle menzogne credibili serve sempre un fondo di verità e Saddam aveva un fedina piuttosto lunga che non deponeva a suo favore. Il regime negava tutto. Nel febbraio del 2003, mentre aspettavamo l’attacco americano, il braccio destro di Saddam, Tarek Aziz, che avevo incontrato diverse volte, mi invitò nel suo ufficio. Davanti alla scrivania aveva una montagna di carte da firmare mentre la tv, sintonizzata su Cnn, trasmetteva il discorso del segretario di stato Colin Powell alle Nazioni Unite: stava mostrando le prove della famosa “pistola fumante”, le foto satellitari delle armi di distruzione di massa.
Chi gliele aveva date? Il capo della National Geospatial Intelligence Agency, James Clapper, lo stesso che come direttore della Nsa molti anni dopo ha portato le prove dell’interferenza degli hacker russi nelle elezioni presidenziali americane.
Forse anche Joe Biden, l’ex vicepresidente americano, si è servito da lui per scrivere l’articolo su “Foreign Affairs” sui presunti tentativi d'ingerenza della Russia nell'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, aggiungendo che Mosca ora “sta aiutando la Lega e il Movimento 5 Stelle in vista delle prossime elezioni parlamentari”.
Brava persona Biden ma non si è neppure accordo che l’ex presidente del Consiglio Renzi andò da Obama alla Casa Bianca per farsi appoggiare nel referendum costituzionale: si vede che le interferenze degli altri sono sempre peggiori delle proprie. Un po’ sprovveduto però Biden deve esserlo. Da vicepresidente Usa in un discorso accusò il leader turco Erdogan di essere complice dell’Isis. Poi dovette scusarsi e nell’agosto 2016 andò ad Ankara dove lui stesso lanciò l’ultimatum ai curdi siriani di ritirarsi a Est dell’Eufrate, cioè minacciò ci colpire i più strenui alleati degli Usa nella lotta al Califfato e nell’assedio di Raqqa.
Ma torniamo in Iraq. Tarek Aziz, allora, continuò a sfogliare le carte senza alzare lo sguardo alla tv e gli chiesi cosa ne pensasse del discorso di Powell. “Credo – disse – che ci faranno la guerra anche se gli consegneremo l’ultimo dei nostri kalashnikov”.
Come è stato possibile costruire il dossier contro l’Iraq di Saddam? “Semplice – ha risposto Chalabi alla giornalista di France 5 – gli americani già nel 2001-2002 mi chiesero riferimenti e persone che avrebbero potuto essere utili a costruire un’accusa sulle armi di Saddam e io ho fornito agli Stati Uniti questi elementi: non mi sento colpevole, sono stati gli americani poi a trarre le conclusioni”.
Ora sappiamo, anche in base al rapporto di John Chilcot, presidente della commissione d’inchiesta britannica, che l’intervento militare Usa in Iraq del 2003, sostenuto caldamente da Tony Blair, era basato su falsi rapporti. La giornalista di France 5 poteva ritenersi soddisfatta: l’intervista a Chalabi era costata mesi di attesa. Il giorno seguente all’incontro con Chalabi, il 3 novembre 2015, stava esaminando nella sua stanza d’albergo a Baghdad il materiale raccolto.
La notizia arrivò all’improvviso: Chalabi era stato appena trovato morto, apparentemente vittima di un attacco di cuore. Nel filmato ammetteva la sua complicità nella raccolta delle false accuse contro Saddam sulle armi di distruzione di massa e faceva dei nomi: ma questa era stata la sua ultima intervista. Alla giornalista non restò che correre in aereoporto e dileguarsi con il primo volo utile per Beirut. Di solito questi non sono buoni segnali.
La madre di tutte le bufale è nata dentro al sistema politico e di propaganda anglo-americano che non ha mai smesso di produrre la “verità del momento”. E gli altri, come i russi o cinesi, hanno cominciato a imitarlo. Non solo, ha continuato a sostenerla e oggi il sistema che produce bufale può godere dell’aiuto dei social network, di Facebook, di Twitter, di centinaia di siti e blog le cui notizie sono spesso false o inverificabili.Non c’è più bisogno di inviare come un tempo ai giornalisti voluminosi faldoni che davano al tutto una parvenza di serietà: basta andare sul web e la verità del momento si diffonde come un virus.
Le fake news americane - come del resto quelle inglesi, francesi, russe o italiane - non conoscono vergogna o pentimenti. Donald Rumsfeld, l’ex segretario di stato americano, interpellato sulle armi di distruzione di massa in Iraq e la mancanza di fondamento di quelle accuse, ha proclamato: “L’assenza di una prova non è la prova di un’assenza”. La madre delle bufale non si stanca di lavorare.