mercoledì 8 aprile 2020

Avanzi di Gallera - Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano dell'8 Aprile

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Quando, per ragioni politiche o giudiziarie o tutt’e due, i fratelli De Rege che sgovernano la Lombardia, al secolo Attilio Fontana e Giulio Gallera, dovranno cambiare mestiere, avranno un futuro assicurato nel mondo dell’avanspettacolo e del cabaret. L’altroieri, nella sit-com quotidiana “Casa Gallera”, in onda ogni santo giorno sul sito della Regione Lombardia e devotamente rilanciata da RaiNews24 a maggior gloria dell’aspirante sindaco di Milano, è andata in scena una gag che, se fosse vivo Paolo Villaggio, ci ispirerebbe un nuovo film di Fantozzi. Il capocomico, che incidentalmente sarebbe pure l’assessore regionale al Welfare nonché il responsabile della nota catastrofe chiamata “sanità modello”, cedeva il microfono alla sua spalla, il vicepresidente Fabrizio Sala. Questi, siccome c’è gloria per tutti, dava la linea al caratterista Caparini, opportunamente mascherinato per non farsi riconoscere, che a sua volta lanciava un filmato: un imbarazzante autospottone con colonna sonora da kolossal hollywoodiano. Il video immortalava un furgone griffato Regione Lombardia e carico di scatole piene (si presume) di mascherine, di cui il Caparini, con voce stentorea da Cinegiornale Luce, annunciava la “distribuzione via via (sic) a tutti i sindaci”, precisando che “è questione di qualche giorno”, ma dimenticando di spiegare perché, se le mascherine devono ancora arrivare, la giunta le abbia rese obbligatorie domenica. E lì irrompeva un giovanotto atletico e scattante, tipico uomo del fare ma soprattutto del dire, chiamato a sostituire il rag. Fantozzi nel ruolo del cortigiano che urla “È un bel direttore! Un apostolo! Un santo!”. Il suo nome è Roberto Di Stefano, sindaco forzista di Sesto S. Giovanni ma soprattutto marito di Silvia Sardone, la pasionaria di B. che si fece eleggere nella Lega a Bruxelles. “Come promesso”, scandiva il principe consorte con l’aria del banditore da fiera, un filino più enfatico di Wanna Marchi, “proprio oggi Regione Lombardia ci ha inviato 25 mila mascherine!”. Stava per aggiungere: “E per i primi prenotati una batteria di padelle antiaderenti!”. Ma sfortuna ha voluto che fosse collegato Mentana, che ha derubricato la televendita a “propaganda” e sfumato il collegamento.

In quel preciso istante è venuto giù il teatrino inscenato ogni giorno dai De Rege padani, dopo il crollo dell’altro trompe-l’œil, il Bertolaso Hospital che doveva ricoverare in Fiera 600 pazienti e finora ne ha tre. E tutti hanno capito che queste baracconate servono a nascondere i disastri (e i morti da record mondiale) della “sanità modello” lombarda e dei suoi corifei.

A noi, che siamo gente semplice, bastavano le loro facce (e quella di Formigoni) per sapere che il “modello Lombardia” era una truffa da magliari, e ci siamo presi tutti gli improperi del mondo per aver osato scriverlo per primi.
Ora però le stesse cose le mettono nero su bianco i presidenti degli Ordini provinciali dei medici di tutta la Lombardia in un impietoso atto d’accusa ai vertici della Regione che ogni giorno si lodano e s’imbrodano: “assenza di strategie nella gestione del territorio”, “tamponi solo ai ricoverati e diagnosi di morte solo ai deceduti in ospedale”; “errata raccolta dati”, “incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio”; “gestione confusa delle Rsa e dei centri diurni per anziani che ha prodotto diffusione contagio e triste bilancio di vite umane (nella sola provincia di Bergamo 600 morti su 6mila ospiti in un mese)”; “mancata fornitura di protezioni individuali ai medici e al personale sanitario che ha determinato la morte o la malattia di molti colleghi”; “assenza dell’igiene pubblica (isolamenti dei contatti, tamponi sul territorio a malati e contatti)”; “non-governo del territorio con saturazione dei posti letto ospedalieri”; “sanità pubblica e medicina territoriale trascurate e depotenziate”.

Non bastando questo j’accuse, che dovrebbe tappare la bocca ai destinatari per il resto dei loro giorni, Gallera ammette bel bello che, in effetti, quel che dice Conte da una settimana è vero: la legge 833/1978 consente alle Regioni di chiudere porzioni di territorio (come Alzano e Nembro) in zone rosse per motivi sanitari. Gli sarebbe bastato digitarla su Google, o chiedere ai “governatori” Zingaretti, Bonaccini, De Luca e Musumeci, che hanno istituito zone rosse senza scaricabarile con Roma.
Invece Gallera, fra una televendita e l’altra, ha personalmente “approfondito” e scoperto con soli 42 anni di ritardo che “effettivamente la legge che ci consente di fare la zona rossa c’è”. Con comodo, nel giro di un altro mesetto, scoprirà che lui sapeva dal 23 febbraio dei primi contagi all’ospedale di Alzano (chiuso e riaperto in tre ore senza sanificazione), eppure il suo comitato scientifico ipotizzò di cinturare la zona solo il 4 marzo. Ma la giunta non lo fece perché “pensavamo lo facesse il governo” (che stava preparando il lockdown di tutt’Italia). Peccato che il governo, nel decreto del 23 febbraio, avesse incaricato le Regioni di segnalargli (o disporre in proprio) le eventuali zone rosse nei rispettivi territori.

Anche Fontana ieri era in vena di scoperte: ha persino ammesso che forse, nelle case per anziani, qualcosa è andato storto (anche perché la Regione vi riversava i ricoverati Covid ancora infetti, moltiplicando i contagi e i morti). Dopo una simile Caporetto, se questa fosse gente seria come il generale Cadorna, uscirebbe dal nuovo Pirellone con le mani alzate: non per aver perso la guerra, ma per non averla neppure combattuta. Ma le dimissioni non si addicono ai cabarettisti e, temiamo, neppure i processi: per commettere un reato, bisogna sapere almeno vagamente quel che si fa. E, anche da questo punto di vista, i fratelli De Rege sono al di sotto di ogni sospetto.


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Coronavirus, fumata nera Eurogruppo: stallo su Mes e Eurobond. Olanda: “Noi rimaniamo contro”. Nuovo incontro giovedì.

Coronavirus, fumata nera Eurogruppo: stallo su Mes e Eurobond. Olanda: “Noi rimaniamo contro”. Nuovo incontro giovedì

"Dopo 16 ore di discussione - ha scritto il presidente su Twitter - ci siamo avvicinati a un’intesa ma ancora non ci siamo". L'unico fronte saldo è quello franco-tedesco, con i rispettivi ministri delle Finanze che, su Twitter, si citano a vicenda e lanciano un appello comune ai Paesi europei: "Restiamo uniti".

Gli Stati del Nord e del Sud Europa sono di nuovo andati allo scontro frontale sulle misure economiche da adottare per sostenere i Paesi più colpiti dalla pandemia di coronavirus. Dopo un Eurogruppo fiume durato 16 ore si registra solo una fumata nera e posizioni sostanzialmente invariate rispetto ai giorni scorsi. Un gruppo di nove Paesi, tra cui Italia Spagna, chiede l’emissione di titoli del debito comuni e un Mes senza condizionalità, mentre i rigoristi, con a capo i Paesi Bassi, bocciano l’idea degli eurobond e rimangono contrari a un Fondo salva-Stati senza condizioni, tranne che “per coprire i costi medici”. In mezzo, l’unico asse ben saldo è quello franco-tedesco, con i rispettivi ministri delle Finanze, Bruno Le Maire e Olaf Scholz, che hanno lanciato un appello comune all’eurozona su Twitter per arrivare presto a una soluzione condivisa, assumendo quindi la posizione dei mediatori in uno scontro che può decidere le sorti dell’Unione europea.
Fumata nera dopo 16 ore. Centeno: “Più vicini all’accordo, ma non ci siamo ancora.”
Ad annunciare lo stop ai colloqui e il rinvio dell’Eurogruppo a giovedì, con conseguente annulamento anche della conferenza stampa che era prevista per le 10 di mercoledì, è stato il presidente Mario Centeno su Twitter: “Dopo 16 ore di discussione – ha scritto – ci siamo avvicinati a un’intesa, ma ancora non ci siamo. Ho sospeso l’Eurogruppo che riprenderà domani (giovedì alle 17, ndr). Il mio obiettivo rimane quello di creare una forte rete di protezione contro le conseguenze del Covid-19“.
“Nonostante i progressi, nessun accordo ancora all’Eurogruppo – ha scritto su Twitter il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri – Continuiamo a impegnarci per una risposta europea all’altezza della sfida del Covid-19. È il momento della responsabilità comune, della solidarietà e delle scelte coraggiose e condivise”.
Il messaggio della Commissione europea è stato invece affidato al commissario agli Affari Economici, Paolo Gentiloni, che su Twitter ha scritto: “All’Eurogruppo rinvio senza accordo dopo 16 ore di riunione. La Commissione fa appello al senso di responsabilità necessario in una crisi come questa. Domani è un altro giorno”.
Le posizioni: Amsterdam non cede su Mes e coronabond. Intesa possibile sul Recovery Fund.
Il grande ostacolo rimane il Mes e le condizioni per l’accesso alle linee di credito. Il negoziato svoltosi tra gli schieramenti in campo durante la videoconferenza, secondo fonti europee, è stato “molto duro”. Italia, Spagna e gli altri Paesi favorevoli agli eurobond o altre formule per arrivare all’emissione di titoli del debito comuni hanno tenuto la loro posizione. I Paesi Bassi, invece, non hanno ceduto sulla richiesta dei Paesi del Sud di prevedere l’eventuale ricorso al fondo salva-Stati (Mes) senza le condizionalità attualmente previste per la concessione di prestiti ai singoli Paesi.
I Paesi Bassi, supportati anche da Finlandia e Germania, si sono imposti come capofila del gruppo dei cosiddetti rigoristi. Già prima dell’inizio dell’Eurogruppo, il ministro delle Finanze di Amsterdam, Wopke Hoekstra, aveva dichiarato che la posizione del governo guidato dal liberale Mark Rutte era quella di escludere la possibilità del ricorso agli eurobond e di non poter accettare un Mes senza condizioni: “L’Olanda era e resta contraria agli eurobond perché aumentano i rischi per l’Europa invece di ridurli – ha scritto Hoekstra su Twitter dopo l’incontro tra i ministri – La maggior parte dei Paesi dell’eurozona sostiene questa linea. Non c’è ancora un accordo sull’uso del Mes”. Secondo Hoekstra “il Mes è prestatore di ultima istanza e secondo noi l’uso di questo fondo deve avvenire con una forma di condizioni. A causa della crisi attuale, dobbiamo fare un’eccezione e il Mes può essere usato senza condizioni per coprire i costi medici“.
Il governo di Mark Rutte ritiene quindi che in una prima fase queste linee di credito dovrebbero essere utilizzate solo per combattere la pandemia di Covid-19, aggiungendo che, una volta superata l’emergenza sanitaria, ci debba essere un accordo per adottare riforme economiche che garantiscano la stabilità finanziaria.
Posizione che i Paesi più colpiti, con l’Italia in testa, rifiutano totalmente. Essendo quella del coronavirus una crisi globale, Roma e i suoi alleati chiedono che l’Europa dia una risposta solidale e di unità. Per questo ritengono sia fondamentale ricorrere a strumenti per arrivare all’emissione di titoli del debito comuni e che il Mes debba essere ripulito dalle attuali condizioni, al fine di evitare un epilogo come quello greco nel post crisi del 2008.
Passi avanti, invece, si sono registrati sull’apertura a un fondo per la ripresa basato sulla proposta franco-italiana che prevede titoli del debito comuni, i cosiddetti Recovery Bond.
Saldo l’asse franco-tedesco: “Invitiamo i Paesi a restare uniti.”
Si dice ottimista il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, che spera di arrivare a un accordo condiviso entro Pasqua: “Siamo molto avanti nel percorso verso un accordo, ma non del tutto. Per arrivare a un’intesa unanime dobbiamo continuare a trattare”, ha dichiarato. E poi ha di nuovo fatto capire che la posizione tedesca rimane più legata agli “strumenti tradizionali”, escludendo così gli eurobond: “Abbiamo avuto un dibattito molto costruttivo. Abbiamo anche discusso su cosa si dovrà fare nel prossimo step. Credo che sia assolutamente chiaro che la ripresa dell’Europa sarà una grande azione che dobbiamo organizzare insieme. E come ciascuno sa, si può affrontare con gli strumenti classici che già ci sono”. Anche se conferma che si è parlato di “un Recovery Fund da sviluppare e bisogna accordarsi sui criteri di organizzazione”, come proposto da Parigi.
Gli strumenti classici, a differenza di quello che sostiene il suo omologo olandese, per Scholz vanno però rivisti. E dice di voler assolutamente evitare una nuova Grecia: “Per noi è importante” che se si ricorre al Mes “non scatti come 10 anni fa l’invio di commissari e l’arrivo di una troika, con l’elaborazione di un qualche programma. Quello di cui adesso i Paesi hanno bisogno è la solidarietà”, per salvare posti di lavoro, e investire in campo sanitario. “Questa solidarietà va organizzata velocemente. Su questo bisogna ancora discutere, non basta che si sia quasi tutti d’accordo, serve l’unanimità”.
E proprio l’asse franco-tedesco rimane saldo, come dimostrano anche gli scambi su Twitter fra Scholz e il suo omologo francese, Bruno Le Maire. I due ministri si citano a vicenda lanciando un appello comune: “In questo momento difficile l’Europa deve restare unita. Invitiamo quindi tutti i Paesi dell’area dell’euro a non rifiutarsi di risolvere queste difficili questioni finanziarie e a consentire un buon compromesso per tutti i cittadini”. Parole con le quali i due grandi Paesi europei si propongono nel ruolo di mediatori nello scontro tra Nord e Sud.
Lagarde (Bce), ok ai coronabond “una tantum”
La presidente della Bce, Christine Lagarde, durante la videoconferenza, secondo indiscrezioni pubblicate da Reuters che cita quattro diverse fonti, ha chiesto di varare i coronabond su base temporanea, una tantum. Lagarde “ha detto che ci dovremmo pensare seriamente, accanto agli strumenti del Mes. L’Eurogruppo non ha discusso una mutualizzazione del debito in questa fase”, dice una fonte.
Tutto rinviato a giovedì.
Posizioni così distanti e colloqui così lunghi fanno aumentare le probabilità che i ministri delle Finanze non arrivino a un testo condiviso, rimandando di nuovo la palla ai capi di Stato e di governo del Consiglio Ue che, però, già al termine dell’ultimo travagliato incontro avevano chiesto ai titolari del Tesoro di inviare al gruppo presieduto da Charles Michel una proposta su cui discutere.
L’incontro era iniziato partendo da una base composta da tre pilastri: il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), il sostegno alle imprese con le garanzie della Bei e il meccanismo di prestiti per coprire i costi della cassa integrazione (Sure). A questi, nella prima bozza, si univa la proposta francese di un Recovery Fund o fondo di solidarietà, di natura temporanea, finanziato con l’emissione comune di titoli.
Il mancato accordo fa crollare le borse europee. Spread sopra i 200 punti.
Il mancato accordo tra i membri dell’Eurogruppo scuote anche i mercati. Le piazze finanziare europee aprono in flessione: a Milano l’indice Ftse Mib segna in avvio un -1,14% a 17.212,38 punti. In rosso anche i listini di Londra -1,44%, Francoforte -0,88% e Parigi -1,22%. Lo spread tra Btp e Bund tedeschi schizza di oltre 10 punti in apertura. Il differenziale è a 206 punti base (dai 192 di ieri sera), con un tasso di rendimento del decennale italiano dell’1,65%.

Crolla ponte Massa Carrara ferito l'autista di un furgone.

Un ponte è crollato ad Aulla, in provincia di Massa Carrara, sulla strada provinciale 70. Il ponte si trova in località Albiano e collega la Sp70 con la Sp62.
Il ponte è al confine tra Liguria e Toscana, in località, Albiano Magra (Massa Carrara), lungo una strada provinciale che collega la bassa Val di Vara con la Val di Magra (La Spezia).
Dalle prime informazioni risulta che due veicoli in transito sono rimasti coinvolti dal crollo. Si tratta di due furgoni precipitati sul letto del fiume e rimasti sopra la carreggiata collassata.
C'è un ferito trasportato in codice giallo all'ospedale in seguito al crollo del ponte ad Albiano Magra. Sarebbe il conducente di un furgone. Un altro autista sempre di un furgone sarebbe invece rimasto praticamente illeso a parte lo choc. E' quanto si apprende da fonti sanitarie.
Il 3 novembre scorso al ponte crollato stamani ad Albiano Magra (Massa Carrara) ci fu un sopralluogo dei tecnici Anas, da cui dipende l'infrastruttura, dopo che era stata rilevata una crepa sull'asfalto, ingrandita dalle abbondanti piogge. Ma dai controlli fu dichiarato che non sussistevano "condizioni di pericolosità". A riferirlo è Gianni Lorenzetti, presidente della Provincia di Massa Carrara che alcuni anni fa ha ceduto la struttura ad Anas.
Il sopralluogo, ricorda, fu fatto alla presenza anche dell'assessore comunale di Aulla e della polizia. Lo stesso Comune rassicurò i cittadini con un post sulla pagina istituzionale informando che "il traffico non avrebbe subito limitazioni". "Il ponte - aggiunge Lorenzetti - è importantissimo per la popolazione dell'alta Lunigiana, punto di collegamento sia con i primi territori della Liguria sia con il resto della Toscana".
La ministra delle infrastrutture e dei trasporti, Paola De Micheli, sta seguendo la vicenda riguardante il crollo del ponte sul fiume Magra e - secondo una nota del Mit - ha contattato il sindaco del Comune, Roberto Valettini, per accertarsi delle condizioni di salute della persona coinvolta che, stando alle prime informazioni, sembra avere riportato lievi ferite. La ministra ha inoltre chiesto immediatamente una dettagliata relazione ad Anas, la società che nel 2018 è diventata gestore dell'ex strada provinciale 70, acquisendo la gestione dalla Provincia di Massa Carrara. Gli accertamenti sono in corso e Anas, su richiesta del ministero delle infrastrutture e dei trasporti, provvederà a fornire tutte le informazioni conseguenti sulla viabilità.
"E' collassato su stesso". Così il sindaco di Aulla Roberto Valettini descrive la situazione del ponte che stamani è crollato nella frazione di Albiano Magra, al confine tra Toscane e Liguria. Il sindaco ha effettuato un sopralluogo sul luogo del crollo. Il ponte è lungo circa 400 metri e alto 7-8 mtri circa. Passa sopra il fiume Magra che attualmente non ha una grande portata.
"Se non ci mettiamo SUBITO a lavorare sui cantieri con il piano Shock - presentato ormai da molti mesi - ogni anno andrà peggio. E se non lo facciamo in questa fase di crisi vuol dire che ci vogliamo del male. Apriamo questi benedetti cantieri, subito". Così Matteo Renzi su fb dopo che stamattina è crollato un ponte vicino a Aulla.
"Quanto tempo dovrà ancora passare, e quanti altri crolli dovremo tragicamente ancora vedere, prima che in questo Paese il tema infrastrutture dello Stato venga affrontato con la serietà, le risorse e le competenze necessarie?". E' il commento dell'assessore alle Infrastrutture della Regione Liguria Giacomo Giampedrone stamani via fb sul crollo del ponte sul fiume Magra in provincia di Massa Carrara. "Vicini alla Toscana e agli amici di Aulla. La Protezione Civile della Liguria è totalmente a disposizione per qualsiasi necessità che si dovesse verificare per la gestione di questa nuova emergenza" sottolinea.
La Regione Liguria ha offerto "tutto il supporto possibile" alla Toscana attraverso il polo della protezione civile di Santo Stefano Magra che ha pronta una colonna mobile. La Regione Liguria si attiverà anche per valutare i disagi nello spezzino conseguenti all'interruzione "di un collegamento molto importante per la mobilità in zona".

Coronavirus, Gallera ammette: “Mancata zona rossa nella Bergamasca? Effettivamente una legge che consente alla Regione di farla c’è”. - Alberto Marzocchi

Coronavirus, Gallera ammette: “Mancata zona rossa nella Bergamasca? Effettivamente una legge che consente alla Regione di farla c’è”

Nello scambio di accuse tra Regione Lombardia e governo su chi dovesse adottare misure più stringenti tra Nembro e Alzano Lombardo, arriva l'ammissione dell'assessore al Welfare della Lega. Che però rispedisce la palla dall'altra parte: "Avremmo potuto farla noi? Sì, può essere. Ci aspettavamo che intervenisse l'esecutivo".
La legge lo consentiva e – ancora – lo consente. “Ho approfondito ed effettivamente la legge c’è“. Dopo più di una settimana di scarica barile tra Regione Lombardia e governo su chi avesse la responsabilità di istituire la zona rossa un mese fa tra Nembro e Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, l’assessore al Welfare, Giulio Gallera, ammette che la sua giunta aveva gli strumenti necessari per agire. Tuttavia, intervistato ad Agorà su Rai3, tiene a precisare: “Quando in Valle Seriana erano arrivate le camionette dell’esercito, il 5 marzo, eravamo convinti che” la zona rossa “sarebbe arrivata” e per questo “non avrebbe avuto senso, per noi, fare un’ordinanza”.
Ieri sera c’è stato uno scambio di vedute, a distanza, tra il presidente della Regione, Attilio Fontana, e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. “Non avevamo modo di intervenire dal punto di vista giuridico dopo il Dpcm dell’8 marzo“, sono state le parole del governatore leghista. Che però si è lasciato andare a un “ammesso che ci sia una colpa, è di entrambi“. La spiegazione data dal capo del governo, invece, è che “ci stavamo orientando a misure più rigorose per la Lombardia, una cintura rossa che coinvolgesse l’intera area”.
In Bergamasca, tra il 6 e il 7 di marzo, tutti si aspettano l’isolamento toccato due settimane prima ai dieci comuni del Lodigiano e a Vo’ Euganeo. A Verdellino si riuniscono decine e decine di carabinieri, pronti a entrare in azione. La statale della Valle Seriana è percorsa dall’esercito, mentre la polizia locale di Nembro riceve le telefonate dall’Arma per le dovute informazioni su strada da sigillare, checkpoint e valichi. “Eravamo in collegamento telefonico con il professor Silvio Brusaferro“, continua Gallera, “che mi diceva che avevano fatto la richiesta formale per l’istituzione della zona rossa”. Il riferimento dell’assessore è alle due note tecniche inviate al governo dall’Istituto superiore di sanità, che fa parte del Comitato tecnico-scientifico, il 3 e il 5 di marzo. “Avremmo potuto farla noi? Può essere, sì, ma ci aspettavamo che intervenisse l’esecutivo”.
Da settimane Gallera va ripetendo che la decisione del governo non è mai arrivata (lo ha fatto, per esempio, il 19 marzo a Sono le Venti intervistato da Peter Gomez). E anche stamattina, in un’intervista a La Stampa, ha parlato di “cerino in mano”, aggiungendo che “se ci avessero detto subito che non la volevano fare, ci saremmo mossi diversamente“. Sulla questione si è espresso anche il sindaco di Nembro, Claudio Cancelli: “Credo che i cittadini siano sconcertati dal continuo rimpallo di responsabilità tra Regione e governo, che dovrebbero entrambi garantire la sicurezza della nostra salute. Secondo me, dovevano intervenire entrambi”. Nel decreto-legge n.6 del 23 febbraio il governo ha messo nero su bianco, all’articolo 1, le leggi che consentono alle “autorità locali competenti”, cioè sindaci e presidenti di Regione, di adottare le misure che ritengono più opportune, in materia di emergenza sanitaria e igiene pubblica, per fronteggiare la diffusione del Covid-19. Insomma, gli strumenti normativi c’erano. Ora lo ammette anche la Regione. Come sono andate le cose, al di là di ciò, è sotto gli occhi di tutti.

Gli ordini dei medici accusano Fontana: “Disastro provocato da 7 errori di Regione Lombardia”. - Simone Gorla



Mancanza di dati sulla reale diffusione dell’epidemia, incertezza nella chiusura delle aree a rischio, gestione confusa delle case di riposo per anziani, mancata fornitura di protezioni individuali ai medici e al personale sanitario, totale assenza delle attività di igiene pubblica, mancata esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari, saturazione dei posti letto ospedalieri. Sono i sette errori nella gestione dell’emergenza coronavirus in Lombardia indicati dalla Federazione degli ordini dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia in una lettera ai vertici della Regione. “È evidente l’assenza di strategie relative alla gestione del territorio”, denunciano i medici, “la sanità pubblica e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurate e depotenziate.

Sette errori nella gestione della prima fase dell'emergenza coronavirus in Lombardia, da analizzare per cambiare strategia ed evitare di commetterli di nuovo. Li ha elencati la Federazione degli ordini dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia in una lettera inviata al governatore Attilio Fontana, all'assessore al Welfare Giulio Gallera e ai direttore delle aziende sanitarie. "A fronte di un ottimo intervento sul potenziamento delle terapie intensive e semi intensive, per altro in larga misura reso possibile dall’impegno e dal sacrificio dei medici e degli altri professionisti sanitari" denuncia Fromceo, "è risultata evidente l’assenza di strategie relative alla gestione del territorio".

Le lettera dei medici: Situazione disastrosa per interpretazione sbagliata.
"La situazione disastrosa" in cui si è venuta a trovare la Lombardia "anche rispetto a realtà regionali più vicine", si legge, "può essere in larga parte attribuita all’interpretazione della situazione solo nel senso di un’emergenza intensivologica, quando in realtà si trattava di un’emergenza di sanità pubblica. La sanità pubblica e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurate e depotenziate nella nostra Regione", è il duro atto d'accusa.

Gli errori commessi da Regione Lombardia che hanno portato al disastro.
Nella lettera inviata ai vertici di Regione Lombardia, i medici indicano sette gravi errori commessi nella gestione dell'emergenza. Le stesse osservazioni erano state fatte in merito al territorio di Bergamo, quello più tragicamente colpito dal Covid-19.

1) La mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia dovuta alla decisione di eseguire i tamponi solo ai pazienti ricoverati e alla diagnosi di morte attribuita solo ai deceduti in ospedale. I dati sono sempre stati presentati come “numero degli infetti” e come “numero dei deceduti” e la mortalità calcolata è quella relativa ai pazienti ricoverati, mentre il mondo si chiede le ragioni dell’alta mortalità registrata in Italia, senza rendersi conto che si tratta solo dell’errata impostazione della raccolta dati, che sottostima enormemente il numero dei malati e discretamente il numero dei deceduti.

2) L’incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio.

3) La gestione confusa della realtà delle Rsa e dei centri diurni per anziani, che ha prodotto diffusione del contagio e un triste bilancio in termini di vite umane (nella sola provincia di Bergamo 600 morti su 6000 ospiti in un mese).

4) La mancata fornitura di protezioni individuali ai medici del territorio e al restante personale sanitario. Questo ha determinato la morte di numerosi colleghi, la malattia di numerosissimi di essi e la probabile e involontaria diffusione del contagio, specie nelle prime fasi dell’epidemia.

5) La pressoché totale assenza delle attività di igiene pubblica (isolamenti dei contatti, tamponi sul territorio a malati e contatti)

6) La mancata esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari del territorio e in alcune realtà delle strutture ospedaliere pubbliche e private, con ulteriore rischio di diffusione del contagio.

7) Il mancato governo del territorio ha determinato la saturazione dei posti letto ospedalieri con la necessità di trattenere sul territorio pazienti che, in altre circostanze, avrebbero dovuto essere messi in sicurezza mediante ricovero.

https://milano.fanpage.it/gli-ordini-dei-medici-accusano-fontana-disastro-provocato-da-7-errori-di-regione-lombardia/

martedì 7 aprile 2020

🔴🔴🔴 CORONAVIRUS, a Brescia ci sono 1,2 casi ogni mille abitanti ...

Guardando le mappe dell'espansione del corona in Italia, vien spontaneo pensare che il virus si annidi maggiormente dove l'aria è meno pulita. Oppure che l'organismo di chi vive in zone maggiormente malsane non sia in grado di produrre gli anticorpi necessari per combatterlo.
Se la mia ipotesi dovesse risultare esatta dovremmo soffermarci a riflettere e addivenire alla soluzione che il rispetto dell'ambiente in cui viviamo è l'unica salvezza per la nostra esistenza.
Guardate anche voi la mappa e ditemi se la mia ipotesi può essere valida. Non credo che al nord siano meno efficienti di noi nell'adottare misure di contenimento all'espansione della bestia, credo solo che tutto ciò che si sta verificando sia frutto di una pessima gestione del territorio perpetrata per anni e che ora se ne stiano verificando le conseguenze. cetta


Restituiamo le braccia all’agricoltura: la terra ci salverà. - Pietrangelo Buttafuoco



Se nasce un bimbo o se muore un padre nulla e niente si ferma in campagna. La frutta, infatti, deve comunque essere colta, le capre – o le mucche – devono essere munte. E le pecore devono trovare un sempre nuovo andirivieni.

Gli animali non possono essere messi tra parentesi, non vanno in ferie e non conoscono Lockdown alcuno. Nel giorno della fine non serve a niente l’inglese: Coronavirus o meno, il latte reclama il bricco – altrimenti la bestia che lo produce va a morire – e così marcisce la frutta non colta o, ancora peggio, rinsecchisce tra i rami.

E davvero era un segno di dannazione, giusto a febbraio, quell’albero prossimo a gemmare ma carico di mandorle scheletrite: vecchie di un anno, ancora abbracciate alle loro scorze e però bucate dai tarli.

Un presagio di peste, quel grumo di mandorle morte impiccate tra le gemme vive: nessuno si era curato di fare la battitura in quel campo – questo era successo – e quel po’ di Ben di Dio si capovolgeva nella promessa di sventura.

Piantare alberi lungo il cammino è da sempre un viatico di salute – anzi, è un saluto – affinché non ci sia mai penuria; i rami che si allungano oltre i perimetri della proprietà non si potano mai, e mai vanno ripiegati all’interno, apposta per nutrire chi passa o chi si ferma per fare la foto al paesaggio: gli Erei, le Madonie e i Nebrodi che s’inghirlandano di ginestre, papaveri e margheritine per accostarsi a Etna, sempre imponente di malia.

È la terra di Cerere, madre di Proserpina, quella. La ragazza va e viene dalla bella stagione – e viceversa – alla vallata per vivificare sugli arbusti la linfa di cui si nutre il bisogno della gente. Le spighe sono prossime a maturare e quel mandorlo, oggi – sulla Strada statale 121 – ha già mutato i propri fiori nelle ghiotte e morbide drupe verdi.

È il morto che insegna a piangere e il presagio, dunque, è già decifrato: i frutti vivi sullo stesso ramo di quelli stecchiti significano empietà.

Ma nulla e niente si ferma. In quel punto c’è stata pioggia il 13 dicembre scorso per poi tornare il 25 marzo scorso, troppo poco per fare contento il massaro. Ma quel che si trova, si prende, sempre così ci si regola con le annate. E fare presto – adesso – significa come sempre, e però più di ogni altra volta, mettere mano alla zappa, governare i pascoli, dare dimora al fieno, vento alle spighe e la falce al grano.

Non si inverte la regola della ruota. Manco il tempo di chiudere la quarantena e si fa maggio, quindi giugno, ovvero la mietitura. Pare di vederle le ragazze, e i ragazzi con loro – tutti gli studenti che non hanno potuto finire scuola – precipitarsi alla volta dei poderi, in soccorso alle trebbiatrici, e così prendere la maturità al liceo della terra.

Per davvero, la vita dei campi, è tutta un’altra cosa. Può anche essere villeggiatura, la campagna; può perfino diventare una mistica dell’umanesimo ma come la talpa scava per se stessa, tra le zolle intrise del sudore della fronte, mai e poi mai potrà farlo per la storia.

Pare di vederli, tutti loro. Braccia restituite, tutte, all’agricoltura. La mobilitazione della gioventù, da subito, non può che essere contadina.

La terra, infatti, è la leva ultima e più inesorabile da cui l’umanità riscatta il proprio destino. L’applicazione immediata della tecnè è tutta di episteme agreste. Un diploma di perito agrario, già da subito, serve più di qualunque laurea in scienze della comunicazione. L’eterno andirivieni che resta, infatti, è quello di pane, paste e carne. È appunto ciò che rimane: il resto è scorie.

https://infosannio.wordpress.com/2020/04/06/restituiamo-le-braccia-allagricoltura-la-terra-ci-salvera/?fbclid=IwAR2ib-MzpK97F32DPlRutOoF1rVTr2ejV47Vxipk-AQ5hrP4Rcn6eBqG77k