sabato 17 ottobre 2020

I ricatti di Renzi: vuole solo “Italiavivacchiare”. - Daniela Ranieri

 

Stiamo pensando di istituire una rubrica fissa su queste pagine, dal titolo I ricatti di Renzi. Cosa si sarà inventato oggi questo giocatore di poker per destabilizzare il governo affermando al contempo la dubbia esistenza in vita della sua creatura politica?

Era febbraio: “Sulla prescrizione o si cambia o ci vediamo in Senato”, minacciò, come certi ceffi nei saloon dei film western; poi arrivò l’epidemia di Covid e i suoi capricci caddero un po’ in secondo piano, diventando inspiegabilmente impopolari tra i ricoverati, gli intubati e la gente che perdeva il lavoro.

Intanto a maggio l’epidemia diventava pandemia e lui ordinava di “riaprire tutto”: “fabbriche, negozi, scuole, librerie, messe”, perché a suo dire così avrebbero voluto i morti di Bergamo e Brescia, ansiosi di riabbracciare i loro cari. In Senato, dilaniato tra la scelta se appoggiare la mozione del centrodestra “Bonafede scarcera troppi boss” o la mozione della Bonino “Bonafede scarcera troppi pochi boss”, rivelò il bluff, la minaccia si sgonfiò, i 17 senatori pronti all’attacco vennero rilegati al cancello; però già che c’era denunciò il “regime degli arresti domiciliari”, lo “Stato etico”, il “paternalismo populista” di Conte, tutte violazioni della Costituzione che gli è tanto cara.

L’altro ieri questo specialista del fiato sul collo ha reso pubblico alla Nazione che la priorità in questo momento è NON consentire ai 18enni di votare al Senato, come prevedeva la riforma inserita nel pacchetto disposto dal Pd in cambio del Sì al taglio dei parlamentari, dunque come da accordo del governo di cui Renzi fa parte, e soprattutto come da volontà di Renzi stesso, espressa appena 8 giorni prima. Così i suoi 30 deputati si sono astenuti facendo saltare la riforma, ribadendo che in questa bizzarra congiuntura un conto è il peso che si ha in Parlamento, un conto l’irrilevanza persino ontologica di una formazione che fatica ad arrivare al 3% presso coloro che quel Parlamento in via teorica rappresenta.

Sarebbe spassosissimo, se non facesse sprecare tutto questo tempo ai lavori parlamentari (e corrente elettrica, stipendi per i commessi, liquido igienizzante, etc.) il convulso agitarsi di uno che, se la sua parola valesse qualcosa, si sarebbe dovuto ritirare dalla politica, e che si vende, col favore dei giornali ancora innamorati di lui, come un astuto stratega impregnato di Machiavelli, le cui citazioni compaiono in esergo ai suoi libri per la presumibile ilarità dei posteri.

Inutile tentare di entrare nella testa di Italia viva, nome che le ultime elezioni hanno rivelato essere chiaramente antifrastico; il merito delle questioni su cui questo organismo monocefalo punta i piedi è del tutto irrilevante, mentre il metodo è sempre lo stesso: Renzi che all’ultimo minuto si accorge che il voto su qualche misura della maggioranza è assolutamente dirimente, o assolutamente irrilevante; Renzi che dice che la priorità è il bicameralismo paritario, o la riforma della giustizia, o l’Irap; Renzi che ne fa un punto d’onore, anzi una battaglia, a costo di far crollare tutto, cosa che poi al dunque si guarda bene dal fare (come dimostra il voto diligente sulla Nadef), perché sarà pure vero che se lo litigano l’Onu, gli Emirati Arabi e la Nato, ma intanto meglio Italiavivacchiare, e tutto sommato questo limbo gli dà adrenalina e una forma tutta particolare di potere.

La sera stessa della marachella si presenta al Tg2 Post a parlare dei numeri della pandemia e a ribadire il concetto a lui caro che “comunque in terapia intensiva c’è il 10% dei posti occupati” (ci preoccuperemo quando saranno il 100%). Interrogato sul punto, dice: “Trovo surreale che mentre in alcune Regioni si nega ai 18enni il diritto di andare a scuola, il dibattito sia dare il diritto di voto per il Senato ai 18enni”. Capite che qui siamo nel campo dell’irrazionale, e sarebbe più onesto rivendicare qualcosa (un sottosegretariato, un rimpasto, una soglia di sbarramento all’1%), invece di prendere in ostaggio un’intera maggioranza in un momento simile. Intanto la spacconata ha assunto rilievo politico, e il Pd, nel momento in cui si credeva affrancato dalla sudditanza psicologica da questo ludopatico istituzionale, finisce per fare il suo gioco, chiedendo “una verifica” a Conte, con l’effetto di confermare quello cui Renzi costantemente allude, e cioè che l’alleanza vale poco, tanto che uno senza un progetto politico può sabotarla un giorno sì e uno no.

Deliziosa la tautologia: “Si deve prendere atto che senza di noi non ci sono i numeri”, ripetono gli emissari renzisti, e questo non ha senso sul piano logico, prima ancora che politico: è come prendere un mutuo e andare in banca ogni giorno a ricattare il direttore: “Lei deve assumere mio figlio/ deve cambiare i vertici della banca/ deve farmi diventare socio, perché senza di me non ci sarebbe chi paga il mutuo”.

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Gli opposti isterismi. - Marco Travaglio

 

Ieri mattina, appena due giorni dopo l’entrata in vigore dell’ultimo Dpcm anti-Covid, già dal Pd e dal ministero della Salute si levavano gridolini isterici su nuovi vertici di governo per nuovi giri di vite assortiti. Una prova d’orchestra felliniana, degno pendant agli opposti isterismi delle destre No Mask e dei giureconsulti No Dpcm. E che s’è fatta ancor più cacofonica nel pomeriggio, quando i dati sui contagi giornalieri hanno superato la soglia psicologica di 10mila. Per fortuna, Palazzo Chigi non pare intenzionato a varare nuove misure a breve: prima si misurano gli effetti delle nuove misure e della loro osservanza da parte dei cittadini, riscontrabili non prima di 10 giorni; poi si vede. Annunciare, invocare, far trapelare ora nuove strette serve solo ad aumentare il caos e a seminare il panico, oltre a svalutare i divieti e le raccomandazioni del Dpcm di martedì. Forse sarebbe il caso di ripristinare ogni pomeriggio la conferenza stampa della Protezione civile e del Cts che ci accompagnò nel lockdown: molti le imputavano un eccesso di allarmismo, invece era (e sarebbe) un’ottima occasione per fare il punto sulla pandemia e leggere correttamente i dati. Che, visti così, dicono tutto e il suo contrario. Viene spontaneo il confronto con quelli di sette mesi fa, che però è fuorviante. Il 21 marzo, giorno del picco massimo, i nuovi positivi erano 6.557: ieri 10.010.

Stiamo dunque peggio oggi? Al contrario: tutti gli altri parametri dicono che stiamo molto meno peggio. Il 21 marzo i tamponi furono 26 mila, ieri erano 150 mila, il sestuplo: più tamponi si fanno più positivi si trovano (il rapporto tamponi/positivi era del 25% e oggi è del 6,6). Il che significa che i positivi sommersi, all’epoca, erano molti più di oggi, quando il virus pare un po’ meno diffuso di allora. Ma allora si testavano solo i sintomatici: ora anche gli asintomatici. Che oggi sono la stragrande maggioranza dei positivi: infetti e contagiosi, ma non malati. I dati certi su cui giudicare e modulare le misure di contrasto sono altri. Anzitutto i morti: 793 il 21 marzo, 55 ieri (in forte calo rispetto a giovedì). E poi il numero di ricoverati (cioè di sintomatici malati e bisognosi di cure): sette mesi fa 17.708, di cui 2.857 in terapia intensiva; ieri 6.178, di cui 638 in terapia intensiva. Reparti Covid e rianimazioni sono lontani dal rischio di saturazione, almeno in media (52% il 21 marzo, 9% oggi, anche se alcuni sono semipieni e altri semivuoti). Ma siccome i ricoveri aumentano del 7-8% al giorno e la crescita è esponenziale, se non s’inverte la rotta si può arrivare in un mese all’overbooking. E qui si apre il capitolo delle colpe. Cioè di chi ha fatto e non ha fatto cosa da maggio a oggi.

Il governo si era impegnato a riaprire le scuole e l’ha fatto, anche se poi i ritardi sui trasporti della ministra De Micheli, delle Regioni e dei Comuni han messo a rischio arrivi e partenze. Il governo aveva promesso di raddoppiare i posti letto di terapia intensiva e ha fornito i fondi necessari, oltre alle attrezzature tramite il commissario Arcuri. Ma molte Regioni hanno dormito: malgrado i 3.059 ventilatori polmonari per terapie intensive e i 1.429 per sub-intensive già inviati da Roma, hanno attivato appena 1.500 posti letto, mentre gli altri 1.600 disponibili restano sulla carta. Arcuri ha pronti altri 1.500 ventilatori, ma attende che qualcuno glieli chieda, possibilmente per usarli. Tra le maglie nere, oltre alla solita Lombardia (che non riesce neppure a comprare i vaccini antinfluenzali), svetta la Campania del sedicente sceriffo De Luca, tutto chiacchiere e distintivo: “Prima del Covid – ricorda il ministro Boccia – aveva 335 posti letto di terapia intensiva. Il governo con Arcuri ha inviato 231 ventilatori per le terapie intensive e 167 per le sub-intensive. Oggi risultano attivati 433 posti, devono essere 566”. Così molti ospedali campani sono già al collasso e Don Vicienzo, anziché rivolgere il lanciafiamme contro se stesso, lo dirige sugli studenti, chiudendo scuole e università senza neppure avvertire il sindaco di Napoli. Lui che un mese fa voleva riaprire gli stadi. E trova a difenderlo pure Zingaretti. Altri sgovernatori, con la stessa (il)logica, insistono sulla didattica a distanza (già prevista dalla legge in casi di necessità) per sfollare i trasporti pubblici e coprire la propria e altrui incapacità di potenziarli e organizzarli meglio: sono gli stessi che a luglio riaprivano le discoteche, ad agosto si opponevano alle proposte dell’Azzolina sugli ingressi scaglionati nelle scuole e a settembre volevano riempire gli stadi di tifosi. A tutti sfugge un dato elementare: chiudere le scuole durante il lockdown aveva senso perché gli studenti restavano in casa, evitando i contagi attivi e passivi; ma senza lockdown chi non sta a scuola va a spasso o si assembra in locali molto meno sicuri delle aule (lì la percentuale di contagi è 0,08%). E aumenta le possibilità di contagiare e di essere contagiato.

Quindi, per favore, nervi saldi e basta isterie fondate su letture sbagliate dei dati. Il governo attenda qualche giorno per vedere se il Dpcm funziona, tenendo pronte misure più severe, ma sempre graduate all’evolversi della pandemia. E le Regioni facciano finalmente ciò che devono, stringendo le maglie del Dpcm dove serve, anche con zone rosse o arancioni nelle città e province più infette. Se poi qualcuna continua a dormire, si spera che stavolta scatti il commissariamento.

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Danza di buchi neri in un galassia lontana.

 

La danza di due buchi neri è stata osservata in una galassia distante più di 300 milioni di anni luce. I due mostri cosmici sono separati l’uno dall’altro da 150 miliardi di chilometri, ossia mille volte la distanza Terra-Sole, ma su scala cosmica si tratta di una distanza piccola e destinata a ridursi progressivamente fino alla collisione.

La scoperta è stata possibile grazie a un nuovo metodo per la caccia ai sistemi binari di buchi neri supermassicci, con una massa centinaia di milioni di volte quella del Sole, messo a punto dal gruppo di ricerca italiano guidato da Roberto Serafinelli, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) a Milano. I risultati sono in corso di pubblicazione sull’Astrophysical Journal e permetteranno di studiare l’evoluzione delle galassie nel corso dei miliardi di anni di storia dell’universo.

Il nuovo metodo è stato testato sulle osservazioni ai raggi X del telescopio spaziale Swift della Nasa compiute su 553 galassie, a caccia di segnali ripetuti o periodici. È così che i ricercatori dell’Inaf sono riusciti a scovare i due buchi neri all’interno della galassia Markarian 915 (Mrk 915).


La galassia Markarian 915, Mrk 915, ripresa dal telescopio spaziale Hubble. (fonte: NASA/ESA/HST)

I due protagonisti, dicono gli autori dello studio, sono impegnati in una danza forsennata che tra centinaia di migliaia o milioni di anni dovrebbe portarli a fondersi, scuotendo lo spaziotempo con l’emissione di onde gravitazionali.

Per Serafinelli, “la galassia Mrk 915 ha mostrato un segnale che si è ripetuto periodicamente con cicli di circa 3 anni per circa 3 volte. È la prima volta – conclude l’astrofisico dell’Inaf - che si osserva una sorgente con questo particolare comportamento nei raggi X”.

[foto: Simulazione di due buchi neri supermassicci prossimi alla fusione realizzata dal Goddard Space Flight Center della Nasa (NASA)]

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2020/10/17/danza-di-buchi-neri-in-un-galassia-lontana_a05ae84a-5aa8-41da-8132-64479b2ece36.html

IL VIRUS FALCE MARTELLO E 5 STELLE. - Rino Ingarozza

 

In questi mesi di pandemia, in questi mesi strani che hanno cambiato le nostre abitudini, il nostro modo di fare e di pensare, che, in sintesi, hanno cambiato la nostra vita, abbiamo anche scoperto che esistono i virus politici, quelli di destra e quelli di sinistra. Il covid 19 e' decisamente di sinistra, anzi, direi proprio comunista, anche perché proviene dalla Cina. Un comunista anomalo perché invece di avere una stella, nel simbolo, ne ha cinque.
E allora via al derby destra contro sinistra. In mezzo, la vita o, perlomeno, la salute, di milioni di italiani.
Non si spiega atrimenti, Non va bene mai niente, quando i comunisti a cinque stelle prendono delle decisioni per contenere l'epidemia. Non c'è stata una volta, che sia una, che la destra sia stata d'accordo con le decisioni prese.
Tralascio tutti gli slogan e gli epiteti sventolati e sghignazzati perché si sanno benissimo.
Dicono "ma non hanno mai voluto ascoltare le nostre proposte".
La Meloni ha fatto un intervento alla camera, criticando, criticando e criticando e non ha mai spiegato in che modo avrebbe agito lei. È troppo facile dire "così non va bene" senza indicare un'alternativa. Ma ti è chiaro che tutta Europa sta "chiudendo" e da noi si sta facendo il possibile per non farlo? Lo capisci che se metti dei paletti, lo fai per non mettere delle travi in seguito? Lo capisci che se si fa come dici tu e quell'altro scienziato (cioè niente), si chiude subito? Cara la mia Giorgia.
E poi, ricordate quando è scoppiata la pandemia in Italia? Come avrebbero potuto ascoltarvi, se voi avete sempre detto il contrario di quello che diceva la maggioranza? Se loro dicevano che bisognava chiudere e voi dicevate di aprire con dirette Facebook o addirittura con il Colosseo come sfondo, dicendo al mondo che da noi non c'era nessuna emergenza?
Viene da pensare che il vostro fosse, ed è, una sorta di gioco per far dispetto al governo. Anche per le altre proposte. Sembrava quasi che prima ascoltavate le proposte del governo, per poi dire l'esatto contrario, sapendo benissimo che quelle proposte non sarebbero state ascoltate, per poi dire "Il governo non ci ascolta".
Strategia degna del miglior Churchill.
Matteo e Giorgia Churchill (i figli gemelli).
E poi, cara Giorgia, le ricordiamo benissimo le vostre ricette, quelle che nel 2011 ci hanno portato ad un "lockdown economico" senza precedenti. Quando vi hanno cacciati a calci ne culo, lo hai dimenticato? Io no. Ma cosa ti credi, che abbiamo l'anello al naso? Cosa ti credi, Giorgia Churchill (in Kennedy).
E allora via allo schieramento diffamatorio al gran completo. Politici (Ovviamente), giornalisti (??????), attori (dei quali ci si era dimenticata l'esistenza) cantanti (o aspiranti tali), filosofi (di primo pelo), milionari ( di soldi ma poveri di cervello) e tutta la fragaglia disposta a contraddire tutti (virologi comunisti, scienziati comunisti, epidemiologi comunisti). I neo "tuttologi", i neo "so tutto io". Rigorosamente anticomunisti.
E ancora, facciamo casino, inventiamoci cose, diciamo più fregnacce possibili. Se su cento ci credono in venti o trenta, è pur sempre un successo.
Titolare in prima pagina che i provvedimenti del governo sono un disastro e se lo dice la stampa ........molti ci crederanno. "Lo ha detto la tv. Era scritto sul giornale".
E allora........" verranno anche nelle vostre case a controllarvi".
(Come sei caduto in basso, Giordano. O forse in alto non sei mai stato. Perlomeno non lo è stata la tua lingua, che, al massimo, è sempre stata all'altezza del culo dei tuoi padroni. Ma ogni tanto, uno scatto d'orgoglio, no eh?).
"Verranno a sorpresa, senza neanche citofonare".
Noi almeno quando andiamo nelle case altrui, "citofoniamo". Educatamente.
Anche per fare l'amore vi dovete mettere la mascherina. No, non lì, davanti al naso e alla bocca. Lì si mette un'altra cosa, ma serve contro un'altra malattia.
Questi dilettanti allo sbaraglio.
Cosa importa se all'estero dicono che l'Italia è il paese che ha gestito meglio l'epidemia e che, guarda caso, abbiamo la peggiore stampa del mondo occidentale e anche oltre. Forse leggermente più libera di quella Corea del Nord (proprio da vantarsene). Cosa capiscono all'estero? Non sarà, per caso, che prima pensavano che il prototipo dell'italiano medio fosse Berlusconi, adesso hanno cominciato a capire che, invece, l'italiano è un tantino diverso, un tantino più perbene, un tantino più serio?
Che ne sa la gente di queste cose? Chi glielo dovrebbe dire, noi? Appunto. Non lo sapranno mai.
La stampa siamo noi. Diciamo loro che il governo è comunista (sempre a cinque stelle) e che i comunisti, e adesso anche i grillini, mangiano i bambini. E anche le mamme. I papà no, sono un po' duri e alquanto indigesti. Tanto molti ci credono davvero. Lo abbiamo detto noi. Noi che siamo l'informazione. E decidiamo noi quello che è giusto e quello che è sbagliato.
" La mascherina comunista non la indossiamo non serve a noi di destra. Il virus colpisce solo i comunisti. Noi siamo immuni".
Aumentano i contagi? Tutta colpa del governo. Di questi dilettanti allo sbaraglio. Noi si che siamo dei professionisti. Siamo in politica da decenni. Andate a vedere quello che abbiamo fatto per il Paese. Se avessero fatto come dicevamo noi, il virus si sarebbe "decomunistizzato", magari si sarrebbe rasato i capelli a zero al grido di "Eia eia, alala' e sarebbe stato inerme. Come il fascismo".

“Ma quale seconda ondata!” Ora questi non parlano più. - Lorenzo Ciarelli

 

Il più solido piacere della vita – scriveva Giacomo Leopardi – è quello delle illusioni. Fedeli a questo principio, in molti si erano convinti di averla scampata: il lockdown e i mesi estivi avevano attenuato la letalità del virus e parecchi si erano fatti l’idea che l’emergenza fosse finita per sempre. Non era così, eppure i toni utilizzati (“dittatura sanitaria”, “terrorismo psicologico”) tradivano una certa sicumera.

Anche perché a dar man forte al partito dei “riduzionisti” c’erano fior di medici. Su tutti Alberto Zangrillo, primario al San Raffaele di Milano noto – tra l’altro – per aver dichiarato che “il virus clinicamente non esiste più”. Era il 31 maggio e da allora Zangrillo non ha fatto passi indietro: “Forse erano toni sbagliati, ma nessuno è mai riuscito a contraddirmi” (27 luglio).

Certezze simili a quelle ostentate da Giuseppe Remuzzi dell’Istituto Mario Negri: “Più che di seconda ondata parlerei di possibilità che ci sia qua e là una ripresa della malattia. La Lombardia? Adesso è più protetta, il virus fa fatica a trovare persone da infettare” (29 settembre). La Lombardia, ieri, aveva oltre 2.400 nuovi contagiati, cioè il doppio della Campania, la seconda Regione per maggiore incremento. Ma il concetto chiave, professato pure da Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive del San Martino, era quello di evitare allarmismi: “Il virus è meno aggressivo, basta catastrofismi” (23 agosto).

Figurarsi se, con tutte queste rassicurazioni, la politica poteva non andare a rimorchio. Il 27 luglio le idee dei “riduzionisti” entravano in Senato con un convegno surreale, durante il quale Andrea Bocelli minimizzava l’impatto del virus sostenendo di “non conoscere nessun ricoverato” e Matteo Salvini celebrava i suoi dubbi sulla mascherina (“Non ce l’ho e non la indosso”) e sul distanziamento: “Il saluto col gomito è la fine della specie umana”.

Anche in Fratelli d’Italia erano giorni di spensieratezza. Il 31 agosto il deputato Federico Mollicone definiva il prolungamento dello stato d’emergenza come “il passaggio alla dittatura sanitaria”. Un mese prima, la sua leader Giorgia Meloni si era distinta per un accorato discorso alla Camera in cui, oltre agli occhi fuori dalle orbite, risaltavano le accuse al governo, reo di usare lo stato di emergenza “per consolidare il potere e agire senza regole e controlli”.

Questo era anche il leit motiv dei quotidiani di destra, che per settimane hanno gridato al totalitarismo: “Conte come Erdogan” (Libero, 2 agosto), “Tira un’arietta di regime” (La Verità, 2 agosto), “Colpo di mano. Emergenza Conte” (Il Giornale, 29 luglio), “No! No! No!” (Il Tempo, 29 luglio).

E che dire del fine giurista Sabino Cassese: “La domanda è: siamo in uno stato di emergenza in questo momento?” (27 luglio). Come dire: meglio decidere di giorno in giorno se dichiarare l’emergenza o no.

C’è da consolarsi, però. Ora ci si indigna su scuole e trasporti; a fine agosto il dibattito era tutto incentrato sulla chiusura delle discoteche. Nicola Porro era categorico: “L’ultima dei terroristi del virus: guerra alle discoteche” (11 luglio). Nonostante abbia sofferto il virus, da sempre il giornalista manifesta serenità: “Hanno creato il terrore del virus e della seconda ondata. Mi è stato chiesto di fare il tampone, sapete cosa dico io? (fa il gesto dell’ombrello, ndr). Ma quale cacchio è l’allarme? Tutto questo pessimismo e questa paura hanno portato i pieni poteri di Conte e Casalino” (11 luglio).

Roba da generale Pappalardo o al limite da Vittorio Sgarbi, un altro che ha dato il meglio di sé. La settimana scorsa, nonostante i numeri già in aumento, protestava: “Finitela col terrorismo. Non date i numeri dei contagiati, date quelli dei morti”. Gli stessi che due giorni fa sono raddoppiati.

Anche a sinistra, però, c’è chi in estate ha sottovalutato il virus. Vincenzo De Luca, per esempio, mentre annunciava imminenti lockdown, si batteva per l’apertura degli stadi al pubblico anche fino al 25 per cento della capienza. Stessa linea sostenuta in Emilia-Romagna da Stefano Bonaccini, che poi si è dovuto accontentare – come tutti – di un migliaio di persone. Chissà se oggi, visti i dati, hanno cambiato idea.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/17/ma-quale-seconda-ondata-ora-questi-non-parlano-piu/5969492/

venerdì 16 ottobre 2020

Governatori peggio del Covid. - Gaetano Pedullà













Mentre litigavamo in tv con quei mattacchioni della destre per cui le mascherine non servono a niente e Conte ci ha imposto una dittatura sanitaria, il virus ha fatto il suo corso e ora che siamo a quasi novemila contagi al giorno la situazione rischia di sfuggire di mano. I più irrequieti sono i governatori, che hanno un’occasione in più per appagare il loro protagonismo, decidendo ciascuno per conto proprio chi va a scuola e chi no (De Luca ha deciso lo stop da oggi in Campania), minacciando di chiudere bar e ristoranti prima di quanto previsto dall’ultimo Dpcm (se n’è discusso in Lombardia, ma Fontana ha poi smentito), oppure di chiuderli dopo (La Provincia di Bolzano si è rifiutata di recepire il decreto del Presidente del Consiglio).

Così si sta generando nuova confusione e un’ulteriore senso di smarrimento nei cittadini, malgrado sia evidente che il Covid non conoscendo confini nazionali a maggior ragione non può conoscere quelli regionali. Dunque a che serve avere regole diverse a distanza talvolta di pochissimi chilometri? Se le opposizioni hanno perso l’opportunità di fare squadra – almeno per una volta – con la maggioranza, dimostrando di mettere il bene del Paese al di sopra delle convenienze politiche di bottega, le autonomie locali stanno offrendo quindi uno spettacolo peggiore, mostrando plasticamente quanto siano pericolosi i loro poteri se usati tanto male come adesso.

D’altra parte, dai trasporti (leggi l’articolo) alla sanità il bilancio delle Regioni non è affatto brillante, e a parte le fughe in avanti, la cosa che sta riuscendo meglio ai presidenti è scaricare la responsabilità delle loro inefficienze sull’amministrazione centrale. Uno scaricabarile fin troppo facile a fronte dei miliardi di euro che ci costano i carrozzoni regionali, che al di là di tante buone intenzioni in realtà servono a garantire una giungla di burocrazia e di poltrone. Oltre a far giocare gli stessi presidenti con la pandemia, propinandoci le loro taumaturgiche ricette quotidiane.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/governatori-peggio-del-covid/

Tra Ue, Mise e interessi: l’uomo del fare (nulla). - Giacomo Salvini

 

L’aspirante sindaco di Roma è un eurodeputato assenteista e da ministro lasciò molte crisi industriali irrisolte.

L’annuncio arriverà a breve, forse già nel fine settimana. E la strategia è chiara: correre a sindaco di Roma presentandosi come “l’uomo del fare” come l’ha definito pochi giorni fa Il Messaggero, il giornale di Caltagirone che, dopo aver fatto la guerra a Virginia Raggi, ormai tifa apertamente per la sua discesa in campo nella Capitale. Insomma Carlo Calenda si presenterà nella veste dell’imprenditore di successo (“Ha lavorato in Ferrari” si vantano i suoi) e del politico che si è sporcato le mani nelle istituzioni. Un mix tra Adriano Olivetti e Charles de Gaulle de’ noantri. Peccato che la realtà sia ben diversa.

Da quando ha deciso di lasciare la poltrona di dg dell’Interporto Campano per abbracciare la politica “come servizio”, Calenda ha cambiato più partiti che mutande accumulando una serie infinita di poltrone. Coordinatore della lista di Montezemolo “Italia Futura”, candidato (non eletto) con Scelta Civica di Mario Monti, poi renziano ma non iscritto al Pd, quindi anti-renziano iscritto al Pd, infine candidato (eletto) con il Pd al Parlamento Europeo prima di uscire dal Pd per fondare il suo partitino “Azione”. Sicuramente avrà cambiato molte volte idea – “Per 30 anni ho detto cazzate sul liberismo” ha ammesso – ma certo, le poltrone sono state un bello stimolo: sottosegretario allo Sviluppo economico del governo Letta, sottosegretario del governo Renzi che a sua volta lo nomina ambasciatore dell’Italia in Ue e poi ministro con Renzi e Gentiloni. Dopo le elezioni del 2018, in cui il Pd renziano crolla, Calenda sta un anno senza poltrona prima di essere eletto come capolista del Pd alle Europee del 2019. Eppure, probabilmente scordando il suo passato, lui continua ad accusare gli altri di “trasformismo”: “Conte è un trasformista privo di valori. Potrebbe governare con chiunque pur di governare” twittava il 6 ottobre. Chissà cosa avrebbe pensato di se stesso quando saltava da una poltrona all’altra.

Un altro mantra del Calenda “uomo del fare” è quello di dileggiare chiunque non la pensi come lui arrogandosi il diritto di mandare gli altri “a lavorare”. “Vai a lavorare Anna” twittava Calenda contro la viceministra alla Scuola Ascani il 10 giugno scorso, mentre il 20 agosto se la prendeva con il commissario Domenico Arcuri che doveva “andare a lavorare, possibilmente in silenzio”. Peccato che lui a lavorare ci vada ben poco. Secondo la piattaforma Vote Watch Europe che analizza il lavoro del Parlamento europeo, Calenda è il quartultimo europarlamentare italiano per presenze nei voti chiave con l’86%: è 72esimo su 75 e peggio di lui fanno solo Aldo Patriciello, Franco Roberto e Silvio Berlusconi. Considerando tutta l’Assemblea Calenda è messo ancora peggio: è 661esimo su 701 europarlamentari. Non proprio uno stakanovista.

E anche quando lavora, i risultati di Calenda sono tutt’altro che positivi. A Bruxelles diversi colleghi hanno storto la bocca per un ipotetico conflitto d’interessi: Calenda è relatore del Rapporto sulla Politica Industriale dell’Ue ma allo stesso tempo “Azione” è finanziata dai più grandi gruppi industriali italiani: gli Arvedi che controllano uno dei più importanti poli siderurgici ma anche Gianfelice Rocca di Techint, Luca Garavoglia di Campari e Almberto Bombassei di Brembo. Anche quando si è occupato di crisi industriali non è andata benissimo: nei due anni in cui è stato ministro, i tavoli al Mise sono aumentati da 148 a 165 a fine 2017 prima di tornare a 144 nel 2018, quando aveva già lasciato il ministero. Sua è l’eredità della crisi di Embraco (data per risolta) mentre dalla sua scrivania sono passate Mercatone Uno (fallita con 1.600 dipendenti cacciati), Alcoa (in vertenza da 11 anni), Alitalia (sull’orlo del fallimento) e l’Ilva di Taranto: Calenda ha aperto la strada ad Arcelor Mittal che non ha mai rispettato gli impegni.

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