giovedì 18 marzo 2021

“Tra Pd e Forza Italia non vedo differenze. Ci manca la sinistra”. - Silvia Truzzi

 

MicroMega torna. Dopo l’annuncio della chiusura da parte della nuova proprietà (il gruppo Gedi, controllato dalla famiglia Elkann) il direttore Paolo Flores d’Arcais rilancia la rivista che per tre decenni ha nutrito la sinistra, da sinistra: “Non potevo rassegnarmi a che la storia di MicroMega finisse qui. Non volevo accettare che il panorama culturale italiano perdesse – bando all’ipocrisia delle false modestie – una delle sue voci più autorevoli. Negli anni a venire ci sarà sempre più bisogno di un impegno intellettuale e politico per ‘giustizia e libertà’, e di pensiero critico, spirito illuminista, intransigenza laica”, ha scritto sul nuovo sito. Da queste parole ripartiamo.

Direttore, da dove ricomincia la seconda vita di MicroMega?

Il numero che esce oggi era già pronto – avrebbe dovuto uscire in febbraio, ma la chiusura della testata ha creato diversi problemi – ed è dedicato ai cento anni del Partito comunista. I lettori troveranno testimonianze preziose, da Tortorella a Macaluso a Castellina, Asor Rosa, Giulia Mafai, Marisa Cinciari Rodano. Il numero di maggio sarà in due parti: MicroMega compie 35 anni, in edicola andrà un volume con oltre 50 testimonianze e un secondo con testi introvabili: dal primo numero abbiamo ripreso un carteggio tra Ingrao e Bobbio e un saggio sul welfare di Federico Caffè, per dire.

Avete lanciato una sottoscrizione.

Per rilevare la testata è stato necessario accettare la proibizione di avere, per quattro anni, anche come soci di minoranza, società editrici, anche non italiane, o soci di società editrici. La nuova società, senza fini di lucro (il che vuol dire che tutti i proventi vengono reinvestiti) ha bisogno per sopravvivere che i lettori partecipino. Quindi abbiamo lanciato una campagna abbonamenti e una sottoscrizione: se ci sarà una seconda vita dipende dalla risposta. Altrimenti vorrà dire che avrà vinto Elkann. Ma io credo che esista un importante strato di lettori-elettori che non si rassegna, nonostante le difficoltà del momento, all’alternativa che si pone oggi.

E qual è?

O Draghi o la destra estrema: è un aut aut a cui non voglio credere. Non ho alcuna obiezione al fatto che il presidente della Repubblica abbia scelto una personalità fuori dai partiti. Lo avevo proposto all’indomani delle ultime elezioni, indicando anche alcuni nomi di ministri: da Gustavo Zagrebelsky a Fabrizio Barca, da Tomaso Montanari a Piercamillo Davigo (i famosi “migliori”). L’involuzione dei partiti è tale per cui bisogna cercare nella società civile. Per quali politiche, però? Con quale maggioranza?

Nel nostro caso tutti i partiti. È una scelta sensata?

Quando D’Alema fece la bicamerale con Berlusconi si parlò di inciucio. Oggi siamo davanti a un mega inciucio, al tutti dentro. Un’ammucchiata di forze politiche che hanno posizioni diametralmente opposte. Il guaio è che tra il Pd e Forza Italia le differenze sono sempre più scolorite.

Lei ha scritto: “Draghi ha una superiorità, rispetto a tutti i politici, nello stile e nella credibilità. Con il “whatever it takes” ha prevalso su Merkel e i banchieri tedeschi, e non sono pinzillacchere”. C’è un ma?

Gigantesco: noi abbiamo bisogno di politiche anti-liberiste, di ritorno alla giustizia e all’eguaglianza sociale. Sulla giustizia la riforma Bonafede della prescrizione era blanda: dovrebbe cessare già dopo il rinvio a giudizio. Ai grandi evasori va fatta la guerra, le misure marginali non servono. Questo governo andrà in direzione opposta. Mario Draghi ha uno spessore che altri non hanno, ma nei ministeri e nei ruoli da sottosegretario ha messo una quantità pantagruelica di impresentabili. E sulla politica economica ha scelto liberismo e giavazzismo, quando c’è bisogno dell’opposto: solo l’eguaglianza ci può salvare.

Che impressione le ha fatto il discorso di Enrico Letta?

Vale quanto detto per Draghi. Letta è uomo serio, ha una professione anche fuori della politica, cacciato da Renzi non si è dedicato ai giochi di corrente e di poltrone, è andato a fare il professore in una delle più prestigiose istituzioni universitarie francesi. Le pagliacciate di Renzi ci saranno risparmiate, ma Letta è del tutto inadeguato alle necessità del Paese, che in questa congiuntura coincidono con le necessità dal Pd. In Italia manca la sinistra, manca il partito dell’eguaglianza. L’abbiamo visto con l’emergenza sanitaria: la crisi in cui ci troviamo dipende dall’assenza della sinistra. Per quarant’anni, invece di rafforzare e ampliare il welfare, i governi lo hanno smantellato con tagli dissennati alla sanità e all’istruzione. Questo è avvenuto perché il brodo di coltura della nostra politica è stato il liberismo. La pandemia era stata annunciata, dall’Oms e perfino da Bill Gates: per fronteggiarla bisognava fare l’opposto di quello che è stato fatto. A questo serviva e serve la sinistra. Che nel “Palazzo”, Pd compreso, però non c’è.

Fonte - Il Fatto Quotidiano

Il nuovo Cts: Speranza declassato, Salvini gode. - Marco Palombi

 

E tre… - Dopo le teste di Borrelli e Arcuri, Draghi dà alla Lega un Comitato più “aperturista”. Il caso Gerli: il suo modello previsivo non prevede per niente bene.

In assenza di novità sostanziali nelle politiche che riguardano la pandemia, Mario Draghi continua a offrire senza risparmio ai suoi alleati di centrodestra, Matteo Salvini in primis, se non altro qualche scalpo simbolico. A fronte delle nuove chiusure, per prepararsi al futuro gli “aperturisti” vogliono almeno isolare Roberto Speranza, rimasto ministro della Salute solo grazie a un diktat di Sergio Mattarella: prima venne la sostituzione del capo della Protezione civile Angelo Borrelli, poi quella politicamente più rilevante del commissario all’emergenza Domenico Arcuri e ora si passa al Comitato tecnico scientifico, la cui “riforma” è stata subito festeggiata da Matteo Salvini.

La scelta del premier di modificare il Cts – tecnicamente attraverso un’ordinanza di Protezione civile – ha ovviamente delle sue ragioni: intanto un’assemblea più snella è un bene (da 26 a 12 membri), come pure l’ingresso di un immunologo come Sergio Abrignani (specializzazione finora mancante nel Comitato). In generale, però, è alla presa del ministero della Salute sul Cts che mirano le novità: prima aveva al suo interno quattro direttori generali, oggi il solo Giovanni Rezza. Ma al di là dei numeri, anche i nomi scelti segnano il cambio di orizzonte verso la nuova “unità nazionale”, ovviamente da realizzare attraverso l’asse Draghi-destra (senza, d’altra parte, non ci sarebbe discontinuità).

Ad esempio l’Agenzia del farmaco (Aifa) resta nel Cts: non più però col dg Nicola Magrini, ma col presidente Giorgio Palù, virologo con ottimo curriculum che fu consulente di Luca Zaia e – essendosi spesso schierato su posizioni “moderate” rispetto alla pandemia – spesso citato da Salvini lungo quest’anno per dimostrare che era possibile “aprire”. Palù, peraltro, firmò a giugno una dichiarazione che metteva in dubbio che gli asintomatici potessero trasmettere il virus con Donato Greco, ex dirigente del ministero e dell’Iss e autore del Piano pandemico del 2006: anche lui entra nel Cts e molti ricordano una sua presa di posizione di settembre (“anche se il Covid circola ancora, l’emergenza è finita a maggio”).

Un certo scalpore ha destato la scelta di Alberto Gerli, ingegnere gestionale che ha elaborato un suo modello matematico di previsione dei contagi amato dai giornali e poco dagli epidemiologi, che sostiene – all’ingrosso – che i cicli di espansione della curva dei contagi durino 40 giorni, sempre: “A fine febbraio il Veneto sarà zona bianca” (era rossa), “a metà marzo in Lombardia 350 contagi al giorno” (4.700), prevedeva a fine gennaio. Va detto che il modello Gerli a volte sbaglia pure per eccesso, come nei casi dei contagi nelle province di Como e Bergamo. Ora la sua stima è che siamo vicini al picco, a prescindere dalle chiusure decise dal governo, che vanno quindi considerate inutili.

A capo del Comitato, dimessosi Agostino Miozzo, sarà il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli, storicamente più “aperturista” dei colleghi. Il numero 1 dell’Iss Silvio Brusaferro sarà invece il portavoce: ruolo che lo ingabbierà nella necessità di fare sintesi con gli altri. Il segretario del Comitato, infine, non sarà più il medico della PS Fabio Ciciliano (che resta nel Cts), ma l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino: scelto dal nuovo capo della Protezione civile Fabrizio Curcio, che è uomo assai legato a Franco Gabrielli, a sua volta sottosegretario alle grane di Draghi.

Un altro nome nuovo è quello di Cinzia Caporale, dirigente del Cnr e membro del Comitato nazionale per la bioetica, sia detto en passant moglie di Angelo Maria Petroni, che i più ricordano in un mitico cda Rai regnante Berlusconi e oggi segretario generale dell’Aspen (l’unica altra donna è Alessia Melegaro, che insegna Demografia e Statistica sociale e dirige il Covid Crisis Lab della Bocconi).

Vanno infine notate almeno un paio di assenze: escono dal Cts sia Kyriakoula Petropulakos, dg della Sanità emiliana indicata a suo tempo dal presidente della Conferenza Stato-Regioni Stefano Bonaccini, sia Sergio Iavicoli dell’Inail, assenza sorprendente mentre si riscrivono i nuovi protocolli anti-Covid per i luoghi di lavoro (bizzarramente silenti i sindacati). Non bastasse il Cts, al povero Speranza è toccato pure ingoiare la nomina (in quota Gelmini e FI) dell’infettivologo della Cattolica Roberto Cauda al tavolo tecnico che dovrà rivedere i famosi 21 parametri di rischio epidemiologico odiati dalle Regioni, Lombardia su tutte, che com’è noto ha problemi a inviare i dati giusti.




Il Banal Grande. - Marco Travaglio

 

Un giorno Indro Montanelli domandò a Leo Longanesi perché scrivesse pochi libri. “Perché – gli rispose Longanesi – se vuoi raccontare qualcosa di organico, devi piegarti ogni tanto al banale. Perfino Tolstoj deve dire che ‘Anna Karenina si alzò e andò ad appoggiare la fronte ai vetri della finestra’. Ecco: io non sarò mai capace di seguire un’Anna Karenina in un movimento così ovvio e usuale. Che me ne frega, a me, che quella brava signora vada alla finestra? Anche la mia serva ogni tanto ci va… Eppure, se vuoi scrivere un romanzo, devi rassegnarti a seguirne i personaggi anche in queste faccenduole private”. Invece il bello della cronaca è che ti impone di concentrarti sulle novità. La notizia è l’uomo che morde il cane, non viceversa. Eppure i giornaloni ci ammorbano di non-notizie, per giunta spacciate per eventi sensazionali, epocali, rivoluzionari. Draghi chiama Macron per parlare degli effetti del loro stop ad AstraZeneca (inglese) contro il parere di Ema e Aifa per correr dietro alla Germania (che con gli Usa produce il Pfizer-Biontech). E che si dicono, di straordinario? Se domani l’Ema dà l’ok, venerdì si riprende. E, per usare un francesismo, grazie al cazzo: sarebbe una notizia se, malgrado il via libera dell’Ema che peraltro non aveva mai dato lo stop, si continuasse a non vaccinare. Ma il Corriere ci apre la prima pagina: “Pronti a ripartire con i vaccini”, “Se l’Ema dà l’ok, si riparte subito” (non fra un mese), . Stampa: “Telefonata Draghi-Macron, stupiti dall’annuncio unilaterale tedesco” (e allora perché si sono accodati, rendendolo trilaterale?).

Repubblica: “Patto Draghi-Macron”. Messaggero e Corriere: “Asse Draghi- Macron”. Ora, noi non escludiamo affatto che i due statisti si siano detti: “Ehi Manu/ Mario, allora ripartiamo subito”. Sarebbe strano il contrario. Ma che bisogno c’è di “patti” o “assi” per cose tanto scontate?

A proposito: la sapete “la tesi di Cottarelli”? La svela un paginone del Corriere: “Ricominciare dal merito”. Capito? Non dal demerito. Da leccarsi i baffi. E la “ricetta di Cingolani”? “Taglio alla burocrazia”, rivela Repubblica a chi temeva che volesse più burocrazia. Perbacco. Dei “due pilastri” del gen. Figliuolo abbiamo detto: prima “ricevere i vaccini”, poi “somministrarli”, e non viceversa. E i licenziamenti? “Da luglio ripartono, ma solo per le grandi aziende in crisi” (Rep), anche perché quelle in piena salute non han bisogno di licenziare. E i processi? La Cartabia li vuole “giusti e brevi”: una bella svolta rispetto ai predecessori, che li volevano ingiusti e lenti. Ma, quando arrivano i Migliori, non ce n’è più per nessuno. Presto avremo un “patto/asse Draghi-Biden” perché respirano entrambi.



mercoledì 17 marzo 2021

Londra, scontri con la polizia alla veglia per la morte di Sarah Everard. Ministro Interno: “Immagini scioccanti, serve indagine”

 

Il femminicidio della 33enne ha profondamente scosso la Gran Bretagna: accusato del rapimento e dell'omicidio è l'agente di Scotland Yard Wayne Couzens. Alla veglia, che era stata vietata perché violava le norme anti-Covid, la polizia ha agito con violenza verso i manifestanti, tra i quali molte donne. Quattro gli arresti.

Sarah Everard, 33 anni, era scomparsa mentre rincasava a piedi verso la sua casa di Brixton la sera del 3 marzo ed è stata ritrovata morta mercoledì 10 marzo a Ashford, nel Kent, a circa 78 chilometri dall’ultimo luogo nel quale era stata vista. Ad essere formalmente accusato per il suo rapimento ed omicidio è l’agente di Scotland Yard – cioè della polizia di Londra – Wayne Couzens che ieri, in una breve udienza davanti ai giudici del Westminster Magistratès Court, è apparso con l’aria avvilita e testa bassa, in una tuta di felpa grigia e con un’evidente ecchimosi sulla fronte. Il caso ha scosso profondamente la Gran Bretagna, in queste ore ulteriormente scioccata da quanto accaduto ieri sera alla veglia per Sarah nel quartiere londinese di Clapham Common: un centinaio di persone si sono radunate per ricordarla a lume di candela, ma si sono verificate tensioni con la polizia visto che l’evento era stato vietato a causa delle norme anti-covid.

I video e le foto pubblicati sui social media mostrano gli agenti che trattengono e ammanettano alcuni partecipanti al raduno. Il ministro dell’Interno britannico Priti Patel ha dunque chiesto alla polizia di Londra “un’indagine approfondita” su ciò che è successo, definendo “scioccanti” le immagini diffuse sui social media che mostrano la polizia agire con violenza verso i manifestanti, tra i quali molte donne. Il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha parlato di scene “inaccettabili” e ha chiesto al capo della Metropolitan PoliceCressida Dick, “una spiegazione urgente”. La polizia ha confermato stamani l’arresto di quattro persone.

Si alzano critiche anche dal fronte dei Labour, dove il leader del partito Keir Starmer ha definito le scene a Clapham “profondamente inquietanti. Condivido la rabbia e il nervosismo per il modo in cui la situazione è stata gestita. Non è un buon metodo per mantenere l’ordine”, ha aggiunto. In giornata, la moglie del principe WilliamKate, si era recata a Clapham, per rendere omaggio alla giovane, così come anche Boris Johnson e la compagna Carrie Symonds.

Il caso di Sarah Everard – Ha scatenato un’ondata di indignazione in tutto il Regno Unito, dove da tempo ferve un dibattito su come contrastare l’incremento dei femminicidi, al quale si è aggiunto lo shock quando il cerchio si è stretto attorno a un uomo di Scotland Yard. Shock aggravato dalla polemica che ribolle sulla leggerezza con cui la polizia londinese avrebbe gestito il caso dell’agente, denunciato due volte per atti osceni in luogo pubblico e mai sanzionato né messo in questione, visto il suo ruolo in servizio di vigilanza presso le ambasciate. La vicenda è iniziata la sera del 3 marzo quando, lasciando la casa di amici a Clapham, Sarah Everard decide di fare a piedi i 50 minuti di strada fino alla sua abitazione nel sud di Londra. Una breve conversazione al cellulare alle 21.30 con il compagno, poi più nulla. A denunciarne la scomparsa alla polizia è stato quest’ultimo, il giorno dopo.

Nello stesso momento in cui Sarah s’incamminava per non tornare mai più a casa, non lontano, Couzens smontava dopo un turno di guardia all’ambasciata americana. Nessun elemento avrebbe legato le due persone se non fosse stato per una serie di immagini catturate da varie telecamera di sicurezza montante agli angoli delle strade, sui citofoni di case e sugli autobus, che hanno mostrato l’auto di Couzens in prossimità di dove la ragazza aveva dato segni di vita l’ultima volta. L’auto è stata seguita, telecamera dopo telecamera, fino al paesino del Kent dove abita l’agente, entrato nella Metropolitan Police nel 2018.

Nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa di Sarah, i colleghi di Couzens hanno riferito di aver notato in lui segni di stress. Poi, martedì scorso, è scattato l’arresto. Da solo in cella, in 48 ore l’uomo è stato medicato per due volte per ferite alla fronte, probabilmente provocate battendo la testa contro il muro. Il giorno dopo, una settimana dopo la scomparsa, è stato rinvenuto il cadavere della 33enne in un bosco a poca distanza dalla casa dell’agente ad Ashford, nel Kent, avvolto in un sacco in plastica per calcinacci e riconosciuto solo dalle protesi dentarie. L’autopsia è stata eseguita, ha riferito in aula Zoe Martin, che però non ha rivelato la causa della morte.

Mentre Couzens il 13 marzo compariva in aula, Scotland Yard aveva vietato una veglia di solidarietà per Sarah e per tutte le vittime di femminicidio sul luogo in cui era scomparsa la 33enne, nel parco di Clapham Common: “Non ci fa certo piacere che questo evento sia cancellato, ma è la cosa giusta da fare vista la minaccia reale e presente del Covid-19″. In alternativa alla veglia, intitolata ‘Reclaim these Streets’ (Riprendiamoci le strade), gli organizzatori avevano chiesto di accendere candele in memoria di Sarah alle 21.30, ora della scomparsa, e di fare donazioni alla campagna contro la violenza di genere.



Gli uomini vengono da Marte. Tra letteratura e astrofisica. - Riccardo Antoniucci

 

Due Mondi - Le “cronache marziane” sono passate da minaccia a frontiera di nuova vita.

Perseverance è approdata il 18 febbraio nell’entusiasmo generale. Curiosity è lì dal 2012, mentre in orbita ruotano Hope degli Emirati arabi uniti e l’europeo ExoMars, tra gli altri satelliti. Presto arriverà il primo rover cinese, mentre sulla Terra la Space X di Elon Musk testa missili e idee per viaggi interplanetari. Oggi Marte appare affollato, ma c’è stato un momento, nei vent’anni trascorsi tra la missione Viking del 1976 e Pathfinder del 1997, in cui il pianeta rosso non interessava più a nessuno. Cos’era successo? Una delusione. Viking aveva certificato che il pianeta era privo d’acqua, rompendo così un motore che per 150 anni ha alimentato la curiosità umana, non solo scientifica: la domanda “c’è vita su Marte?”.

Vita marziana. Il primo a porre seriamente il quesito è stato l’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli, che tra il 1877 e il 1878 aveva creduto di osservare canali rettilinei, artificiali, sulla superficie di Marte e tracciò varie mappe. Un effetto ottico, che però è rimasto a lungo incastonato nel pensiero scientifico. “Fino agli anni 50 e 60 le idee, comunque realistiche, di Schiaparelli erano ancora enormemente in voga”, spiega Marcello Coradini, planetologo e responsabile dei programmi d’esplorazione del Sistema solare dell’Esa, che ha guidato la missione ExoMars ed è autore del saggio Marte, l’ultima frontiera (Il Mulino). “Per preparare le prime missioni sul pianeta rosso – continua Coradini – la Nasa usava praticamente la stessa mappa di Schiaparelli. Se dovessimo descriverlo come fenomeno culturale, direi che la Nasa ha preso il testimone dalle mani di Schiaparelli”.

Anche la statunitense Sarah Stewart Johnson, che ha lavorato alle missioni Spirit, Opportunity e Curiosity, in un libro recente (quasi omonimo: Marte. L’ultima frontiera, Sperling & Kupfer) ricorda che “il mistero di quelle formazioni lineari fu uno dei motivi per cui nel 1969 la Nasa decise di lanciare una coppia di sonde verso Marte”.

Tra scienza e finzione. La vita su Marte ha alimentato un immaginario che si è evoluto in parallelo tra scienza e finzione. Nel 1880, due anni dopo le ricerche di Schiaparelli, esce il romanzo Across the Zodiac di Percy Greg, in cui un esploratore scopre che il pianeta rosso è abitato da esseri molto simili a noi, che si rifiutano di credere che il visitatore venga da un altro pianeta. Quasi subito i marziani diventano pericolosi. Opera iniziatrice è La guerra dei mondi di Herbert George Wells (1898), riadattata da Orson Welles nel celebre sceneggiato radiofonico nel 1938 e poi in pellicola da Steven Spielberg. Di fatto è la prima invasione extraterrestre della storia letteraria, dove, peraltro, l’unica cosa che salva i terrestri dall’inesorabile avanzata marziana è un batterio. Quando la Terra precipita nella spirale delle guerre mondiali, Marte si offre come specchio in cui riflettere criticamente sulla società. Succede nella trilogia Sotto le lune di Marte dell’ex militare Edgar Rice Burroughs (1912-1919): un capitano viene teletrasportato su Marte e trova un mondo morente e una civiltà dilaniata dalla guerra tra fazioni divise dal colore della pelle.

Marziani tra noi. Dopo la seconda guerra mondiale comincia la corsa allo spazio e nella cultura di massa è la fase dell’Invasione degli ultracorpi (romanzo del 1954 e film del 1956) e delle epiche extraterrestri alla Star Trek. Anche solo per associazione cromatica, Marte è spesso metafora del “nemico” comunista (esiste in effetti un’utopia socialista marziana: la scrisse Bogdanov nel 1908), ma altre volte serve a criticare la società del consumismo, come nel Pianeta rosso di Robert Heinlein o nelle Cronache marziane di Ray Bradbury. Filone prolifico è anche quello della colonizzazione, di cui è icona I fondatori di Isaac Asimov, primo romanzo sulla “terraformazione” di Marte. “Perché non abbiamo pensato ai crateri?” disse il re della fantascienza guardando una fotografia scattata dalla sonda Nasa Mariner 4, che per prima fotografò il pianeta rosso nel 1965. Come a ogni grande narrativa, le storie marziane hanno avuto il loro risvolto parodistico. Dal gioviale Marziano a Roma di Ennio Flaiano, che si ritira sopraffatto dall’indolenza dei terrestri capitolini, al cult Mars Attacks! di Tim Burton, parodia dell’action movie sull’invasione aliena. Fino a Fascisti su marte di Corrado Guzzanti, che sceneggia una farsesca invasione nera del pianeta rosso in un mix di satira politica e parodia delle cronache marziane.

Nuova frontiera.Dopo la delusione del 1976 sono state altre le suggestioni scientifiche che hanno ispirato l’epica spaziale. L’esplorazione intergalattica, i buchi neri e i paradossi della gravità. Diventato un “sasso” qualunque, il pianeta rosso ha ispirato meno, restando ancorato all’immaginario anni 70. Oggi, però, la seconda corsa allo spazio promette di portare gli astronauti su Marte: di certo gli autori stanno prendendo nota.



Spese folli da Covid, così Arcuri ha sgonfiato i conti alle Regioni. - Ilaria Proietti

 

Quanto vale lo scalpo di Domenico Arcuri? Per le Regioni che non l’hanno mai amato, centinaia di milioni di euro. Quelli che difficilmente avrebbero ottenuto dal commissario defenestrato giusto alla vigilia della maxi-operazione per rifondere le spese per l’emergenza coronavirus sostenute dai governatori e a cui la struttura di Arcuri ha osato fare i conti in tasca. Conti che non tornano, a una ricognizione aggiornata all’8 marzo.

Ma riavvolgiamo il nastro al 19 giugno dello scorso anno, quando le Regioni avevano consegnato le tabelle delle spese sostenute per l’emergenza coronavirus dal 31 gennaio al 31 maggio 2020. Un conticino provvisorio da 4,1 miliardi di euro, di cui la metà serviti per assicurare l’assistenza alla popolazione nei Covid hotel, per la distribuzione di generi alimentari e di igiene personale a domicilio, per gli oneri legati all’impiego del volontariato di Protezione civile o per allestire tende e container per i triage da campo.

L’altra metà, ossia 2 miliardi, se ne era andata per l’acquisto di farmaci, kit medici, tamponi, apparecchi medicali come i ventilatori, maschere facciali, camici, guanti e mascherine che le Regioni avevano dichiarato di aver speso nonostante ricadessero nei dispositivi di tipo A, B e C per i quali nel frattempo Arcuri aveva disposto l’acquisto centralizzato e la distribuzione direttamente dalla centrale unica in capo alla struttura commissariale. Con cui, per via di tali acquisti, le Regioni avevano avuto un approccio pessimo fin da quando, ad aprile 2020, era stato loro comunicato lo stop all’autorizzazione di acquisti a valere sul fondo nazionale: se proprio avessero voluto fare da sé, i governatori avrebbero ben potuto spendere, ma a patto che si trattasse di fondi propri. Qualche Regione a quel punto aveva dichiarato il rischio di bancarotta, ma senza smettere di acquistare come se non ci fosse un domani denunciando le inefficienze del commissario: il governo per quietare gli animi aveva rassicurato tutti sollecitando però le necessarie rendicontazioni. Su cui Arcuri aveva messo al lavoro il suo staff, anche perché la dimensione degli importi presentati aveva da subito imposto una puntuale ricognizione delle spese. Come quelle della Regione Lombardia guidata dal leghista Attilio Fontana, tanto per fare un esempio. Che aveva dichiarato di aver sostenuto nei primi 5 mesi dell’emergenza una spesa di quasi 900 milioni di euro per ottenere i risultati che già allora erano sotto gli occhi di tutti.

Di questa cifra da capogiro, le spese per mascherine, ventilatori e dispositivi analoghi erano inizialmente circa 376 milioni: la ricognizione effettuata dalla struttura commissariale aggiornata all’inizio di marzo di quest’anno ha avuto l’effetto di sgonfiare il conto a quota 161 milioni, euro più euro meno. Peraltro in buona parte spesi in deroga agli ordini del commissario. E che dire della Sicilia di Nello Musumeci? Quasi 350 milioni di spese dichiarate in cinque mesi, di cui 195 per i famosi dispositivi di categoria A, B e C (il cui acquisto in teoria competeva al commissario) e che, rendicontazioni alla mano, sono stati rettificati a quota 66 milioni. E ancora il Piemonte con un cahier de doleances iniziale di 420 milioni, di cui 159 milioni per mascherine, kit e apparecchiature varie che a spulciare le fatture vere corrispondono a 120 milioni. Alla fine, mettendo a confronto il conto presentato da tutte le Regioni a giugno con quello rettificato dalla struttura commissariale, viene fuori una differenza di 390 milioni: se le spese dichiarate a ogni latitudine della penisola ammontavano a circa 2 miliardi, la ricognizione dell’8 marzo di quest’anno dice che la cifra effettivamente spesa è pari a poco più di 1,6 miliardi. E di questi 1,6 miliardi, circa il 38 per cento risulta essere stato speso dopo l’8 aprile, ossia in un’epoca in cui non erano più autorizzati acquisti sui fondi nazionali.

Arcuri, del resto, ha avuto da dire anche per i rimborsi dovuti per la primissima fase dell’emergenza. Quando il Dipartimento della Protezione civile aveva trasferito al commissario straordinario (nominato dal governo Conte il 18 marzo, ndr) le spese ad allora autorizzate condizionatamente alle regioni nella loro qualità di soggetti attuatori, era iniziato un vero e proprio braccio di ferro: dei 329,8 milioni inizialmente trasferiti, le regioni avevano formalizzato una richiesta di rimborso per 140 milioni di cui 133 ritenuti congrui. Il commissario aveva sganciato un acconto del 50 per cento riservandosi di saldare eventualmente il resto all’esito dell’attività di controllo.


Incendi e distruzione, il coordinamento regionale scrive a Musumeci. - Nicola Baldarotta

 

Una rete che comprende 40 sigle di associazioni della Sicilia, unite dalla convinzione che non c'è più tempo da perdere.

L’allarme è rimasto inascoltato sin troppo tempo e la Sicilia brucia ancora, brucia da almeno trent’anni con intensità crescente e ormai intollerabile. I gravissimi incendi estivi e autunnali dell’anno scorso hanno devastato l’ambiente e riproposto l’incubo del 2017, l’annus horribilis in cui l’Isola ha raggiunto il triste primato di regione con la più estesa superficie bruciata in Italia (34.221 ettari totali di cui 15.785 di bosco, secondo il rapporto della Commissione Europea – JRC Technical Report 2017).

Il 2020 non è stato da meno, come i gravissimi incendi di Montagna Grande, Altofonte, Riserve di Monte Cofano e Zingaro, Selinunte, Parco dell’Etna, Noto, Bosco di San Pietro, Scorace, Peloritani (solo per citarne alcuni) dimostrano chiaramente. In base alle stime ricavate tramite l’EFFIS (European Forest Fire Information System) la superficie totale bruciata in Sicilia dall’1 giugno al 30 ottobre 2020 ammonterebbe a 35.900 ettari. Una cifra enorme, che supera quella del 2017 e che denuncia la drammatica gravità del fenomeno. La questione degli incendi dolosi in Sicilia è un problema ormai sistemico che mette in serio repentaglio l’ambiente, impoverendo il paesaggio e riducendo la biodiversità. Ad ogni incendio aumenta la fragilità del terreno e il rischio di frane e inondazioni. Muoiono migliaia di rettili, piccoli volatili e varie specie di mammiferi. Spesso anche gli insediamenti urbani sono lambiti dalle fiamme e l’incolumità delle persone messa in pericolo. Ma non solo, gli incendi appiccati nella stagione estiva e in zone di alto pregio turistico, come Parchi e Riserve, arrecano gravi danni all’economia dell’Isola e ne ledono l’immagine, anche all’estero.

Una situazione intollerabile contro cui varie associazioni ambientaliste e liberi cittadini hanno deciso già quattro anni fa di lanciare una vasta campagna di denuncia e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, culminate con la Marcia dello Zingaro del 25 agosto 2017 e la stesura di un dettagliato dossier sull’inefficienza della politica forestale siciliana, consegnato alla Procura di Trapani nel dicembre dello stesso anno. A distanza di quasi quattro anni, a seguito dei devastanti incendi di quest’estate, quel gruppo di associazioni si è allargato fino a diventare l’attuale Coordinamento Regionale Salviamo i Boschi. Una rete che comprende 40 sigle di associazioni provenienti da varie province della Sicilia con storie diverse alle spalle, ma tutte unite dalla convinzione che non c’è più tempo da perdere: l’emergenza incendi deve diventare una priorità nell’agenda della politica regionale,così come l’intera questione ambientale. Per dare forza alle proprie richieste il Coordinamento ha lanciato una petizione su Change. Org che, ha raggiunto circa 45.000 firme.

“Quelle richieste, insieme ad altre che abbiamo formulato in seguito, approfondendo il tema e confrontandoci con esperti in materia, fanno parte di un documento che abbiamo inviato al Presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci. Siamo consapevoli – scrivono – che il problema è complesso e di non facile soluzione, ma siamo anche convinti che finora non ci sia stata nessuna reale volontà politica di affrontarlo, a partire da una seria riforma del Corpo Forestale, di cui si parla da anni e che ancora non riesce a venire alla luce”. Non c’è più tempo da perdere, in pratica. Dimostrano, studi e dati alla mano, che gli incendi sono dovuti a varie cause: interessi economici, incuria, ritorsioni personali o politiche, negligenze, distrazioni, piromania.

Tra i fattori principali c’è l’abbandono dei boschi privati e la loro espansione nelle aree marginali ex-agricole che forniscono grande quantità di legna combustibile a disposizione dei malintenzionati. Altro fattore fortemente predisponente sono i cambiamenti climatici in corso, che hanno aggravato i tradizionali problemi derivanti dalle alte temperature estive, dalle molte giornate di scirocco e dalla siccità prolungata. “Il dato preoccupante, che viene evidenziato anche dal Piano AIB 2015 e confermato dalla relazione annuale di Greenpeace 2020, è che tre incendi su quattro hanno origine dolosa. L’accertamento delle motivazioni precise è un lavoro non facile e che compete ai nuclei investigativi della Forestale e alla Magistratura, quello che emerge con chiarezza e che qui interessa sottolineare è che la causa principale del propagarsi degli incendi è l’insufficiente opera di prevenzione”. Mancano i piani di gestione o assestamento forestale che, in ogni bosco, potrebbero guidarne la pulizia, il presidio e la polifunzionalità.

“Lo stesso piano AIB regionale è stato aggiornato con forte ritardo rispetto ai tempi e rimane comunque in buona parte inattuato. Inoltre per ritardi dovuti all’approvazione del bilancio in sede regionale, i lavori di pulizia e sistemazione delle strisce taglia fuoco,invece di concludersi a metà giugno, come previsto per legge, iniziano quasi sempre a lugliorisultando oltremodo tardivi e pressoché inutili”. La situazione sarebbe aggravata anche dalla forte riduzione numerica delle guardie del Corpo forestale regionale (sono appena 500 in tutta l’Isola di cui 350 effettivamente sul campo) e dal mancato turn over del personale qualificato che guidava i lavori di prevenzione; inoltre l’età avanzata e la quasi totale precarietà del personale operaio ostacolano la buona gestione del bosco. Lo stesso dicasi per il personale addetto allo spegnimento (AIB), ormai in buona parte in età avanzata (età media 56 anni) e fisicamente non adatto al ruolo.

“Inoltre il controllo del territorio da parte del Corpo Forestale e delle Forze dell’Ordine è carente – sottolineano nella lunga e dettagliata lettera inviata a Musumeci – e nelle giornate a maggior rischio incendi non viene garantita la necessaria vigilanza delle vie d’accesso alle aree boschive. In alcuni casi manca anche il dovuto coordinamento tra Vigili del Fuoco, Protezione civile e Forestale durante le operazioni di spegnimento. Perdurando queste condizioni il problema degli incendi in Sicilia è destinato ad aggravarsi ulteriormente e a cronicizzarsi”. Alla luce di tutte queste considerazioni il “coordinamento Salviamo i boschi – Sicilia” sollecita l’applicazione di specifiche misure contro gli incendi boschivi a partire dalla riforma del settore privilegiando la pianificazione forestale regionale (il PFR) e rendendo obbligatori, per superfici superiori a 30 ettari, i Piani di gestione e assestamento forestale (PGAF).

Sono venti, complessivamente i punti che sottopongono con urgenza all’attenzione dell’Amministrazione regionale: dall’individuazione di eventuali negligenze e omissioni di dirigenti ed operatori forestali nell’applicazione delle norme di prevenzione, alla gestione pubblica dei canadair. E, in mezzo, tutta una seria di proposte come rendere obbligatoria da parte dei Comuni la redazione del Catasto degli Incendi e il perfezionamento del coordinamento tra le varie strutture, Corpi e Associazioni preposte alle operazioni di spegnimento degli incendi.

“Secondo i nostri calcoli – affermano – tra il 29 e il 31 agosto 2020 oltre a 2.198 ettari di aree boscate e 1.922 ettari di aree vegetazionali, sono andati in fumo almeno 700.700 euro per le operazioni di spegnimento aereo (i.e. 1300 euro x 539 lanci da Canadair, senza contare quelli da elicottero). Una spesa inammissibile che, per di più, non ha evitato la distruzione della Riserva dello Zingaro e del Bosco della Moarda, per citare solo due dei più famosi incendi (37) di quel terribile fine settimana”. La lettera a Musumeci è stata inviata lo scorso 9 marzo. Oltre ai punti riguardanti l’operatività e la prevenzione, le 42 associazioni che fanno parte del coordinamento, chiedono anche che venga prontamente istituita una Commissione di Inchiesta Regionale che si occupi, specificatamente, del problema degli incendi, in quanto atto terroristico contro il patrimonio collettivo e la salute dei cittadini, e che si faccia promotrice di indagini rigorose in grado di individuare esecutori materiali e mandanti e smascherare gli interessi che ruotano attorno agli incendi ed eventuali connivenze politiche.

Fonte: LiveSicilia