giovedì 23 dicembre 2021

Superbonus 110% senza tetto Isee per le villette. Lavori, 30% entro giugno. - Marco Mobili e Marco Rogari

 

Vale anche se l’immobile da riqualificare energeticamente o da mettere in sicurezza antisismica è un vecchio rudere o una villetta al mare, in campagna o in montagna.

I proprietari di unità immobiliari unifamiliari tirano un sospiro di sollievo. Per tutto il 2022 potranno accedere al superbonus del 110% senza dover sottostare ai tanti vincoli inseriti dal governo nel disegno di legge di bilancio. E questo anche se l’immobile da riqualificare energeticamente o da mettere in sicurezza antisismica è un vecchio rudere o una villetta al mare, in campagna o in montagna.

Non tutti i dubbi di operatori e contribuenti vengono però risolti dal nuovo emendamento riformulato dai relatori al disegno di legge di bilancio Daniele Pesco (M5S), Vasco Errani (Leu) ed Erica Rivolta (Lega), approvato dalla Commissione Bilancio del Senato. Dal destino del bonus facciate a quello dei ritocchi al decreto anti frodi i nodi da sciogliere sono ancora molti.

Anche se la versione finale del correttivo si è fatta attendere, e malgrado maggioranza e fonti di governo abbiano comunque continuato a parlare di accordo chiuso, vediamo in sintesi le novità in arrivo e le questioni rimaste aperte.

Salta il tetto Isee la prima casa.

L’accordo raggiunto al Mef tra maggioranza e governo sulle modifiche da apportare per allentare la stretta sul Superbonus prevede non solo l’eliminazione del tetto reddituale e patrimoniale dell’Isee a 25mila euro, ma anche la cancellazione dell’obbligo di dover effettuare i lavori agevolati con il 110% se la villetta è adibita ad abitazione principale.

Lavori al 30% entro giugno.

Tra le altre novità in arrivo per le villette ammesse alla proroga del 110% per tutto il 2022 anche l’eliminazione dell’obbligo della Certificazione di inizio lavori asseverata (Cila) e soprattutto la riduzione dal 60% al 30% dei lavori già realizzati alla data del 30 giugno.

Proroghe sfalsate tra bonus.

La proroga al 2022 dovrebbe riguardare anche l’installazione dei pannelli solari, così come dovrebbero riallinearsi le proroghe tra il 110% e i cosiddetti bonus edilizi trainati dai lavori agevolati con il Superbonus.

Bonus facciate in lista d’attesa.

Molto attese da condomini e imprese anche le possibili modifiche al bonus facciate. Il Governo ne ha previsto la proroga per il 2022 ma ha ridotto dal 90% al 60% la percentuale della detrazione spettante. L’idea della maggioranza era quella di una proroga di 6 mesi fino a giugno con aliquota al 90%, ma l’alto costo del nuovo differimento, salvo ripensamenti notturni, ha bloccato la proposta.

Misure anti frode in dubbio.

In salita anche i possibili correttivi sul decreto anti frodi. La richiesta di escludere dall’asseverazione gli interventi di piccola entità (si era ipotizzato fino a 20mila euro) sarebbe stata bloccata dal Mef per possibili elusioni della norme con un semplice frazionamento degli importi legati agli interventi ammessi alle agevolazioni.

Raddoppia il bonus mobili.

Il bonus mobili raddoppia ma solo nel 2022. Con un altro emendamento riformulato secondo gli accordi tra maggioranza e governo e approvato dalla commissione Bilancio di Palazzo Madama il tetto di spesa in base al quale è calcolata la detrazione del 50% per il bonus sugli arredi sale da 5mila a 10mila euro. Resta invece la soglia di 5.000 euro per il 2023 e il 2024. Il bonus, che per il solo anno 2021 è stato di 16mila euro, riguarda la spesa per gli acquisti di mobili o elettrodomestici destinati all’arredo di immobili sui quali il contribuente ha effettuato lavori di ristrutturazione.

Bonus idrico prorogato al 2023.

Anche se fuori dai bonus edilizi va evidenziata l’estensione al 31 dicembre 2023 dell’agevolazione per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio dell’acqua. Il credito d’imposta del 50%, previsto dalla legge di bilancio 2021, è finalizzato a razionalizzare l’uso dell’acqua e ridurre il consumo di contenitori di plastica.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/superbonus-110percento-senza-tetto-isee-le-villette-lavori-30percento-entro-giugno-AE3bCp3?s=hpf

Quirinale, Draghi si autocandida presidente. Ma l’aut aut fa arrabbiare i partiti. - Wanda Marra

 

SEGNALE DIRITTO - L'ex Mr. Bce si sbilancia durante la conferenza di fine anno. “Ricatto” alla maggioranza: la strada è tutta in salita.

Tra un applauso della stampa ancora prima che inizi a parlare e una quasi ovazione alla fine, Mario Draghi mette sul tavolo la propria candidatura al Quirinale nella conferenza stampa di fine anno. Con un linguaggio chiaro, ma sufficientemente elusivo da non essere diretto. “Abbiamo reso l’Italia uno dei Paesi più vaccinati del mondo, abbiamo consegnato in tempo il Pnrr e raggiunto i 51 obiettivi”. Dunque, l’operato del governo può continuare “indipendentemente da chi ci sarà”. La risposta chiave arriva alla prima domanda, il premier si mette in campo. Il segnale arriva più diritto rispetto alle previsioni. Non ha aspettato di farsi ulteriormente logorare dai partiti, Draghi, e neanche ha atteso il ritiro di Silvio Berlusconi. Ha lasciato dire a Sergio Mattarella il suo ennesimo “no” al bis. E poi ha voluto chiarire di persona quello che da Palazzo Chigi raccontavano ormai da settimane: “È immaginabile una maggioranza che si spacchi sulla elezione del presidente della Repubblica e si ricomponga nel sostegno al governo? È la domanda che dobbiamo farci”.

Di fatto, di rimanere a Palazzo Chigi con un altro presidente non ha alcuna intenzione. Forza fino a dove può Draghi, sapendo che i partiti a questo punto lo soffrono. Per questo ha giocato di anticipo, per questo non ha esitato a dettare le sue condizioni: se lo vogliono, il suo ruolo sarà un altro. Sa bene che non sarà facile dire di no a quello che suona come un aut aut. Delinea pure un percorso e una road map il premier. L’elezione dovrà avvenire con una maggioranza se possibile ancora più ampia di quella attuale. Il messaggio è per Giorgia Meloni, che però lo accusa a caldo di “autocelebrarsi”. Nelle intenzioni del premier, la legislatura deve andare avanti. Esattamente quello che la Meloni non vuole. Però ci tiene a restituire al Parlamento il suo ruolo, il premier: la responsabilità è “nelle mani delle forze politiche”. Si tratti di vita del governo o di voto per il Colle. Ma poi si definisce “un nonno al servizio delle istituzioni”. Anche questo, un messaggio chiarissimo, che evoca presidenti come Sandro Pertini e Sergio Mattarella. Si dà anche un profilo da presidente: non “notaio”, ma “garante”, come il suo precedessore. Di certo è l’attuale presidente della Repubblica “il modello” a cui guardare per come ha affrontato “momenti difficilissimi nel settennato con dolcezza e fermezza, lucidità e saggezza”. Senza travalicare il “governo parlamentare” previsto in Costituzione. Da una parte vuole assicurare che non ci sarà un presidenzialismo di fatto, dall’altra è già pronto a supplire alle carenze della politica. Verso la quale riesce a essere pure quasi sprezzante. “Il mio successore? Lo chieda ai partiti”. I partiti sono tutt’altro che entusiasti. “Non ha i voti, non ce la fa”, è il commento che si sente di più. E se Silvio Berlusconi non si ritira e chiede che il premier resti a Palazzo Chigi, Matteo Salvini, mentre si esprime perché il premier resti dov’è e annuncia nomi per i prossimi giorni, gli chiede un incontro.

La partita è aperta. Con Forza Italia e la Lega divise, così come sono divisi Pd e M5S. Renzi è indeciso: con il premier in campo non può lavorare per un’altra candidatura, ma appoggiarlo potrebbe far naufragare il suo desiderio di fare da ago della bilancia. Potrebbe, visto che in realtà i margini per guidare il processo esistono. Fonti M5S, a caldo, fanno trapelare la “necessità” della “continuità dell’azione di governo”. Una locuzione che ha usato lo stesso premier, ma che fa capire anche il disappunto. In corso di giornata, infatti, il M5S rafforza la tesi che Draghi debba rimanere dov’è. Dal Nazareno sono più aperti. Si schierano per la tutela di Draghi e mettono l’accento sul fatto che l’importante è che la soluzione Colle e la soluzione governo vengano prese insieme. Un punto dolente. Draghi, per ora, lo ha detto chiaro e tondo: sta ai partiti trovare la soluzione. Un modo anche per inchiodarli alle loro responsabilità. E per precostituirsi la via d’uscita di fronte al caos. Ma anche per trovarla lui la soluzione, ove evidentemente mancasse.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/23/quirinale-draghi-si-autocandida-presidente-ma-laut-aut-fa-arrabbiare-i-partiti/6435350/

Draghi si celebra: ecco cosa torna e cosa no. - Nicola Borzi, Calro Di Foggia, Alessandro Mantovani

 

LA CONFERENZA DI FINE ANNO - Le risposte alle 44 domande: dagli aiuti fiscali ai ricchi alle scelte della campagna vaccinale fino al Pil. Abbiamo verificato quel che c'è di vero e di falso nelle uscite più rilevanti.

Nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, Mario Draghi ha risposto a 44 domande, toccando moltissimi temi, dai vaccini alla manovra all’economia. Il senso, in sintesi, è che il grosso del lavoro è stato fatto, e bene, e può continuare anche senza di lui (il famoso “pilota automatico” sulle riforme di cui parlò dopo le Politiche del 2013). Verificarle tutte è impossibile, ecco però una breve e inesaustiva analisi di quelle più rilevanti.

Taglio delle tasse.

Draghi: “I principali beneficiari della riforma fiscale sono i lavoratori e pensionati a reddito medio-basso. In termini percentuali i maggiori benefici uniti al taglio contributi per il 2022 si concentrano sui lavoratori con 15 mila euro di reddito e se si considerano gli effetti dell’assegno unico dei figli, a beneficiare della riduzione fiscale saranno soprattutto le famiglie a basso reddito

Usare il valore “percentuale” è fuorviante, come pure mischiare tutte le varie misure. Il taglio Irpef premia in valore assoluto i redditi tra i 42 mila e 54 mila euro (765 euro), il 3,3% del totale (a cui va il 14,1% delle risorse). Addirittura 270 euro in media vanno ai redditi sopra i 75 mila euro (l’1,1% più ricco). Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, se si considerano i nuclei familiari: il 20% più povero è escluso per motivi di incapienza fiscale, il 50% di quelli in condizione economica meno favorevole prende un quarto delle risorse mentre il 10% più ricco più di un quinto delle risorse. La decontribuzione poi vale solo per il 2022, mentre il taglio Irpef è permanente. Sull’assegno unico, inoltre, stimarne l’entità è difficile perché dipende dall’Isee.

Spread e crescita.

Draghi: “Se lo spread è più alto di quando sono arrivato vuol dire che io non sono uno scudo. Se si continua a crescere la preoccupazione diventa minore, i mercati guardano alla crescita prima di tutto, che non era così dagli Anni 60”.

Il premier giustamente ricorda che lo spread dipende da fattori che non si possono ridurre al capo del governo. Ad ogni modo, negli Anni 60 la crescita seguiva ad anni di crescita, mentre il +6,3% del Pil previsto per il 2021 segue il -8,9% del 2020: è soprattutto un rimbalzo e, peraltro, sia nel 73 che nel 76 è stata più alta (6,7% e 6,6%).

Superbonus.

Draghi: “Il governo non voleva estendere il Superbonus perché ha creato distorsioni. La prima è un aumento straordinario dei prezzi delle componenti che servono a fare le ristrutturazioni. (…) Chiaro che le emissioni vanno giù, ma non così tanto per assorbire questo aumento di prezzo. È la logica del 110% che in un certo senso non rende più la contrattazione di un prezzo rilevante. Secondo: ha incentivato le frodi. Questa mattina l’Agenzia delle Entrate ha bloccato 4 miliardi di crediti come cedibili”.

È vero che uno sconto fiscale così alto disincentiva l’interesse a ridurre i costi perché paga lo Stato, non è chiaro però se Draghi depuri dall’effetto del fortissimo rialzo dei prezzi che da un anno riguarda le materie prime. Sull’effetto di riduzione delle emissione: è vero che a fronte di una spesa oltre 10 miliardi finora i lavori riguardano assai meno dell’1% di abitazioni e condomini. Sui 4 miliardi di frodi: la cifra è corretta, ma riguarda tutti i bonus edilizi.

Camere esautorate.

Draghi: “È indubbio che ci sia un affanno finale sulla discussione e approvazione della manovra, ma questo non è senza precedenti. È successo tantissime volte. La manovra è stata accompagnata da un lunghissimo confronto politico.

Come noto, comprimere la discussione parlamentare sulla legge più importante dell’anno non è una novità ma ormai prassi (illegale) da anni. Il Parlamento però ha espresso il suo primo voto sulla manovra 2022 in commissione Bilancio al Senato nella notte tra lunedì e martedì. Questo è un record, e racconta di una procedura largamente extraparlamentare. Il ddl Bilancio sarà approvato al Senato il 24 e dalla Camera tra il 28 e il 31 senza discussione (un monocameralismo di fatto). È il terzo anno di fila che si arriva al via libera tra Natale e Capodanno, ma non era mai successo che si iniziasse a votare così tardi.

Pnrr.

Draghi: “ Abbiamo consegnato in tempo il Pnrr e abbiamo raggiunto i 51 obiettivi del 2021.

È senz’altro vero, ma avremmo preferito avere a disposizione la relazione semestrale sul Pnrr che permette di verificare questo dato. È prevista ogni 6 mesi, ma sarà approvata solo oggi.

Chi vaccina e chi no.

Draghi: “Il 13 febbraio l’Italia era l’ultimo tra i grandi Paesi Ue per la somministrazione di prime dosi. Oggi circa l’80% della popolazione ha ricevuto almeno una dose, una proporzione più alta di Gran Bretagna Francia e Germania.

È tutto vero, però così sembra che fino al 13 febbraio, giorno del giuramento di Draghi, nessuno o quasi si fosse vaccinato. La campagna vaccinale comincia il 27 dicembre 2020 sotto il Conte 2, compatibilmente con qualche ritardo nelle consegne da parte dei produttori che penalizza il nostro Paese più di altri: tra il 6 e il 19 gennaio l’Italia fa anche meglio di Francia, Germania e Spagna quanto alle prime dosi in percentuale sulla popolazione, poi viene superata ma il 13 febbraio siamo tutti fra il 3,6 (Francia) e il 2,9% (Italia) almeno secondo ourworldindata.org/covid-vaccinations. La Gran Bretagna, fuori dall’Ue è già molto più avanti (21%). Solo il 1° marzo Draghi nomina Figliuolo che si insedia dopo una decina di giorni: il 13 marzo Figliuolo presenta un nuovo piano e quel giorno gli italiani che hanno avuto la prima dose sono l’8%, un dato sotto quello della Spagna (8,4%) ma sopra quelli di Francia (7,9%) e Germania (7,8%). Un mese dopo, il 13 aprile, con il generale al comando è al 16%, gli altri tre grandi Paesi al 17% e così per diverse settimane. Nei mesi seguenti l’Italia vaccina più di Francia e Germania e anche Gran Bretagna, probabilmente pure per l’effetto del Green pass (ma le 500 mila dosi al giorno annunciate per la seconda metà di aprile sono arrivate solo per due giorni, il 29 e il 30, ai primi di maggio eravamo di nuovo a 400 mila, soprattutto per la carenza di dosi). Se poi Figliuolo non avesse promesso l’immunità di gregge a settembre, sarebbe andata pure meglio per la credibilità delle istituzioni.

Comunicazioni sbagliate.

La comunicazione sul Green pass e sul Super Green pass si è sviluppata in base alle conoscenze ottenute fino a quel momento (…) Si è scoperto che la seconda dose declina più rapidamente di quanto si pensasse all’inizio.

Qualche volta invece le conoscenze sono state piegate alla propaganda. È il caso della conferenza stampa del 22 luglio in cui Draghi annuncia il Green pass dal 6 agosto per i ristoranti e i bar al chiuso: “L’estate è già serena e vogliamo che rimanga tale. Il Gp è una misura con i quali i cittadini possono continuare a svolgere attività con la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose”. E questo non è vero, il vaccino riduce in misura variabile la possibilità di contagiarsi e contagiare ma la garanzia è un’altra cosa, i vaccini non sono sterilizzanti: si sa da prima ancora che fossero approvati. A luglio Israele già lavorava per la terza dose, ma per non allarmare chi doveva fare la prima il governo ne ha parlato solo a settembre.

Stato di emergenza.

Draghi: “Lo stato di emergenza come stato di rassegnazione? No, come atto di necessità. Con i dati di inizio ottobre si poteva cominciare a ragionare di non prorogare tutto il contesto legato allo stato di emergenza ma di valutare misura per misura. L’evoluzione dei dati ha dimostrato che non valeva la pena farlo e che tutto il blocco sanitario e normativo andava prorogato.

I dati di inizio ottobre facevano ben sperare, tanto che il ministro Renato Brunetta ha disposto la fine dello smartworking per il pubblico impiego dal 1° novembre. Però a fine novembre gli anestesisti hanno lanciato i primi allarmi su quello che sarebbe accaduto nelle terapie intensive di lì a un mese e i dati dell’Istituto superiore di sanità, con l’indice di riproduzione del virus Rt ben oltre l’1,2, consentivano di prevedere quello che oggi tutti i giornali scrivono: alcune Regioni, Veneto e Liguria ma non solo, rischiano la zona arancione ai primi di gennaio. Il Fatto l’ha scritto il 4 dicembre in base alle tabelle previsionali dell’Iss. Da allora c’era tutto il tempo per costruire una cornice legale per conservare il commissariato straordinario e quanto necessario per gestire questa fase senza l’ennesima proroga dello stato di emergenza oltre il limite di due anni stabilito dalla legge quadro sulla Protezione civile.

Terapie intensive.

Draghi: “Per ora non parliamo di lockdown per i non vaccinati ma ogni risposta è sul tavolo, faccio però presente che i due terzi delle terapie intensive sono occupate da non vaccinati”.

È vero. Nell’ultimo rapporto dell’Iss (17 dicembre) si legge che tra il 29 ottobre e il 28 novembre sono stati ricoverati in terapia intensiva 747 non vaccinati, 21 vaccinati con una dose, 174 con due dosi fatte meno di 150 giorni prima, 220 con due ma fatte da oltre 150 giorni e 12 con tre dosi, per un totale di 427 che è poco più di un terzo dei 1.174 totali. Calcolati in proporzione, tenendo conto che i vaccinati sono molto di più, l’Iss stima che il rischio relativo di andare in terapia intensiva è 10,6 superiore per un non vaccinato rispetto a un vaccinato da più di 150 giorni, di oltre 17 volte rispetto a un vaccinato da meno di 150 giorni o a chi ha fatto tre dosi.

Generosità e brevetti.

Draghi: “La Ue ha fatto più di tutti in termini di donazione di vaccini, gli Usa hanno fatto promesse gigantesche ma consegne molto più limitate di quelle europee. Sui brevetti per i vaccini la Commissione europea ha presentato una proposta al Wto per permettere una deroga temporanea, gli Usa si oppongono”.

In realtà il 28 ottobre, alla vigilia del G20 ospitato da Roma, le Ong Oxfam, Emergency e Amnesty hanno criticato i Paesi ricchi per aver donato solo 261 milioni di dosi a quelli poveri, a fronte di promesse per 1,8 miliardi. Secondo gli ultimi dati, l’Italia ha inviato 8,2 milioni di dosi su 35,7 donate e ne ha 1,1 milioni annunciate ma non ancora donate. Gli Usa ne hanno promesse 857,5 milioni, 664,1 non ancora donate e 140,3 milioni già inviate, mentre la Ue, a fronte di promesse per 451,5 milioni di dosi, ne ha spedite appena 57,8 e 153,2 milioni non ancora donate. Quanto ai brevetti, sono stati gli Usa ad aprire per primi alle sospensioni. Il 30 novembre la Ue, che è contraria alla sospensione generale dei brevetti su scala globale, si è detta pronta a superare la sua posizione “per ottenere il consenso su una rinuncia che abbia senso e che aumenterà la produzione”. “La sospensione dei brevetti fa parte del contributo che possiamo fornire, ma in modo molto mirato per non minare il valore del sistema di proprietà intellettuale. Se dovessimo avere un tipo di deroga molto ampio, tutti questi elementi verrebbero interrotti e questo non sarebbe affatto utile per il nostro obiettivo che è aumentare la produzione di vaccini. E aumentare gli investimenti per produrre vaccini nei Paesi in via di sviluppo”, ha detto un funzionario della Ue. All’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) sono in corso negoziati su una deroga mirata. Se si raggiunge un accordo, un Paese che voglia autorizzare un’azienda a produrre vaccini dovrà essere immediatamente in grado di farlo “senza temere un contenzioso da parte dei titolari del brevetto” a condizione che i vaccini siano prodotti al costo industriale e non a scopo di lucro. Oxfam contesta un sistema di licenze obbligatorie paese per paese, complesso, lento e legalmente difficile, ma aziende e Paesi produttori sono preoccupati di avvantaggiare Cina o India nell’usare la tecnologia a proprio vantaggio. Fonti Ue si dicono “molto deluse” dalla mancanza di input da parte degli Usa alla Wto, visto l’impegno preso da Biden.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/23/draghi-si-celebra-ecco-cosa-torna-e-cosa-no/6435364/

Coitus interruptus. - Marco Travaglio

 

Ora che il “nonno delle istituzioni” vuole traslocare da Palazzo Chigi al Quirinale e finalmente ce lo fa sapere, il pensiero corre commosso e deferente alle cheerleader e groupies – volgarmente dette “giornalisti” e “politici” – che da febbraio ci rompono timpani e scatole con “SuperMario fino al 2023”, “Lista Draghi alle elezioni”, “Agenda Draghi fino al 2028”, “Ma che dico 2028: a vita!”, e poi i mercati, lo spread, il Pil, l’Economist, l’Europa, l’America, l’Oceania lo vogliono tutti lì a salvarci in saecula saeculorum. Ora l’oggetto dei loro ardori, “cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare”, interrompe bruscamente i loro orgasmi: lui o un altro fa lo stesso, uno vale uno, contano i partiti (ma non erano falliti?) e il Parlamento (costretto a votare il Bilancio fra Natale e S. Stefano). Da oggi cominceranno a dire che Draghi deve lasciare il governo con la stessa perentorietà con cui fino a ieri dicevano che non doveva muoversi sennò morivamo tutti e niente più soldi Ue. Stiamo parlando di “giornalisti” che fanno la standing ovation come nemmeno i nordcoreani con Ciccio Kim e si felicitano per la trovata del “nonno” (un anno fa per molto meno strillavano alla “casalinata”); e di “politici” che gli votano le leggi senza leggerle, figurarsi se non lo eleggono al Colle. O se si accorgono che racconta frottole sulla nuova Irpef (penalizza i più poveri), sui vaccini dei Migliori (si stava meglio coi Peggiori), sul Superbonus (le truffe non le fanno le leggi, ma i truffatori), sull’evasione (vedi condono), sulla sua indifferenza alle ambizioni personali (e allora perché molla con 150 morti al giorno?), sulla maggioranza che deve restare unita per votare il capo dello Stato, cioè lui, sennò addio governo (ma il governo cade proprio perché lui vuol fare il capo dello Stato).

Sapevamo – e scrivevamo – fin dall’inizio che questa ammucchiata avrebbe fatto poco e sarebbe durata pochissimo, quindi non saremo noi a piangerne la dipartita. Ma vorremmo sapere come va a finire. Il nonno dice che o va al Quirinale o torna a casa. Quindi, nel suo nome, si apre la seconda crisi in dieci mesi in piena pandemia e si fa un altro governo con un premier a scelta fra tre ectoplasmi di cui a stento si riconosce la voce: Franco, Cartabia e Colao. Sicuro che siano in grado di tenere a bada l’Armata Brancaleone nell’ultimo anno di legislatura, cioè di campagna elettorale? O qualcuno non si sfilerà, tipo la Lega, lasciando i sadomasochisti M5S e Pd a donare altro sangue? O si vota in anticipo, in barba al dogma dell’Italia che non può votare causa Covid&Pnrr? O i partiti, in un sussulto di dignità, impallinano il nonno e lo mandano ai giardinetti?

Ps. B. intanto si porta avanti: ieri è diventato bisnonno.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/23/coitus-interruptus/6435348/

mercoledì 22 dicembre 2021

Mente sapendo di smentire. - Marco Travaglio

 

La notizia più esilarante fra quelle, già spassosissime, sulla corsa al Quirinale è che c’è ancora qualcuno che parla con Zerovirgola. Memori delle rocciose prove di affidabilità fornite nei suoi primi e ultimi 10 anni di carriera politica, diversi leader o presunti tali di destra, di centro e di sinistra trattano con lui sul futuro capo dello Stato che, ça va sans dire, dev’essere “condiviso”. Con chi? Ma con lui. Il fatto che lo Statista di Rignano non abbia mai mantenuto la parola data in vita sua, è un dettaglio trascurabile, in una classe politica affetta da una coazione a ripetere a livelli sadomaso. Stiamo parlando di uno che si fece eleggere segretario del Pd col programma di Grillo e poi realizzò il programma di B.. Uno che giurò fedeltà al governo Letta e poi lo rovesciò nello spazio di un mattino, anzi di untweet (“Enricostaisereno”). Uno che promise a Gratteri il ministero della Giustizia e poi ci piazzò Orlando. Uno che fece il Patto del Nazareno con B. impegnandosi a condividere il successore di Napolitano e poi si elesse da solo Mattarella, mentre l’altro che sperava in Amato restò con un palmo di naso, anzi di nano. Uno che giurò di ritirarsi per sempre dalla politica se avesse perso il referendum, poi lo straperse ed è ancora lì (anche se, coerentemente, si occupa soprattutto di affari). Uno che trattò con Di Maio per il governo 5Stelle-Pd, poi andò da Fazio e disse che non ci pensava proprio. Uno che un anno dopo propose il governo 5Stelle-Pd contro Salvini e, appena nacque il Conte-2, si scisse dal Pd per farsi un partito dopo aver detto peste e corna di tutte le scissioni, e prese a trescare con Salvini per buttar giù Conte e riportare su Salvini, fallendo solo a causa del Covid.

Ci riuscì 14 mesi dopo, mentre fingeva di trattare sul Conte-3, poi prese a dire che il governo Draghi l’aveva inventato lui (per la gioia di Draghi, immaginiamo): come uno che scassa la sua macchina e poi si vanta perché arriva lo sfasciacarrozze o un piromane che incendia il suo palazzo e poi si pavoneggia per l’intervento dei pompieri. Uno che chiedeva a tutti i politici di esibire il loro estratto conto perché chi sta in Parlamento non deve fare affari, poi corse a incassare da Bin Salman e si mise a piagnucolare perché i pm rovistavano nel suo conto corrente e i giornali ne parlavano. È per questo pedigree che l’altro Matteo, la cui affidabilità è quasi altrettanto proverbiale, tratta con lui sul Colle. E lo fa pure quel gran genio di Miccichè: “Renzi mi ha detto che voterà Berlusconi”. L’altro ovviamente l’ha negato. Ora, visti i precedenti, non si sa se abbia mentito quando gliel’ha detto o quando l’ha smentito. Ma è probabile che, violando pure il principio di non contraddizione, abbia mentito sia la prima sia la seconda volta.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/22/mente-sapendo-di-smentire/6434211/

Senato, la proposta contro i transfughi: chi cambia casacca perde rimborsi e incarichi e finisce nel gruppo dei “non iscritti”.

 

Il testo base per la riforma del Regolamento del Senato, necessaria in vista del taglio dei parlamentari, è stato discusso nella seduta di Giunta del 21 dicembre. Accogliere transfughi, per i gruppi, non sarà più conveniente dal punto di vista economico: non ci sarà alcun rimborso aggiuntivo. Il numero delle Commissioni permanenti di riduce da 14 a 10, ma si "salva" quella per le Politiche europee di cui si ipotizzava l'accorpamento.

Taglio dei rimborsi e perdita degli incarichi per scoraggiare i cambi di casacca, con i fuoriusciti dai vari gruppi che non potranno iscriversi al Misto approderanno a un “gruppo dei non iscritti” con meno fondi e meno prerogative, ispirato a quello che esiste all’Europarlamento. E la riduzione da 14 a 10, mediante accorpamento, del numero delle Commissioni permanenti. Sono i contenuti del testo base per la riforma del Regolamento del Senato, necessaria in vista del taglio degli scranni (da 315 a 200) che entrerà in vigore dalla prossima legislatura. La proposta, elaborata da un Comitato ristretto con i rappresentanti di tutti i partiti è stata discussa dall’apposita Giunta nella seduta del 21 dicembre, in vista di un’approvazione a cui la presidente dell’assemblea, Elisabetta Casellati, vuol arrivare entro gennaio. I relatori sono il leghista Roberto Calderoli e il grillino Vincenzo Santangelo, che nei mesi scorsi avevano presentato ciascuno un proprio testo, mentre un terzo porta la firma di Gianluca Perilli (M5S).

Se il testo base (che unifica le tre proposte) diventerà realtà, accogliere transfughi per i gruppi parlamentari non sarà più conveniente, almeno dal punto di vista economico: “Nel caso in cui un senatore entri a far parte di un gruppo parlamentare diverso” da quello dichiarato a inizio legislatura, “al gruppo di destinazione non è riconosciuto alcun contributo aggiuntivo“, si legge nella proposta Perilli. Inoltre, a chi cambia gruppo sarà applicata una decurtazione dell’ammontare dei rimborsi riconosciuti per le spese per l’esercizio del mandato, definita sulla base delle deliberazioni adottate dal consiglio di Presidenza: a quanto riporta Repubblica, il rimborso per chi approda ai “non iscritti” sarà ridotto a 4.090 euro al mese, mentre chi cambia gruppo lo vedrà sparire del tutto.

All’interno dei “non iscritti” potranno formare componenti autonome (di almeno tre senatori) soltanto i partiti o i movimenti che hanno eletto almeno un parlamentare alle ultime elezioni politiche. Nel testo unificato si prevede che il passaggio da un gruppo a un altro faccia decadere qualunque incarico parlamentare (presidente o vicepresidente di commissione, segretario, questore) a cui si è stati eletti. La proposta Santangelo, invece, avrebbe voluto sostituire tout court al gruppo Misto quello dei non iscritti. Infine, le commissioni: da 14 scenderanno a 10 (e non a 7 come prevede la proposta Perilli): si dovrebbe “salvare”, come voleva Calderoli, quella per le Politiche europee, che rimarrà autonoma e non sarà accorpata alla Commissione Finanze (come nel testo Santangelo) o a quelle Esteri e Difesa (come nel testo Perilli). “Mi sembra un saggia decisione in sintonia con il quadro europeo e con le decisioni assunte dagli altri Paesi”, commenta il presidente Dario Stefano (Pd).

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/12/21/senato-la-proposta-contro-i-transfughi-chi-cambia-gruppo-perde-rimborsi-e-incarichi-e-il-misto-diventa-non-iscritti-come-a-bruxelles/6433637/

Lo Voi, chi è il magistrato in pole per la procura di Roma: la nomina a Palermo (dopo lettera del Colle) e il sostegno trasversale per la Capitale. - Giuseppe Pipitone

 

Chi è il magistrato che il plenum nominerà al vertice dell'ufficio inquirente capitolino. Silenzioso e affidabile, avveduto e felpato, moderato ed equilibrista, il procuratore siciliano è sempre stato capace di raccogliere un gradimento bipartisan: negli anni è stato apprezzato da Giorgio Napolitano (che nel 2014 intervenne su Palazzo dei Marescialli, agevolandone la nomina a Palermo) a Silvio Berlusconi, che lo indicò come membro italiano a Eurojust. Più complesso il rapporto con Salvini, che ha fatto rinviare a giudizio per il caso Open Arms: i due furono fotografati insieme mentre si salutano a una cena romana.

Per Francesco Lo Voi il 22 dicembre rischia di essere un giorno magico. Un Natale anticipato da festeggiare ogni anno. E non solo perché è in questa data che il plenum del Consiglio superiore della magistratura formalizzerà la sua nomina al vertice della procura di Roma, salvo colpi di scena. Nel 2014 Giorgio Napolitano scelse proprio il 22 dicembre per firmare decreto di possesso anticipato che aveva consentito a Lo Voi d’insediarsi a tempo record al vertice della procura di Palermo: una scelta che all’epoca qualcuno interpretò come un modo per sopire sul nascere le polemiche su un’elezione contestata. Sette anni dopo pure la vittoria di Lo Voi nella corsa alla guida della procura di Roma è tutt’altro che estranea alle lotte intestine interne al mondo delle toghe. La successione di Giuseppe Pignatone, che di Lo Voi è amico e in un certo senso maestro, ha avuto un ruolo centrale nel terremoto che ha scosso il mondo della magistratura. Anzi per qualcuno la causa scatenante della faida che ha lacerato il mondo della toghe è rappresentata proprio dalla corsa alla guida della procura di Roma: titolato a indagare sulla maggior parte dei reati contestati ai politici, l’ex “porto delle nebbie” è l’ufficio inquirente più delicato del Paese.

Gennaio 2019 – Il saluto tra Salvini e Lo Voi

La corsa alla procura di Roma – In questo senso l’elezione di Lo Voi sembra un remake di quanto accaduto nel 2014. All’epoca la procura che maggiormente impensieriva i palazzi romani era quella di Palermo. L’inchiesta sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi delle Istituzioni e Cosa nostra aveva portato a un violento scontro tra i magistrati siciliani e il QuirinaleGiorgio Napolitano era arrivato a sollevare un conflitto d’attribuzione davanti alla Consulta per ottenere la distruzione delle intercettazioni con Nicola Mancino. E proprio un irrituale intevento del Colle aveva spianato la strada della procura di Palermo a Lo Voi, che all’epoca era il più giovane e inesperto dei candidati alla guida dell’ufficio inquirente siciliano. E che invece alla fine riuscì nell’impresa di torna a Palermo da procuratore capo. Questa volta, invece, l’elezione a Roma chiude un iter accidentato cominciato nella primavera del 2019. Prima l’inchiesta su Luca Palamara aveva azzoppato la corsa di Marcello Viola, procuratore generale di Firenze (ma siciliano come Pignatone e Lo Voi) che fino a quel momento era il favorito. Poi, dopo lo scoppio dello scandalo sulle nomine, Palazzo dei Marescialli aveva optato per Michele Prestipino, ex procuratore aggiunto pure lui fedelissimo di Pignatone, scelto per guidare la procura di piazzale Clodio. Un regno breve, visto che quella nomina è stata annullata dal Tar e dal Consiglio di Stato. È in questo modo che Lo Voi è tornato prepotentemente in corsa a due anni e mezzo dal pensionamento di Pignatone.

Da Napolitano a Berlusconi: un magistrato trasversale – Si può dire che il magistrato siciliano è uno che sa aspettare il suo momento senza farsi influenzare da polemiche e veleni. E soprattutto senza fare rumore. Silenzioso e affidabile, avveduto e felpato, moderato ed equilibrista, Lo Voi è sempre stato capace di raccogliere un gradimento bipartisan: negli anni è stato apprezzato da Napolitano e da Matteo Renzi ma pure da Silvio Berlusconi, che lo indicò come membro italiano a Eurojust. D’altra parte già nel 2014 la sua candidatura a procuratore di Palermo era stata appoggiata al Csm da Maria Elisabetta Alberti Casellati, in quel momento membro laico in quota Forza Italia e oggi presidente del Senato. Più complicato il rapporto con Matteo Salvini: nel 2019 i giornali avevano pubblicato la foto che immortalavano il leader della Lega mentre salutava affettuosamente il magistrato siciliano durante un evento all’interno di un ristorante romano. Nell’aprile scorso, però, la procura guidata da Lo Voi ha ottenuto il rinvio a giudizio dell’ex ministro dell’Interno per il caso Open Arms. Questa capacità di ottenere un consenso trasversale ha portato Lo Voi a ottenere voti provenienti da tutte le correnti già in commissione: dopo il precedente della Casellati, anche questa volta il suo nome è stato proposto dal consigliere laico di Forza ItaliaAlessio Lanzi. A votarlo Alessia Dal Moro, consigliera togata di Area, la corrente progressita delle toghe, il moderato di Unicost Michele Ciambellini, il presidente della commissione Antonio D’Amato, esponente di Magistratura Indipendente, la componente più conservatrice della quale fa parte lo stesso Lo Voi.

Il no al processo Andreotti e il saluto a Salvini (suo indagato) – Nato a Palermo nel 1957, in magistratura dal 1981, Lo Voi era pm in Sicilia già ai tempi di Giovanni Falcone, del quale si è sempre professato amico. Resta sostituto procuratore anche durante la stagione di Gian Carlo Caselli, negli anni Novanta, quando si occupa di mafia militare, contribuendo all’arresto e alla condanna all’ergastolo di centinaia di boss, da Totò Riina a Leoluca Bagarella. Quindi passa alla procura generale: in molti a Palermo ricordano quando da sostituto pg rifiutò di rappresentare la pubblica accusa nel processo d’appello a Giulio Andreotti. Indelebile, nella memoria di alcuni colleghi palermitani, anche il suo rifiuto, nei giorni immediatamente successivi alla strage di via d’Amelio, a schierarsi con gli 8 pm che si erano dimessi in polemica con il procuratore Pietro Giammanco, principale oppositore di Paolo Borsellino. Dopo l’esperienza da sostituto pg, l’approdo al Csm come membro togato: nel 2006 a Palazzo dei Marescialli appoggiò Piero Grasso nella contestatissima corsa alla procura nazionale Antimafia contro Caselli, quindi votò Pignatone come nuovo procuratore capo di Palermo. Finito il mandato a Palazzo dei Marescialli vola all’estero: il governo Berlusconi, su indicazione di Angelino Alfano, lo sceglie per rappresentare l’Italia all’interno di Eurojust.

La nomina a Palermo dopo le lettere del Quirinale – È da lì che la carriera di Lo Voi spicca il volo. Da L’Aja il magistrato invia la sua candidatura alla guida della procura di Palermo. All’inizio sembrava non avere possibilità. Per prendere il posto di Francesco Messineo, infatti, al Csm erano arrivate le candidature di due magistrati più esperti: quella dell’allora procuratore di Messina, Guido Lo Forte, e quella dell’ex capo dell’ufficio inquirente di Caltanissetta, Sergio Lari. Sono più anziani di Lo Voi, che all’epoca non aveva ancora mai diretto un ufficio giudiziario. E infatti nell’estate del 2014 la commissione incarichi direttivi del Csm indica Lo Forte come candidato favorito. Dal Quirinale, però, era arrivata una lettera, che ordinava a Palazzo dei Marescialli di procedere con maggiore urgenza alla nomina degli incarichi vacanti da più tempo. La missiva era firmata dal segretario generale del Colle, Donato Marra, che aveva appena testimoniato a Palermo davanti alla corte d’assise che celebrava il processo sulla Trattativa. Il risultato è stato l’azzeramento del vantaggio di Lo Forte, il rinvio della nomina al nuovo plenum – rinnovato dopo le elezioni – e la consecutiva vittoria di Lo Voi. Che aveva provocato roventi polemiche. “Lo Voi? Aveva meno titoli e meno anzianità degli altri: e infatti ha vinto”, commentò sarcastico l’ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. “Perché ha vinto? – continuava l’ex pm – Perché al Csm contano di più le regole della politica rispetto a quelle del diritto”.

Palamara e la colazione di Pignatone – Anni dopo a spiegare che tipo di logiche si erano mosse dietro alla nomina di Lo Voi sarà Palamara, l’ormai ex pm al centro dell’indagine che ha terremotato il mondo della magistratura. Davanti alla commissione Antimafia, Palamara ha spiegato che Lo Forte “era considerato un magistrato sostenitore dell’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia, che come noto lambiva, per usare un eufemismo, il Quirinale”. Lo Voi, invece, “veniva ritenuto uno con un atteggiamento più morbido” nei confronti della medesima inchiesta. Dopo la vittoria di Lo Voi sia Lo Forte che Lari si opposero, facendo ricorso al Tar. E il tribunale amministrativo diede loro ragione, annullando l’elezione del procuratore capo di Palermo: una decisione che però venne poi ribaltata dal Consiglio di Stato alcuni mesi dopo. Nei giorni precedenti a quella sentenza, Palamara ha sostenuto di aver ospitato a casa sua un incontro a colazione tra Pignatone – grande sponsor di Lo Voi – e Riccardo Virgilio, presidente della sezione di Palazzo Spada che aveva in mano quel fascicolo. “Interloquirono tra di loro, ma io non ero presente a quel discorso. I fatti poi sono andati come sappiamo: il Consiglio di Stato ha ritenuto legittima la nomina di Lo Voi“. Sempre a Palazzo San Macuto, l’ex magistrato ha ricordato come nei mesi successivi sia Virgilio che Nicola Russo, il giudice relatore della sentenza favorevole a Lo Voi, finirono sotto inchiesta per corruzione in atti giudiziari. L’accusa era quella di aver “venduto” alcune sentenze del Consiglio di Stato. Le contestazioni, però, non riguardavano in alcun modo la decisione che ha blindato Lo Voi al vertice della procura di Palermo. Sette anni dopo il magistrato siciliano è pronto a incassare un nuova promozione. E’ anche questa volta è il 22 di dicembre.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/12/22/lo-voi-chi-e-il-magistrato-in-pole-per-la-procura-di-roma-la-nomina-a-palermo-dopo-lettera-del-colle-e-il-sostegno-trasversale-per-la-capitale/6433688/