lunedì 18 maggio 2020

Vita di “Littorio” la Belva Umana e le giravolte da Di Pietro a Boffo. - Pino Corrias

Vita di “Littorio” la Belva Umana e le giravolte da Di Pietro a Boffo

Il “Giornale” poi “Libero” - B. lo sceglie al posto di Montanelli: lui nega tutto, poi innesta la baionetta. Idolatra il pm, lo impallina e infine (querelato) si scusa.
A tavola è vegetariano. Alla macchina per scrivere, carnivoro. Il suo giornalismo è una forma mentale di body building, che nutre con le frustrazioni dei suoi lettori trasformate in estrogeni. Fuma la pipa, le sigarette, ma specialmente tutti i rancori che trova, contro i più ricchi e insieme contro i più poveri. I primi li maneggia con cautela, i secondi senza. Ama i gatti e i cavalli più degli uomini, e i meridionali più dei negri, in quest’ordine.
È nato una prima volta a Bergamo, vantandosene. La seconda a Milano, nello stanzone Cronaca del Corriere della Sera, quando nei minuti concitati della chiusura serale, qualcuno gridò: “Colleghi voglio un sinonimo di assassino!”. E dal fondo del salone, il cronista più giovane e allampanato levò in alto la mano e rispose: “Comunista!”. Risero tutti, compresi i comunisti. E uno di loro chiese: “Chi sarebbe questo spiritoso?”. Feltri. Vittorio Feltri.
Era l’anno 1977. Feltri, 34 anni, sorriso e cravatta da sbarbato di prima classe, era appena arrivato dai cugini minori del Corriere d’Informazione. Lo aveva voluto Piero Ottone, ma era diventato il cocco del suo vice, Franco Di Bella, fuoriclasse di storiacce di nera, proprio come il mitico Nino Nutrizio, il direttore della Notte, che aveva allevato il primissimo Feltri alla scuola dei titoli a scatola tipo: “Ecco la belva umana!”.
Al Corriere sbriga in fretta il suo lavoro di inviato speciale. Frequenta sarti, signore e ippodromi. Coltiva ambizione maggiori. E siccome gli viene facile semplificare il genere umano in amici e nemici, ha sufficienti attitudini per fare il direttore. Il suo primo successo è l’Europeo, settimanale di sinistra che a fine anni 80 viaggia ormai anonimo sulla scia di due corazzate, l’Espresso e Panorama. Lui cambia rotta, lo trasforma in un motoscafo armato silurante e in tre anni di polemiche e battaglie – anche contro la vecchia redazione – lo porta da 70 a 120 mila copie.
Stessa apoteosi quando sale in groppa a un cavallo quasi morto, l’Indipendente, quotidiano diretto da un educatissimo Ricardo Franco Levi che a forza di fingersi inglese stava perdendo gli ultimi lettori italiani. Al ronzino gli toglie il fieno e ci mette la birra. E siccome è l’anno 1992, quello dei portenti di Tangentopoli, costruisce, in nome del popolo, altari per Di Pietro e forche per tutti gli altri. Specie Bettino Craxi, che rinomina “il Cinghialone”, appena è sicuro che sia davvero caduto in trappola.
Il quotidiano supera le 100 mila copie, un miracolo editoriale. E anche un buon investimento visto che quando Silvio Berlusconi si toglie i guanti per scendere in politica e riempire il vuoto lasciato dai fuggiaschi della Prima repubblica, anno 1994, sceglie proprio Feltri per sostituire Montanelli alla guida de Il Giornale.
Un minuto prima dell’assalto, Vittorio fa l’offeso: “Io! Proprio io dovrei fare la pelle a Montanelli? È una cazzata!” Un minuto dopo innesterà la baionetta sul nuovo campo di battaglia, che è proprio l’opposto di quello di prima, stavolta accanto a Berlusconi, a Craxi, a “tutte le vittime di Tangentopoli”, contro Di Pietro torturatore, contro il presidente Scalfaro moralista, contro i giudici golpisti e i loro oscuri mandanti. Chi? Sempre loro, i “comunisti!”.
E siccome con la baionetta non ci taglia i tartufi, i titoli rotolano un tanto al chilo, da “Norberto Bobbio mandante morale dell’omicidio Calabresi”, fino a “La lebbra sbarca in Sicilia”, colpa dei negri invasori venuti a rubarci donne e salute. Tutti capolavori di sobrietà: “Velina ingrata” per Veronica Lario, “Patata bollente” per Virginia Raggi, ma anche “Veltroni paraculo” o “Renzi, per fermarlo bisogna sparargli”.
Per quanto si dichiari anarchico, monarchico, radicale, libertario e presidenzialista, Vittorio Feltri è un campione del giornalismo reazionario. Ogni epoca ha avuto i suoi e suonano più o meno tutti la stessa musica: spezzare le reni al nemico, qualunque sia il nemico. Nel suo caso con un imbattibile fiuto per i lettori: “Ho sempre scelto i più arrabbiati”. Ne ha trovati così tanti da raddoppiare quelli del Giornale, per poi fondarne uno in proprio, Libero, nell’anno 2000, col quale supererà le 220 mila copie, ma sempre facendo a pugni qualche volta con la legge, più spesso con la deontologia “dei parrucconi”, cioè l’Ordine dei giornalisti che lo radia e lo assolve ad anni alterni. Tutte medaglie per i suoi fan e per i suoi eredi, Maurizio Belpietro, Alessandro Sallusti e l’agente segreto Betulla, il patriota Renato Farina, l’eroe dei Due Stipendi.
Insensibile alla coerenza, ogni volta che si è trovato a corto di argomenti o con troppe querele per quelli malamente usati, Feltri è stato capace di clamorose giravolte. La migliore con Di Pietro a cui aveva attribuito un “tesoro nascosto” di 5 miliardi di lire: tutti i dettagli in cronaca per settimane. Salvo concludere lo scoop in un giorno solo con una lettera di scuse in prima pagina, più altre due per smentire la lunga serie di bugie. Stesso copione nel caso Dino Boffo, il direttore del quotidiano cattolico Avvenire, contro il quale pubblica una falsa informativa della polizia, montando uno scandalo sessuale che pretendeva speculare a quello delle Olgettine di Berlusconi. Per poi smentire tutto, scusarsi, e per le dimissioni di Boffo, dirsi “addolorato”. Da allora “metodo Boffo” è diventato sinonimo di macchina del fango, il prototipo analogico degli odiatori digitali.
Col tempo Littorio è diventato un’icona del cattivismo: guai alla lagna del bene pubblico se interferisce con i miei privilegi privati. E man mano che la sua prosa si è fatta più greve e ripetitiva – come capitò al ringhio di Oriana Fallaci, sua somma ispirazione – è diventato più iracondo e insieme più fragile nelle sue sfuriate in pubblico, dove offre a spallate la sua dottrina del me ne frego. Dichiarandosi ricco, cinico e felice. L’eroe di un giornalismo carognone, il feltrismo, che narra l’Italia agli italiani, avvelenandoci ogni giorno un po’.

Azienda Usa, dati positivi da primi test.



Coronavirus, per Moderna un success fase 1 della sperimentazione.

La societa' statunitense di biotecnologia Moderna ha annunciato che i primi risultati della sua sperimentazione sul potenziale vaccino per il coronavirus sono stati "positivi". La 'fase 1' dei test clinici - si spiega - ha mostrato che le persone che si sono sottoposte alla sperimentazione hanno sviluppato anticorpi in modo del tutto simile ai pazienti di Covid-19 che sono guariti.
   
 I livelli di anticorpi rilevati nelle prime otto persone sottoposte ai test clinici con l'mRNA-1273, spiega la societa' Moderna che ha il suo quartier generale in Massachusetts, sono uguali o superiori a quelli riscontrati nei pazienti guariti dal Covid-19. Inoltre il potenziale vaccino avrebbe finora dimostrato di essere "sicuro e ben tollerato", non presentando gravi effetti collaterali. Moderna, che lavora con l'Istituto nazionale delle allergie delle malattie infettive guidato dal virologo Anthony Fauci, avviera' ora la 'fase 2' della sperimentazione e spera di partire con la 'fase 3' nel mese di luglio.

Palamara&C con Cafiero De Raho contro Di Matteo nel “pool stragi”. - Marco Lillo e Antonio Massari

Palamara&C con Cafiero De Raho contro Di Matteo nel “pool stragi”

Caso Csm - Il procuratore estromette il pm della Trattativa e l’amico Luca esulta: “Grande Federico!”
Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho ha rimosso Antonino Di Matteo dal pool stragi nel maggio del 2019. La ragione ufficiale offerta allora dal capo della DNA era l’intervista rilasciata dal pm palermitano alla trasmissione Atlantide condotta da Andrea Purgatori su La 7 il 18 maggio 2018. Un provvedimento severo visto che Di Matteo non svelava alcun segreto ma faceva solo dei ragionamenti su fatti noti. Al Fatto fonti vicine al procuratore dissero: “Quei fatti erano sì noti ma il procuratore Cafiero De Raho non ha gradito che su di essi raccontasse in tv la sua personale valutazione”. Il punto, secondo Cafiero De Raho, era che quelle valutazioni di Di Matteo erano oggetto allora di discussione tra Di Matteo stesso e i colleghi del pool stragi della Direzione Nazionale Antimafia di cui il pm palermitano faceva parte.
Ora dalle chat del magistrato Luca Palamara depositate nell’indagine perugina che ha sconvolto il Csm nel maggio del 2019 emerge un fatto inedito.
Il 26 maggio 2019, quando La Repubblica esce con lo scoop di Salvo Palazzolo che annuncia: “Direzione nazionale antimafia, Di Matteo rimosso dal pool stragi per un’intervista (…) Dopo la puntata di Atlantide andata in onda sabato 18, il procuratore capo Federico Cafiero de Raho ha deciso la rimozione del magistrato dal neonato pool stragi”. Il magistrato della Dna Cesare Sirignano, appartenente alla stessa corrente della magistratura Unicost, invia un file alle 8 e 39 di mattina all’amico Palamara. Pronto il leader di Unicost la commenta così alle 8 e 42: “Grande Federico”. Dove Federico è evidentemente Federico Cafiero de Raho, autore del provvedimento contro Di Matteo.
Pochi secondi dopo Sirignano replica con uno stringato “Noi siamo seri”.
Cesare Sirignano fa sapere al Fatto che “Non c’era alcun ragionamento precedente al provvedimento del Procuratore Cafiero De Raho tra me e Palamara. Lo dimostra il fatto che io invio un file che lei mi dice potrebbe essere l’articolo. Quindi Palamara non ha saputo nulla da me prima e il provvedimento era stato fatto alcuni giorni prima. Io lo seppi a cose fatte comunque perché ero a Vienna e il Procuratore non me ne parlò. Quel ‘Siamo seri’ è una frase breve di una chat che doveva restare privata e non ha nessun altro riferimento se non forse alla serietà di atteggiamento in generale”.
Che Palamara non fosse proprio un sostenitore di Antonino Di Matteo lo si capisce anche da un’altra conversazione intercettata stavolta dal trojan nascosto nel cellulare del magistrato romano nel maggio del 2019. Quando con un collega della Procura di Roma, Stefano Fava, discuteva dei rapporti difficili con la corrente Autonomia e Indipendenza, di cui insieme a Piercamillo Davigo fa parte anche Sebastiano Ardita, e che ha sostenuto Di Matteo per l’elezione al Csm nell’ottobre 2019. In quel giorno di maggio 2019 mentre era intercettato insieme a Fava, Palamara temeva di essere antipatico ad Ardita e ricordava di quando lui era al Csm nella consiliatura precedente e si era schierato contro l’approdo di Di Matteo alla Direzione Nazionale Antimafia.
Inoltre sempre dalle sue chat si scopre che Palamara non gradiva proprio l’esistenza del pool stragi.
La sera del 6 maggio 2019 infatti il leader di Unicost scrive a Sirignano: “Questo gruppo per indagare sulle stragi tutti ne parlano. Ma c’era bisogno?”
Sirignano risponde: “Sì ma non è per indagare sulle stragi, è per verificare eventuali collegamenti tra le indagini che potrebbero essere sfuggiti o non acquisti (acquisiti, ndr) Luca domani vediamoci nel tardo pomeriggio”. Palamara insiste: “Ti dico che non è grande mossa”. E Sirignano: “Luca ma tu non hai capito che Federico (Cafiero de Raho, anche lui Unicost, ndr) rappresenta la nostra forza”.
Palamara replica: “Lo so. Ma non deve sbagliare mosse”. Palamara non ha alcun ruolo nella strategia della Direzione Nazionale Antimafia. In teoria. Certamente quando Giovanni Falcone aveva ideato questo ufficio non immaginava che lo stra-dominio delle correnti della magistratura (che lui aveva sperimentato sulla sua pelle quando lo avevano fatto fuori dalla corsa a procuratore di Palermo) potesse rivelarsi così pervasivo a distanza di 30 anni.
Il potere di Palamara derivava dalla capacità di controllare, mediante i suoi uomini dentro Unicost, i voti necessari per far progredire le carriere dei magistrati nelle votazioni al Csm. Quando il 27 luglio 2017 Federico Cafiero De Raho era stato battuto nella corsa per la Procura di Napoli, Palamara scriveva al Procuratore: “Ho lottato insieme a te fino all’ultimo. Persa una battaglia non la guerra” e Cafiero de Raho: “Carissimo Luca sono convinto che ancora dobbiamo lottare insieme. Grazie, comunque, per avermi assecondato nella scelta, che non condividevi, di andare avanti (…) Un forte abbraccio”. Il 23 ottobre 2017 Federico Cafiero de Raho scrive a Palamara scherzosamente: “Grande capitano”, però in quel caso il riferimento è al ruolo nella Nazionale magistrati di calcio.
L’11 maggio 2018 Palamara invia a De Raho un articolo dell’Ansa che riporta le sue dichiarazioni non molto favorevoli a Di Matteo. Il titolo del lancio era “Stato-mafia: De Raho, pm che lavora non si aspetti sostegni”. E il procuratore nazionale diceva su Di Matteo: “È evidente che sulla trattativa ciascuno abbia il suo punto di vista, ma associarsi o sostenere un pubblico ministero vorrebbe dire già avere una tesi (…) chi svolge un ruolo di garanzia per il cittadino non può sentirsi minacciato o condizionato. Chi ha un ruolo come il nostro non può mai essere influenzato da una minaccia, noi abbiamo il compito di rappresentare lo Stato”.
Palamara commentava: “Bravissimo!!!!!!” con sei punti esclamativi. Senza risposta.

Perchè altrimenti siamo fottuti. - Roger Hallam

Extinction Rebellion. Settimana di ribellione internazionale ...

Il fondatore del movimento per salvare il pianeta “Extinction Rebellion”: il virus ci insegna che dipendiamo dalla natura tanto quanto la natura dipende da noi. Perciò va preservata.

Ho scritto questo libro sulla crisi climatica e l’inerente bisogno di una disobbedienza civile di massa prima che esplodesse la tragica pandemia del coronavirus. In occasione della sua pubblicazione in Italia, sento il dovere di anteporvi questa breve premessa, conscio di quanto ora più che mai sia impossibile affrontare un discorso sulla catastrofe del clima senza menzionare le terribili sofferenze che l’attuale emergenza sta infliggendo alla popolazione italiana e a milioni di altri cittadini in tutto il mondo. La diffusione del contagio ci ricorda che non siamo avulsi dall’ambiente naturale, bensì a esso interconnessi per molteplici aspetti quotidiani che spaziano dal bisogno di respirare a quello di assumere cibo. Dipendiamo dalla natura tanto quanto la natura dipende da noi. Il virus ci ha messo ancora una volta di fronte a un dato di fatto: siamo tutti mortali e inermi di fronte a determinate manifestazioni del cosmo. Siamo ormai tutti consapevoli di quanto il nostro pianeta si regga su un equilibrio ecologico estremamente fragile che, quando viene alterato, tende a ricercare un nuovo assetto condannando all’estinzione un gran numero di specie viventi. Ci basti osservare il ritmo con cui aumentano le epidemie man mano che proseguiamo nella distruzione indiscriminata della biodiversità. Ecco perché, se non ridurremo l’emissione di gas serra nell’atmosfera, condanneremo le prossime generazioni a livelli inimmaginabili di sofferenza. Dopo tre decenni di grida d’allarme inascoltate da parte della scienza, la nostra inerzia ci ha condotti sull’orlo del baratro. La crisi ecologica è a un punto di non ritorno, pari a quello che ha portato alla diffusione incontrollata del coronavirus. Non è una corrente politica o l’opinione di una minoranza ad affermarlo. È la scienza nuda e cruda. (…) È ORA DI APRIRE GLI OCCHI e guardare in faccia la realtà. Esistono fatti immutabili e incontrovertibili, tra cui le leggi della fisica: se la temperatura aumenta, i ghiacci si sciolgono; in condizioni di siccità i raccolti muoiono; gli incendi distruggono le foreste. Sono tutti fenomeni reali, e questo è solo un assaggio di ciò che ci aspetta. All’orizzonte si profila il collasso ecologico. L’estinzione o la sopravvivenza della specie umana dipenderà in larga parte dalla capacità delle nostre società di attuare, nei prossimi dieci anni, cambiamenti rivoluzionari. Qui l’ideologia non c’entra. Si tratta di pura matematica e fisica. Secondo le Nazioni unite, per contenere l’innalzamento delle temperature entro la soglia di sicurezza di 1,5°C, entro il 2030 dovremmo dimezzare le emissioni di anidride carbonica. La stima rischia di essere ottimistica, visto che, stando agli ultimi rilevamenti, il permafrost si sta sciogliendo con novant’anni di anticipo e i ghiacciai dell’Himalaya stanno scomparendo due volte più in fretta del previsto. Anche senza tener conto di ulteriori incrementi della temperatura provocati dalle emissioni antropiche, nel giro di dieci anni basteranno gli effetti di feedback e l’attuale ciclo di riscaldamento a determinare un aumento della temperatura di 2 °C. In breve, siamo fottuti. Resta solo da capire fino a che punto e quanto tempo ci rimane. DOBBIAMO RASSEGNARCI a questa fatalità? Secondo me no. In molti ormai, superando la debolezza umana di coprirsi gli occhi di fronte alle verità sgradevoli, sono arrivati ad accettare i fatti a cui la scienza ci mette di fronte già da un pezzo. Tuttavia non ne hanno ancora elaborato le implicazioni politiche e sociali. (…) Serve un’immediata inversione di rotta, che non potrà essere attuata senza una rivolta e una trasformazione radicale delle nostre società e della nostra politica. E non parlo di semplici avvicendamenti tra partiti ai vertici del potere. Quello che serve è uno stravolgimento della struttura stessa delle nostre società. Proprio come le specie viventi, le istituzioni non sono capaci di evolversi in maniera repentina. Affinché il cambiamento avvenga in tempo utile, bisogna rimpiazzarle con nuovi sistemi politici, sociali e culturali. (…) Si tratta di agire sul senso comune. Nel 1776, Thomas Paine scrisse un pamphlet intitolato proprio Common Sense per dire ai cittadini delle colonie americane ciò che in cuor loro sapevano già ma non osavano esprimere apertamente: bisognava dichiarare l’indipendenza dalla Corona britannica. Quel testo fu letto soltanto dal 10% della popolazione, eppure gli si riconosce il merito di aver infuso a molti americani il coraggio di fare quel salto verso l’ignoto. Lo scopo del mio libro è identico. La verità che comunica la conosciamo già: così non si può andare avanti. Ormai può salvarci solo una rivoluzione della società e degli Stati, un tuffo nell’ignoto come quello sollecitato da Paine. (...) Da un punto di vista prettamente sociale, è un dato di fatto che la cultura riformista, di sinistra come di destra, tipica dell’at - tuale società neoliberista non sia adatta allo scopo. Detto fuori dai denti, le Ong, i partiti e i movimenti politici che ci hanno portati al disastro degli ultimi trent’anni – dal 1990 le emissioni globali di CO2 sono aumentate del 60% – rappresentano l’intralcio più grosso al cambiamento. Si ostinano a proporre soluzioni graduali, spacciandole per efficaci. (...) Il nuovo paradigma impone di passare dalle parole all’azione, dalle proteste alla violazione in massa della legge attraverso la disobbedienza civile nonviolenta, dall’esclusivismo elitista alla mobilitazione democratica popolare. (…) Bisogna agire subito, in prima persona e senza aspettare l’intervento delle caste al potere. Già oggi esiste un movimento di transizione. È essenziale ampliarlo in maniera massiccia e integrarlo con la ribellione. È degli ultimi mesi del 2019 la notizia paradossale secondo cui nel mondo vengono investiti circa 1,9 trilioni di dollari nel gas e nel carbone, proprio mentre l’elettricità prodotta dai pannelli solari e dalle turbine eoliche è sul punto di diventare meno costosa dei combustibili fossili a livello globale, e in molti Paesi lo è già. Non c’è tempo da perdere. Bisogna agire. Sarà una bella avventura.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/05/17/perche-altrimenti-siam-fottuti/5804260/

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

FCA: prestito miliardario garantito dallo Stato? I dettagli
Viva la Fca (che dio la benedica)/1. “L’innovativo accordo riconoscerebbe il ruolo del settore automobilistico nazionale” (comunicato Fca, 16.5). “Formula innovativa. Un modello per tutta l’economia”, “È un’operazione del tutto innovativa, quella che vede protagonista Fca, il governo e Intesa” (Francesco Manacorda, Repubblica, 17.5). “Va sottolineata la portata fortemente innovativa dell’operazione… per la ripartenza del sistema industriale” (Teodoro Chiarelli, La Stampa, 17.5). Miliardi pubblici alla Fiat: una cosa mai vista.
Viva la Fca (che dio la benedica)/2. “Il prestito fino a 6,3 miliardi di euro che la prima banca italiana si avvia ad assicurare con la garanzia pubblica della Sace a Fca Italy, capogruppo del colosso automobilistico del nostro Paese, servirà ad assistere con nuova liquidità tutta la filiera del settore ‘automotive’, raggiungendo decine di migliaia di lavoratori e di piccole e medie imprese… Il primo grande prestito garantito dallo Stato dell’era post-Covid19… coinvolge, anche grazie alla forza di una grande azienda multinazionale fortemente radicata in Italia, … imprese e lavoratori sul territorio e dà una spinta forte all’economia” (Manacorda, ibidem). Ah ecco, non li prendono per sé, ma per i lavoratori e le piccole imprese. Lo fanno per noi.
Viva la Fca (che dio la benedica)/3. “È un esempio che mette in secondo piano le polemiche in queste ore sul fatto che la holding Fca e la sua controllante Exor … abbiano sede legale in Olanda” (Manacorda, ibidem). Vuoi vedere che, niente niente, Repubblica e Stampa hanno qualcosa a che fare con la Fca?
Viva la Fca (che dio la benedica)/4. “La scelta di spostare la sede delle holding fuori dall’Italia è stata ed è comune a molte multinazionali italiane non solo per vantaggi fiscali offerti da altre legislazioni, ma anche per una linearità del diritto societario che in Italia è difficile trovare” (Manacorda, ibidem). Quando si dice parlare del Manacorda in casa del finanziato.
Test o croce/1. “Sconsiglio il test sierologico, ma in caso di positività la Regione lo rimborsa” (Attilio Fontana, Lega, presidente Lombardia, Italpress,17.5). Quindi ammalarsi conviene.
Test o croce/2. “Sì, io ho posto il problema delle regole di comportamento… uguali in ogni regione. Ma poi ognuno si regola come meglio crede” (Fontana, La Stampa, 16.5). Ma un bel Tso no?
Giù le manette. “Gli errori li ha fatti il governo. Giù le mani dalla Lombardia” (Roberto Formigoni, ex presidente Regione Lombardia, rubrica “La frustata”, Libero, 17.5). Ce le vuole rimettere lui?
Rosé. “A Conte dico: la nostra pazienza è finita” (Ettore Rosato, presidente Iv, Riformista, 9.5). Brrr che paura.
Bluff. “La sconfitta di Bonafede… Non si possono rimandare i mafiosi in carcere per decreto, checché ne dica la propaganda del M5S” (Annalisa Cuzzocrea, Repubblica, 7.5). “Bluff di Bonafede sui boss scarcerati” (il Giornale, 11.5). “Flick svela il bluff del governo ‘No, il decreto Bonafede non riporterà i mafiosi in carcere’” (Il Foglio, 13.5). “Ritorna in cella il boss Sacco” (Corriere della sera, 13.5). “Zagaria tra i primi a tornare in carcere” (Repubblica, 14.5). Quindi, se non è il dl Bonafede, sono i boss che tornano in galera spontaneamente?
Comprensione. “Capisco l’imprenditore che si è tolto la vita” (Silvio Berlusconi, Libero, 11.5). Non aveva una villa in Costa Azzurra.
Cazzullate. “Le lacrime della Bellanova sono state forse il momento migliore di questo governo” (Aldo Cazzullo, Corriere della sera, 16.5). Sono soddisfazioni.
Al Renzhab. “Per salvare Bonafede dalla sfiducia, Italia Viva rivuole la prescrizione” (Il Dubbio, 13.5). Cos’è, una richiesta di riscatto?
Neurodeliri. “Questi neuro comunisti al potere espopriano il nostro spazio vitale” (Marcello Veneziani, La Verità, 15.5). “Abusi, cialtronerie, crisi gravissima. Urge gente seria o esplode la bomba” (Veneziani, ibidem, 13.5). Perchè autoescludersi così?
I governi della settimana. “Conte nuova bestia nera del M5S” (La Verità, 12.5). “Conte nel mirino del fuoco amico. L’ira degli alleati: 5Stelle allo sbando” (Messaggero, 12.5). “La crisi è in atto” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 13.5). “Premier sotto assedio. Il Pd: ‘Così non va’. E spinge per il rimpasto” (il Giornale, 14.5). “Rissa M5S e tutti contro Conte” (Messaggero, 14.5). “Il governo dei tamponi: anche il rimpasto al buio potrebbe essere letale” (Augusto Minzolini, il Giornale, 15.5). “Assedio giallorosso a Conte: vogliono imporgli l’agenda” (il Giornale, 16.5). “Governo in lockdown tra affanni e sospetti” (Verderami, Corriere, 16.5). Ci siamo: praticamente è fatta.

“I soldi statali fanno gola: ora vogliono buttarci giù”. - Carlo Tecce

“I soldi statali fanno gola: ora vogliono buttarci giù”

Il vicesegretario Pd Orlando: “Pure i giornali dei grandi gruppi sono della partita”.
“Noi spendiamo ottanta miliardi di euro per la pandemia e nelle prossime settimane vedrete gruppi editoriali e centri di potere che tenteranno di buttare giù il governo”, ieri Andrea Orlando, vicesegretario del Partito democratico, un politico dai toni sempre pacati, l’ha detto due volte. In teleconferenza a un evento dem di Milano e poi, in serata, al Fatto. Orlando, c’è in atto un complotto? “Mi creda, il mio ragionamento è più semplice. Questo governo fu generato dal desiderio di strappare l’Italia dalle grinfie di Matteo Salvini. Per alcuni era una soluzione balneare, un mezzo più o meno comodo e sicuro per giungere alle elezioni. Invece adesso indichiamo un percorso e dettiamo le regole in una situazione eccezionale. Con le manovre che abbiamo approvato mettiamo in circolo denaro come mai accaduto negli anni scorsi. E fa gola. Lo Stato si riappropria di un ruolo a cui aveva rinunciato. In quattro o cinque mesi si definirà un futuro di cinque o dieci anni. Noi alziamo la posta, altri alzano la pressione. Anche gli editori, diciamo non puri, sono interessati a gestire o almeno a sfruttare questo momento straordinario. Qualcuno potrebbe promuovere stravolgimenti della maggioranza”.
L’ex ministro è severo con la Fca che s’avvia a ottenere una garanzia statale, attraverso Sace e per merito del decreto liquidità, a un prestito bancario di 6,3 miliardi di euro: “Chiede aiuti all’Italia? Bene, allora riporti la sede fiscale qui”. E sempre a Fca della famiglia Elkann/Agnelli, nella veste di proprietaria del gruppo Gedi, cioè dell’ex gruppo Espresso e di Repubblica, si riferisce Orlando: “Se gli assetti azionari non sono mutati all’improvviso, i grandi gruppi editoriali italiani sono in mano a grandi gruppi economici. Quotidiani, settimanali, televisioni. Io non faccio nomi, non esamino la scelta del nuovo corso di Repubblica con l’addio di Carlo Verdelli. La mia riflessione è di facile interpretazione, è generica e vale per molti. Ho già spiegato che ci parleranno della capacità comunicativa del premier Conte o dell’errore di questo o quel ministro, ma l’argomento principale sarà diverso e più delicato: costruire un’altra formula politica. A noi spetta il compito di essere lucidi, respingere e smentire queste ipotesi che entreranno nel dibattito pubblico da qui a pochi giorni. Dobbiamo essere consapevoli senza aver paura”. In conferenza stampa a palazzo Chigi, il premier Conte ha commentato l’intervento di Orlando in maniera più sfumata, ma ripetendo un concetto simile: “Sui giornali leggiamo di tentativi di spallate. A parte il chiacchiericcio, noi dobbiamo concentrarci sugli obiettivi. Stanno arrivando cospicui finanziamenti e noi confidiamo nell’appoggio delle forze sane del Paese”.
Poi il premier ha parlato pure del supporto a Fca: “Se ne può beneficiare, vuol dire che risponde alle prescrizioni: non è un privilegio concesso a qualcuno. Stiamo comunque parlando, al di là della capogruppo, di società e fabbriche italiane che producono in Italia e occupano tantissimi lavoratori. Ma è un problema all’ordine del giorno e – ha annunciato Conte – lo affronteremo nel decreto semplificazioni: non dobbiamo porci il problema di chi sta in Inghilterra in Olanda o altri Paesi, ma rendere più attraente il nostro ordinamento giuridico. C’è un ordinamento giuridico più attraente in Olanda? Stiamo lavorando a questo. Ovviamente ci sono anche le agevolazioni fiscali: non intendiamo più lasciare questi vantaggi ai nostri concorrenti, addirittura nell’Unione europea”. Buone “prossime settimane” a tutti.

I grandi editori (impuri) dietro i media. - Lorenzo Giarelli

I grandi editori (impuri) dietro i media
Elkan, Caltagiorne, Berlusconi, Cairo, Angelucci.


Poco puri - Dal colosso degli Agnelli a Urbano Cairo fino a una vecchia conoscenza: Silvio.
I soldi “fanno gola a molti”, e in particolare a “centri economici e dell’informazione” che possono esercitare pressioni sulla politica fino a condizionarla. L’attacco di Andrea Orlando non è casuale, soprattutto quando collega potere economico e mediatico: la gran parte dei gruppi editoriali italiani è in mano a editori impuri, ovvero imprenditori che fanno utili milionari altrove (con le cliniche, le auto, l’immobiliare, la finanza) e che hanno nei giornali una proprietà magari poco redditizia, ma certo utile.
Di recente è tornato attuale il cambio di proprietà in casa Repubblica: nel 2016 il Gruppo L’Espresso della famiglia De Benedetti (che editava tra gli altri Repubblica, l’Espresso, Huffington Post e parecchi giornali locali) ha incorporato Italiana editrice (Stampa, Secolo XIX), proprietà degli eredi della famiglia Agnelli, quindi Fca. Tre anni dopo, John Elkann e la sua Exor hanno acquistato la maggioranza del gruppo (denominato Gedi), diventando dunque azionisti principali del nuovo colosso (che comprende anche, tra l’altro, Radio Deejay, Radio Capital e m2o). Un cambiamento che ha portato al recente domino dei direttori e alla decisa virata anti-governativa di Repubblica.
Fanno invece capo alla holding di Franco Caltagirone il Messaggero, il Mattino e il Gazzettino. Quotidiani con forte radicamento nei rispettivi territori (Roma, Napoli e Venezia) che dipendono da una delle famiglie più influenti nell’edilizia (Cementir, Vianini) e nella finanza.
Più diretto il coinvolgimento in politica di Antonio Angelucci, deputato di Forza Italia alla terza legislatura e proprietario de Il Tempo e, attraverso una fondazione, anche di Libero. Il fulcro delle sue attività è però altro: la holding di Angelucci gestisce infatti decine di cliniche private e case di cura in giro per l’Italia, soprattutto nel Lazio. Settore delicato, visto il periodo.
Ben noti sono poi i casi del Sole 24 Ore, espressione di Confindustria, e della famiglia Berlusconi, che attraverso Fininvest controlla Mediaset, Il Giornale, decine di riviste e diverse radio, tra cui R101 e Radio 105. Da tempo pare che Urbano Cairo, editore di La7 e di Rcs (Corriere della Sera) debba seguire le orme di B., cercando fortuna in politica dopo averla trovata sui media e nel mondo del calcio. L’idea potrebbe tornare di moda.