domenica 15 novembre 2020

De Luca si “compra” letti vuoti nelle cliniche private. - Vincenzo Iurillo

 

Business - Mille euro a posto e in anticipo: si indaga.

I pazienti Covid arrivano col contagocce. Ma per le cliniche private nella Campania del governatore Vincenzo De Luca, “nelle more” di un decreto ristori in via di approvazione, sarebbe già tutto pronto per liquidare in anticipo posti letto Covid ancora vuoti e prestazioni sanitarie ancora non erogate. Come a marzo. Nonostante le polemiche di allora, e i dubbi della Guardia di Finanza sulla legittimità dei pagamenti, e la conseguente indagine della Corte dei conti su un presunto danno erariale da quasi 20 milioni di euro in favore di 56 case di cura.

Eppure ci risiamo. Il filo diretto tra la Regione Campania e le cliniche private si rinnova tra le pieghe di un documento dell’Unità di crisi anticoronavirus che il Fatto ha potuto consultare. Risale al 27 ottobre, è la lettera di manifestazione di disponibilità all’allestimento di posti letto Covid rivolta ad Aiop ed Aris, le associazioni di categoria delle case di cura private, per fronteggiare la seconda ondata dell’epidemia. Con il tariffario: 1000 euro per posto di terapia intensiva non occupato, 360 euro per posto di media intensità di cura non occupato, 180 euro per posto di degenza a bassa intensità di cura non occupato. Somme “a titolo di acconto” e “salvo conguaglio”.

“Per come è scritto il documento, si rischia di pagare due volte questi posti letto Covid vuoti, dalla Regione e dal governo ‘ai sensi dell’emanando decreto’ che il Parlamento ancora non ha approvato e dove ci sarà battaglia per introdurre un obbligo di rendicontazione”, afferma Valeria Ciarambino (M5s), vicepresidente del consiglio regionale campano. Ciarambino e la Cgil Campania sono gli autori degli esposti che hanno dato il via alle indagini della Corte dei conti durante la prima ondata di marzo. Allora fu predisposto un accordo valido per tre mesi che offriva alle cliniche private 700 euro per ogni giornata di degenza in terapia sub intensiva e 1200 per la terapia intensiva ma soprattutto si riconosceva il 95 per cento del budget mensile assegnato ogni anno alle singole cliniche a prescindere dal valore reale della produzione.

Coinvolgere la sanità privata nella guerra al virus è una mossa necessaria, vista la sofferenza della sanità pubblica. Le cliniche campane hanno risposto all’appello “offrendo circa 1500 posti letto in pochissimi giorni”, scrive il presidente di Aiop Campania Sergio Crispino in una nota all’Unità di crisi, che però sottolinea l’anomalia tutta campana dell’ordine di sospendere ogni attività di elezione e ambulatoriale. “Disposizione che per le Case di cura merita di essere rivista – parole di Crispino – in quanto in nessuna parte del Paese è stata adottata, ed invece sono state adottate disposizioni più coerenti con la possibilità assistenziale delle Case di cura che hanno indotto a indirizzare i pazienti non Covid dalle strutture pubbliche alle strutture accreditate, per consentire alle prime di poter allestire i posti letto disponibili per contrastare l’emergenza epidemiologica”. Sintesi: chi ha bisogno di curarsi di altro non sa più dove andare. E i privati, senza degenti ordinari, reclamano ristori adeguati.

Intanto il carteggio con l’Unità di crisi ha accolto la richiesta Aiop che il trasporto dei malati Covid in clinica avvenga a cura del servizio pubblico. Ma ne arrivano? “I medici – sostiene Ciarambino – ci riferiscono che dai privati arrivano solo pochi pazienti Covid non critici, prima accolti presso i pronto soccorso e le strutture pubbliche e poi trasferiti da loro. Ecco perché gli ospedali sono allo stremo”. Fonti dell’Unità di crisi replicano: “Le tariffe dell’accordo coi privati sono quelle nazionali e non vengono applicate per i posti di terapia intensiva, a più alto costo, in quanto al momento non c’è bisogno”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/15/de-luca-si-compra-letti-vuoti-nelle-cliniche-private/6004047/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-11-15

Il nostro paese è indebitato perché, per decine di anni, la nostra politica ha governato in modo "irresponsabile", per non infierire.
Ora, che una parte di essa vorrebbe rimediare agli errori del passato e sanare la situazione, non può farlo perchè ha il 90% della stampa corrotta contro che le rema contro.
E' assurdo, ma è la realtà che stiamo vivendo.
Io non oso pensare a che cosa sarebbe successo se al posto di Conte avessimo avuto uno dei soliti del passato; sicuramente percentuali altissime di contagiati, ospedali stracolmi di infettati bisognosi di terapie intensive, tracolli finanziari e corruzione dilagante, tutte cose che avrebbero contribuito ad aumentare il debito pubblico.
Debito pubblico che è a carico nostro, in quanto cittadini italiani.
I nostri amministratori, infatti, responsabili del disastro, non solo non lo pagano, ma, strano a dirsi, come per miracolo, diventano più ricchi.
Fateci caso.
Cetta.

Va in ospedale e muore, sull'auto una sfilza di multe.

 

Sul tergicristallo di un'auto parcheggiata di fronte all'ospedale di Piacenza, due cartelli a penna. Sul primo è scritto: "Il signor Mosconi, proprietario della vettura, è ricoverato in medicina d'urgenza".

Sul secondo, completato anche da una fotografia: "Il signor Mosconi è deceduto". Accanto il biglietto del parchimetro del 14 settembre e una sfilza di multe inzuppate di pioggia e annerite dallo smog. È la storia di Giuseppe Mosconi, 68 anni, pensionato lodigiano morto il 16 ottobre all'ospedale di Piacenza, raccontata questa mattina dal quotidiano Libertà.
    Il 14 settembre l'uomo, che viveva solo, si sente male e da Fombio (Lodi) in macchina raggiunge l'ospedale di Piacenza, dove muore circa un mese dopo il ricovero. In strada resta però la sua auto, una Mercedes grigia posteggiata negli spazi a pagamento, che viene tappezzata di multe. Nonostante i due cartelli che raccontano la fine di una storia di "ordinaria solitudine". Il fratello al telefono spiega che lui e Giuseppe si erano allontanati da tempo e dice di non sapere chi possa aver messo i cartelli sulla sua macchina. "A settembre - racconta - era corso in ospedale a Piacenza da solo, aveva qualche problema di salute. I medici mi hanno chiamato, ma non ho potuto andare a visitarlo per colpa dell'emergenza Covid.
Dopo la sua morte, l'auto è rimasta nel posteggio".

https://www.ansa.it/emiliaromagna/notizie/2020/11/14/va-in-ospedale-e-muore-sullauto-una-sfilza-di-multe_d2f85026-1f30-4bfa-b199-821fe9bcf793.html

Esame di immaturità. - Marco Travaglio

 

Vorrei tanto che fosse vera una delle balle che si raccontano sul mio conto: e cioè che sarei il capo occulto, o addirittura palese, dei 5Stelle. Almeno capirei qualcosa dei loro Stati generali, che si tengono via web causa Covid: prima sui territori, ieri e oggi a livello nazionale. Da gennaio, uscito Di Maio, non hanno un capo eletto dalla base, ma un reggente di transizione, Vito Crimi, che in dieci mesi è invecchiato di dieci anni appresso alle beghe da asilo Mariuccia di galli e galletti. Fra qualche giorno verrà eletto dagl’iscritti un vertice collegiale di 5 persone (ma qualcuno ne vorrebbe 7). E questa è l’unica buona notizia: il partito di maggioranza relativa, principale azionista del governo Conte, non può più restare acefalo. Le altre sono pessime. Grillo è distante e silente, anche se non si esclude un colpo di teatro in extremis. Casaleggio jr. s’è tirato fuori perché “è già stato tutto deciso” e tra chi “scrive le regole” c’è chi “non le rispetta” (qualche bonifico in ritardo): cioè ha capito che non può decidere tutto lui e l’orientamento maggioritario è quello di usare la piattaforma Rousseau come struttura di servizio e non più come segreteria-ombra e cassa-ombra. La Appendino, candidata ideale al nuovo direttorio, l’ha impallinata un giudice con una sentenza lunare, ma soprattutto l’incapacità del M5S di riammetterla dopo l’autosospensione, alla luce dei fatti oggetto della condanna che non ledono minimamente la sua moralità (una posta del bilancio comunale inserita nell’anno sbagliato). Di Battista non ha ancora detto se si candida; però vuole un M5S equidistante da centrodestra e centrosinistra, ma senza far cadere il governo M5S-centrosinistra; paragona gli (ex?) amici ministri all’Udeur, anche se Mastella alla Giustizia debuttò con l’indulto e Bonafede con la Spazzacorrotti, la blocca-prescrizione, il nuovo voto di scambio e le manette agli evasori; e chiede, come Casaleggio, che non si deroghi al limite dei due mandati e si pubblichino i risultati del voto dell’altroieri dove pare sia arrivato primo (ma non era l’elezione del capo politico, né un concorso di bellezza: soltanto la scelta dei 30 relatori che parleranno oggi).

Regolette, formulette, schede, mandati, scontrini, quote sociali, piattaforme online: ma a chi interessa ‘sta sbobba? Siamo nel pieno di una pandemia mondiale che sta cambiando il pianeta e impone a tutti un nuovo Welfare, un nuovo ambientalismo, un nuovo modello di sviluppo. E i 5Stelle, cioè la forza politica italiana più attrezzata per storia e Dna a dare risposte innovative sul futuro, oltreché la spina dorsale del governo con un buon premier indicato da loro e una serie di buoni ministri, che fanno?

Si accapigliano su minutaglie da trapassato remoto che non fregano niente e non scaldano nessuno. Ieri, ai tavoli tematici, i 305 delegati hanno parlato di cose serie. E si spera che producano un nuovo programma all’altezza di questa fase drammatica e appassionante. Però, mediaticamente, chi ha la responsabilità di comunicare il percorso ha proposto all’opinione pubblica il solito spettacolo autoreferenziale di questioncine e ripicchine, tanto meschine quanto odiose e noiose. Proprio mentre al governo i 5Stelle danno prova di maturità e anche di capacità, nella gestione interna regrediscono all’infanzia, mostrando un’immaturità e un’inadeguatezza che ingigantiscono il vuoto lasciato dai due padri fondatori: l’uno distante, l’altro defunto. Nei momenti cruciali, Grillo e Gianroberto Casaleggio si erano sempre mostrati all’altezza del compito, dando prova di pragmatismo e flessibilità. Anche rispetto alle sacre regole interne che, non essendo i 10 Comandamenti o la Costituzione o il Codice penale, si possono cambiare o derogare, perché sono al servizio del Movimento (non viceversa). Una classe dirigente non si improvvisa: buttare a mare quella faticosamente formata in questi anni per il tabù del terzo mandato, o qualche scontrino in ritardo, o una sentenza su un bilancio comunale sbagliato, sarebbe follia. Basta spiegarlo e la base capirà, come l’ha già capito per la Raggi che si candida per la terza volta. Persino il più occhiuto custode delle regole, Casaleggio senior, era pronto a cambiarle per il bene del M5S: infatti nel 2015 pressò Di Battista perché si candidasse a sindaco di Roma, anche se per statuto non poteva farlo perchè era già deputato.

Oggi le ragioni per votare 5Stelle sono in parte diverse da quelle delle origini: onestà personale; sobrietà nei comportamenti politici; una leadership di persone competenti e perbene che non abbiano ancora ricoperto ruoli dirigenziali (modello Appendino o Patuanelli, per intenderci); una ritrovata unità interna con idee diverse e responsabilità comuni (anche con Di Battista o con un rappresentante della sua area); e soprattutto contenuti. È sui contenuti che ha senso “tornare alle origini”, cioè al radicalismo civico, ambientalista, legalitario, tecnologico e sociale dei primi Meetup, ribadendo e rimpolpando il programma iniziale delle 5 Stelle in pochi punti da attuare nei prossimi anni. Non sulle formulette tipo “terzo polo” che, per chi stava al governo con la Lega e ora col centrosinistra, fanno ridere i polli. Riusciranno i nostri eroi a ricordare chi sono e da dove vengono per capire dove andare? Lo sapremo presto. Il tempo per il colpo d’ala è poco: qualche giorno, non di più.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/15/esame-di-immaturita/6004034/

Autostrade mentì allo Stato che non ha mai controllato. - Carlo Di Foggia e Valeria Pacelli

 

I controlli su Autostrade per l’Italia da parte della vigilanza del Ministero delle Infrastrutture dal 2016 al 2019 sono stati “cartolari”, ossia si basavano sui documenti forniti dalla concessionaria. Peccato però che, come ricostruito nelle carte dell’inchiesta della Procura di Genova, nella documentazione inviata al Ministero la reale situazione delle barriere fonoassorbenti (per i pm pericolose e sostitute tardi) veniva occultata. Lo scrive il Gip di Genova Paola Faggioni nell’ordinanza di misura cautelare ai domiciliari emessa per l’ex Ad di Autostrade Giovanni Castellucci e i manager Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti. L’inchiesta riguarda le barriere fonoassorbenti e antivento installate in tutta Italia da Aspi (il modello “Integautos”). Secondo le accuse, nonostante il vecchio management fosse consapevole della loro pericolosità non ha provveduto a sostituirle subito. Questo per evitare “gli ingentissimi costi che tali attività avrebbero comportato”.

Si deciderà di sostituirle solo a partire da gennaio scorso dopo che il consulente della procura di Genova, l’ingegnere Placido Migliorino, capo dell’ufficio ispettivo di Roma, stila una pesante perizia sulle criticità. Il tecnico fa a pezzi l’operato della concessionaria: errori progettuali; materiali di ancoraggio “non certificati” (sono “incollate col Vinavil”, dice un manager intercettato); difetti nella posa in opera; consegna al ministero di perizie incomplete; omissione degli atti di collaudo e via discorrendo. A parere di Migliorino, il problema poteva “essere risolto in maniera definitiva solo con l’integrale sostituzione”.

Il caso delle barriere è noto ad Aspi da novembre 2016, quando alcune si staccarono dal viadotto Rezza per il vento. Ma perché si è dovuto aspettare l’intervento dei pm? Mercoledì dal ministero hanno fatto sapere di aver “imposto il monitoraggio effettuato da società terze” perché “prima i controlli venivano effettuati da società interne agli stessi concessionari”, che nel caso di Aspi era Spea Engineering. E di aver istituto “l’agenzia di sicurezza Ansfisa” con 50 persone in più della direzione concessioni dedicate alla “verifica e all’approvazione dei programmi di manutenzione”. L’agenzia, voluta due anni fa dall’allora ministro Toninelli non è però ancora operativa ed è stata azzoppata da un emendamento che l’ha resa solo ‘promotrice’ della sicurezza e non ‘responsabile’ come pensato quando fu istituita.

Stando alle indagini di Genova, i documenti inviati da Aspi al ministero fornivano una visione distorta della condizione delle barriere. Il gip parla di “sistematico occultamento della situazione, attuato anche attraverso vari artifici quali l’abbassamento delle ribaltine adducendo motivi fittizi, il rialzo delle stesse nei casi nei quali le proteste richiamavano l’attenzione, l’omessa comunicazione delle problematiche allo Stato e addirittura anche il tentativo di aggiustamento di atti presso la Polizia Stradale”. Delle mancate comunicazioni al Ministero parla anche un ex responsabile dei lavori di Aspi. Ai pm dice – sintezza il gip – che “le disposizioni di servizio che ordinavano l’abbattimento delle ribaltine nell’area ligure sono state inviate al primo Tronco di Aspi e a Spea…, ma non al Mit”.

L’indagine della procura di Genova riguarda 30 km di barriere installate in Liguria da Autostrade (60 in tutta Italia), ma negli atti si parla di strutture molto più estese sul territorio. Per il Gip, da un’intercettazione, emerge che erano 400 i chilometri da adeguare. La domanda è: oltre la Liguria, ci sono altre tratte sulle quali intervenire? La palla passa al Ministero che potrebbe effettuare verifiche più estese e non “cartolari”, come fatto finora.

Intanto l’inchiesta complica la trattativa tra Atlantia e il governo per cedere il controllo di Aspi alla Cassa depositi e a due fondi speculativi. Mercoledì, dopo gli arresti, in un teso vertice video il Tesoro avrebbe fatto presente agli uomini della holding che il prezzo dovrà calare. Risposta: non se ne parla.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/13/autostrade-menti-allo-stato-che-non-ha-mai-controllato/6001942/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-11-13#

sabato 14 novembre 2020

Arrestato l’Idraulico della Lega “Da dove arrivano tutti i soldi?”. - Stefano Vergine

 

Film Commission - Domiciliari al fornitore del partito: gli fatturò oltre 1,5 milioni.

“Questo qui ha fatto lavori per la Lega per due milioni di euro in un anno e mezzo. Questo qui era un idraulico che aggiustava i tubi delle caldaie. Ma come mai?”. L’intercettazione riportata nell’ordinanza con cui ieri il Tribunale di Milano ha disposto gli arresti domiciliari per Francesco Barachetti, piccolo imprenditore bergamasco, non racconta molto più di quanto già noto sulla vicenda della Lombardia Film Commission e dei commercialisti della Lega, ma suggerisce che l’inchiesta della Procura di Milano sulla compravendita del capannone di Cormano potrebbe fare presto un salto di qualità.

Le 69 pagine firmate dal gip Giulio Fanales spiegano che Barachetti ha avuto un ruolo rilevante nell’affare immobiliare insieme ad Alberto Di RubbaAndrea Manzoni e Michele Scillieri, e che c’è il rischio che i reati commessi in quell’operazione vengano reiterati. Secondo la procura di Milano, attraverso la sua principale società, la Barachetti Service Srl di Casnigo, sede a 300 metri dalla casa di Di Rubba, Barachetti ha infatti avuto un duplice ruolo nell’ormai famosa operazione costata 800mila euro ai residenti lombardi. Da una parte lui e la moglie, cittadina russa, hanno beneficiato personalmente dei soldi pubblici pagati dall’ente controllato dalla Regione, intascando 55 mila euro e usandoli quasi tutti per comprare un appartamento a San Pietroburgo. Dall’altra parte, Barachetti ha permesso a Manzoni e Di Rubba, facendo da sponda attraverso un’altra società a lui riconducibile (la Eco Srl), di intascarsi 188mila euro della Fondazione, provvista che i due contabili leghisti hanno prontamente investito in due villette sul lago di Garda.

Fin qui niente di particolarmente nuovo. Barachetti era già indagato per concorso in peculato e false fatturazioni, ma il suo arresto potrebbe spingere l’inchiesta oltre i confini lombardi. Nella richiesta dei domiciliari il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e il pm Stefano Civardi non lo citano mai direttamente, ma il partito di Matteo Salvini è il convitato di pietra. Appare solo in quell’intercettazione accennata sopra. È Scillieri a parlare al telefono con Luca Sostegni, presunto prestanome usato nell’operazione Lombardia Film Commission (è in attesa di essere scarcerato):“Questo qui (Barachetti, ndr) ha fatto lavori per la Lega (da intendersi il partito politico Lega per Salvini Premier, specificano i magistrati) per due milioni di euro in un anno e mezzo. Questo qui era un idraulico che aggiustava i tubi delle caldaie. Ma come mai?… Com’è che Di Rubba ha messo su un autosalone di macchine di lusso poco lì accanto a Barachetti che ha comprato un edificio dove ha fatto la sede grandiosa della sua società? Ma da dove arrivano i soldi? Ma come mai la società di noleggio auto ha fatturato quasi un milione di euro alla Lega in un anno?”.

Così Scillieri, che dovrebbe essere interrogato nei prossimi giorni per la seconda volta, potrebbe confermare quanto contenuto in alcune segnalazioni di operazione sospetta richieste alla Uif di Banca d’Italia dalla procura di Genova, che indaga da tempo per il presunto riciclaggio dei 49 milioni di euro della Lega. Le movimentazioni bancarie dicono infatti che Barachetti ha incassato molti soldi negli ultimi anni dal partito di Salvini e dalle sue società. Solo tra il 2016 e il 2018 la Barachetti Service ha fatturato circa 1,5 milioni di euro alla galassia leghista. Numeri da capogiro per l’idraulico di Casnigo, che da quando è diventato fornitore del partito ha visto schizzare verso l’alto il suo giro d’affari. Specializzata in impianti idraulici ed elettrici, la Barachetti Service è passata da un fatturato di 282mila euro nel 2011 a 2,1 milioni nel 2017, fino ai 4,3 milioni del 2019. Barachetti Service ha incassato soldi dalla Lega a fronte di fatture per lavori vari, e poco dopo li ha girati a società riconducibili a Di Rubba e Manzoni. Proprio come avvenuto nel caso della Lombardia Film Commission. Uno schema che sembra interessare anche i magistrati di Milano.

Ieri, mentre venivano disposti i domiciliari per l’imprenditore bergamasco, la Guardia di finanza del capoluogo lombardo ha infatti perquisito anche i rappresentanti della Sdc Srl, società emersa più volte nelle trame finanziarie leghiste. Negli ultimi anni la Sdc ha ricevuto infatti parecchi bonifici dal partito, e ha poi girato buona parte delle somme ai soliti Di Rubba e Manzoni. Non solo. In un solo anno, tra il 2016 e il 2017, anche il tesoriere e parlamentare della Lega Giulio Centemero ha ricevuto denaro dalla Sdc: 61.990,40 euro, con motivazione “saldo fatture”. I documenti sequestrati ieri alla società potrebbero permettere ai magistrati di capire meglio quali prestazioni ha fornito Centemero, il fedelissimo di Salvini.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/14/arrestato-lidraulico-della-lega-da-dove-arrivano-tutti-i-soldi/6003382/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-11-14

Gli insaputi. - Marco Travaglio,

 












La fiera dell’insaputismo ci aveva abituati quasi a tutto. A B. che scambia Mangano per uno stalliere, la Minetti per un’igienista dentale, Alfano per il suo erede e Gasparri per un ministro. A Scajola che compra casa al Colosseo e non si accorge che due terzi glieli ha pagati un altro. A Fontana, presidente della Regione Lombardia che appalta le forniture dei camici alla ditta di suo cognato senza dirgli niente, dopodiché lui tenta di risarcire il cognato per il mancato affare con un bonifico da un conto svizzero che non sa di avere, così come ignora perché la madre dentista e il padre impiegato tenessero 5 milioni alle Bahamas su cui lui, sempre a sua insaputa, aderì alla voluntary disclosure per farli rientrare in Italia, tant’è che li lasciò in Svizzera. Un caso di insaputismo talmente sfortunato da rendere persino credibile il generale Saverio Cotticelli, commissario alla Sanità in Calabria, che confessa in tv di non aver mai fatto il piano di emergenza perché non sapeva che spettasse a lui; poi, quando lo cacciano, spiega restando serio che il piano l’aveva fatto, ma “non ero io quello dell’intervista, non mi riconosco, ho vomitato tutta la notte, forse mi hanno drogato, sto ancora indagando”, forse c’entra “la massoneria”, anzi “la masso-mafia”.

Ci stavamo appena riprendendo, quando sulla scena ha fatto irruzione Christian Solinas, sgovernatore di Sardegna, il genio che quest’estate riaprì le discoteche trasformando la sua Regione in un mega-focolaio. L’ordinanza è firmata da lui, quindi come si discolpa? “Ho obbedito al mio Comitato tecnico scientifico”. La prova sarebbe un’email di quattro righe inviata dal prof Vella, membro del Cts, al capo della Sanità regionale un’ora prima che lui firmasse l’ordinanza. Ora che i pm indagano, Vella spiega a Repubblica che quelle quattro righe “non erano un parere del Cts”, mai convocato e comunque contrario, ma una mail “a titolo personale per tentare di ridurre il danno di una scelta politica già presa. Intendevo dire che per loro, come mi avevano detto, era inevitabile e necessario riaprirle. Per loro, non certo per noi”. Infatti la polizia ha sequestrato altre 10 email del Cts sardo fieramente contrarie alle discoteche. Ma Solinas dice che non ne sapeva nulla: in fondo è solo il presidente della Regione. Otto anni fa, Sara Tommasi girò alcuni film porno e il suo fidanzato di allora, il celebre avvocato-scrittore Alfonso Marra, li attribuì all’abuso di droghe. Ma lei lo smentì sfoderando un alibi decisivo: “È colpa delle entità aliene che mi hanno impiantato un microchip nel cervello per diffondere l’amore nel mondo. Due di loro sono state sempre presenti di nascosto sul set”. Strano che non sia ancora governatrice di qualche Regione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/14/gli-insaputi/6003357/

Matteo Renzi, chi sono gli imprenditori che versavano soldi a Open. I pm al lavoro sulla “concomitanza” con emendamenti favorevoli.

 

Nei nuovi atti dell'inchiesta, citati dal quotidiano La Verità, i magistrati cercano di ricostruire i rapporti che c'erano tra diverse aziende e la Fondazione. Come la "concomitanza tra il contributo di 20mila euro del 21/12/2017" erogato dalla British american tobacco Italia Spa "a favore della fondazione Open, con un intervento 'in legge di bilancio'".

Alcuni nomi degli imprenditori che nel corso degli anni hanno versato migliaia di euro a Open erano già noti, ma con il deposito di nuovi atti dell’inchiesta cominciano a emergere con più chiarezza i rapporti che c’erano tra quelle aziende e la fondazione legata a Matteo Renzi. Nell’elenco compaiono tra gli altri Beniamino Gavio, azionista dell’omonimo gruppo che gestisce varie tratte autostradali, i Toto delle autostrade abruzzesi, l’emiliano Michele Pizzarotti e pure la divisione italiana della British american tobacco. Come riporta il quotidiano La Verità, gli inquirenti sono al lavoro sulla “concomitanza temporale” tra l’erogazione di alcuni fondi alla cassaforte renziana e una serie di emendamenti o interventi legislativi arrivati in Parlamento quando l’ex segretario del Pd era al governo (o comunque ne era il principale azionista). I magistrati intendono dimostrare come Open fosse una “articolazione politico-organizzativa del Partito democratico (corrente renziana)”, ipotesi su cui si basa l’accusa di finanziamento illecito contestato allo stesso Renzi, Maria Elena Boschi e all’attuale deputato del Pd, Luca Lotti. Stando agli ultimi sviluppi dell’inchiesta, risulta che la fondazione abbia pagato anche 130mila euro per i sondaggi delle campagne politiche dell’ex premier e 150mila euro per la pubblicazione di un book fotografico per il viaggio in camper durante le primarie.

Soldi per l’ascesa politica di Renzi – Dalle ultime informative delle Fiamme gialle inviate alla procura di Firenze, risulta che le casse di Open hanno finanziato molte iniziative politiche di Renzi, impegnato nelle primarie del Pd nel 2012 e nelle Politiche del 2013, per un totale di oltre mezzo milione di euro. Risorse che hanno permesso di finanziare sondaggi elettorali, ma anche campagne di comunicazione politica per invitare i cittadini al voto (126mila euro), cene, alberghi, consulenze di comunicazione politica (quasi 68mila euro) e pure la pubblicazione di un book fotografico. L’ipotesi degli investigatori è che Open (che all’inizio si chiamava Big Bang) anche in questo modo si sia comportata come articolazione di partito.

Beniamino Gavio – Tra gli sponsor della Fondazione, che negli anni ha finanziato la Leopolda a Firenze, c’è innanzitutto Beniamino Gavio. Nell’ottobre 2013, scrive il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, l’imprenditore viene rappresentato da Guido Ghisolfi a una cena a cui partecipano Renzi, il presidente di Open Alberto Bianchi, Marco Carrai, Vito Pertosa, Luigi Pio Scordamaglia e Davide Serra. Il giorno dopo, Bianchi invia a tutti gli ospiti una mail in cui si legge che l’esito dell’incontro ha portato a “due presupposti e alcuni impegni reciproci“. Gavio, Pertosa e Scordamaglia si impegnano a versare 100mila euro l’anno per cinque anni (in realtà poi ne arrivano 76mila). In cambio, si legge, “Matteo assicura almeno tre incontri all’anno” per “brainstorming a 360 gradi”. Nelle carte dell’inchiesta, aggiunge La Verità, viene citato un “elaborato” – intitolato “Contenimento delle tariffe e razionalizzazione del sistema autostradale italiano” – inserito in un faldone di Bianchi (“Renzi M. Think tank“) e accompagnato a sua volta da una cartellina dal titolo “Sblocca Italia, emendam“. Cosa contiene? Un’email di Bianchi del 25 settembre 2014 riguardante una proposta di emendamento al decreto Sblocca Italia e destinata a Antonella Manzione, ex capo dei vigili di Firenze nominata responsabile dell’ufficio Affari legislativi di Palazzo Chigi. Il provvedimento, scrive ancora il quotidiano, proroga senza gara la durata delle concessioni a una serie di gestori autostradali, riconducibili anche ai Gavio.

Michele Pizzarotti – Da Pizzarotti arrivano a Open 50mila euro e nelle carte dei magistrati sono riportate diverse occasioni in cui il businessman avrebbe incontrato l’ex premier. In questo caso i pm rilevano però anche una “concomitanza temporale” tra un contributo da 25mila euro erogato il 15 ottobre 2014 e lo stanziamento, nella Finanziaria di quell’anno, di 300 milioni per coprire gli ammanchi di traffico sull’autostrada A35. Ad iniziare l’opera, spiega La Verità, è stato nel 2009 il consorzio Bbm che includeva anche l’azienda di Pizzarotti.

Gruppo Toto – Interessati sempre alle autostrade sono i Toto, che gestiscono la tratta A24 (Roma-L’Aquila-Teramo) e la A25 (Torano-Avezzano-Pescara). Il gruppo, scrive sempre l’avvocato Bianchi in una mail a due colleghi del suo studio, avrebbe “espresso il desiderio di versare a Open” un importo “pari al netto del 2% di quanto, a seguito della nostra attività professionale” (come studio legale, ndr) “sarà ricavato dai contenziosi/trattative con Anas spa” e nella vicenda della variante Ss Aurelia a La Spezia. Il quotidiano di Belpietro riferisce che anche qui c’è di mezzo un emendamento. Siamo nel 2017, al governo c’è Gentiloni ma Renzi è ancora leader del Pd: Bianchi spiega a Luca Lotti che la norma è “frutto di un’intesa tra loro”, cioè i Toto “e Armani” (all’epoca capo dell’Anas).

Famiglia Aleotti – Tra i finanziatori “più significativi” per i magistrati c’è poi la famiglia Aleotti. In un’email del febbraio 2018, una collaboratrice di Bianchi scrive che “sono arrivati 50k da Landini Massimiliano, 50k da Aleotti Luciano, 50k da Aleotti Alberto“. A un pranzo con Bianchi, Carrai e Lucia Aleotti, riferisce La Verità, si parla della “possibile nomina di Lucia Aleotti all’interno di un ente non meglio precisato”.

British american tobacco – Come già emerso nelle prime fasi dell’inchiesta su Open, 170mila euro sono arrivati dalla British american tobacco Italia Spa. Secondo gli inquirenti, Luca Lotti ha ricevuto dal suo referente del colosso due “elaborati”. In uno, la multinazionale “auspica una revisione del sistema di tassazione che non penalizzi l’industria e non causi distorsioni della concorrenza, consentendo allo stesso tempo lo sviluppo di prodotti meno dannosi attraverso una loro tassazione inferiore rispetto a quella tradizionale”. Anche in questo caso i finanzieri parlano di una “concomitanza tra il contributo di 20mila euro del 21/12/2017” erogato dalla società “a favore della fondazione Open, con un intervento ‘in legge di bilancio’ evocato da Ansalone (verosimilmente a favore della predetta società) e la ‘proiezione’ verso la campagna elettorale per le elezioni politiche 2018“.

Pietro Di Lorenzo – Chiude l’elenco Pietro Di Lorenzo, presidente della Irbm di Pomezia che sta lavorando insieme all’università di Oxford al vaccino anti-Covid. Lui e i suoi familiari hanno destinato alla Fondazione 160mila euro. Nelle carte si citano diversi scambi di messaggi tra Bianchi e l’imprenditore, finalizzati a organizzare un incontro con Renzi. Ma anche due appunti dello stesso avvocato che – scrivono gli investigatori – “possono essere messi in correlazione ai finanziamenti statali a favore della società consortile Cnns”. Azienda che, conclude il quotidiano di Belpietro, è controllata al 70% proprio dalla Irbm.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/13/matteo-renzi-chi-sono-gli-imprenditori-che-versavano-soldi-a-open-i-pm-al-lavoro-sulla-concomitanza-con-emendamenti-favorevoli/6002376/