Come è noto, i pm di Palermo, compreso il Procuratore capo Lo Voi, hanno chiesto il rinvio a giudizio di Matteo Salvini per sequestro di persona per aver negato lo sbarco, nell’estate del 2019, a 147 migranti soccorsi al largo di Lampedusa dalla nave della ong Open Arms. La richiesta ha dato spunto al direttore del Giornale, Sallusti, per un editoriale del 21 marzo dal titolo “Il Procuratore ‘made in Palamara’”. L’intento del direttore – oltre alla solita contumelia nei confronti della magistratura: “Facciamo finta di non vedere che la giustizia è nelle mani di una banda di sciagurati” – era quello “almeno che gli italiani sappiano da che pulpito arriva la richiesta di rinviare a giudizio Salvini per un presunto reato politico”.
In proposito, si è “affidato alle parole di Luca Palamara nel libro Il Sistema”, circa la nomina del nuovo procuratore di Palermo: “Mi convoca il procuratore di Roma Pignatone e a sorpresa mi dice: ‘Si va su Lo Voi?’. Rimango sorpreso, è il candidato con meno titoli tra quelli in corsa, ma sono uomo di mondo, mi adeguo e studio la pratica. È un’impresa difficile, l’uomo era distaccato fuori sede, all’Eurogest. Ricordo la trattativa come una delle più difficili della vita, faccio un doppio gioco e la vinco: Lo Voi va a Palermo e, dopo il giusto ricorso di un suo avversario, io e Pignatone organizziamo una cena con il magistrato che dovrà decidere sul ricorso che…”.
In realtà non esiste alcuna correlazione tra i due episodi, poiché la nomina a Procuratore del Lo Voi (avvenuta nel 2014) non incide in alcun modo sulla legittimità della richiesta di rinvio a giudizio che l’organo dell’accusa, nel contraddittorio tra le parti, sottopone alla valutazione di un giudice terzo, sicché del tutto impropria è l’affermazione del Sallusti: “Ecco, la politica oggi si fa giudicare da un uomo così”.
Inoltre, l’episodio è di una gravità inaudita per il Palamara il quale, componente del Csm, non solo non respinge la “raccomandazione” (semmai vi è stata) del Procuratore di Roma in favore di un candidato meno titolato di altri concorrenti al posto di Procuratore di Palermo, ma addirittura si impegna – in violazione del dovere di imparzialità, facendo anche il “doppio gioco” (!!) – a far vincere la procedura concorsuale al candidato “segnalato”, meno titolato, danneggiando così il candidato più titolato costretto a rivolgersi al Tar ove vince. Ma è il Palamara a non darsi per vinto perché “propizia” (se è vero) a casa sua un incontro tra il Pignatone e il magistrato del Consiglio di Stato che dovrà giudicare il ricorso – poi accolto – del Lo Voi avverso la decisione del Tar.
Orbene, vi è materia sufficiente per un’indagine che faccia luce sulla inquietante vicenda anche acquisendo la versione di Pignatone.
L’episodio in questione è uno dei tanti che il Palamara racconta nella sua intervista al Sallusti e tutti dovrebbero essere oggetto di accertamenti quantomeno disciplinari (accertamenti ancora possibili poiché il Palamara non è stato definitivamente rimosso dall’ordine giudiziario), tenuto conto che lo stesso Palamara ammette “che negli ultimi anni non ho fatto il magistrato: io ho fatto politica. Non dentro un partito politico, ma inserito in un sistema politico. Ho confuso i ruoli, certo, ma è giusto dire che non ero un pazzo isolato; eravamo in tanti ed eravamo compatti, eravamo diventati quelli di una parte pronti a colpire l’altra, e non c’entravamo più nulla con il collega che si alza ogni mattina e si deve occupare di furti, rapine, separazioni e fallimenti”.
Ora, un personaggio del genere – che vuole riciclarsi e vuole combattere per “una giustizia più giusta” – è diventata una star televisiva, riverito e osannato da una certa parte politica e da una certa stampa giunta al punto di affermare – e la cosa ha dell’incredibile – che “Palamara è ancora vivo e lotta insieme a noi” (così Il Tempo del 21.3, a firma di F. Storace).
Si tratta evidentemente della gratificazione dovutagli per essersi inventato un “Sistema” per il quale la magistratura si compattava contro i politici che “hanno sfidato i magistrati” e quindi Berlusconi, Renzi, Salvini (eccetto Enrico Letta e Paolo Gentiloni che “non hanno sfidato i magistrati”).
Per la verità, un tale sistema non è mai esistito, ma è esistito un sistema correntizio – di cui uno dei principali protagonisti era il Palamara – che inquinava le procedure concorsuali per incarichi e nomine basate non sul merito, ma sull’appartenenza alla corrente e su tale sistema non si è indagato a fondo, quantomeno in sede disciplinare.
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