giovedì 29 agosto 2019

Perché lo spread scende moltissimo. - Davide Maria De Luca



I rendimenti dei titoli di Stato italiani hanno raggiunto il livello più basso da parecchio tempo, se non di sempre: c'entra che la Lega non è più al governo, ma non solo.


Negli ultimi giorni i titoli di Stato italiani hanno raggiunto uno dei livelli di rendimento più bassi della loro storia, e lo spread è sceso ai livelli precedenti alla formazione del governo Lega-Movimento 5 Stelle. I BTP decennali, ad esempio, non hanno mai pagato un tasso di interesse così basso a chi li acquista. Per lo Stato italiano, quindi, non è mai stato così conveniente finanziarsi indebitandosi. Oggi, per esempio, il ministero dell’Economia ha venduto 4 miliardi di euro di BTP a dieci anni con un tasso di interesse dello 0,96 per cento, il rendimento più basso di sempre.
Considerando che probabilmente nei prossimi dieci anni l’inflazione sarà almeno pari o superiore all’1 per cento (è stata dell’1,2 per cento nel 2018) significa che chi ha comprato BTP si vedrà restituire una cifra di valore inferiore a quella che ha investito oggi (un’inflazione superiore al rendimento, infatti, si “mangia” gli interessi e parte del capitale). Di fatto significa che gli investitori stanno pagando per finanziare il nostro paese (è già accaduto spesso negli ultimi anni, ma finora era successo ai titoli di paesi percepiti come molto stabili, per esempio quelli tedeschi).
Allo stesso tempo è diminuito anche lo spread, che misura la differenza tra il rendimento dei BTP italiani e degli equivalenti titoli tedeschi. Oggi lo spread è sceso fino a 163 punti base, un livello che aveva toccato l’ultima volta prima della formazione del governo Lega-Movimento 5 Stelle (mentre nei giorni della sua formazione, alla fine del maggio 2018, era arrivato a toccare i 300 punti base).
Ci sono alcune ragioni per spiegare questi cambiamenti. La prima ha a che fare con la caduta del governo. Gli investitori, cioè i grandi istituti finanziari che giorno per giorno contribuiscono a far muovere lo spread vendendo o acquistando titoli di Stato (qui avevamo spiegato come funziona questo meccanismo), avevano “prezzato” – come si dice in gergo – il rischio (in realtà abbastanza remoto) di un fallimento italiano o di una ridenominazione del debito pubblico in un’altra valuta nel caso dell’uscita dall’euro (che sono un po’ la stessa cosa), viste le note posizioni della Lega su questo tema.
È il fenomeno per cui, per esempio, le dichiarazioni sui famosi “mini-bot” si trasmettevano quasi automaticamente sui rendimenti e quindi sullo spread. Con l’uscita della Lega dal governo, i mercati hanno ritenuto che questo rischio si sia attenuato e quindi hanno “premiato” i titoli di Stato italiani, chiedendo un rendimento più basso in cambio del loro acquisto.
Ma c’è anche dell’altro. La caduta del governo in realtà ha prodotto prima un loro incremento (nei giorni in cui sembravano probabili nuove elezioni) seguito quasi subito da una rapida riduzione dei rendimenti. Questa riduzione però era già in corso da mesi. Come mai?
Il rendimento dei titoli decennali italiani nell’ultimo anno, con evidenziato il calo iniziato a novembre (Bloomberg)
Non c’è una sola risposta, né una risposta semplice: in ballo ci sono molti fattori che non hanno a che fare soltanto con la situazione del nostro paese. La causa principale di questa lenta ma costante riduzione nei rendimenti è l’annuncio con cui Mario Draghi, il presidente della Banca Centrale Europea, lo scorso novembre fece sapere che se l’inflazione fosse rimasta stagnante, cioè sotto il 2 per cento che la BCE considera il livello “sano”, sarebbe intervenuto con strumenti “straordinari”, per esempio facendo partire un nuovo programma di Quantitative Easing oppure interrompendo l’innalzamento previsto dei tassi di interesse (tutte operazioni che, direttamente o indirettamente, contribuiscono ad abbassare i tassi di interesse, compresi quelli sui titoli di Stato).
Con il passare dei mesi questa tendenza della BCE a tenere aperti i “cordoni della borsa”, o ad annunciare di essere pronta a farlo, si è confermata. Lo stesso hanno fatto le banche centrali di Stati Uniti e Giappone. Il punto è che l’inflazione, una delle principali ragioni che in passato spingevano le banche centrali a rallentare i loro stimoli all’economia per evitare che mettere troppo denaro in circolazione potesse far crescere eccessivamente i prezzi, sembra essere sparita dal mondo sviluppato.
Allo stesso tempo le ragioni per continuare con lo stimolo economico non sono scomparse: la disoccupazione rimane alta (anche se viene spesso “mascherata” dalla sottoccupazione e dal part time involontario), mentre non solo la crescita economica ristagna, in particolare in Europa e in Giappone, ma ci sono anche crescenti timori di una nuova recessione globale.
Nel corso dell’ultimo anno, nei forum dove economisti e banchieri centrali discutono del futuro dell’economia, come quello di Sintra in Portogallo e quello di Jackson Hole negli Stati Uniti, si è parlato sempre di più di come il funzionamento dell’economia nei paesi sviluppati appaia per alcuni aspetti profondamente cambiato rispetto al passato, e di come alcune ricette utilizzate in passato non sembrino più valide. In una serie tweet molto commentati, il professore di Harvard ed ex segretario al Tesoro del presidente statunitense Bill Clinton, Larry Summer, ha scritto che «i tassi di interesse a zero senza possibilità di scampo sono oggi la principale aspettativa dei mercati in Europa e Giappone» almeno per «la prossima generazione». E gli Stati Uniti «sono a una recessione di distanza dal trovarsi nella stessa situazione».
Se queste previsioni saranno confermate, le conseguenze per le economie sviluppate saranno di grande portata. Da un lato, ci dovremo abituare a un lungo periodo di stagnazione o di crescita anemica. Dall’altro, i paesi fortemente indebitati otterranno un margine di manovra per le loro politiche fiscali impensabile fino a pochi anni fa. Se i tassi di interesse italiani rimarranno sul livello attuale per i 4-5 anni necessari a rinnovare completamente lo stock di debito (cioè a sostituire le emissioni ai vecchi tassi con nuovo debito piazzato con bassissimi rendimenti) i governi italiani passeranno dal pagare circa 64 miliardi di euro in interessi ogni anno (la cifra pagata nel 2018) a pagarne una quindicina. Significa che i margini di spesa annuali cresceranno potenzialmente di 50 miliardi di euro l’anno.

I 10 punti elencati da Di Maio per dar vita a un nuovo Governo



«Abbiamo informato il capo dello Stato di quelli che secondo noi sono obiettivi prioritari per l’Italia, sono 10 impegni che abbiamo preso con gli italiani e che secondo noi devono essere portati a compimento». Lo ha detto il capo politico del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, al termine delle consultazioni avviate dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per sondare la possibilità di una nuova maggioranza di Governo.
I 10 obiettivi elencati da Di Maio sono: 
1) Taglio del numero dei parlamentari (deve essere un obiettivo di questa legislatura e una priorità del calendario in Aula); 
2) Una manovra equa che preveda stop all'aumento dell'Iva, il salario minimo orario, il taglio del cuneo fiscale, la sburocratizzazione, il sostegno alle famiglie, alle nascite, alla disabilità e all'emergenza abitativa; 
3) Cambio di paradigma sull’ambiente, un’Italia al 100% rinnovabile; 
4) Una legge sul conflitto di interessi e una riforma della Rai ispirata al modello Bbc; 
5) Dimezzare i tempi della giustizia e riforma del metodo di elezione del Csm; 
6) Autonomia differenziata e riforma degli enti locali; 
7) Legalità, carcere ai grandi evasori, lotta a evasione e traffici illeciti; 
8) Un piano straordinario di investimenti per il Sud; 
9) Una riforma del sistema bancario che separi le banche di investimento dalle banche commerciali; 
10) Tutela dei beni comuni, scuola, acqua pubblica, sanità, revisione concessioni autostradali.

12 ANNI DOPO. - Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano) 29.8.2019


C’è un fatto, di questa pazza crisi, che non era scontato: la standing ovation con cui la Direzione del Pd ha approvato per acclamazione il via libera di Zingaretti al Conte-2 con i 5Stelle. Una scena inimmaginabile non solo negli ultimi 10 anni, ma anche 20 giorni fa. Può darsi che, a spiegarla, basti la paura del voto e della vittoria di Salvini. Ma al voto, fino a 20 giorni fa, Zinga ci voleva andare proprio come Salvini.
Poi la mossa di Renzi ha cambiato le cose. Ma se è stato così facile convincerli tutti, vuol dire che gli argomenti dei cacadubbi che ci hanno sempre risposto “è impossibile, non accadrà mai” quando auspicavamo un contratto fra un centrosinistra rinnovato e un M5S maturo erano solidi come un sacco vuoto. Pretesti, scuse puerili, robetta. Che ha fatto perdere all’Italia un sacco di tempo e di occasioni, infliggendole esperienze agghiaccianti come i governi Pd-Berlusconi&Verdini&Alfano e regalando a Salvini 14 mesi di resistibile ascesa.
In fondo, quello fra M5S e Pd era un appuntamento fatale: tutti sapevano che prima o poi si sarebbe concretizzato, ma nessuno lo diceva. Eppure i 5Stelle, checché ne dicano i teorici delle “due destre populiste e sovraniste”, nascono da una costola del centrosinistra. Anche se poi la costola è diventata più grande del corpo, fino a inglobare elettori in fuga dal centrodestra. Lo ricorda Beppe Grillo in questi giorni a chi gli chiede il perché della sua attiva benedizione al governo giallo-rosa. Lui all’inizio, a fondare un movimento, non ci pensava proprio.
Nel 2005 aveva aperto il blog su istigazione di Gianroberto Casaleggio per portare dal palco dei suoi show a quello del web le sue battaglie ambientaliste. Aveva raccolto proposte dalla società civile (le “primarie del web”) e nel 2006 le aveva portate al premier Prodi. Ma quel governo era paralizzato dai veti incrociati e indebolito dal neonato Pd veltroniano a “vocazione maggioritaria” (ciao core), infatti di lì a poco cadde.
A cavallo di quella visita a Palazzo Chigi, Grillo aveva scoperto di avere un popolo in cerca di autore, nelle piazze dei due V-Day: il primo contro i condannati e i nominati in Parlamento, il secondo contro i fondi pubblici alla stampa.
E il 13 luglio 2009 Grillo si iscrisse al Pd nella sezione di Arzachena per candidarsi a segretario. Senz’alcuna intenzione né chance di diventarlo. “Io chiedevo solo di parlare al loro congresso per esporre le proposte del blog: gliele regalavo! Gratis! Mi dissero che non potevo neppure prendere la tessera perché ero ‘ostile’. Risposi: ostile non al Pd, ma alla sua classe dirigente, infatti voglio cambiarla”. Fu allora che Fassino lanciò il fatidico anatema, una summa di tutta la chiusura, la miopia, la protervia della sinistra all’italiana: “Se Grillo vuol fare politica, fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende”. Il più clamoroso boomerang della storia politica moderna, subito colto al balzo da Grillo: “Belìn, è stato lui a darmi l’idea del movimento! Io non ci avevo neanche pensato”.
Il MoVimento 5 Stelle nacque nel giorno di San Francesco d’Assisi, il 4 ottobre 2009. E irruppe in Parlamento nel 2013 col 25,5%. Bersani, rara avis, intuì che l’evento interpellava la sinistra e l’appuntamento incombeva. Ci provò proponendo al M5S l’appoggio esterno al suo governo, che i nuovi arrivati non potevano che respingere, anche se ci misero un surplus di inutile supponenza in streaming. Ma già due mesi dopo, con l’elezione del capo dello Stato, l’incontro era a un passo. Grillo lanciò la sfida al Pd: “Votiamo insieme Rodotà e poi facciamo il governo insieme”. Lì si vide che Bersani era solo: Napolitano, Letta jr. e il grosso del Pd avevano già in tasca l’inciucio con B.
L’anno scorso, dopo la vittoria, Di Maio propose un contratto di governo anzitutto al Pd: pareva tutto pronto, poi Renzi lo fece saltare con l’intervista a Fazio e i pop corn. E nacque il Salvimaio. Ora il momento è arrivato, tra le mille diffidenze e gelosie che però, viste le tossine e gli insulti accumulati in questi anni, potevano essere molto più pesanti. Il Pd ha cambiato idea e forse è anche un po’ cambiato.
Il M5S è maturato e, anche se nessuno glielo riconosce, un bel po’ del merito va a Di Maio. Che ha rotto il tabù delle alleanze (o dei contratti), ha portato i 5Stelle oltre il 33%, ha pescato il jolly di Conte e ora, insieme al redivivo Grillo, ha compattato il M5S in rotta su una sfida complicata ma ineludibile, che gli è costata la seconda rinuncia a Palazzo Chigi.
Una sfida che potrebbe rivelarsi un disastro, ma potrebbe pure aiutare i due contraenti giallo-rosa a contaminarsi per cambiare in meglio: il M5S ad accumulare esperienza e autorevolezza, il Pd a guadagnare in freschezza, energia e un po’ di sano populismo. Perciò Grillo se la ride: “Lo sapevo che prima o poi sarebbero arrivati”. Con appena 12 anni di ritardo, ma sono arrivati.
Ps. In questi giorni, improbabili esegeti-medium credono di sapere cosa direbbe Gianroberto Casaleggio. Noi lo ignoriamo, ma sappiamo cosa ci disse nell’ultima intervista del 21 maggio 2014: “Prodi fu molto gentile, ricevette Grillo a Palazzo Chigi, disse che avrebbe distribuito la cartellina con le nostre proposte ai vari ministri e sottosegretari, poi però la cosa finì lì.
Era un tentativo di vedere le loro carte: se il centrosinistra faceva proprie le nostre idee, a noi andava bene così, non ci interessava chi le portava avanti. Ma la risposta fu il muro. Al primo V-Day raccogliemmo 350 mila firme per tre proposte di legge popolare: se Prodi e Veltroni le avessero accolte, avrebbero dato la svolta al Pd e al sistema politico. Ma i giornali, soprattutto di sinistra, ci trattarono come una via di mezzo fra dei mangiatori di bambini e una setta satanica”. Secondo voi che direbbe oggi?

mercoledì 28 agosto 2019

Cenotes, le "caverne" dei Maya. - Fabio Bogo

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Messico. Vicino a Tulum, un sistema di laghi, che celano grotte e caverne, unico al mondo. Scenario sublime, soprattutto per sub e snorkeler.

La porta d'ingresso nelle tenebre luminose dello Yucatan si chiama Dos Ojos. A cinquanta chilometri dalle rovine Maya di Tulum, dove il castello scruta il mar dei Caraibi in un paesaggio da cartolina, nel mezzo della giungla fitta e piatta che spezza in due il Golfo del Messico, le acque chiare e immobili di Dos Ojos ("i due occhi") squarciano il verde della foresta. Luis Martinez, uno dei primi subacquei esploratori del gigantesco sistema di laghi, caverne e canali sotterranei di acqua dolce che attraversano tutta la piana carsica della penisola che dal Chiapas sterza verso est e si tuffa nell'oceano Atlantico, aspetta con le bombole e le torce stagne. «Estas listo?», dice guardando l'imboccatura della grotta, un ovale perfetto tagliato nel calcare marrone. «Soy listo», sono pronto. «Bajamos entonces, cuidado...», scendiamo, stai attento. 

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Attento, perché scendere in immersione in uno dei cenotes messicani è un'esperienza particolare e quasi religiosa. Questi bacini erano sacri ai Maya, che usavano le acque per irrigare i campi, coltivare il mais, dissetare le città come Chichen Itza, Coba, Tulum, Palenque. E i cenotes (dzonot nella lingua Maya, storpiato in cenote dagli occupanti spagnoli) erano anche i cimiteri di giovani e donne che i Maya sacrificavano alle loro divinità per ripristinare quell'ordine cosmico turbato da siccità o inondazioni. L'acqua dava la vita, l'acqua dava la morte: enormi fondi e con le pareti lisce, erano impossibili da risalire; chi veniva lanciato laggiù non ritornava.


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Dalla fine degli anni Ottanta i subacquei messicani hanno iniziato l'esplorazione di questi bacini, scoprendo che quei piccoli laghi in superficie, chiari e freschi, erano solo la punta emersa di un mondo sotterraneo stupefacente, formatosi millenni fa, quando il mare si è ritirato e le acque dolci delle piogge e dei fiumi hanno preso il suo posto, impossessandosi delle caverne, dei cunicoli, delle forre scavate per secoli dalle onde. I cenotes hanno nomi immaginifici (Dos Ojos), mistici (Kukulkan), pratici (Bat Cave, la caverna dei pistrelli), storici (Gran Cenote, il luogo dei sacrifici di Chichen Itzà, la più fastosa città Maya). 


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Tutti hanno la stessa caratteristica: un ingresso a collo di bottiglia, superabile adesso grazie ad una scala di legno che scende lungo le pareti e ad una piattaforma di legno, e sotto un incredibile sistema di grotte, arcate e volte che corrono per decine di chilometri sotto la pianura, un sistema venoso interrotto da stalattiti e stalagmiti, un mondo di pinnacoli in continua evoluzione, che cresce, si modifica, si espande e si spezza al ritmo di tre centimetri l'anno, e che si percorre lentamente, come uno slalom al rallentatore, osservando il lavoro compiuto dalla natura secolo dopo secolo. 


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Per scendere serve una torcia stagna, una muta di almeno cinque millimetri, l'attrezzatura completa per le normali immersioni subacquee e un po' di sangue freddo: si nuota a un metro dal fondo seguendo un cavo giallo ancorato a dei picchetti, facendo attenzione a non toccare pareti o fondali per non sollevare i sedimenti e intorbidire l'ambiente. «Cuidado», si raccomanda ancora Luis, facendo segno con gli occhi e con le mani, mentre la torcia illumina il cavo seguendone il percorso che sfuma nel buio al tempo stesso minaccioso e invitante. Perderlo potrebbe significare non ritrovare la via d'uscita. 


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Dos Ojos è il più famoso dei cenotes della Riviera Maya, quella che corre lungo la costa da Cancun a Tulum, paradiso di spiagge bianche e alberghi alveare costruiti per il turismo di massa americano. Si raggiunge con un percorso sterrato di quattro chilometri che si stacca dall'autostrada, a un chilometro a sud di Xel-Ha. Gli archeologi marini che hanno esplorato il suo sistema hanno calcolato al momento un'estensione di 56 chilometri: è il terzo in ordine di grandezza, dopo Ox Bel Ha (129 chilometri) e Nohoch Nah (61 chilometri), ma il più suggestivo per la presenza di ampie grotte, alte anche 60 metri sopra il livello delle acque sommerse e illuminate parzialmente dalla luce del sole.


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Certo, rispetto all'esplosione di vita animale della vicina barriera corallina dei Caraibi, le acque dolci dei cenotes non riservano grandi emozioni dal punto di vista della fauna subacquea: pochi i pesci, rare le tartarughe. Ma quando il buio è rotto dall'azzurro mozzafiato che illumina una cupola, grazie ad un raggio di sole che filtra da una stretta apertura nella roccia, o quando le stalattiti e le stalagmiti si che si protendono le une vero le altre (tra cento anni magari si fonderanno per creare una sottile colonna) si colorano improvvisamente di viola, si ha la sensazione di essere in una dimensione spazio-tempo surreale, in una tenebra luminosa e liquida, il cui silenzio è rotto solo dal rumore del respiratore e dai leggeri colpi delle pinne che spostano delicatamente l'acqua. 


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I cenotes non sono riservati solo ai sub, generalmente esperti. L'industria del turismo messicano ha gradualmente aperto anche ai semplici appassionati di snorkeling le porte del mondo sotterraneo Maya. Anche perché, specialmente nella stagione più calda, quando da luglio a settembre le temperature sfiorano i 35 gradi e l'umidità ti incolla i vestiti alla pelle, un bagno nelle acque trasparenti è un'esperienza rinfrescante da non perdere. Bastano un costume, le pinne ed una maschera per passare un'ora e galleggiare sospesi tra l'azzurro dell'acqua, il verde delle liane che quasi la sfiorano, le mangrovie che la presidiano. Se le creature marine che abitano i fondali non sono di particolare interesse, diverso è il discorso per la giungla che ti avvolge. Non è difficile avvistare falchi, tucani, pavoni, colibrì e in cielo veder volteggiare gli avvoltoi. In terra le onnipresenti iguane, i basilischi, le scimmie ragno e, più raramente, il cervo dalla coda bianca. Bello guardarli, mentre al termine dell'immersione o della nuotata si sorseggia una birra gelata, pensando a quel mondo sotterraneo che aspetta ancora laggiù.


https://www.repubblica.it/viaggi/2011/11/16/news/cenotes_le_caverne_dei_maya-117047121/?fbclid=IwAR1ug1fQbFb68wD5kjnuynhy7yQG6G17pKod-3mhuXHo5zOEI_ENNKfYiow

Le famiglie dei Malavoglia al governo del loro scontento. - Antonio Padellaro

Le famiglie dei Malavoglia al governo del loro scontento

Il governo dei Malavoglia ha il broncio di Andrea Orlando (forse scocciato dal ruolo di superfluo vice di Nicola Zingaretti e forse anche di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi) e indossa i bermuda di Luigi Di Maio in ostentata vacanza dalla crisi, su una spiaggia campana.
Il governo del loro scontento si agita nel M5S con i contrariati Alessandro Di Battista e Gianluigi Paragone e nel Pd con il nevrile Carlo Calenda (privo di cigno), che vivono l’alleanza tra movimento e partito con lo spirito di un funerale a ferragosto.
Che l’umore prevalente del negoziato giallorosso sia una sottile scocciatura condita da un robusto senso di allarme, si direbbe dall’andamento dubbioso, circospetto dei protagonisti di entrambi i colori, come se una forza primordiale della natura li avesse strappati ad alpeggi e ombrelloni per precipitarli nella calura romana e costringerli a fare qualcosa di cui non appaiono per nulla convinti. Forse, caso raro nella storia repubblicana, la nascita di un nuovo esecutivo, più che solleticare ambizioni e candidature, sembra alimentare ritrosie e perplessità, almeno nelle prime linee.
Il fatto è che, nel cratere creato dall’improvvisa deflagrazione del Salvini al mojito e dal successivo blitzkrieg di Matteo Renzi, si è appalesata una bizzarra creatura politica che qualcuno ha definito Frankenstein, ma che al momento è un Topo Gigio che non fa paura a nessuno. Non un horror, ma una commedia degli equivoci con una strepitosa performance del fratello di Montalbano che per due ben volte avrebbe rassicurato Salvini sulla decisione pidina di andare a elezioni, tutti insieme e senza indugio alcuno (ha raccontato Enrico Mentana citando “fonti dirette”). “Sei sicuro che Renzi non farà scherzi?”, insisteva il capitano sospettoso. “Fidati”, rispondeva l’altro. Applausi. Fatto sta che, come in tutti matrimoni di convenienza, ruggini e dissapori rischiano di rovinare la futura convivenza, alla luce degli insulti sanguinosi che 5Stelle e dem si sono scambiati fino all’altro giorno.
Ecco allora che l’unica spiegazione plausibile all’unione forzata (e forzosa) va ricercata non nel cortile di casa, ma in quell’altrove che vigila sui destini di un Paese considerato strategicamente molto più importante del livello della sua classe dirigente. Se si mettono insieme il forte sostegno manifestato a Giuseppe Conte dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (eletta con i voti determinanti del M5S) con il caloroso tweet di Donald Trump a favore del premier uscente (e probabilmente rientrante), si comprende come certi distinguo che agitano il Nazareno e la Casaleggio, difficilmente impediranno la celebrazione delle strane, e interessate, nozze giallorosse. Quanto a Vladimir Putin, agli osservatori più attenti non è sfuggita la recente visita in Vaticano, con il colloquio definito “cordiale” tra Francesco e lo zar che sul tema dell’immigrazione non sembra voler dare sponda a certi furori leghisti. Tutto il resto è noia.


https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/posts/2727171367293028?__tn__=K-R1.g

Ascoltate Salvini. - Marco Travaglio sul Il Fatto Quotidiano del 26 agosto 2019



Qualcuno ha notizie di Salvini? Comunque finisca questa strana e impervia trattativa fra M5S e Pd, un risultato l’ha già ottenuto, purtroppo temiamo provvisorio: liberarci dell’onniprensenza ossessiva del Cazzaro Verde, che da un anno e più occupava prime pagine, titoli di telegiornale, dibattiti da talk, conversazioni in famiglia e tra amici prima, durante e dopo i pasti. Non si parlava che di lui, o per osannarlo o per attaccarlo, come se fosse l’ombelico del mondo, manco facesse capoluogo di provincia. Anche chi lo detestava finiva per fare il suo gioco, prendendolo terribilmente sul serio (“il nuovo Mussolini” o “il ministro della malavita”, cioè il nuovo Giolitti: figuriamoci), scambiandolo o spacciandolo per il padrone d’Italia, il vero presidente del Consiglio, l’autore di tutte le leggi e i decreti, l’uomo forte che si era “mangiato i 5Stelle” non solo sui media (grazie ai media), ma anche nel governo (dove, a parte tre inutili norme sull’illegittima difesa e sulla presunta sicurezza, non ha combinato un bel niente). Occupava tutti gli spazi, le menti, i pensieri, le energie altrui, come solo B. e per un po’ Renzi erano riusciti a fare.
Poi – pare trascorso un secolo, ma è stato solo 18 giorni fa – ha avuto la bella pensata di rovesciare il governo Conte in pieno agosto, all’indomani della fiducia sul Sicurezza-bis e della vittoria parlamentare sul Tav (grazie ai voti determinanti del Pd). Da allora si attende, anche da parte dei suoi fan superstiti, che spieghi quali sarebbero i fantomatici “no” che avrebbe ricevuto dai 5Stelle per buttar giù il governo in quel modo e in quel momento. Invano. Tant’è che oggi è ridotto alla mendicità ai piedi di Di Maio per rimettere insieme i (suoi) cocci e farfuglia di “no che sono diventati sì” senza precisare dire quali, chi, cosa, de che. La scena del premier di Conte che in Senato, davanti a milioni di italiani attoniti, lo brutalizza soavemente dall’alto verso il basso spiegandogli come vanno il mondo e la democrazia sarà difficile da dimenticare presto. Sono bastati quei 50 minuti per trasformare la sua immagine di vincente in quella di perdente. E i sondaggi ne hanno subito risentito: lo zoccolo duro leghista resta con lui, ma i saltatori sul carro del vincitore sopraggiunti alle Europee e dopo stanno tornando indietro: vedi mai che quello sia il carro del perdente e ne arrivino di più appetitosi. Potrebbe essere il caso della maggioranza giallo-rosa, casomai oggi l’incontro decisivo fra Di Maio e Zingaretti partorisse qualcosa di serio. Cioè un governo Conte 2, anzi 2.0, l’unico con qualche chance di successo e durata nella situazione data.
Ieri Roberto Fico ha bissato il beau geste di Luigi Di Maio, cioè ha sacrificato se stesso per Conte e respinto le incaute lusinghe del Pd (una pura e inutile provocazione: senza offesa per Fico, sarebbe come se Di Maio intimasse a Zinga di cedere il posto a Renzi). Dunque il quadro è chiaro: i 5Stelle hanno indicato Conte perchè lo ritengono l’unico premier possibile, e non perchè volessero “bruciarlo”, come sperava qualche pidino abituato a fare così e incredulo per l’esistenza di politici con una parola sola. La “discontinuità” si potrà ottenere sui ministri e sui programmi, ma senza fanatismi: altrimenti, a furia di reclamarla, finirà per riguardare tutte le magagne degli ultimi vent’anni (i governi con B., il Jobs Act, la Buona Scuola, la controriforma costituzionale…) e non si troverà più nessuno per fare il governo. Se nel Pd tutti credono davvero in questa nuova maggioranza, e se davvero privilegiano i programmi anzichè i personalismi e le meschine gelosie, l’impressione è che la trattativa sia andata troppo avanti per essere interrotta dall’impuntatura su un nome. Tra l’altro popolarissimo e degnissimo.
Con tempi così ristretti, idee così confuse e condizioni di partenza così sfavorevoli, l’unica bussola per orientarsi dovrebbe essere il desaparecido Salvini. Al quale bisognerebbe dare ascolto, per poi fare l’esatto contrario. Tutto ciò che vuole lui va assolutamente evitato. E cosa vuole Salvini? Lo ripete continuamente. 
1) Rifare il governo col M5S: dunque i 5Stelle diano retta a Conte e se lo levino dalla testa. 
2) Impedire in ogni modo un governo M5S-Pd e, se nascesse, sperare che sia una rissa continua: quindi M5S e Pd evitino di accontentarlo. 
3) Far dimenticare l’umiliazione di Palazzo Madama facendo sparire per sempre Conte, l’unico leader su piazza che da mesi lo supera nei sondaggi: ergo il Pd cerchi di deluderlo, accettando Conte premier. Altrimenti Zingaretti dovrà spiegare ai suoi elettori perchè ha mandato a monte una trattativa così avanzata per la sua assurda guerra al nemico pubblico numero 1 di Salvini. E sarà difficile trovare le parole.

Lo ha preso a schiaffi. - Tommaso Merlo


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Conte ha preso Salvini a schiaffi davanti al paese intero. Una scena inedita ed esilarante. Un Premier che prende a schiaffi il Ministro degli Interni in Parlamento e a reti unificate. Col ministro seduto sui banchi del governo che ha fatto meschinamente cadere. Un Bruto accanto alla persona che ha pugnalato. Seduto lì, come nulla fosse, come se volesse fargli pressione. Ma Conte non si è fatto intimidire e lo ha sonoramente schiaffeggiato come meritava da tempo. Schiaffi non violenti e volgari, ma schiaffi di saggezza politica e decoro istituzionale. Schiaffi di moralità e conoscenza giuridica. Schiaffi di un Presidente del Consiglio che ha dato prestigio all’Italia sferrati sul volto grassoccio di un ministro che sta ricoprendo il paese di vergogna e lo vorrebbe spadroneggiare. Schiaffi di un professore ad un alunno asino e maleducato. “Non hai cultura delle regole”. “Hai carenza di cultura istituzionale”. Una clamorosa umiliazione pubblica più che meritata dopo mesi di cagnara e il giusto epilogo di questa crisi psichiatrica. Pura verità. Salvini ha spintonato e strabordato per mesi al governo, lo ha calpestato come un palco da comizio ed alla fine ha chiuso in bellezza trascinando l’Italia nel caos perché secondo i sondaggi gli conveniva. Perché i sondaggi vogliono dire voti e quindi poltrone e quindi potere. Per sé e per le camicie verdi strette attorno al loro fuhrer lanciato verso i vertiti repubblicani. Lo dicono i sondaggi. Lo dicono le piazze. Un colpo di mano azzardato al punto che potrebbe scatenare una rivolta nazionale, un sussulto d’orgoglio del popolo italiano indisposto a finire nelle mani del solito cialtrone messianico. Una mossa maldestra che potrebbe rendere i sondaggi di oggi carta igienica. Perché i cittadini sono stanchi di baggianate, perché i cittadini vogliono i fatti e persone perbene. E tra una sniffata di egoina e l’altra, lo ha intuito anche Salvini che il suo piano scricchiolava. Lui dice di non pentirsi, ma ormai gira a vuoto. Si contraddice, tentenna. Ed ecco lì, gonfio, ad incassare schiaffoni sul faccione. Quelli più secchi sono alla fine. Quando Conte parla di una politica come servizio e responsabilità, di una politica sobria e rispettosa. Già, la sua, quella del Movimento. Una politica che cozza con quella tutta urla e rutti social. Schiaffoni sacrosanti. Quando è il suo turno Salvini rotola fino al suo scranno. Panciuto, con la cravatta verde snodata e il consueto tono da gradasso. Basta qualche sillaba e il Senato della Repubblica si trasforma in una malfamata stamberga brianzola. Rozzezza, volgarità e il solito sproloquio per eccitare i tifosi, per raccattare consenso. La sua sostanza. Frasi brevi e sconnesse. Spezzoni di comizi. Un abisso. Un abisso culturale. Un abisso morale. Un abisso politico. Da una parte un Premier che ha dato lustro al paese incarnando con onore il cambiamento preteso in massa dagli italiani il 4 marzo, dall’altra un vecchio politicante traditore ed intossicato dal suo bulimico ego che ha mandato tutto a rotoli per meschini sogni di gloria. Vedremo se gli italiani ci cascheranno per l’ennesima volta oppure si rivolteranno prenderanno Salvini a schiaffi in faccia come ha fatto il grande presidente Conte.

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