mercoledì 17 giugno 2020

La ciliegina sulla torta. - Massimo Erbetti

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La ciliegina sulla torta è un modo, per lo più ironico, per dire che un'opera è completata.
E come la ciliegina completa la torta, Salvini, completa la sua opera di insensibilità mangiandone ben nove in meno di un minuto, mentre Luca Zaia, governatore del Veneto, sta spiegando, la grave situazione che si è verificata nell’ospedale veronese di Borgo Trento, dove i reparti di patologia neonatale e il punto nascita sono stati chiusi dopo la morte di tre neonati. Sembrerebbe che un batterio infatti abbia ucciso in un anno almeno tre bambini e ne abbia colpiti un’altra decina, di cui alcuni con gravi danni cerebrali.
E con questo gesto la "torta" è veramente al completo, come può un uomo essere così cinico da mettersi a mangiare una ciliegia dopo l'altra, mentre si parla di un dramma di queste proporzioni, non è dato sapere a noi comuni mortali.
Basterebbe una cosa del genere, in un paese normale per far dimettere un leader di un partito, ma siamo in Italia e ad alcuni soggetti tutto è concesso, anche di replicare con: "È surreale, se le stanno inventando tutte pur di fare polemiche. È proprio il caso di dirlo: siamo alla frutta"... Eh no caro Salvini, queste non sono sterili polemiche, le immagini parlano chiaro e se c'è qualcuno "alla frutta", sei proprio tu.


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Ci provano col dossieraggio. - Tommaso Merlo



Non riuscendo a stroncare il Movimento con le fake news ci provano col dossieraggio. Una tempistica perfetta. Stanno arrivando i soldi della ricostruzione e rivogliono il potere senza estranei tra i piedi. Nessuna novità. 
Il Movimento è sotto un attacco mediatico micidiale fin dalla sua fondazione e questo per il semplice motivo di essere estraneo alle lobby che comandano nel nostro paese, lobby che controllano i mezzi d’informazione e condizionano i vecchi partiti. 
Lobby che hanno schiavizzato la carta stampata e ucciso il vero giornalismo piegandolo ai loro interessi. Il tutto con la codarda complicità della categoria. Ma la potenza di fuoco contro il Movimento non ha finora sortito un granché. Ne ha ridotto i consensi, ne ha sporcato la reputazione, ma quegli scappati di casa sono ancor lì nei palazzi che contano.

Questo perché contrariamente a quanto pensavano lorsignori, quel progetto politico alieno si è dimostrato molto più solido di quanto sembrasse. Reggendo la prova del governo nazionale e realizzando rapidamente molte promesse. Esplosa la bomba del 4 marzo, le lobby speravano che un governo col Movimento non nascesse neanche. Ma si sa, le vie della politica italiana sono infinite ed ignorare del tutto il responso delle urne era troppo pericoloso. Le sinistre si sono ritirate subito schifate, mentre Salvini è stato al gioco dopo settimane di stallo. Il perché lo si è capito strada facendo. Per sfruttare il governo come palco per la sua campagna elettorale permanente e per fagocitare quel Movimento d’ingenui sprovveduti. Mossa che gli stava riuscendo. Il Movimento a lavorare, lui in giro a far comizi. Raddoppio dei consensi e lobby tutte schierate dalla sua parte. Al punto che dal Papeete Salvini si fionda all’incasso dei pieni poteri ma sbatte contro il palo. Sottovaluta la paura delle sinistre di estinguersi e quanto valga la loro parola soprattutto se in ballo ci sono delle poltrone. Parte il governo giallorosa tra incertezze e diffidenze. Il problema delle lobby è sempre lo stesso. Quegli estranei del Movimento tra i piedi. Il governo giallorosa è più pensante e lento. Affossarlo sembra un’impresa facile se non fosse per il sorgere di un grave imprevisto, Giuseppe Conte. Un premier che dopo aver schiaffeggiato Salvini in parlamento ed essersi meritato una seconda premiership, conquista la fiducia del paese. Non ci voleva. Conte dà spessore politico al governo. In casa come all’estero. Allo scoppio della pandemia le lobby si son sfregate le mani e si son date allo sciacallaggio. Gettando benzina sul fuoco del malcontento. Piantano zizzania. Tutto inutile. I cittadini si fidano di Conte e apprezzano come il governo affronta l’emergenza. Non ci voleva davvero. Le lobby cominciano a perdere la pazienza ma le fake news si rivelano armi spuntate. Tutta colpa di un giornalismo che schiavizzato dalle lobby ha perso ogni credibilità e quindi senso. Tutta colpa dei cittadini che si son stancati di venire manipolati e cercano di ragionare con la propria testa. Ma le lobby non demordono. Si preannuncia una crisi economia e sociale devastante. Evviva, un’altra grande opportunità. Le lobby spruzzano fango ma le fake news ormai sono armi spuntate. Si passa al dossieraggio. Una tempistica perfetta. Stanno arrivando i soldi della ricostruzione e rivogliono il potere senza estranei tra i piedi.

https://repubblicaeuropea.com/2020/06/17/ci-provano-col-dossieraggio/

Pure Renzi non fa una mazza. - GaetanoPedullà

MATTEO RENZI

Non può che esserci di mezzo un incantesimo, o chissà quale maledizione, per spiegare il disastro di ogni esternazione di Matteo Renzi. Prendiamo l’ultima: “il Reddito di cittadinanza educa i ragazzi a non fare una mazza”. Bene, neppure il tempo di finire questa raffinata analisi ed ecco che arrivano i nuovi numeri dell’Istat sulla povertà in Italia, relativi al periodo pre-Covid.
Per la prima volta da quattro anni, compreso quindi il periodo in cui proprio Renzi guidava il Governo, nel nostro Paese diminuiscono le persone in povertà assoluta, con una netta inversione di tendenza rispetto al passato. Nulla da festeggiare, perché ci sono ancora 4,6 milioni di cittadini che non hanno raggiunto la soglia minima di dignità economica, e la pandemia ha peggiorato la situazione, ma proprio grazie al Reddito di cittadinanza si è messa in sicurezza parte degli strati sociali più deboli, alternativamente ignorati o ingannati da una politica che prima dei 5 Stelle ha fatto sempre pochissimo per arginare le disuguaglianze.
Tant’è vero che persino adesso, pur facendo parte della stessa maggioranza che ha finanziato il Reddito di cittadinanza per quest’anno, Renzi pensa a tale strumento come a una paghetta per i giovani svogliati, e non come a un sostegno concreto a chi è ai margini, affinchè abbia una chanche per mettersi in gioco. Senza dimenticare le centinaia di migliaia di meno giovani che senza questo contributo morirebbero di fame o andrebbero ad allungare la fila dei suicidi. Mentre certi politici per aiutarli non fanno davvero una mazza.

L’asse Pd-Renzi per dare più soldi alle private. - Patrizia De Robertis

L’asse Pd-Renzi per dare più soldi alle private

Trecento milioni di euro subito per evitare che restino chiuse un terzo delle 12.564 scuole paritarie (religiose e non). Le famiglie hanno smesso di pagare le rette e si rischia che, con la crisi, a settembre non rinnovino l’iscrizione. Sarebbe in bilico il sistema scolastico di alcune Regioni, dove i servizi all’infanzia si fondano per lo più sul privato. Arrivano così, immancabili, il grido d’allarme e la conseguente richiesta di soldi da parte degli istituti privati e convenzionati che si andrebbero ad aggiungere ai circa 500 milioni di euro stanziati ogni anno, scatenando l’ennesima battaglia nella maggioranza giallorosa.
La spiegazione è nei numeri. Nel decreto Rilancio, all’esame della commissione Bilancio della Camera, sono stati già stanziati 65 milioni per le paritarie a compensazione del mancato versamento delle rette da parte delle famiglie per il servizio 0-6 anni. Poi c’è stata un’ulteriore erogazione da 70 milioni per coprire fino al liceo. In totale 135 milioni per 866.805 alunni (a fronte dei 7,5 milioni iscritti al pubblico) che però per gli istituti paritari non basterebbero “neanche a coprire la metà della retta di un mese” e a pagare gli stipendi a un settore che impiega circa 230 mila addetti tra docenti, personale tecnico e amministrativo. Laddove comunque nelle strutture che non hanno fatto didattica a distanza, i dipendenti hanno comunque percepito la cassa integrazione.
L’appello delle paritarie è stato nuovamente accolto dal Pd e dal deputato Iv Gabriele Toccafondi, che da ex sottosegretario al ministero dell’Istruzione ha sempre spinto per aumentarne i finanziamenti. Negli 8 emendamenti al dl Rilancio che hanno presentato, dem e renziani chiedono – con l’appoggio di tutto il centrodestra – una detrazioni sulle rette fino a 5.500 euro, un aumento di 130 milioni per i nidi e altri 140 milioni per sopperire ai mancati incassi delle rette. Ma M5S s’è detto pronto alle barricate. “Scegliere di finanziare con fondi aggiuntivi le paritarie significa sottrarre soldi alla scuola pubblica. Chi vuole anteporre altri interessi a quelli costituzionalmente garantiti non troverà il nostro sostegno”, ha spiegato il 5 Stelle Gianluca Vacca.
Una battaglia ideologica, che diventa di sistema se però gran parte delle strutture private oggi è chiamato sostituirsi alla scuola pubblica come nel caso degli asili nido, sopperendo alla mancanza di quelli comunali o statali. Rappresentano infatti il 49% delle strutture totali e il 70% di tutte le scuole paritarie. Sono 8.957 e vengono frequentate da 524mila bimbi da 0 a 3 anni. Anche questi istituti da settembre dicono che c’è il serio rischio che non riaprano. E per chi ce la farà, la prospettiva è di riempirsi di debiti. Mentre per le famiglie, da sempre fuori dalle graduatorie pubbliche, significa non sapere dove lasciare i figli piccolissimi e scegliere tra famiglia e lavoro. Secondo Save the Children, solo 1 bambino su 4 ha accesso al nido o ai servizi integrativi per l’infanzia, e, di questi, solo la metà frequenta un asilo pubblico. Un servizio pubblico che è quasi assente in Calabria (2,6%) e Campania (3,6%), a fronte delle più virtuose Valle d’Aosta (28%) o Emilia Romagna (26,6%). Ma anche i nidi che potrebbero ripartire da subito come centro estivo devono scontrarsi contro i protocolli di sicurezza che non sono stati ancora recepiti. Iniziative considerate sperimentali ci sono in Veneto e a Bolzano. “Nessuna delle nostre 30 strutture tra Lombardia, Toscana, Lazio e Campania è riuscita a riaprire”, spiega Domenico Crea di Crescere Insieme che gestisce decine di strutture in 4 Regioni. “Non si sa ancora quale sia il rapporto educatore-bambino. Potrebbe essere indicato un rapporto 1 a 3/4 tra operatori e bambini, rapporto consigliato ma non obbligatorio”, aggiunge. Nella realtà sono state date solo delle linee guida. Le Regioni devono recepirle e inoltrarle ai Comuni, che a loro volta hanno bisogno delle autorizzazioni dell’Asl. Così, dicono le associazioni, non riusciranno a resistere a lungo.

OSCAR FARINETTI E L’APOCALISSE “MA-TE-MA-TI-CA”. - Antonio Padellaro

Oscar Farinetti e l'apocalisse “ma-te-ma-ti-ca” – infosannio

Ogni volta che vedo in tv Oscar Farinetti, sempre così placido e conciliante, mi viene in mente quel vecchio Carosello con Ernesto Calindri che, seduto come al bar, in mezzo a un infernale ingorgo di auto, serenamente sorseggiava un famoso aperitivo “contro il logorio della vita moderna”. 
Così, l’altra sera, a Otto e mezzo, dopo che il professor Massimo Cacciari, con l’abituale leggerezza sturm und drang aveva predetto: “ci sveglieremo a settembre e sarà una tragedia”, abbiamo assistito, non senza sbigottimento, alla trasformazione in diretta dell’emolliente Oscar in un profetico Cacciari al cubo: “La crisi a settembre è ma-te-ma-ti-ca” (ogni sillaba, una fucilata). 

Nessuno intende prendere sottogamba le tensioni sociali innescate dal lungo lockdown, la disoccupazione incombente, la destra che soffia sul fuoco e le difficoltà nel trovare subito la montagna di soldi necessari (se va bene quelli promessi dall’Europa arriveranno nel 2021). Ma se davvero fossimo alla vigilia di un’esplosione incontenibile (e matematica) di rabbia, impossibile non chiedersi come mai nel dibattito degli Stati generali in corso a Roma, il tema dell’insurrezione non sia, urgentemente, all’ordine del giorno. Perché delle due l’una. O si tratta di un allarme condiviso dal governo e allora il premier Conte e la ministra dell’Interno Lamorgese ne dovrebbero dare conto alla pubblica opinione, illustrando le contromisure per evitare di ritrovarsi con le barricate per le strade, soprattutto al Sud. Se invece ci troviamo di fronte a un allarmismo ampiamente e artatamente esagerato dall’opposizione, a maggior ragione, i vertici delle istituzioni avrebbero il dovere di denunciarlo, in modo chiaro e forte. Esiste una terza ipotesi, contenuta nella celebre poesia Aspettando i barbari di Konstantinos Kavafis. Gli ultimi versi: “Si è fatta notte, e i barbari non sono più venuti. Taluni sono giunti dai confini, han detto che di barbari non ce ne sono più. E adesso senza i barbari, cosa sarà di noi? Era una soluzione quella gente”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/06/17/oscar-farinetti-e-lapocalisse-ma-te-ma-ti-ca/5837657/ 

Oggi le coliche. - Marco Travaglio


Fermo restando che certe cartacce buone per avvolgere il pesce, comunemente definite “quotidiani”, sono un po’ meno attendibili di Tiramolla, fa sempre un certo effetto constatare come chiunque sia libero di diffondere fake news a profusione nella beata indifferenza del cosiddetto Ordine dei giornalisti. L’altra sera, in una rassegna stampa, ho visto campeggiare su due cosiddette testate nazionali il mio nome cubitale con gigantografia, manco avessi sterminato un esercito. Ma ho dovuto attendere l’indomani per scoprire che avessi fatto di tanto grave per meritarmi cotanto rilievo: si trattava nientemeno che del finanziamento bancario di 2,5 milioni chiesto dalla nostra società Seif a Unicredit e ottenuto perché, con questi chiari di luna, c’è il rischio che chi ci deve dei soldi (distributori, edicole, concessionarie e investitori pubblicitari ecc.) ritardi i pagamenti e interrompa i flussi di cassa, fondamentali per un giornale che vive delle copie vendute. Un prestito puramente precauzionale per investimenti in immobilizzazioni, cui speriamo di non dover mai attingere, visto che le nostre vendite sono in aumento. Un prestito che la legge 662 del ’96 (24 anni fa, 13 anni prima che nascessimo) ha stabilito fosse garantito dal Medio Credito Centrale, se destinato a investimenti.
Sapete come ha titolato Libero, giornale di proprietà degli Angelucci che tutti noi paghiamo da 20 anni a botte di decine di milioni? “Sia benvenuto Travaglio tra gli assistiti di Stato. Pecunia non olet”. Firmato: Renato Farina che, non contento di prendere lo stipendio da noi, si faceva pure pagare il dopolavoro come “agente Betulla” nel Sismi di Pollari&Pompa. E non osiamo immaginare quali informazioni passasse, visto che non distingue un elefante da un paracarro: infatti s’è inventato un “aiuto di Stato” al Fatto, che si sarebbe “infilato fra i bisognosi strozzati dal Covid-19”, “ha approfittato del decreto sul Covid” e ora “infila la mano nelle tasche di Pantalone”. Per non essere da meno, quell’altra parodia di giornale visibile solo in tv, il Riformista dell’imputato Romeo e dell’impunito Sansonetti, ha titolato a tutta prima: “Regime: dal governo 2,5 milioni al ‘Fatto’ di Travaglio”. E giù scemenze e falsità sul finanziamento “garantito dal governo Conte… utilizzando uno degli ultimi decreti del governo, quelli che hanno come scopo il salvataggio delle nostre imprese colpite dal virus” perché “il Fatto, probabilmente potendo contare su una certa simpatia a Palazzo Chigi, è riuscito a intrufolarsi e a mettere in tasca i soldi”, dopo la nota “conquista della presidenza dell’Eni” e sempre in attesa di invadere la Polonia.
Intanto, sul web, altri noti peracottari come Nicola Porro, Littorio Feltri, Giuseppe Sottile e la fidanzata di un nostro ex passato a De Benedetti, nonché Lucia Annunziata su Rai3, il Giornale e il solito Dagospia, ripetevano la fake news confondendo una legge del ’96 col recente dl Liquidità e un normale finanziamento bancario (ricevuto in 24 anni da chissà quante centinaia di migliaia di aziende) con un aiuto di Stato, anzi del governo Conte: chi sproloquiando contro le nostre campagne su Radio Radicale (che non chiede prestiti alle banche: vive di soldi pubblici), chi azzardando paragoni con Fca (che, diversamente da noi, ha sede all’estero ma prende prestiti garantiti dallo Stato italiano, essa sì per il decreto Conte, dopo aver poppato fiumi di miliardi dalla pubblica mammella). Così la panzana ha fatto il giro delle fogne del web e l’unico quotidiano che non ha mai preso un euro dallo Stato è diventato un giornale finanziato dallo Stato. Anzi da Conte. Con questi signori ci vedremo in tribunale. Ma è stupefacente come neppure le precisazioni della nostra Ad Cinzia Monteverdi abbiano sortito rettifiche. Buon segno, comunque: i nostri record di crescita devono avere provocato coliche renali a parecchia gente.
A proposito di fake news. Si spera che una seria indagine accerti se il dossier pubblicato dal giornale della destra spagnola Abc sulla valigetta con 3,5 milioni di euro recapitata dal venezuelano Maduro a Casaleggio sr. nel 2010, otto mesi dopo la nascita dei 5 Stelle, sia autentico o – come fanno supporre alcuni errori marchiani – una patacca. Ma è interessante l’uso che ne han fatto i giornaloni e i loro siti (quelli sempre a caccia di fake news altrui). Tutti uniti su questa linea: forse il documento è falso, ma le simpatie del M5S per Caracas sono vere, dunque lo scandalo c’è comunque. Ora, è un po’ di tempo che il Venezuela elegge i suoi presidenti – prima il discutibile Chávez, poi il pessimo Maduro – senza chiedere il permesso agli Usa e ai loro leccapiedi sparsi per il mondo. Così due anni fa gli americani, non contenti dell’embargo che affama il Paese, patrocinarono il golpe del presidente dell’Assemblea nazionale Guaidó, poi fallito nel ridicolo. E tutti s’affrettarono a riconoscere il golpista contro il presidente legittimo, tranne il governo Conte (rimasto neutrale, grazie al M5S, ma sollecitando libere elezioni sotto controllo internazionale), quelli di Grecia, 
Bulgaria, Romania, Slovacchia, Irlanda, il Vaticano e, all’Europarlamento, M5S, sinistra Gue e Verdi. Nell’Italia alla rovescia dei nemici delle fake news che sparano fake news, mancava la comica (anzi la colica) finale: i tifosi del golpista che danno lezioni di democrazia a chi chiede libere elezioni.

Oggi arriva Bonomi: sui soldi Ue vuole un posto “a tavola”. - Salvatore Cannavò

Oggi arriva Bonomi: sui soldi Ue vuole un posto “a tavola”

Se volessimo andare avanti per immagini, la fotografia degli Stati generali mostra un governo che si prepara a ricevere l’aristocrazia imprenditoriale, Confindustria, mentre incontra il “terzo Stato”. Se oggi, infatti, Giuseppe Conte dovrà mostrare il suo miglior viso all’ormai evidente gioco di Carlo Bonomi, ospite principale della giornata che sta per cominciare, l’immagine più movimentata di ieri è quella del leader sindacale Aboubakar Soumahoro, italiano di origini ivoriane, che prima si è incatenato a Villa Pamphilj e dopo è stato ricevuto dal presidente del Consiglio. A cui ha illustrato tre richieste fondamentali: riforma della filiera agricola in cui si addensa lo sfruttamento del lavoro migrante, il varo di un Piano nazionale per l’emergenza lavoro e un cambio delle politiche migratorie dando voce agli “invisibili delle periferie”. Appunto, il nuovo terzo Stato. “Atti concreti, non parole” è stata la richiesta di Soumahoro, volto ormai anche televisivo, a un Conte disponibile ad ascoltare e che ha assicurato che il tema dei diritti dei migranti e dei lavoratori sta a cuore al governo. Come e quando si vedrà, ma il gesto, appunto, ha il sapore dell’immagine. E infatti Matteo Salvini se ne accorge e ci si butta sopra con il solito messaggio a uso dei social media: “Cancellare i decreti Sicurezza, regolarizzare tutti i clandestini, regalare la cittadinanza a chi nasce in Italia, dice il sindacalista idolo della sinistra e di Fabio Fazio. E poi? Un insulto a milioni di italiani (e di immigrati regolari) in difficoltà”.
Ma Conte sembra voler insistere nel presentare gli Stati generali come luogo di ascolto e apertura alla “società civile”, tanto che cento parlamentari, tra cui molti del M5S, hanno chiesto audizione per discutere anche della “legalizzazione della cannabis”. E anche i ragazzi di Fridays for future si sono dati appuntamento a villa Pamphilj il 20 giugno per ricordare la crisi climatica agitando dei nuovi cahiers de doléances (e siamo di nuovo al 1789).
Alla fine sarà stata una passerella, forse, ma l’obiettivo è quello di tenere un filo di comunicazione fuori dal recinto dei partiti che sostengono il governo, filo tenuto saldamente nelle mani del premier. Che alla fine dovrà dare delle risposte: per il momento si limita a dire che il “Recovery Italia” ci sarà a settembre e proporrà misure specifiche da presentare per i progetti europei.
Sulla inconsistenza di questo piano scommette Bonomi, che arriva oggi con il suo “piano 2030” in cui, oltre a illustrare le varie misure di Confindustria – presenterà un nodo politico: far parte della cabina di regia che discuterà e deciderà l’utilizzo delle risorse europee (si parla oramai di 172 miliardi complessivi anche se non si sa da quando saranno disponibili). E così, come un qualsiasi sindacato corporativo, Confindustria lancia la “democrazia negoziale”, costruita e radicata “su una grande alleanza pubblico-privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura”. Lo si legge nella prefazione al piano 2030 anticipata da Askanews e il senso è che non deve decidere solo la “politica”, ma anche gli imprenditori. Qualcosa di analogo dicono anche i principali sindacati in una voglia complessiva di co-gestione in cui ognuno fa finta di essere solo al tavolo.
Bonomi non risparmia ancora critiche a Conte, accusato di non essersi presentato con un piano preciso e dettagliato – che se l’avesse fatto gli avrebbero rimproverato che però sarebbe stato giusto ascoltare, etc. – mentre Confindustria il piano ce l’ha e lo farà vedere a tutti: “Mi dicono che quando c’è un nuovo insediamento – la velenosa risposta di Conte – c’è una certa ansia da prestazione politica. Io dal dottor Bonomi e da tutti gli associati mi aspetto un’ansia da prestazione imprenditoriale, è questo il loro scopo”.