venerdì 15 aprile 2022

Chi l’ha visto? - Marco Travaglio












Qualcuno ha notizie di SuperMario, il Migliore che aveva ereditato dalla Merkel lo scettro dell’Europa e doveva guidare l’Italia fino al 2023, anzi al 2028 (senza neppure il fastidio di candidarsi alle elezioni), anzi finché era vivo e forse pure da morto? Sul fronte interno – da quando l’hanno trombato al Quirinale, che è un po’ il suo Papeete – è passato dal “tutti pro” al “tutti contro”: i magistrati annunciano lo sciopero contro la schiforma del Csm (così imparano a trattar meglio Bonafede, il miglior ministro della Giustizia dalla notte dei tempi); i sindacati sono sul piede di guerra; Confindustria, che ce l’aveva regalato issandolo sulle lingue dei suoi giornaloni, l’accusa di dimenticare le imprese; persino il sindaco-aedo Sala si sente tradito; cittadini e imprenditori alle prese con le bollette raddoppiate, così come il mondo della scuola e della sanità, si chiedono dove pensasse di trovare i 15 miliardi in più per le spese militari visto che a loro riserva spiccioli se va bene e tagli se va male; lo sbraco sulle regole anti-Covid ci regala 150 morti al dì; e la maggioranza più ampia mai vista (col consenso più basso mai visto) lo costringe a continue fiducie, più del Prodi-2 e del Conte-2 (che si reggevano su un pugno di voti). A parte gli evasori, grati per il condono e l’abolizione del cashback, gli è rimasto solo il Pd, che però deve spiegare agli eventuali elettori l’asservimento alla Nato.
Sul fronte estero, se possibile, ancora peggio. Draghi annuncia che andrà alla cena di lavoro all’Eliseo con Macron, Scholz e Ursula, poi che parteciperà via Zoom (a una cena!), infine che non potrà collegarsi per “problemi tecnici”. Sapete quali? Che nessuno l’ha invitato. Manda armi all’Ucraina fregandosene della Costituzione (che lo vieta). Impiega 40 giorni per telefonare a Putin e poi racconta che ci ha parlato un’oretta, ma non è sicuro di aver capito ciò che quello gli ha detto su un dettaglio come i pagamenti del gas in euro o in rubli (e domandarglielo?). Su quell’altra cosuccia dell’embargo al gas russo, dice che “deciderà l’Europa” (come se l’Italia non c’entrasse) e noi dobbiamo scegliere “fra pace e condizionatori” (come se le due cose fossero incompatibili). Biden manda in vacca i negoziati annunciando un golpe a Mosca e accusando Putin di genocidio: viene scaricato da Macron e Scholz, smentito dal suo portavoce e dal segretario di Stato, criticato persino da Letta e Calenda, ma Draghi tace come Fantozzi col Megadirettore galattico. Tanto contiamo un po’ meno di Malta. Anche i suoi lecchini preferiti sono rassegnati a salutarlo dopo il voto del 2023. Ma un anno è un’eternità: sicuri di poterci permettere altri 12 mesi di agonia? Non è meglio congedarlo subito? Chi non vuol farlo per noi lo faccia per lui.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/15/chi-lha-visto/6560636/

I pavidi costituenti che non volevano più guerre per l’Italia. - Silvia Truzzi

 

I lettori ricorderanno i primi vagiti di questo disgraziato giornale, che nel suo numero d’esordio – ancora innocente di tutte le malefatte di cui si sarebbe macchiato – ospitò un fondo di Antonio Padellaro, che dettava la linea. Precisamente La Costituzione come linea politica. A quell’articolo ne fecero seguito altri, firmati dalla professoressa Lorenza Carlassare, che spiegavano i principi fondamentali della Carta, articolo per articolo. C’era naturalmente anche l’infame, oggi misconosciuto, articolo 11 nel quale quelle mammolette dei costituenti – che una guerra l’avevano combattuta di persona e non per procura – hanno infilato una serie di immonde prescrizioni pacifiste.

Lo riportiamo tutto, così non ci accusano di strumentalizzarlo: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizione di parità con gli altri Stati, le limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Diceva Lorenza Carlassare: “In Assemblea Costituente il consenso sull’art. 11 fu praticamente unanime: forze diverse si riconoscevano in un valore comune alle loro culture e nel rifiuto del rovinoso passato”.

Dunque la guerra difensiva è l’unica consentita, le controversie internazionali vanno risolte per altra via; non esistono ragioni diverse dalla necessità di rispondere a un attacco armato che possano legittimare il ricorso alla guerra; alle condizioni e nelle forme prescritte dalla Carta dell’Onu. “Non sono ipotizzabili ‘guerre giuste’ in grado di sospendere il divieto costituzionale”. Eppure l’Italia ha partecipato a operazioni militari e inviato truppe fuori dai confini con un crescendo impressionante.

“Ai primi interventi, cauti e discussi, ne seguirono altri, sempre più espliciti (ora si cambiano addirittura le condizioni d’ingaggio); per minimizzarli li si chiamò ‘operazioni di polizia’, ‘missioni umanitarie’, poi ‘missioni di pace’, persino in mancanza dell’avallo indispensabile delle Nazioni Unite. Si arrivò alla ‘guerra preventiva’, imposta dalla violenta e irresponsabile presidenza Bush, come nel 2003 in Iraq”.

Nel 2010 la professoressa si domandava se il fatto di far parte della Nato (“dove gli Usa hanno sempre condotto il gioco”) nonostante la sua mutazione “aggressiva”, ci impegnasse “incondizionatamente”. Un trattato ci vincola senza limiti? “I giuristi ‘giustificazionisti’ hanno tentato di salvare la partecipazione a interventi armati come adempimento di obblighi derivanti dalla adesione a ‘organizzazioni internazionali’ con le ‘limitazioni’ conseguenti, usando la seconda parte dell’art. 11 contro la prima. Ma non ci sono due parti separate: l’art. 11 è una disposizione unitaria che va letta, appunto, nella sua unità”.

C’è una sentenza della Corte costituzionale (300/1984) che chiarisce che le “finalità” cui sono subordinate le limitazioni di sovranità sono quelle stabilite nell’art. 11, non le finalità proprie di un trattato che, anzi, “quando porta limitazioni alla sovranità, non può ricevere esecuzione nel paese se non corrisponde alle condizioni e alle finalità dettate dall’art. 11”. Spiegava Carlassare dodici anni fa: “Il discorso è importante anche perché il ripudio della guerra non vieta solo la partecipazione a conflitti armati, ma pure l’aiuto ai Paesi in guerraillegittimo è il commercio di armi con tali Paesi e il fornir loro le basi per agevolarne le operazioni”.

P.s. “La guerra sta all’uomo come la maternità alla donna” diceva Mussolini, la pace è “deprimente e negatrice delle virtù dell’uomo che solo nello sforzo cruento si rivelano”. Quando c’era lui, insomma, era un po’ come adesso…

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/14/i-pavidi-costituenti-che-non-volevano-piu-guerre-per-litalia/6559228/?utm_campaign=Echobox2021&utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR1qY7R0rL28QG4PsFAkphWVoHtkDNbV0D9bFrXzCcla02THNY6DsCs7oQI#Echobox=1649926361

giovedì 14 aprile 2022

Ora Biden e Zelensky fanno infuriare l’Europa. - Cosimo Caridi e Luana De Micco

 

GUERRA IN UCRAINA - Macron zittisce Sleepy Joe che straparla di “genocidio”. Scholz: “Irritante il no al presidente tedesco”. Putin stringe su Mariupol: “Resa degli ucraini”. Che smentiscono. 

Al cinquantesimo giorno di guerra, il fronte Nato si divide. Al centro delle tensioni, la parola “genocidio” che Joe Biden ha utilizzato per la prima volta per descrivere i massacri dell’esercito russo in Ucraina: “Diventa sempre più chiaro che Putin cerca di cancellare persino l’idea di essere ucraini”, ha detto il presidente Usa. Il termine è rivendicato da tempo da Kiev. Lo rifiuta invece Macron, tra i leader Ue più attivi nel tentare di mantenere un dialogo con Mosca.

Già un paio di settimane fa, il capo dell’Eliseo aveva preso le distanze da Biden che, da Varsavia, aveva chiamato “macellaio” l’uomo del Cremlino. Macron è convinto che l’escalation verbale non contribuisca a raggiungere l’obiettivo principale: la pace. “È accertato che l’esercito russo ha commesso crimini di guerra – ha detto su France2 –. Ciò che sta succedendo è di una brutalità senza precedenti, ma guardo ai fatti e voglio continuare a essere in grado di fermare questa guerra”. Zelensky ha considerato “dolorosa” la riluttanza di Macron, approvando invece Biden: sono “le parole di un vero leader”, ha scritto su Twitter, chiedendo un ulteriore invio di armi. Nel nuovo pacchetto di aiuti militari che gli Usa si preparano a inviare, ci sarebbero, secondo fonti della Reuters, mezzi militari per altri 700 milioni di dollari, tra cui elicotteri Mi-17 da usare contro i blindati russi. È evidente che Washington non crede a una soluzione nel negoziato. Macron che, in piene presidenziali si prepara a sfidare Marine Le Pen al ballottaggio del 24 aprile, ha già fatto sapere invece che vuole riprendere la via della diplomazia e le telefonate con Putin e Zelensky, messe da parte durante la parentesi del primo turno. Anche il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha usato toni ben più pacati: “La massima priorità per tutte le parti interessate è mantenere la calma e la moderazione”. Altro motivo di tensione, il rifiuto del presidente Zelensky di ricevere il suo omologo tedesco, Frank- Walter Steinmeier. Il presidente federale si sarebbe dovuto recare ieri a Kiev con i capi di Stato di Polonia e Paesi baltici. Ma dopo giorni di negoziazioni e incontri per la sicurezza, gli ucraini hanno dichiarato Steinmeier persona non gradita. L’annuncio a mezzo stampa è stato lapidario. “Non è il benvenuto” ha rivelato un diplomatico ucraino al tabloid Bild. Il cancelliere Olaf Scholz ha definito “irritante” l’atteggiamento di Kiev. Enrico Letta, segretario del Pd, ha scritto su Twitter: “Un presidente della Repubblica di un Paese dell’Ue non può essere considerato persona non grata da un Paese candidato”. Le critiche di Kiev sono legate al passato di Steinmeier. Prima di arrivare a palazzo Bellevue è stato per due volte il ministro degli Esteri di Angela Merkel. Steinmeier, socialdemocratico, è considerato un simbolo della linea morbida nei confronti della Russia.

Grande sostenitore del gasdotto Nord Stream 2, fu uno dei negoziatori a Minsk tra Kiev e Mosca sulla gestione del Donbass. Dopo l’invasione russa, Steinmeier ha fatto pubblica ammenda, definendo “un grave errore” la sua propensione al dialogo con Putin. “Per continuare a difendere eroicamente il mondo dall’aggressione russa l’Ucraina ha bisogno – ha detto Zelensky – di artiglieria, mezzi corazzati, sistemi di difesa aerea”. Nelle stesse ore, Kiev tentava di riaprire il canale diplomatico con Berlino. Oleksiy Arestovych, consigliere di Zelensky, ha detto alla tv pubblica tedesca: “Il nostro presidente sta aspettando il cancelliere, in modo che possa prendere decisioni pratiche immediate, inclusa la consegna delle armi”. Scholz da una settimana ha bloccato l’invio di tank tedeschi in Ucraina e ha risposto all’invito dicendo: “Nessuna visita a Kiev è prevista per il momento”, dove ieri invece sono stati accolti come solidi alleati i presidenti di Polonia e paesi baltici.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/14/lue-dice-no-macron-sgrida-gli-usa-scholz-non-va-a-kiev/6559389/

Quanto sono pericolosi i valori maneggiati dai potenti della Terra. - Gustavo Zagrebelsky

 

Da una parte c'è la "Santa Russia" imperiale. Dall'altra si erge l'Occidente, amministratore della civiltà dei diritti. Ma una cosa è aiutare le vittime promuovendo la pace; altra cosa è attizzare cattive passioni: la crisi dà fiato ai nazionalisti

I morti ammazzati dai viventi sono sulla terra, anzi sotto terra; i valori sono in cielo. I morti chiedono compassione. Non sanno che farsene, dei valori. I potenti che ammazzano dove stanno? Sulla terra o in cielo? Evidentemente in terra, saldissimamente in terra, perché altrimenti non sarebbero potenti. Eppure, non fanno che evocare valori. Quando fanno finta d’essere in cielo, sono truffatori. Più si sale verso il cielo, più si perde di vista l’umanità.
Non c'è guerra, non c’è violenza, non c’è sopraffazione che non cerchino di giustificarsi, un tempo attraverso la santificazione, oggi attraverso la ideologizzazione. La violenza ha bisogno di “valorizzarsi”. Tanto più alto è il valore al quale ci si attacca, tanta più è la violenza cui ci si sente autorizzati. Per sua natura, “il valore deve valere”, cioè deve essere imposto con ogni mezzo. Il valore è astratto e puro e, come tutte le astrazioni, non è interessato al concreto. Anzi, lo disprezza perché nel concreto si annida la varietà, la relatività, l’impurità. Per realizzarsi, ogni ostacolo può, anzi deve essere spazzato via. Trasformata in valore anche la pace può giustificare la guerra, la “guerra giusta” o la guerra preventiva, per esempio (si vis pacem ecc.). Perfino la vita come valore può giustificare la morte (mors tua ecc.). Questa è la logica perversa del pensare per astrazioni.
I valori possono essere cose bellissime ma, maneggiati dai potenti, spesso fanno paura. In nome della promessa ad Abramo fatta dal “dio geloso” degli Ebrei, furono sterminate le popolazioni della terra di Canaan; in nome di Allah si proclama il Jihad offensivo contro gli infedeli; “Dio lo vuole” è il motto d’ogni “guerra santa”, d’ogni “crociata”, d’ogni sterminio degli eretici. Yahweh, Allah, il Dio cristiano degli eserciti hanno in comune l’assolutismo del valore. Chi potrebbe opporsi a chi parla e agisce in nome d’un dio? L’appello diretto, esplicito, a un dio di questa fatta, nel mondo secolarizzato odierno non fa più presa come un tempo. Le religioni, anzi, hanno fatto passi avanti verso la reciproca comprensione e il “dialogo interreligioso”, per essere possibile, deve rinunciare non ai propri valori, ma alla loro assolutizzazione. Ma, hanno trovato dei validi succedanei secolarizzati altrettanto astratti e pericolosi.
Tutte le “visioni del mondo”, le Weltanschauungen hanno parlato di “missioni” al servizio dell’umanità, o della civiltà, e si sono inevitabilmente risolte in razzismo, imperialismo, invasioni, stragi, partiti unici. Le guerre coloniali erano giuste per civilizzare i popoli primitivi, erano dunque un regalo. Lo stesso, gli sterminî degli indios per convertirli al cristianesimo. Il “destino manifesto” attribuito dalla Provvidenza agli americani chiamava i governanti di Washington al compito di espandere la libertà e la democrazia, tanto per incominciare con la cruentissima annessione del Nuovo Messico e con l’espansione in Arizona, Colorado, Nevada e Texas a spese dei popoli autoctoni.
Napoleone conquistò l’Europa e invase la Russia al prezzo di milioni di vittime in nome degli inviolabili valori della Rivoluzione. I nazisti e i fascisti si credevano in pieno diritto nel voler conquistare il proprio “spazio vitale” a danno dei popoli di “razza inferiore”. I dirigenti comunisti non dicevano certo di agire per sete di potere, ma per la felicità del popolo finalmente senza classi. Così, i valori, nelle mani dei potenti della terra, sono sempre stati armature ideologiche di politiche di potenza, fantasmi che si aggirano tra le genti con lo scopo di reciproche distruzioni. Questa è la sorte di tutte le dottrine universalistiche in mano alle potenze della terra, anche di quelle apparentemente più nobili e benevole. Il fatto, poi, che esse siano usate selettivamente, per intervenire qua e non là, secondo convenienze, dice tutto sul valore dei valori.
E oggi? Con quali fantasmi abbiamo a che fare?
Da una parte c’è l’ininterrotta presunzione della Russia d’essere destinataria d’una missione universale, che sia la “Santa Russia” imperiale o la “liberatrice dei popoli” o la patria della spiritualità ortodossa insidiata dal materialismo occidentale. Viene in mente l’immagine potente, meravigliosa agli occhi degli slavofili e terrificante per tutti gli altri, che conclude "Le anime morte" di Gogol: la troika che attraversa il mondo come un uragano, davanti alla quale tutti i popoli piegano il ginocchio.

Dall’altra parte, si erge l’Occidente, amministratore della civiltà dei diritti umani, della libertà, della democrazia: tutte bellissime cose che spesso, però, valgono soprattutto per rinfacciarne agli altri la violazione.
Ma, queste sono per l’appunto cose che stanno in cielo. Quando scendono in terra nelle mani dei potenti si trasformano in appropriazione monopolistica della legittimità. Servono le guerre, non la pace. Nella migliore delle ipotesi, i rapporti possono “congelarsi” temporaneamente, come nei decenni della “guerra fredda”. Abbiamo creduto in un “disgelo” che, in fondo, non ha mai sconfitto la politica di potenza, l’estensione delle “zone d’influenza”, la lotta per l’affiliazione o la dominazione dei popoli poveri e deboli che, per loro sfortuna, vivono nelle terre ricche.
Anche in quegli anni non c’era la pace, sebbene la guerra sembrasse improbabile nell’equilibrio del terrore. Improbabile non vuol dire impossibile e oggi ce ne rendiamo pienamente conto guardando la tragedia dell’Ucraina che, in fondo e per ora, sembra solo un foruncolo, ma forse è l’escrescenza su un’infezione che non è stata curata. Il che non diminuisce l’orrore, ma l’accresce.
I potenti che in tempo di guerra brandiscono una superiorità morale brandendo i loro valori si espongono a facili ironie e, soprattutto, non favoriscono la pace. Alzano barriere, armano i confini, creano incomunicabilità e ostilità. Alimentano il fanatismo, il conformismo, i “partiti unici” e comprimono le intelligenze. Si rialzano le frontiere. Si allontanano le speranze in un futuro in cui i nostri figli possano sentirsi membri d’una famiglia umana non divisa da vecchi e nuovi nazionalismi, possano viaggiare liberamente, possano stringere amicizie e coltivare amori con chi e come vogliono. Questa crisi, qualunque ne sia la fine, quando e se se ne verrà fuori, lascerà una scia di odio, di risentimenti, di desideri di rivincita, di altre violenze. Già ora si stanno distruggendo in un colpo solo i tanti fili economici, culturali, politici, giuridici e sociali che nei decenni sono stati faticosamente intessuti principalmente in Europa. Poiché, poi, la crisi dà fiato ai nazionalisti, consolida oligarchie, avvantaggia demagoghi e produttori di armi d’ogni tipo, è probabile che, al di là della propaganda e degli sdegni esibiti, vi sia chi ne trae vantaggio.
Con questa regressione dovremo fare i conti. Smascherando l’uso dei valori che stanno in cielo, guardando i morti e le sofferenze che stanno in terra. Qui, non là, sta la verità.
Accogliendo profughi senza distinzioni. Intessendo e potenziando relazioni, non interrompendole. Salvaguardando la dignità e l’universalità della cultura. Fornendo, nell’immediato, gli aiuti necessari a chi ne ha bisogno per vivere, sopravvivere e difendersi. La guerra c’è, e ci sono gli aggressori e gli aggrediti. Questa è l’unica certezza su cui non sono consentiti dubbi. Ma, una cosa è aiutare le vittime promuovendo la pace; altra cosa è attizzare cattive passioni. Dunque non aizzare i fanatici dell’Occidente, i nazionalisti, i sovranisti che oggi hanno l’occasione di mostrarsi come i suoi più efficaci difensori. Aiutare, ma contrastare le idee aggressive che prefigurano un futuro altrettanto o, forse, peggiore e, comunque, allontanano la prospettiva di un’intesa che metta fine alla guerra. Sobrietà e spirito critico, non per negare l’evidenza, ma per evitare il peggio.

Begli amici. - Marco Travaglio

 

Più passano i giorni, più si avvera la frase dell’antropologo Antonello Ciccozzi: “In Ucraina, agli invasi e agli invasori, dovremmo aggiungere gli invasati”. Che popolano le file sia degli invasori sia degli invasi e dei loro alleati. Nelle ultime 48 ore, sia Putin sia Biden hanno evocato un “genocidio”: quello in Donbass per mano degli ucraini e quello in Ucraina per mano dei russi. Ora, il genocidio è l’annientamento sistematico di un popolo, un’etnia, una religione: gli ebrei per mano dei nazisti con la Shoah-Olocausto (un unicum nella storia), i pellerossa e altri aborigeni per mano dei colonialisti, gli armeni per mano degli ottomani. Per definire i massacri ucraini contro i russofoni e russofili in Donbass (15 mila morti circa in 7 anni) e quelli russi in Ucraina (2 mila morti circa in 49 giorni, secondo l’Onu) basta e avanza il termine “guerra”, anche se il primo tempo (iniziato nel 2014) viene pervicacemente negato da chi vede solo il secondo (iniziato il 24.2.2022). Perché allora insistere sul “genocidio”? Putin lo fa per giustificare l’ingiustificabile aggressione dell’Ucraina. Biden – sbugiardato da Macron e Scholz, cioè dagli alleati a schiena dritta, quindi non da Draghi – deve alzare ogni giorno l’asticella dell’escalation verbale a supporto di quella armata che deve impedire ciò che più teme: che la guerra finisca presto. Infatti, dopo le sue sparate sul golpe in Russia contro il “macellaio”, nessuno parla più di negoziati. Nemmeno l’Ue che, diversamente da lui, avrebbe tutto l’interesse a riallacciare i fili al più presto.

Il guaio di Biden e dei suoi servi sciocchi e furbi è che, col trascorrere dei giorni e l’aumentare dei morti e delle distruzioni, l’opinione pubblica occidentale è sempre meno intruppata e sempre più scettica sulla corsa al riarmo. Ormai lo capiscono anche i paracarri che si tenta di spacciare un conflitto regionale sul Donbass per una guerra mondiale contro tutta l’Ue, anzi tutto l’Occidente: altrimenti i governi che riempiono di armi l’Ucraina senza domandarsi che fine fanno in piena guerra e che fine faranno a fine guerra sarebbero già stati cacciati coi forconi; o almeno costretti a levarsi dalla testa la tafazziana ideona di privare i propri cittadini e imprese del gas russo, con recessione, razionamenti energetici, fallimenti di grandi e piccole aziende, boom dei disoccupati e dei poveri, solo perché glielo chiedono Zelensky (che al gas russo non rinuncia, e neppure al miliardo e mezzo di euro l’anno di diritti di transito del gasdotto) e Biden (che vuole rifilarci il suo, molto più caro, scarso e inquinante). Ieri su Rep si leggeva l’ultima good news: “Gas russo, gli Usa minacciano le società Ue che lo acquistano”. Che carini. Meno male che sono amici, sennò li avremmo già bombardati.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/14/begli-amici/6559388/

La via del melo. - Toni Capuozzo

 

Di Maio. “Chi nega Bucha alimenta la propaganda russa che provoca morte” . Nel suo italiano stentato il ministro degli Esteri vuole essere definitivo. Avrei qualche domanda per lui, come per Giletti, per la veterinaria di Open e tanti altri.

Cosa vuol dire negare ? Non c’è dubbio alcuno che i russi abbiano commesso crimini durante l’occupazione di Bucha. A testimoniarlo ci sono le fosse comuni scavate dietro alla chiesa. I 350 corpi che contengono, raccontano quello che è successo. Le mie perplessità riguardano i morti che dal 3 aprile vengono ritrovati per strada, in quella ormai tristemente famosa via Jablonskaja, la via del Melo. Il mio dubbio è che quei cadaveri non appartenessero all’orrendo capitolo precedente (i russi se n’erano andati il 30 marzo) ma fossero il risultato di un’operazione di un corpo speciale della polizia ucraina (ho riportato l’articolo della stampa ucraina che annunciava la caccia a Bucha di sabotatori e collaborazionisti). Oppure che fossero vittime dei russi recuperati dalle cantine e dai cortili e disposte sulla strada a beneficio delle televisioni. Come ricorderete, a smentire questa ipotesi apparvero subito foto da satellitari e da droni che retrodatavano la presenza di quegli stessi corpi almeno al 19 marzo.
-come si sono conservati i corpi nelle strade per due settimane, in un clima freddo ma umido, con animali randagi e selvatici ?
-come mai alcune vittime avevano i fazzoletti bianchi al 
braccio?
-come mai alcune vittime avevano accanto a sé razioni dell’esercito russo ?
-come mai non c’è quasi mai sangue e mai un solo bossolo accanto ai corpi ?
-come mai ci sono immagini che ritraggono militari ucraini che trascinano i corpi con cavi, andando oltre la semplice precauzione di spostarli di mezzo metro, rivoltandoli, così da appurare che non siano minati ?
-Come mai un video apparso su Telegram di un certo Boatman, il 1 aprile da Bucha, non dice nulla sui morti per strada? Unico fatto di rilievo l’incontro con un parlamentare del partito di Zelensky (Boatman lo descrive come “scuro di pelle”, nota inevitabile per un suprematista bianco come lui. Russo, Boatman è al secolo Sergey Korotkikh, ricercato per l’omicidio di due immigrati davanti a una bandiera nazista. Ripara in Ucraina e nel ’14 partecipa alla guerra civile antirussa, ricevendo il passaporto ucraino, e la nomina a capo di una squadra speciale della polizia).
-come mai in un altro video si vede la squadra di Boatman apprestarsi a operare e uno di loro chiede cosa si debba fare di persone incontrate senza il bracciale blu degli ucraini. “Sparagli, cazzo” è la risposta di Boatman.
-come mai si continua caparbiamente a ignorare l’operazione dei corpi speciali della polizia, iniziata il 1 aprile – i russi si sono ritirati il 30 marzo – di bonifica da esplosivi, sabotatori e collaborazionisti ? Ne dà notizia, quel giorno, la stampa ucraina. E poi non si sa come si a andata, se abbiano trovato collaborazionisti o meno.
- come mai sono apparse su Telegram conversazioni che maledicono Boatman per aver rovinato tutto con i suoi video ? “ eravamo d'accordo - lo era, non lo era - gonfiamo per il bene di un pubblico europeo impressionabile, finalmente ci passano armi pesanti e difesa aerea. Cioè, i nostri "alleati" sono tali che non gli bastano gli attacchi missilistici sulle città, per loro. Ok, stiamo lavorando. L'informazione principale è andata, lo straniero l'ha raccolta .. e poi la Guardia Nazionale e il Nostromo sono usciti dalla tabacchiera come un coglione con i loro video divertenti sulla pulizia di Bucha….”
Perchè, intervistato dalla stampa italiana, al becchino di Bucha non viene fatta la più semplice delle domande: come mai ha rischiato la vita per inumare i morti nella Bucha occupata dai russi e , quando i russi se ne sono andati, li ha lasciati invece per strada ?
-come mai quelle vittime sono state lasciate per settimane, secondo la foto satellitare, senza un solo gesto di pietà, come se fossero morti altrui, da schivare e basta ?
-come mai la Croce Rossa Internazionale non è stata convocata subito sul luogo del massacro ?

Non devo ripetere a ogni passo che non sono filoputin, né filorusso. Sono solo convinto per esperienza che purtroppo la guerra è il regno dell’odio, delle vendette, delle manipolazioni. In guerra puoi essere disciplinato, se la combatti o te ne fai travolgere. Se sei giornalista, anche quando hai chiaro dove risieda la ragione e dove il torto, dove l’aggressore e dove l’aggredito, sai che le linee nette del Bene e del Male vengono scavalcate con facilità, e resta il dovere di ragionare sui fatti, anche quando non coincidono con la tua visione delle cose, e specie quando fanno fare alla guerra un salto di qualità, come una chiamata alle armi.

Perché acquistare il Gnl americano costa il 50% in più del gas russo. - Sissi Bellomo

 

Il Sole 24 Ore ha fatto i conti, scoprendo che a fine 2021 per un carico di Gnl americano (trasporto e rigassificazione inclusi) in Europa si spendevano più di 30 milioni di euro.

Importare gas dagli Stati Uniti? Un paracadute indispensabile oggi come oggi, ma anche costoso per l’Europa: chi ha comprato Gnl «made in Usa» a dicembre ha speso almeno il 50% in più rispetto a chi si è rifornito dalla Russia. Ma qualcuno ha sborsato anche il quintuplo di quanto avrebbe pagato con Gazprom, se invece di importare direttamente dagli Usa si è rivolto a un intermediario, ad esempio Shell, Vitol o Trafigura, colossi del commercio di gas liquefatto.

Il confronto emerge da un’analisi del Sole 24 Ore, che ha cercato di mettere a fuoco le dimensioni della sfida – anche economica – per ricostruire il nostro sistema di approvvigionamenti energetici evitando la dipendenza da Mosca.

Una filiera lunga e complessa.

Che il Gnl, in generale, sia più caro delle forniture via gasdotto è intuitivo: dai giacimenti il gas dev’essere trasferito a impianti speciali, dove viene liquefatto a una temperatura di 162 gradi sotto zero che ne riduce il volume di circa 600 volte, poi c’è il trasporto su navi metaniere e infine, una volta a destinazione, bisogna rigassificare il carico. Ma in tutto quanto si spende?

Non c’è una risposta univoca che possa chiudere la questione, perché ci sono troppe variabili in gioco: dipende da quando e da come si effettua l’acquisto di gas, se si compra in modo occasionale (sul mercato spot) o con un contratto pluriennale: una sorta di abbonamento, che può durare anche 20-30 anni e che a sua volta può avere condizioni molto diverse, a seconda del fornitore e del cliente.

I dettagli – soprattutto la formula di calcolo che ogni mese aggiorna i prezzi – sono coperti in modo più o meno fitto da segreto commerciale, anche se il governo italiano ha da poco ottenuto che i contratti vengano trasmessi in via riservata all'Arera. «Abbiamo cercato di avere cognizione sui contratti di importazione di gas e non siamo riusciti – si è sfogato il premier Mario Draghi – Sono comportamenti non più tollerabili».

Fermo immagine.

L’analisi del Sole 24 Ore ha cercato un rigore metodologico, impiegando solo dati ufficiali: di qui la scelta di concentrarsi su dicembre 2021, l’ultimo mese che offre elementi di comparazione sufficienti. Il risultato – occorre chiarirlo subito – non è una fotografia da mettere in cornice: piuttosto è un fotogramma che ritrae una singola scena di un film denso di azione. La realtà è molto complessa, oltre che poco trasparente. Russi e americani non sono gli unici protagonisti, né esiste solo il gas, che compete con altre fonti, rinnovabili e non.

Con queste premesse, per gli Usa abbiamo usato le cifre del dipartimento dell’Energia (Doe), che registra l’esportazione di 111 carichi di Gnl a dicembre, per un totale di 345 miliardi di piedi cubi (Bcf) a un prezzo di vendita – liquefazione inclusa specifica il Doe – di 9,26 dollari per milione di British thermal units (MMBtu).

Bisogna districarsi nella giungla delle unità di misura, sempre molto fitta quando si parla di gas (il che non aiuta a dissipare malintesi e propaganda politica). Ma si evince che un carico di Gnl Usa è stato venduto in media per 28,7 milioni di dollari. Quello però è il prezzo Fob (Free on board o franco a bordo): tutto il resto si paga a parte.

Un calcolo necessariamente approssimativo porta a stimare un conto di 35,3 milioni di dollari (32,5 milioni di euro). Sono 415,3 dollari per 1.000 metri cubi di gas immesso in rete, contro i 273 dollari che Gazprom ha dichiarato di aver ottenuto – sempre a dicembre – per il gas esportato “Far Abroad”, ossia fuori dall’area ex sovietica.

Un paio di conversioni, per chiarezza e non pedanteria: si tratta di 34,5 euro per Megawattora (11 $/MMBtu) per il gas Usa e di 22,6 €/MWh (7,2/MMBtu) per quello russo.

A dicembre, quando il gas in Europa già macinava record, il prezzo medio al Ttf è stato 116,2 €/MWh o 37 $/MMBtu, contro appena 3,75 $/MMBtu all’Henry Hub americano.

Extra profitti anche in Cina.

Comprare Gnl a stelle e strisce è stato ancora più oneroso per chi non si è rivolto direttamente ai produttori (in Italia solo Enel, attraverso Endesa, ha un contratto per rifornirsi dall’impianto texano di Corpus Christi di Cheniere Energy): da un intermediario i carichi spot si comprano a prezzi di mercato e il riferimento europeo è il Ttf, che a dicembre indicava valori cinque volte più alti dei prezzi praticati da Gazprom.

Il conto saliva a più di 120 milioni per una metaniera Usa, di cui un centinaio finivano in tasca all’intermediario: a volte anche utility giapponesi o cinesi, che ci “aiutavano” girandoci qualcuno dei loro carichi contrattuali. Aberrazioni figlie di un mercato impazzito.

«Il prezzo al Ttf è ormai completamente dissociato dai costi produttivi del gas – commenta Massimo Nicolazzi, docente di Economia delle risorse energetiche all’Università di Torino – L’attuale meccanismo di formazione dei prezzi risente del costo crescente delle coperture dei trader, che alimenta la spirale rialzista».

Strategie di vendita a confronto.

I russi hanno costi di estrazione tra i più bassi del mondo (poco più di 1 $/MMBtu) e politiche commerciali molto diverse dai produttori Usa. Gazprom vende quasi tutto via gasdotto con contratti pluriennali che prevedono un volume minimo di forniture da pagare anche se non vengono ritirate: il famoso “Take-or-Pay”, che peraltro ci farebbe violare i contratti in caso di embargo o tagli troppo rapidi dell’import da Mosca.

Il prezzo del gas russo, un tempo indicizzato al petrolio, oggi per l’80% delle vendite è agganciato almeno in parte al Ttf, ma ne riflette l’andamento con un mese di ritardo o più: il “time lag” a volte lo rende super conveniente, altre induce a comprare solo i volumi obbligati.

Il Gnl Usa è molto più flessibile, non solo perché viaggia per mare: anche quello “contrattualizzato” non ha padroni forti, perché non ci sono clausole di destinazione e basta pagare una penale, oggi di 11-12 milioni di dollari, per liberare un carico in modo da dirottarlo altrove. Così le forniture tendono a spostarsi dove vengono pagate meglio.

Oggi per il 70% il gas americano arriva in Europa, ma in futuro chissà, probabile che dovremo contenderci i carichi con l’Asia e un tetto ai prezzi del Ttf rischierebbe di renderci un mercato poco appetibile. A meno che non firmiamo qualche contratto, che ci impegni «almeno fino al 2030» specifica la Casa Bianca, promettendo forniture crescenti.

Il peso delle spese extra.

Il gas Usa non è caro quando sale a bordo di una metaniera: i contratti di vendita di solito riflettono il prezzo all’Henry Hub con un ricarico del 15% più il costo di liquefazione (che Bank of America stima tra 2 e 3,25 $/MMBtu). Ma al conto, come si diceva, bisogna aggiungere gli extra.

In Italia per scaricare il Gnl, rigassificarlo e immetterlo in rete si pagano circa 4 milioni di euro per una nave spot da 150mila metri cubi liquidi, che allo stato gassoso diventano 90 milioni (poco più di quanto importiamo in un giorno dalla Russia).

Più complesso valutare il trasporto marittimo dagli Usa. Fanno altri 2,8 milioni di euro usando la media dei noli spot degli ultimi 12 mesi moltiplicata per 29 giorni (andata e ritorno, perché la nave torna vuota, più i tempi di caricazione).

«I noli delle metaniere – spiega Enrico Paglia, analista di Banchero Costa – sono sempre molto volatili e legati alla stagionalità: salgono d’inverno e calano a primavera, seguendo i consumi di gas nell’emisfero nord, ma negli ultimi mesi ci sono state oscillazioni estreme sul mercato spot con picchi oltre 250mila dollari tra novembre e dicembre, seguiti da un crollo, addirittura brevemente su valori negativi, poi una risalita di recente verso 40mila dollari al giorno. La media degli ultimi 12 mesi è di 77mila dollari al giorno».

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