sabato 17 gennaio 2015

Primarie Liguria, l’ombra della mafia sul voto per la corsa alla Regione. - Ferruccio Sansa

Primarie Liguria, l’ombra della mafia sul voto per la corsa alla Regione

“Ho visto arrivare una quarantina di persone in gruppo. Erano tutti siciliani, tra i 50 e 70 anni. Mi hanno chiesto ‘è qui che si paga?’", ha raccontato Walter Rapetti, il presidente di seggio a Certosa. Blitz della Digos nella sede del Pd genovese: chiesto l'elenco dei votanti.

La Digos che entra nella sede del Pd genovese e chiede l’elenco dei votanti alle primarie. Gli uomini dello Sco dei carabinieri che vanno nella sezione del quartiere Certosa e ascoltano il presidente di seggio. La Direzione Distrettuale Antimafia di Genova che vuole vederci chiaro. Il segretario provinciale di Savona che presenta esposti in procura. Il castello delle primarie liguri del Pd rischia di crollare. Con due soluzioni – entrambe traumatiche – all’orizzonte: l’annullamento delle primarie o la conferma con immediato rischio di scissione. “Che amarezza”, spalanca le braccia il segretario provinciale di Genova, Alessandro Terrile, appena consegnate le carte alla Digos, “non era mai successo”.
Raffaella Paita alza già i calici. L’ha detto più volte: “Le primarie valgono più delle regionali”. Ma adesso si trova davanti due ostacoli. Il giudizio dei Garanti Pd, previsto per oggi, sulla regolarità del voto. Ma soprattutto l’interessamento di almeno due Procure sullo svolgimento delle primarie. Ora tocca a Genova. E non a investigatori qualunque. Ma a quelli che si occupano di mafia. Già, perché sulle primarie Pd si allunga anche l’ombra della criminalità organizzata. Sono stati gli stessi dirigenti Pd a denunciarlo. In due casi particolari: prima di tutto a Certosa. Parliamo di un quartiere che a Genova è soprannominato la “piccola Riesi”, perché qui è massiccia l’immigrazione dalla cittadina siciliana. E qui sono forti le infiltrazioni mafiose. Ecco cosa ha riferito Walter Rapetti, il presidente di seggio: “Ho visto arrivare una quarantina di persone in gruppo. Erano tutti siciliani, tra i 50 e 70 anni. Sembravano spaesati, non sapevano nemmeno cosa fossero le primarie. Mi hanno chiesto ‘è qui che si paga?’. La scena era surreale. Quelli hanno firmato e se ne sono andati. Senza votare. Li ho fermati e mi hanno detto: ‘Votare? Cos’è la scheda?”.
Non solo: un militante di Sel avrebbe riconosciuto un ex consigliere comunale Idv (già indagato con l’accusa di aver raccolto firme taroccate a favore dello schieramento di Claudio Burlando nel 2010) che a Certosa organizzava “plotoni” di votanti. L’interessato, intervistato dal Fatto, smentisce. Com’è finita? “Cofferati 241 voti, Paita 95, ma pensavamo pigliasse meno”, raccontano rappresentanti Pd.
A Savona, il segretario provinciale Fulvio Briano ha presentato un esposto in Procura. I pm stanno già lavorando, soprattutto sull’ipotesi di versamenti di denaro effettuati per convincere la gente a votare. La Procura sta studiando quanto acquisito ad Albenga e Pietra Ligure, dove Paita ha sgominato Cofferati sfiorando il 90%. Due comuni dove il rapporto tra politica, affari e figure al centro di inchieste è noto. “Ad Albenga abbiamo fotografie di incontri tra esponenti del centrosinistra e soggetti condannati per reati gravissimi”, punta il dito Christian Abbondanza della Casa della Legalità. Ma Paita e il marito – il presidente del Porto di Genova, Luigi Merlo – sono già stati in passato al centro di polemiche sui loro rapporti con personaggi al centro di inchieste. Niente di illegale, ma Paita nelle settimane precedenti alle primarie ha ricevuto l’appoggio di quell’Alessio Saso, oggi Ncd, così definito dagli stessi vertici Pd: “Oltre a essere un ex esponente diAn, Saso è indagato (voto di scambio, ndr) nell’inchiesta Maglio 3 sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nel Ponente”. Toccò poi a un altro sponsor scomodo: Eugenio Minasso, anche lui Ncd, in passato fotografato mentre festeggia l’elezione in Regione con famiglie calabresi al centro di inchieste.
Non solo. Già due anni fa, il Fatto riportò le intercettazioni di colloqui avvenuti tra Luigi Merlo (il marito della candidata Pd) e un imprenditore calabrese che in Liguria ha il monopolio degli appalti pubblici in materia di scavi e movimenti terra. Quel Gino Mamone che nelle informative del 2008 per l’inchiesta  Mensopoli veniva così definito dagli investigatori: “Il tenore delle conversazioni intercettate ha evidenziato collegamenti di Gino Mamone sia con il mondo politico sia con il mondo delle cosche calabresi. Egli potrebbe rappresentare il punto di contatto tra i due mondi”.
Il 22 maggio 2007, Merlo inviò a Mamone un sms per caldeggiare l’appoggio elettorale ad Andrea Stretti attuale assessore alla Politiche sociali di La Spezia. “Caro Gino – scriveva Merlo – se hai qualcuno a Spezia ti sarei grato se facessi votare Andrea Stretti”. Immediata la risposta di Mamone: “Ti lascio due numeri di telefono dei miei ragazzi (…) questi conoscono mezzo mondo”.
Parliamo di quel Mamone che nelle intercettazioni dice: “Noi ci siamo con quei settemila voti, non uno, noi tutti i calabresi, qua a Genova ce li gestiamo noi”. Mamone, mai indagato per mafia, che è stato però arrestato per appalti pubblici da oltre dieci milioni di euro. Anche per le alluvioni che flagellano la Liguria. Mamone infine che al telefono dice: “Gli viene il cagotto a Burlandino”, lasciando intendere, sostengono i pm, che potrebbe avere l’intenzione di ricattare il governatore della Liguria, Claudio Burlando, Pd, il grande sponsor di Paita. Il vero vincitore delle primarie.
Chissà a quali conclusioni arriveranno gli investigatori. E anche i garanti del Pd che oggi decideranno sull’esito delle primarie. La presidente del comitato, Fernanda Contri (Pd), ha ottenuto incarichi di prestigio da Merlo, marito di Paita.

Enasarco: Il M5S tutela le pensioni dei professionisti e delle partite IVA. - Roberta Lombardi



"La Bicamerale sulla attività degli Enti gestori della previdenza e dell’assistenza ha deliberato, su input del M5S, di chiedere ai ministeri del Lavoro e dell’Economia il commissariamento di Enasarco
E’ una nostra vittoria importante, un primo passo verso una riforma complessiva delle casse pensionistiche privatizzate.
Enasarco, l’ente previdenziale degli agenti di commercio, ha scommesso i soldi delle pensioni degli iscritti nella roulette russa della finanza spericolata e dei derivati. Ha provato a coprire i buchi con artifici contabili e con una gestione del patrimonio immobiliare che ha calpestato le prerogative degli inquilini. Il M5S segue questa vicenda da quasi due anni e nell’ultima audizione, in Commissione, della Fondazione Enasarco avevamo presentato formale richiesta di commissariamento dell’ente, fornendo un approfondimento sui bilanci Enasarco e sulle procedure di autorizzazione dei conferimenti del suo patrimonio immobiliare.
l lavoro che è stato fatto, attraverso il capillare controllo di ogni documento fornito (oppure omesso) da chi aveva il dovere di porre all’attenzione della commissione Enti gestori la documentazione richiesta (chi aveva il dovere di vigilare sull’Ente), ha portato alla convinzione che obbligo morale, politico e giuridico del MoVimento 5 Stelle sia far rilevare come risultino più che sufficienti i presupposti per il commissariamento della Fondazione Enasarco.
Dal luglio 2013 abbiamo presentato interrogazioni, interpellanze urgenti, mozioni, inviato lettere ai ministri competenti e chiesto a tutti gli organi di vigilanza documentazione per fare chiarezza. Tutto ciò mentre la Fondazione Enasarco diceva che “va tutto bene, è tutto a posto ed i ministeri hanno sempre controllato”.
Ma non ci siamo fermati e abbiamo continuato a lavorare. Alcuni risultati sono arrivati con dei cambiamenti significativi all’interno dei ministeri, che hanno provocato la sostituzione di alcuni dirigenti punti cardine della vigilanza.


Negli ultimi mesi del 2014, precisamente il 14 ottobre, abbiamo inviato una primo esposto alla Banca d’Italia e alla Consob. Successivamente, il 17 dicembre, abbiamo richiesto appunto il commissariamento alla bicamerale Enti gestori e il 24 dicembre abbiamo presentato una nuovo esposto alla Covip e alla Corte dei Conti, ma contemporaneamente abbiamo inviato richiesta di commissariamento ai ministeri competenti. Infine, il 14 gennaio ecco nuovo esposto del MoVimento alla Banca D’Italia e alla Consob.
Il M5S ha puntato sull’immediata sospensione delle dismissioni immobiliari Enasarco e sulla vendita degli appartamenti residenziali. Inoltre, riteniamo che il commissariamento sia la prima cosa da fare assieme alla costituzione di un comitato per la valutazione indipendente degli asset, finanziari ed immobiliari, sospendendo tutti i processi in corso di implementazione.
Il M5S crede che la vigilanza vada poi concentrata presso un unico soggetto istituzionale, con responsabilità precise e penetranti poteri di ispezione. Serve una gestione oculata degli asset e una diversificazione che riduca i rischi. In più è necessaria una definizione normativa univoca di questi soggetti, che non possono più essere degli ircocervi metà pubblici e metà privati. Le casse pensionistiche, infatti, vanno riportate in toto nell’alveo della previdenza pubblica.
La richiesta di commissariamento di Enasarco è un primo passo per tutelare le pensioni dei professionisti, delle partite Iva e gli inquilini degli immobili delle Casse.
Tanti altri ne faremo insieme…in alto i cuori!" 


http://www.beppegrillo.it/2015/01/enasarco_il_m5s_tutela_le_pensioni_dei_professionisti_e_delle_partite_iva.html

Corruzione nel cuore dello Stato. Solo alla Difesa 130 dipendenti sotto accusa. - Thomas Mackinson

Corruzione nel cuore dello Stato. Solo alla Difesa 130 dipendenti sotto accusa

Al Mef c'è chi si porta via pure i timbri. Nel giro di due anni hanno subito provvedimenti disciplinari per reati penali anche 800 dipendenti della Guardia di Finanza. Neppure la Presidenza del Consiglio e il Consiglio di Stato sono immuni. Ecco la radiografia degli illeciti nelle istituzioni che non avete mai letto. E l'Anac corre ai ripari: dipendenti onesti, segnalate a noi.

Al Tesoro c’è chi si porta via pure i timbri. Se parlare di 60 miliardi l’anno quasi non impressiona più, si possono però citare i 130 dipendenti della Difesa per i quali nel giro di due anni l’amministrazione ha avviato procedimenti disciplinari per fatti penalmente rilevanti. Certo potevano essere anche di più, visto che l’amministrazione conta 31.589 dipendenti tra militari e civili. Fatto sta che tra il 2013 e il 2014 per 109 di loro è scattata la sospensione cautelare dal servizio con privazione della retribuzione, cinque sono stati licenziati in tronco. A cercare bene si scopre che neppure la Presidenza del Consiglio, coi suoi 3.382 dipendenti, è immune agli illeciti: negli ultimi due anni Palazzo Chigi ha dovuto vedersela con un dirigente accusato di peculato e sei procedimenti disciplinari legati a vicende penali, una delle quali per rivelazione di segreto d’ufficio. Nel frattempo al Ministero dell’Economia e Finanze si sono registrati 15 casi su 11.507 dipendenti, compreso quello che s’è portato a casa i timbri dell’ufficio, e vai a sapere per farne cosa.
La mappa anche le guardie fanno i ladriPillole da una casistica che disegna una inedita “mappa della corruzione” nelle amministrazioni che sono il cuore dello Stato. La si ottiene analizzando una per una le “relazioni annuali sull’attività anticorruzione” che i funzionari responsabili della prevenzione delle amministrazioni pubbliche devono predisporre entro il 31 dicembre di ogni anno, così come previsto dalla legge Severino (n.190/2012), le norme in fatto pubblicità e trasparenza (decreto n. 33/2013) e le successive “disposizioni sulla condotta per i pubblici dipendenti” (n. 62/2013). Prescrizioni cui ha contribuito in maniera importante l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), fornendo le linee guida del Piano nazionale anticorruzione, elaborando schemi operativi e modelli organizzativi e operativi per le amministrazioni e predisposto formulari destinati alla raccolta, gestione e diffusione dei dati nei piani triennali delle singole PA.
Un articolato sistema di prevenzione e contrasto che – visti i numeri – sembra ancora insufficiente a contenere un fenomeno che si consuma prevalentemente nelle amministrazioni statali. Il bubbone, infatti, è tutto lì, come certificano le 341 sentenze pronunciate negli ultimi 10 anni dalla Corte dei Conti per casi di corruzione e concussione: il 62% ha riguardato i dipendenti dello Stato, a pari merito col 12% quelli dei comuni, sanità, enti previdenziali e assistenziali. Residuali, al momento, i reati che riguardano province, regioni e università.
Dunque il problema è nel cuore dello Stato. E la tendenza non sembra cambiare, anzi. Dai documenti aggiornati a dicembre si apprende anzi di amministrazioni che hanno visto raddoppiare gli episodi di illecito penale nel giro di un anno. Al Ministero per i Beni culturali ad esempio erano stati 12 nel 2013, nel 2014 sono stati 24. Altri rapporti fanno intravedere la penetrazione verticale dell’inquinamento corruttivo. Non fa gli argine, ad esempio, il Consiglio di Stato. Siamo in casa di giudici, non ci si aspetterebbe che ladri e corrotti avessero dimora. Invece su 869 dipendenti sono stati avviati 15 provvedimenti disciplinari per fatti penalmente rilevanti, due sono terminati con il licenziamento. E che cosa succede, allora, a casa delle guardie?
La Finanza reprime gli illeciti. Ma molto lavoro arriva direttamente dai suoi uffici, e su dimensioni di scala impressionanti. La Gdf conta 433 dirigenti, 2.477 ufficiali, 56mila tra ispettori, appuntati e finanzieri. Negli ultimi due anni le Fiamme Gialle hanno avviato ben 783 procedimenti disciplinari per fatti penali a carico dei propri dipendenti: 17 riguardano ufficiali, 766 personale non dirigente o direttivo. Con quali effetti e sanzioni? Una degradazione generale: 658 sanzioni disciplinari di corpo, 40 sospensioni disciplinari, 66 perdite di grado. Nota di colore: nel cortocircuito tra guardie e ladri spunta anche il finanziere “colluso con estranei per frodare la Finanza”.
La via italiana all’anticorruzione, visti questi, sembra ancora in salita. La difficoltà è palese, avvertita e denunciata sia dall’interno degli uffici pubblici e sia all’esterno, come in più occasioni ha segnalato la stessa Anac. I responsabili della trasparenza lo dicono chiaramente: a due anni dalla legge che è il perno delle politiche di contrasto al fenomeno, le amministrazioni non hanno poteri effettivi, non ricevono risorse adeguate, devono muoversi in un quadro normativo sempre più complesso e farraginoso che affastella leggi su leggi. Solo gli obblighi di pubblicazione hanno raggiunto quota 270. “Un monitoraggio efficace è difficilmente attuabile”, ammette Luigi Ferrara, da sei mesi responsabile anticorruzione del Mef, “anche in considerazione del fatto che l’Amministrazione non ha poteri d’indagine e che i terzi potenzialmente interessati sono molto numerosi”. E abbiamo visto quanto.
Una macchina senza benzina. Che non va avanti
Il dito è puntato sull’insufficienza di strumenti e risorse per debellare la natura pervasiva e sistemica della corruzione. Si è fatto un gran parlare dei fondi per l’authority, spesso centellinati in nome del risparmio. Per nulla di quelle che servono alle amministrazioni per utilizzare gli strumenti via via codificati dal legislatore per fare opera di prevenzione dall’interno. L’impressione, ammette un funzionario, è che si vuol fare la guerra a parole, a costo zero. E questo atteggiamento vanifica gli sforzi. Un esempio? Il personale individuato dalle amministrazioni per vigilare sui settori a maggior rischio si sarebbe dovuto formare “senza ulteriori oneri per lo Stato, nella Scuola superiore della pubblica amministrazione”. Questo dice la legge 190. Ma quasi mai succede. “Alcune misure e raccomandazioni, per lo più riferite alla Scuola Superiore dell’economia e delle finanze, sono state superate a seguito della soppressione della Scuola medesima”, fa notare con sottile ironia il responsabile anticorruzione del Mef, Luigi Ferrara. L’Anac gli dà ragione, sottolineando come il legislatore avesse assegnato alla formazione un ruolo essenziale, ma a distanza di un anno era ancora “la tessera mancante del mosaico”. Tanto che le attività progettate dalla Scuola nazionale dell’amministrazione “non si può dire siano andate a regime”.
A volte le carenze riguardano cose banali: “Mancano gli applicativi informatici ad hoc per il supporto dell’attività di monitoraggio e di attuazione delle misure anticorruzione”, mette a verbale il capo dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane del Miur, Sabrina Bono. Del resto, spiega, il nuovo complesso di norme che ha investito le amministrazioni si scontra con la mancanza di personale dedicato. Per far seguito agli impegni previsti dalla normativa anticorruzione la funzionaria si è avvalsa di un dirigente e di due funzionari che “hanno svolto tali funzioni congiuntamente ai compiti assegnati in ragione dell’ufficio d’appartenenza”. Uno modo delicato per dire che non c’è personale da dedicare alla missione, a fronte di un aumento esponenziale degli adempimenti. In questo quadro, l’invito a ciascuna amministrazione a disegnare una propria politica di prevenzione rischia di cadere nel vuoto.
L’authority chiama in causa la politica
Sono criticità ben note all’Anac che negli anni ha lanciato più volte l’allarme sul rischio che le iniziative assunte si traducano in un mero adempimento formale degli obblighi, senza effetti reali sul malcostume nella cosa pubblica. Già nel primo anno di applicazione della 190/2012 l’Autorità chiamava in causa la politica e inviava al Parlamento una durissima relazione: “Appare particolarmente problematica – si legge – la constatazione che il livello politico non abbia mostrato particolare determinazione e impegno”. La rampogna era diretta al legislatore che affastellava leggi su leggi per spegnere l’incendio della corruzione salvo dimenticarsi di aprire i rubinetti. Ma era rivolta anche ai vertici delle amministrazioni pubbliche che all’invito a render conto delle proprie attività, segnatamente in fatto di trasparenza, rispondevano alzando un muro di gomma. Dopo un anno, per dire, solo l’8% dei ministeri si era premurata di indicare un responsabile interno. Molte non trasmettevano i dati, altre non davano seguito agli obblighi in materia di pubblicazione. Con la beffa finale, segnalata direttamente da Cantone pochi mesi dopo, per cui – a fronte del quadro sopra descritto – “la quasi totalità dei dirigenti pubblici ha conseguito una valutazione non inferiore al 90% del livello massimo atteso”.
Quelle denunce mai fatte. Ecco l’ultima speranza
Il dato fa poi il paio con la scarsa propensione dei dipendenti degli “uffici” a denunciare “fatti penalmente rilevanti per i quali siano venuti a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro”. Doveva essere la mina che fa saltare il sistema dall’interno, il famoso whisteblowing di matrice anglosassone, tanto enfatizzato dai mezzi di informazione all’indomani dell’approvazione della legge Severino. E quanti “sussurrano”? Pochi, quasi nessuno. Le “Relazioni” dei responsabili anticorruzione confermano che le segnalazioni si contano sulle dita di una mano e che quasi mai arrivano da dentro gli uffici, nonostante la promessa protezione contro rappresaglie e discriminazioni. Se ci sono, quasi sempre arrivano da fuori. Esempi. La Difesa, con 30mila dipendenti, registra un solo caso che abbia comportato una misura di tutela del segnalante. Il Ministero dell’Istruzione ha 4.223 dipendenti in servizio. Il responsabile anticorruzione nel suo rapporto conferma che la procedura è attivata via mail. Quanti l’hanno usata in due anni? Nessuno. Segno che il timore e l’omertà tengono ancora banco negli “uffici”. E forse per questo lo scorso 9 gennaio l’Anac ha diramato una nota per segnalare la propria competenza a ricevere segnalazioni. L’indirizzo è whistleblowing@anticorruzione.it.

venerdì 16 gennaio 2015

La mano morta. - Marco Travaglio


   

Ma quante mani e manine ha Matteo Renzi? 
Solo nell’ultimo anno e mezzo, se n’è già perso il conto. 
Roba che la Dea Kalì gli fa una pippa
C’è la mano che indica l’uscita a B. l’11 settembre 2013: “In qualunque paese, quando un leader politico è condannato con sentenza definitiva, la partita è finita: game over”. C’è la mano che quattro mesi dopo, 18 gennaio 2014, stringe quella di B. al Nazareno per siglare l’omonimo patto (“profonda sintonia”), poi riusata fino a consunzione per altre otto strette affettuose a Palazzo Chigi per il rodaggio, la messa a punto e il tagliando dell’inciucione. 

The game must go on. 

C’è la mano che firma l’Italicum e la controriforma costituzionale del Senato su misura di B. che vuole continuare a nominarsi i parlamentari in barba alla democrazia e alla Consulta.
C’è la mano che a metà febbraio twitta #enricostaisereno e poi lo accoltella nella notte. 
C’è la mano che scrive il nome di Nicola Gratteri nella lista dei ministri, alla casella Giustizia. E c’è la mano che, la sera stessa, lo sbianchetta perché non piace a Napolitano e a B. 
C’è la mano che a metà giugno dà l’altolà alla legge anticorruzione, pronta per il voto alla Camera, perché B. non la vuole. 
C’è la mano che blocca qualunque velleità di punire i conflitti d’interessi, cioè la ragione sociale di B..
C’è la mano che a settembre sfila dalla riforma della giustizia il blocco della prescrizione, che per B. è come l’aglio per i vampiri. 
C’è la mano che firma prima la no- mina di Franco Lo Voi, il candidato meno titolato ma il più gradito al Palazzo e al Colle per la Procura di Palermo, e poi l’anticipato possesso per prevenire i ricorsi dei rivali esclusi. 
C’è la mano che alla vigilia di Natale infila il SalvaSilvio nel decreto delegato fiscale con l’impunità a chi froda o evade fino al 3% dell’imponibile dichiarato, cancellando la condanna e l’ineleggibilità di B. (Renzi dice che l’arto è il suo, ma non chi l’ha aiutato a stendere tecnicamente la porcata). 
C’è la mano che ora si accinge a modificare il SalvaSilvio, ma non si sa come e comunque non subito: solo dopo il nuovo presidente, così tiene B. appeso per il Colle. 
C’è la mano che compila la black list per il Quirinale, espungendo tutti i nomi sgraditi a B., cioè i più popolari fuori dal Palazzo: Rodotà, Zagrebelsky, forse Prodi (“Se B. ha eletto Ciampi e rieletto Napolitano, perché non dovrei consultarlo anche per il nuovo presidente?”, ripete il furbastro, e mai nessuno che gli risponda: “Perché le altre volte B. non era un pregiudicato, e stavolta sì”; ma ci vorrebbe un intervistatore, non una Bignardi). 

E c’è la mano che, l’altro ieri, emenda a nome del governo la riforma del falso in bilancio che doveva cancellare il colpo di spugna di B. e invece è copiata paro paro dal colpo di spugna di B. 
E anche stavolta non lascia impronte digitali né tracce di Dna, o perché il titolare ha usato i guanti, o perché ha ripulito la scena del delitto.
Ci vorrebbe il guanto di paraffina, magari il Ris di Parma col luminol, o meglio ancora Bruno Vespa col plastico di Palazzo Chigi, la criminologa bionda, l’avvocato Taormina, il Paolo Crepet e la Simonetta Matone prêt-à-porter. Di solito, al culmine del thrilling, mentre i ministri giocano allo scaricabarile e all’“io non c’ero o se c’ero dormivo” e i giornaloni fanno gli gnorri, scende dall’empireo il Matteus Ex Machina a dire che la mano è una sola, sempre la stessa: la sua, che però agisce a sua insaputa. 

Come il braccio del dottor Stranamore, che vive di vita propria e si alza e si tende nell’automatico saluto al Führer. C’è sempre un equivoco, un fraintendimento, un quiproquo, uno sbaglio, una svista, una buccia di banana, anzi di Banana, che giustifica tutto. Sono quei maledetti gufi che tendono una trappola dietro l’altra e lui, l’ingenuo vispo tereso, ci casca. Ecco. Guarda caso però, ogni errore va sempre a favorire B. e quelli come lui. Mai una volta che la manina si sbagli contro B. e contro quelli come lui. Tant’è che, negli ambienti più accreditati, si fa strada un’inquietante ipotesi alternativa. 
Che il povero Matteo, giovane com’è, abbia subìto di nascosto un trapianto di mano. 
E che il donatore sia il CaiMano.

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LA CIA DIETRO L'ATTENTATO A CHARLIE HEBDO ? - SORAYA SEPHPOUR ULRICH

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Le ultime informazioni hanno quasi confermato che l'attacco di Parigi è stato una operazione di "fase flag" eseguita dalla CIA, come dice Soraya SepahpourUlrichricercatrice indipendente e scrittrice che vive a Irvinein California.

"Press TV"- Secondo The Associated Press, il giornalista il ricercatore yemenita Mohammed al-Kibsi che ha incontrato Kouachiil presunto killer di Parisha detto che uno degli uomini responsabili per l'attacco terroristico della scorsa settimana, quello che ha ucciso 12 persone nella capitale francese, ha affermato di aver vissuto con il nigeriano che era dietro il fallito complotto di al- Qaeda conosciuto come l'"underwear bomb" il " bomber delle mutande" di  cinque anni fa.


In un'intervista telefonica con Press TV la Ulrich ha dichiarato"L'intero episodio di Parigi è stato un puzzle per molti ... e si devono trovare i veri collegamenti per comprendere ciò che realmente sta accadendo."

"Ci è stato detto dai media mainstreami media occidentaliche un giornalista yemenita ha affermato di aver intervistato Kouachi, il responsabile dell'attaccodi Parigio uno dei presunti responsabili"E che questo poteva essere collegato con "Mutanda bomber", quello che dissero volesse far esplodere un aereo di linea a Natale del 2009," ha aggiunto la Ulrich.

Umar Farouk Abdulmutallab è stato condannato per il tentativo di far esplodere una bomba-al-plastico nascosta nelle sue mutande, sul volo NW253 della Northwest Airlinesin rotta da Amsterdam a DetroitMichigan.

"Behsi dà il caso che i media mainstream siano stati tanto occupati ad alzare un polverone con queste informazioni che si sono dimenticati delle informazioniche ci avevano passato a suo tempo. Ad esempio, che nel 2012, ci avevano già detto che il ‘bomber delle mutande’ in efetti lavorava con la CIA,  e con l'intelligence saudita.ha sottolineato la Ulrich.

Gli Stati Uniti ed i funzionari yemeniti hanno detto alla Associated Press che a maggio 2012 il cosiddetto  bomber delle mutande stava lavorando sotto copertura per l'intelligence saudita e per la CIA, quando gli fu fatto provare un nuovo tipo di bomba non metallica per passare in sicurezza attraverso i detectors dell'aeroporto.

La Ulrich ha anche detto che è importante ricordare che il cosiddetto bomber delle mutande riuscì a passare attraverso il filtro di sicurezza", quandol'intelligence israeliana era responsabile della sicurezza dell'aeroporto di Amsterdam"

Ha aggiunto che gli addetti al security dell'intelligence non fecero controlli sul bomber ed inoltre lo aiutarono a salire a bordo, cosa che "per me" dice chiaro che tutti erano a conoscenza del lavoro che stava svolgendo questa persona."

"Sei o sette mesi fa, il security aeroportuale inglese, ha probabilmente ricevuto una soffiata dall'intelligence USA ... che terroristi di al-Qaeda stavano per attaccare aeroporti e aerei di linea con una nuova generazione di bombe non metalliche che avevano sviluppato in Siria e Yemen," ha detto la Ulrich.

"Quello che è davvero molto allarmante per me è il risultato che si sta ottenendo con tutte queste informazionio disinformazioni"- ha dichiarato"Dobbiamo capire che cosa ci guadagnano da tutto questo".

Una ondata di episodi di violenza, tra cui l'attacco alla sede parigina della controversa 
rivista Charlie Hebdoha fatto almeno 17 morti, la scorsa settimana,nella capitale franceseDue giorni dopo l'attacco di Charlie HebdoSaid e Cherif Kouachisospettati dell'attentatosono stati uccisi dopo essere staticircondati in una tipografia nella città francese di Dammartin-en-Goele.

"Così, alla fine della giornatadobbiamo capire chi e che cosa ci sta guadagnando, da tutti questi presunti attacchi", ha sottolineato la UlrichAlla gente non si dice la verità - si dicono un mucchio di bugie che non non sembrano collegate in nessun modo tra loro, ma che se le mettiamo insieme ci fanno risalire ai servizi di intelligencecome la CIA."

"Quindi dobbiamo stare molto attenti, e non dimenticare quello che abbiamo letto ieri per prepararci  a quello che leggiamo oggi e dobbiamo abituarci acollegare tutti i puntini da soli".

"Voglio dire che molti hanno avuto dubbi sulla veridicità dell'incidente a ParigiMolti avevano pensato che fosse una operazione false flag, ora con queste nuove informazioni stiamo cominciando a ricollegare  "Mutanda bomber"che ha lavorato per la CIAcosa che praticamente conferma che (allora) si trattò effettivamente di una operazione false flag". Ha concluso la Ulrich.


 traduzione Bosque Primario.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=14516

Cosa è successo oggi al franco svizzero

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La Svizzera ha abbandonato la soglia minima nel tasso di cambio con l’euro – che vuol dire? – e questo potrebbe essere un problema per le esportazioni svizzere

La Banca Centrale Svizzera (SNB) ha rinunciato alla sua politica di difesa del tasso di cambio di 1,20 franchi svizzeri per euro, mantenuta negli ultimi tre anni per evitare che la sua valuta aumentasse troppo di valore rispetto alla moneta europea e al dollaro. L’annuncio ha sorpreso buona parte degli analisti e degli investitori, che appena un mese fa erano stati rassicurati dai responsabili della SNB con promesse sul mantenimento della politica di blocco del franco svizzero. La borsa di Zurigo è arrivata a perdere fino al 10 per cento prima di recuperare; il valore al cambio del franco svizzero è aumentato rapidamente.
Nel 2011 la Banca Centrale Svizzera aveva deciso, unilateralmente e assumendosene tutte le responsabilità (come disse la Banca Centrale Europea all’epoca), di istituire un limite minimo di cambio a 1,20 franchi per euro, temendo che la sua valuta potesse rafforzarsi troppo rispetto alle altre monete. Era il periodo della grande instabilità economica e finanziaria dovuta alla crisi di alcuni paesi europei, Italia compresa, e molti investitori ritenevano che in Europa solo il franco svizzero potesse dare buone garanzie per la tenuta dei loro investimenti. La domanda per la valuta continuava ad aumentare e di conseguenza il suo valore: la SNB intervenne per evitare che aumentasse troppo, cosa che avrebbe potuto danneggiare le esportazioni (chi compra dall’estero beni prodotti in un altro paese deve di solito fare i conti con il cambio, e se è troppo sfavorevole spesso si rivolge altrove).
Dopo essere rimasto fermo a un minimo di 1,20, oggi alla rimozione del blocco da parte della SNB il franco svizzero ha aumentato sensibilmente il suo valore fino al 39 per cento circa rispetto all’euro e al dollaro, poi è sceso stabilizzandosi intorno al 14 per cento. Questo significa che con 1 euro si ottengono 1,03 franchi e non più 1,20 come era in precedenza. Il principale indice azionario della borsa di Zurigo ha perso il 10 per cento, e in molti casi le aziende che sono andate peggio sono state quelle che basano buona parte dei loro affari sulle esportazioni.
grafico-chf-euroIl limite di 1,20 era stato accolto positivamente dagli esportatori, che in questo modo avevano una garanzia sul fatto che il franco svizzero non potesse apprezzarsi più di tanto rispetto ad altre valute. Nick Hatek, amministratore delegato di Swatch, uno dei più grandi esportatori di orologi della Svizzera, ha detto che la decisione della SNB equivale a uno “tsunami per le esportazioni e per il turismo, e di conseguenza per l’intero paese”. Le azioni di Swatch hanno perso fino al 16 per cento in borsa. Anche i titoli bancari hanno sofferto, con UBS e Credit Suisse – due delle principali banche svizzere – che hanno perso fino all’11 per cento.
La Banca Centrale Svizzera ha motivato la sua decisione ricordando che la sua “misura eccezionale e temporanea ha protetto l’economia della Svizzera che rischiava di subire seri danni”. Per mantenere la soglia minima nel tasso di cambio, infatti, la SNB si era impegnata negli ultimi anni ad acquistare enormi quantità di euro per controbilanciare la domanda di franchi svizzeri, tanto da spingere alcuni detrattori a contestare questa politica. A novembre dello scorso anno era stato bocciato un referendum che se fosse passato avrebbe obbligato la SNB a convertire in oro parte delle sue riserve, cosa che secondo i sostenitori della consultazione avrebbe permesso di rendere la sua politica economica più stabile e sicura.
Comunicando la fine della soglia minima, la SNB ha inoltre spiegato che il dollaro ha aumentato ultimamente il proprio valore, cosa che in parte dovrebbe attenuare gli effetti della sua decisione. La Banca ha anche portato a -0,75 per cento il tasso di interesse che viene applicato ai fondi delle banche che sono depositati presso la stessa SNB. Il principale tasso di riferimento sul franco, il LIBOR, è stato aggiustato verso il basso ed è ora a -1,25 e -0,25 per cento (fino a ora era stato a -0,75 e a +0,25 per cento).
http://www.ilpost.it/2015/01/15/fine-soglia-minima-franco-svizzero/

giovedì 15 gennaio 2015

Siamo tutti ipocriti.



Io la definisco ipocrisia.
Tanto parlare di Charlie Hedbo, poco o niente sulla strage delle vittime di serie "b" o dei "figli di un dio minore" in Nigeria.
Ma poi, della "Libertà di opinione", ne vogliamo parlare?
Più che di libertà di opinione io parlerei di volgarità.
Non riesco a comprendere, infatti, perchè, quando si trasmette un video, si censura la parola "caxo" e, contemporaneamente, si inneggia alla libertà di opinione e di satira contro l'altrui pensiero.

Dopotutto il "caxo" è il normalissimo organo sessuale e riproduttivo dell'uomo, tanto sponsorizzato e utilizzato dagli stessi e agognato da molte donne. Lo usano anche i preti per espletare le loro funzioni organiche e fare anche altro ....e mi fermo qui per non infierire.
Ma non si può pronunziare, è tabù. 
Si può fare, però, satira piccante e volgare sugli altrui pensieri anche intimamente religiosi; 
E Francesco, il santo e buono Francesco, si è pronunziato sull'accaduto?
A me non risulta, o non ci ho fatto caso. Ma se non lo ha fatto è stato onesto, altrimenti avrebbe dovuto spiegare le tante stragi compiute in nome delle guerre sante o durante la santa inquisizione....e spiegare perchè bastava pagare le "indulgenze" per comprare un posto in paradiso...

E questo è un altro discorso, i soldi hanno sempre fatto gola a tutti, anche alla Santa romana Chiesa, non dimentichiamo che a creare le banche sono stati i Templari, "poveri compagni d'armi di Cristo e del tempio di Salomone", e che la Santa romana Chiesa gestisce una banca, lo IOR, che specula in borsa come tutte le altre banche e che custodisce anche capitali nascosti, fa riciclaggio di danaro sporco....etc....
Diciamocela tutta: chi non ha peccato scagli la prima pietra!
Siamo tutti ipocriti!

Cetta.