domenica 25 aprile 2021

Recovery plan, nella notte la presentazione al cdm: su richiesta dell’Ue definiti i tempi della riforma fiscale. La proroga del Superbonus in manovra. Pd: “Quote di assunzioni per giovani e donne”.

 

L'appuntamento è slittato per due volte a causa prima delle tensioni politiche, poi dell'interlocuzione con Bruxelles sulle riforme, passata anche per una telefonata tra Draghi e la presidente della Commissione von der Leyen. Dopo ore di confronto il premier ha detto di aver ottenuto via libera. I ministri non hanno votato: prima è prevista la presentazione alle Camere. Ma per eventuali modifiche ci saranno solo due giorni, poi il testo va inviato a Bruxelles.

E’ finito poco prima della mezzanotte di sabato il consiglio dei ministri durante il quale il ministro dell’Economia Daniele Franco ha presentato al resto del governo il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Un appuntamento slittato per due volte e iniziato solo a tarda sera (la prima convocazione era per le 10 del mattino) a causa prima delle tensioni politiche sulla proroga del Superbonus, poi della lunga interlocuzione con Bruxelles sulle riforme, passata anche per una telefonata tra il premier Mario Draghi e la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Dopo ore di confronto, in particolare sui piani che riguardano fisco e concorrenza ma anche sulle semplificazioni per velocizzare gli appalti, l’ex presidente della Bce ha informato i ministri di aver ottenuto “green light” da Bruxelles, ma ci sono ancora questioni – “molto marginali” – su cui la discussione continua. Nella versione finale comunque ci sono già alcune modifiche: per esempio vengono definiti i tempi per la riforma fiscale. Il governo presenterà al Parlamento entro il 31 luglio 2021 una legge delega.

Il piano non è stato votato: prima è in calendario il passaggio alle Camere, a cui Draghi riferirà lunedì e martedì pomeriggio. Il premier, stando a quanto hanno riferito i ministri, avrebbe lasciato intendere che il testo non è blindato ma aperto a migliorie da parte del Parlamento, ma i tempi per l’invio ufficiale a Bruxelles sono quelli noti: entro il 30 aprile, venerdì prossimo. Quindi il tempo per le eventuali modifiche si riduce a poche ore. La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che lo aveva già sottolineato nei giorni scorsi, oggi su Twitter scrive che “nessuno in Italia ha ancora visto il testo, nonostante il Parlamento lo debba votare martedì. Democrazia, Costituzione e sovranità popolare buttate nella discarica. Tutto normale? Ai presidenti di Senato e Camera e al Capo dello Stato sta bene così?”.

Le richieste di Bruxelles – L’Europa ha chiesto maggiore chiarezza sui modi, sulle azioni e soprattutto sui tempi: vale per il fisco dove si chiede di dettagliare l’entrata in vigore della riforma Irpef e in cosa consisterà la riforma delle aliquote, per la giustizia (serve un cronoprogramma con la percentuale di abbattimento dei tempi dei processi), per la concorrenza (vanno specificati nel dettaglio gli interventi di semplificazione). Il premier, viene spiegato, ha fornito in prima persona rassicurazioni sull’impegno del paese a dare puntuale attuazione agli obiettivi del Piano in particolare per quanto riguarda le riforme strutturali, uno dei maggiori crucci dell’Europa che teme le lungaggini italiane.

La soluzione per la proroga del Superbonus: rinvio alla manovra – Sul fronte di scontro interno, quello della maxi detrazione del 110% per gli interventi di efficientamento energetico per la cui proroga si è speso anche il leader in pectore del M5s Giuseppe Conte, la pace è arrivata attraverso una soluzione di compromesso: c’è l’impegno del ministro dell’Economia a valutare il prolungamento al 2023 a settembre con la manovra, quando il quadro sull’utilizzo dell’incentivo sarà più chiaro e si capirà anche se serviranno davvero risorse in più. Tutto dipende dall’effettivo successo della misura e dunque dal costo che va preventivato. Nel Pnrr ci sono oltre 18 miliardi, che in base alle stime attuali bastano però solo fino a fine 2022 (giugno 2023 solo per gli immobili Iacp). Al termine del cdm il Movimento ha espresso “soddisfazione“, dando per acquisito che il superbonus “avrà copertura fino al 2023”.

La Lega in cdm non ha espresso riserve, nemmeno sullo stop di quota 100 la cui sperimentazione si conclude a fine anno e che il Pnrr ufficializza non verrà rinnovata. Giancarlo Giorgetti si sarebbe limitato a soffermarsi sugli aspetti di sua competenza. E il ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, avrebbe fatto un intervento apparso “collaborativo”. In compenso poco dopo la fine del cdm il leader Matteo Salvini ha fatto una diretta facebook in cui pur esprimendo sostegno al governo rilancia la battaglia contro il coprifuoco alle 22, che il governo non ha voluto modificare per non dare un segnale di totale abbandono delle restrizioni nonostante dal 26 aprile in zona gialla i ristoranti all’aperto riaprano anche la sera.

Pd: “C’è clausola di condizionalità per assunzioni di donne e giovani” – Soddisfatto anche il Pd, che rivendica quella che qualcuno ha ribattezzato norma Letta, cioè una clausola sulla condizionalità per donne e giovani. Tradotto: ciascun progetto del Recovery dovrebbe avere una ‘quota’ obbligatoria per l’assunzione di donne e giovani. In pratica nei bandi di gara ci saranno clausole dirette a “condizionare l’esecuzione dei progetti” alla loro assunzione. “Un provvedimento che nei prossimi anni potrà trasformare il mercato del lavoro e ridurre disuguaglianze e divari”, scrive su Twitter la capogruppo dem al Senato, Simona Malpezzi. Quanto ad altre questioni più locali che nelle scorse ore avevano agitato le acque, la viceministra dell’Economia Laura Castelli domenica mattina ha assicurato che “il centro per l’intelligenza artificiale sarà a Torino, come previsto. Con le modifiche apportate ieri, infatti, il Pnrr prevede bandi per identificare le città Campioni Nazionali di R&S, ma ‘tenendo conto delle mappature precedenti’. Questo, nel rispetto di quanto deciso dal Consiglio dei Ministri del 4 settembre 2020, permette alla Città di Torino di vedere assegnato direttamente il I3A. Dunque i bandi interverranno solo dove non sono state fatte scelte precedenti”.

Il comunicato: “Soddisfa i parametri fissati dai regolamenti europei” – Il comunicato del cdm ricorda che “l’Italia è la prima beneficiaria, in valore assoluto, dei due principali strumenti del programma Next Generation EU”. Si tratta del “Dispositivo per la Ripresa e Resilienza e del Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori di Europa (REACT-EU). Il solo RRF garantisce risorse per 191,5 miliardi di euro, delle quali 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto, da impiegare nel periodo 2021-2026″. A questi fondi si aggiungono appunto quelli del React Eu più 30 miliardi di risorse nazionali a debito. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza “prevede un corposo e organico pacchetto di investimenti e riforme, con l’obiettivo di modernizzare la pubblica amministrazione, rafforzare il sistema produttivo e intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all’esclusione sociale e alle disuguaglianze, per riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi decenni”.

Come è noto si articola in 6 missioni: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute. Il governo rivendica che il piano “è in piena coerenza con i sei pilastri del Ngeu e soddisfa i parametri fissati dai regolamenti europei, con una quota di progetti “verdi” pari al 40 per cento del totale e di progetti digitali del 27 per cento. Il 40 per cento circa delle risorse territorializzabili sono destinate al Mezzogiorno, a testimonianza dell’attenzione al tema del riequilibrio territoriale”.

ILFQ

È rimorto il M5S. - Marco Travaglio

 

Quando morì papa Luciani, 33 giorni dopo papa Montini, Lotta Continua titolò: “È rimorto il papa”. Ieri invece è rimorto il M5S. La notizia, come disse Mark Twain per smentire le indiscrezioni sul proprio decesso, “è grossolanamente esagerata”. Ma in Italia ormai le notizie le dà un branco di spostati, convinti che qualcuno li legga e che la realtà non aspetti altro per adeguarsi. Purtroppo per loro, accade l’opposto. Stiamo parlando degli stessi geni che tre mesi fa raccontavano di un Recovery Plan scritto coi piedi da Conte e dai suoi ministri incapaci e invocavano i Migliori per riscriverlo da cima a fondo e salvare l’Italia. Ora che i Migliori l’hanno fotocopiato e ci hanno aggiunto qualche marchettina pro Eni, pro Confindustria e anti-ambiente, peraltro in ritardo, tutti gridano al miracolo per non dover ammettere di avere mentito ai lettori. Che peraltro, stando ai dati delle edicole e dei sondaggi, mostrano di essersene accorti. Ma dicevamo dell’ennesima morte dei 5Stelle: più che una notizia, una rubrica fissa settimanale che esce sulle migliori testate dalla loro nascita (4.10.2009). Stavolta il decesso sarebbe causato da tre fattori letali concomitanti: il video di Grillo sul figlio, la dipartita di Davide Casaleggio e della sua piattaforma Rousseau e il vuoto di leadership in attesa di Conte.

Libero: “Bancarotta M5S: Casaleggio taglia le paghe”. Domani: “Senza Conte, senza Grillo, senza Casaleggio, senza stelle: del M5S non rimane più nulla”. Belpietro su La Verità: “Senza capo e con i debiti il M5S è allo sbando”. Casaleggio jr. su La Verità: “Senza la regola della piattaforma, Grillo&C. copieranno i soliti partiti”. Corriere: “Addio al veleno tra i 5Stelle e la piattaforma Rousseau”. Rep: “Il big bang dei 5Stelle”, “Il Movimento a rischio estinzione”. Pensano che basti ripetere in stereo una cazzata perché si avveri. Come quando scrivevano che il M5S avrebbe perso le elezioni del 2013 e del 2018 (infatti le stravinse), che al referendum renziano del 2016 avrebbe vinto il Sì (infatti stravinse il No) o che al referendum antigrillino del 2020 sul taglio dei parlamentari avrebbe vinto il No (infatti stravinse il Sì). Sono fatti così, vanno capiti: non ne azzeccano una, però insistono. Ora pensano che agli elettori interessi qualcosa di casa Grillo o della bottega Casaleggio. Dopo 12 anni, non hanno ancora capito perché molti guardano ancora ai 5Stelle: perché gli altri fanno mediamente o ribrezzo o pena. Chi combatte i vitalizi ai corrotti? Il M5S. Chi ha costretto ieri Draghi a rimangiarsi i tagli all’ecobonus 110%? Il M5S e un post di Conte su Facebook. Che poi chissà come farà Conte a postare tutta quella roba sui social, essendo morto ancor prima di nascere.

ILFQ

25 aprile - Festa della Liberazione.

 

Sì, onore a chi ha dato la vita per liberarci da chi ci opprimeva, dolore per chi ha perso la vita per ottenere solo una libertà condizionata.
Mi sono spesso domandata come mai, se sappiamo benissimo che cosa serve ad ognuno di noi per vivere bene, esistono tante ideologie su come farlo?
E l'unica spiegazione che ho trovato logica è che chi si propone di amministrarci non lo fa perché ha rispetto di noi e vuole il nostro bene, ma solo perché ha voglia di assaporare il potere per poi esercitarlo a suo vantaggio; ma, c'è un ma: essendo in tanti a volersi proporre per giungere allo scopo che avrebbero dovuto fare?
La soluzione al dilemma fu la creazione di varie ideologie/fazioni che poi hanno chiamato partiti.
Da sempre sappiamo che "divide et impera" è il motto di chi ama esercitare potere sulle masse rese sempre più ignoranti per rendere deboli e facilmente domabili le loro menti.
Alcuni ideologi tentano in ogni modo di riportare tutto allo stato di puro fascismo pretendendo i "pieni poteri", altri un po' meno autoritari, si definiscono elargitori di democrazie, mentre, sia gli uni che gli altri provvedono a privarci di ciò avevamo acquisito in passato lottando strenuamente.
Naturalmente, i componenti dei vari partiti, fregandosene altamente di noi e di ciò che ci serve per vivere bene, mirano a creare differenze di ogni tipo tra loro e noi, perché ci sia ben chiaro che noi, con il nostro avallo, strappato con promesse che mai si sarebbero sognati di mantenere, li abbiamo eletti e fatti assurgere all'agognato potere; potere che esercitano come meglio gli aggrada, favorendo se stessi e levando a noi ciò che serve e assegnandoci solo doveri e responsabilità.
Doveri e responsabilità che non toccano la loro sfera, poiché loro altro non sono che i nuovi re, i nuovi vassalli, perché loro sono scevri da colpe, sono immuni, sono gli ELETTI.

La storia si ripete, sempre.

E' triste e doloroso doverlo ammettere, i nostri avi ci hanno liberati dai fascisti, onore e merito a loro, l'unica soddisfazione è che non sapranno mai in che mani siamo andati a finire per aver creduto alle false promesse di cinici affabulatori di popolo.
E non parliamo di democrazia quando chiunque voglia invalidare la volontà espressa da noi, popolo sovrano, lo fa tranquillamente, con la legalità che, da nuovi re/dittatori hanno creato "pro domo sua", per mettersi il ferro dietro la porta e creare paletti invalicabili per tornare a troneggiare, imponendoci un governo retto da persone scelte da loro e riassumere il tanto agognato POTERE al quale non rinunzieranno mai!
Avremmo bisogno di altre giornate da dedicare alla Liberazione vera, al buon Governo, al rispetto della Democrazia, e al rispetto della nostra Costituzione!

cetta

sabato 24 aprile 2021

Stop al vitalizio ai condannati: Senato contro Formigoni&C., il segretario generale ha impugnato la decisione in appello. - Ilaria Proietti

 

Sentenza Caliendo: il ricorso di Palazzo Madama.

Ha sfondato quota 100mila firme l’appello con cui il Fatto ha chiesto ai massimi vertici del Senato di rimediare alla decisione di ridare i vitalizi ai condannati portando la questione di fronte alla Corte costituzionale. Sì, perché a Palazzo Madama dieci giorni fa l’organo di giustizia interna presieduto da Giacomo Caliendo di Forza Italia ha cancellato le regole che il massimo organo politico dello stesso Senato si era dato nel 2015 quando aveva deciso di chiudere i rubinetti agli ex inquilini che si fossero macchiati di reati gravissimi, dalla mafia al terrorismo passando per la corruzione. In una sorte di autogolpe, che ha favorito non solo Roberto Formigoni che aveva fatto ricorso per riavere l’assegno, ma pure tutti gli altri, da Berlusconi a Dell’Utri passando per Del Turco a cui era finora rimasto negato per via del casellario giudiziale non esattamente puro come un giglio. Un conflitto tra poteri tutto interno a Palazzo consumato sulla questione dell’argent. Che conta eccome. E ieri Formigoni ha attaccato il Fatto: “Nessun altro esponente di partito si è espresso, riconoscendo la giustezza della Commissione contenziosa. È stato solo il M5S, agitato dal proprio house organ, che è il Fatto Quotidiano, alimentato dagli odiatori, ma ho pietà per loro”.

Non è una pensione.

Così, mentre si riflette sul ricorso alla Consulta, il segretario generale del Senato, Elisabetta Serafin, che guida l’amministrazione di Palazzo Madama, ha impugnato in appello la sentenza di Caliendo&C. Con un ricorso che smonta in radice il presupposto che ha consentito di riaprire i rubinetti a Roberto Formigoni e ad altri 12 condannati (o loro eredi) baciati, diciamo così dalla fortuna. Perché, checché ne dica la Contenziosa, il vitalizio non è affatto una pensione pure se lo si vuol far a tutti i costi credere. “L’affermazione della natura previdenziale dell’assegno degli ex parlamentari che sarebbe contenuta nelle ordinanze delle Sezioni unite del 2019 (ossia la novità giurisprudenziale invocata a sostegno della tesi sostenuta dalla Contenziosa, ndr) non si evince dalla portata delle ordinanze stesse” ha scritto infatti il segretario generale sottolineando come le ordinanze in questione si limitino ad affermare “che il cosiddetto vitalizio rappresenta la proiezione economica dell’indennità parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato. Ma sulla natura previdenziale non viene specificato nulla di più”.

E non è tutto. Perché nel ricorso il segretario generale evidenzia pure che, per ridare il vitalizio a Formigoni, l’organo di giustizia interna del Senato abbia addirittura smentito se stesso. In altre pronunce precedenti aveva infatti confermato la sospensione del vitalizio ai condannati sulla base della delibera che nel 2015 ha introdotto un nuovo presupposto di onorabilità per poterne godere: ossia le condizioni di dignità e onore che l’articolo 54 della Costituzione prevede per coloro che rivestono cariche pubbliche. Ma allora perché la commissione Caliendo oggi afferma il contrario brutalizzando con l’onta dell’illegittimità la stessa delibera?

La carta: Dignità e onore.

E sì che, come ricorda anche nel ricorso la Serafin, prima di decidere lo stop degli assegni ai condannati, era stata fatta una istruttoria approfondita con la richiesta di pareri a costituzionalisti ma anche al Consiglio di Stato che aveva dato semaforo verde. Anche perché il provvedimento che stabilisce la sospensione dell’assegno al venir meno delle condizioni di dignità e onore, era stato modellato sulla legge Severino (che ha stabilito che le condanne di un certo tipo facciano venir meno il requisito soggettivo per il mantenimento delle cariche pubbliche) ritenuta perfettamente legittima dalla Corte costituzionale.

Ora grazie a Caliendo&C. si vorrebbe tornare all’antico, ma non senza conseguenze.

Perché quella decisione adottata peraltro non per il solo Formigoni ma erga omnes, espone il Senato non solo alle critiche e allo sdegno, ma pure “alla restituzione di rilevanti importi verso i dodici senatori nei confronti dei quali è cessata da anni l’erogazione del trattamento”. Con l’ulteriore complicazione che se in Appello la sentenza venisse ribaltata, l’amministrazione dovrebbe recuperare le somme provvisoriamente ripristinate. Per questo il segretario generale oltre a fare appello ha chiesto che la sentenza, immediatamente messa in esecuzione da Sua Presidenza Casellati, venga sospesa in attesa della definizione del giudizio di secondo grado.

ILFQ

Draghi presenta il Recovery. Stop a quota 100 dal 2022.

 

La bozza del piano al Cdm. Per la supervisione politica, un comitato a palazzo Chigi con ministri competenti.


Il CdM sul Piano di Ripresa e Resilienza è stato convocato per questa mattina alle 10. L'impegno di Draghi è 'consegnare alle prossime generazioni un Paese più moderno'.

Nella bozza di 318 pagine sono tratteggiate sei missioni, quattro grandi riforme, tre priorità trasversali di sostegno a giovani, donne, Sud. Previste 30 grandi infrastrutture di ricerca e uno di eccellenza per le epidemie. La stima del suo impatto sul Pil "sarà nel 2026 di almeno 3,6% più alto". Stop a quota 100, 228mila nuovi posti per gli asili, accesso snello, semplificazione e digitale per la P.A, la laurea varrà già come esame di Stato. Più gare nei servizi pubblici, 25 miliardi per i treni veloci. Non è prevista la proroga del Superbonus fino al 2023. La supervisione politica del piano sarà a Palazzo Chigi.

Ma è forse il più complicato, l'ultimo miglio che il premier deve percorrere prima dell'invio del piano all'Europa, il 30 aprile. Perché i partiti hanno le armi affilate, la discussione promette di essere puntigliosa in Consiglio dei ministri. Il Cdm che era previsto in giornata, slitta alle 10 di sabato: nessuna ragione politica, spiegano da Palazzo Chigi, ma la necessità di completare le rifiniture del piano. Intanto però la bozza del Pnrr inizia a circolare e far emergere, agli occhi, dei partiti della maggioranza, alcune criticità. Su tutte c'è la mancata proroga al 2023 del Superbonus caro al M5s, ma chiesto anche da Confindustria. Ma dalla Rete unica alle pensioni (con la fine di quota 100), fino alla composizione della cabina di regia, la vigilia del Cdm vede ancora alcuni nodi sul tavolo. La bozza prevede che il 40% delle risorse vadano al Sud, il 38% a progetti "Verdi" e il 25% a progetti digitali. Il piano è composto da 6 missioni e 4 riforme della Pubblica amministrazione, della giustizia, per la concorrenza e le semplificazioni. Dopo l'invio del piano in Europa il governo si appresta a varare tre decreti e leggi delega come quella prevista a luglio per la concorrenza. Un decreto servirà a snellire le norme (con la nascita di un apposito ufficio a Palazzo Chigi), con misure come una speciale "VIA statale" per rendere più rapide le autorizzazioni del Pnrr. Il secondo decreto servirà per le assunzioni nella P.a. che rafforzeranno l'attuazione del Recovery. E il terzo per definire la governance del piano: la cabina di regia a Palazzo Chigi (con rafforzamento degli uffici della presidenza del Consiglio) dovrebbe coinvolgere le amministrazioni coinvolte, gli enti locali, le parti sociali.

Recovery plan, il programma da 221,5 miliardi per far ripartire l'Italia.

Il grosso del piano è definito e difficilmente cambierà. Ci sono - tra le numerose misure - 6,7 miliardi per le rinnovabili, internet veloce a 8 milioni di famiglie e 9mila scuole, 25 miliardi per la rete ferroviaria veloce, 228mila nuovi posti negli asili. Ma ci sono anche alcuni temi politicamente sensibili . Sparisce dal piano (ma resta finanziato e dunque per ora in vigore) il cashback. A fine 2021 scadrà anche quota 100, cara alla Lega, e sarà sostituita da misure pensionistiche per chi svolga lavori usuranti. Non c'è la proroga al 2023 per il Superbonus: l'agevolazione al 110% per le ristrutturazioni edilizie viene confermata com'è oggi, fino al 2022, i fondi non crescono. 

Scontro nella maggioranza - "Il super bonus è una misura importante. Per noi indispensabile con adeguati finanziamenti". E' la dura reazione di FI alla notizia della mancanza, nella bozza del Pnrr, della proroga del Superbonus fino al 2023. Questa proroga - fanno sapere fonti azzurre - era tra le proposte vincolanti fatte da Fi al governo nel piano presentato nei giorni scorsi. "Avevamo chiesto la proroga di un anno - prosegue Fi - con adeguati finanziamenti ed estensione ad altre tipologie di edifici, strutture recettive turistiche e non solo, addirittura per patrimonio immobiliare di fondi". "Il superbonus al 110% è una misura creata dal Movimento, la sua proroga è indispensabile e imprescindibile per la transizione ecologica. Si ricorda che proprio la transizione ecologica è la matrice che ha fatto nascere questo governo". Lo sottolineano fonti del M5S.

ANSA

Il condannato Formigoni ha poco da festeggiare. La Corte dei Conti conferma che deve risarcire 47,5 milioni. - Clemente Pistilli

 

Due anni fa gli arresti domiciliari e poi, negli ultimi giorni, il ripristino del vitalizio, nonostante la delibera Grasso lo revochi ai condannati in via definitiva, e il successo legato al suo libro. Il peggio per l’ex governatore centrista della Lombardia, Roberto Formigoni, dopo anni di scandali, sembrava ormai consegnato al passato. Ma qualche intoppo arriva a tutti e per il Celeste è giunto sotto la forma di una sentenza d’appello della Corte dei Conti, che conferma la condanna a lui inflitta a risarcire oltre 47 milioni di euro al Pirellone.

La storiaccia dell’ormai ex uomo forte del centrodestra è iniziata nel 2012, quando sono spuntate fuori le prime accuse su un giro di mazzette con al centro Pierangelo Daccò, un suo amico. Da lì quelle sui circa 70 milioni di euro che sarebbero stati distratti dal patrimonio della fondazione Maugeri e sui milioni di fondi neri attorno all’ospedale San Raffaele. Un terremoto sulla sanità privata lombarda.

Con Formigoni ben presto a sua volta accusato di corruzione, tra vacanze da sogno, yacht e altri lussi, e infine ritenuto dalla Procura di Milano al vertice di un’organizzazione criminale. Condannato in primo grado a sei anni di reclusione, pena aumentata in appello a sette anni e mezzo, nel 2019 l’ex governatore è stato condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione a 5 anni e 10 mesi, finendo nel carcere di Bollate e ottenendo infine i domiciliari.

Sulla stessa vicenda ha indagato anche la Corte dei Conti, che due anni fa ha condannato Formigoni, gli ex vertici della Fondazione Maugeri, Umberto Maugeri e Costantino Passerino, Pierangelo Daccò e Antonio Simone, a risarcire circa 47,5 milioni di euro alla Regione Lombardia, confermando così anche il sequestro al Celeste di 5 milioni di euro. Una decisione presa dai giudici sostenendo che l’organizzazione aveva “ad oggetto il mercimonio delle funzioni politico-amministrative, in un ambito, quale quello sanitario, particolarmente rilevante per l’interesse pubblico”.

Formigoni, Maugeri, la stessa Fondazione, e Passerino hanno impugnato la sentenza, che ora i giudici contabili d’appello hanno però confermato tranne che per Simone. Bocciata dalla Corte dei Conti la tesi degli appellanti di un danno erariale ormai caduto in prescrizione e bocciata anche la richiesta dell’ex governatore di sospendere il giudizio in attesa della definizione di quello civile.

Per i giudici è stata provata “l’esistenza di un accordo finalizzato alla sottrazione dalle casse della Fondazione dell’ingente importo di 71 milioni di euro, di cui 61 destinati a finanziare la corruzione degli amministratori regionali, nonché degli intermediari”. Formigoni dovrà risarcire la Regione.

LaNotizia

venerdì 23 aprile 2021

Il piano Draghi da 221 miliardi. Dal superbonus alla banda larga. -

 

Da sciogliere i nodi della governance. Le misure valgono 3 punti di Pil.


Mario Draghi porta in Consiglio dei ministri un Piano nazionale di ripresa e resilienza da 221,5 miliardi totali, di cui 191,5 riferibili al Recovery fund e 30 miliardi per finanziare le opere "extra Recovery". La spinta stimata alla crescita è di 3 punti di Pil nel 2026.

L'obiettivo, secondo le slide inviate dal ministro Daniele Franco ai colleghi ministri, è non solo "riparare i danni della pandemia" ma affrontare anche "debolezze strutturali" dell'economia italiana. Il grosso del piano è definito, con 135 linee di investimento. E l'impianto "non cambierà", sottolineano dal governo, di fronte alla mole di richieste che emerge in queste ore dai partiti. Il M5s annuncia battaglia sul Superbonus (chiesto a gran voce anche da Confindustria), ma per ora senza ottenere modifiche. Il Pd vuole vederci chiaro sulla Rete unica, FI chiede welfare per le famiglie, la Lega annuncia che presenterà in Cdm "altri progetti da aggiungere" al Pnrr.

E resta da sciogliere il nodo della governance del piano, che agita i ministri. Tutto ciò in un clima sempre più teso in maggioranza, dopo l'astensione della Lega sul decreto per le aperture. All'indomani del netto stop al tentativo di Matteo Salvini di modificare l'accordo raggiunto nel governo sulle aperture, Draghi - che descrivono seccato per quanto accaduto - registra un clima costruttivo nella riunione della cabina di regia sul Recovery che in mattinata vede al tavolo tutti i capi delegazione, incluso il leghista Giancarlo Giorgetti. Non si parla del tema aperture, che vede forte il pressing delle Regioni sulla scuola, ma è chiaro a tutti che il premier non intende tornare indietro. E in serata il decreto bollinato non presenta modifiche sostanziali rispetto a quanto approvato in Cdm, a partire dal coprifuoco. Certo, spiegano da Palazzo Chigi, il governo darà chiarimenti ai dubbi delle Regioni e ogni quindici giorni si faranno verifiche sui dati per decidere eventuali ulteriori aperture. Dunque se i dati sul contagio e sui vaccini continueranno a migliorare, il coprifuoco alle 22 non durerà fino al 31 luglio.

Ma che ci sia un problema, è opinione unanime tra gli alleati di governo. La tensione è altissima. Dal Pd trapela irritazione per il metodo leghista, di lotta e di governo: "O dentro o fuori", è il messaggio di Enrico Letta, che rilancia la proposta di un patto modello Ciampi per la corresponsabilizzazione degli alleati di governo, per cogliere l'occasione storica del Recovery. I Dem affermano che l'uscita leghista riflette la difficoltà di Salvini rispetto a Giorgia Meloni, che guadagna consensi all'opposizione. Certo, affermano fonti parlamentari di centrosinistra, non sarebbe poi così male se la Lega decidesse di uscire dal governo, lasciando con Draghi una maggioranza "Ursula", con la sola FI. Ma la risposta leghista è netta: restiamo assolutamente nel governo. Salvini e Giancarlo Giorgetti negano anche distanze tra di loro: c'è stata, assicurano i loro staff, "sintonia totale" sull'astensione in Cdm. Il tentativo è accreditarsi come interlocutore fondamentale di Draghi in maggioranza. Il leader leghista, che tiene alti i toni, fa sapere che i suoi contatti con il premier sono diretti, annuncia una nuova telefonata (a sera non risulta avvenuta). Come si possa andare avanti con continui strappi, però, ci si interroga a vari livelli nel governo. Il precedente è "grave", ha annotato Draghi. Il rischio è che lo strappo che si ripeta presto. Perché alla vigilia dell'approdo in Cdm del Recovery plan, la Lega fa trapelare irritazione per la consegna dei documenti a ridosso dell'esame e fa sapere, dopo un vertice di Salvini con i ministri, che intende aggiungere alcuni progetti al piano, raccogliendo "richieste dai territori" in particolare sulle infrastrutture. Se si fa il paio con i toni battaglieri del M5s sulla necessità di prorogare il Superbonus fino al 2023, fino a definire l'intervento "essenziale" per sostenere il Pnrr, si concretizza il rischio di un dibattito burrascoso da qui all'invio del Pnrr in Europa il 30 aprile.

Draghi nelle prossime ore farà la sua informativa in Cdm sul Pnrr e ascolterà le proposte che verranno messe sul tavolo, ma il Piano - viene sottolineato da Palazzo Chigi - nell'impianto non è destinato a cambiare. Il via libera arriverà solo dopo un secondo Consiglio dei ministri, che si svolgerà a metà della prossima settimana, dopo l'informativa che il premier svolgerà lunedì e martedì alle Camere. Italia viva, lette le tabelle del piano, esulta: "Prima era un elenco di spese, oggi è un piano per rilanciare il Paese". Ma gli altri partiti chiedono aggiustamenti, spiegando di non aver letto ancora il testo completo del Pnrr (il primo draft sarebbe stato scritto in inglese). Ci sono per la digitalizzazione 42,5 miliardi; per il Green 57 miliardi (il 30% del totale); per infrastrutture 25,3 mld; per istruzione e ricerca 31,9 mld; per inclusione e coesione con 19,1 mld; per la salute con 15,6 mld (in totale 19,7 miliardi, sommando altri fondi). Ma il Pd, rappresentato al tavolo da Andrea Orlando, chiede "attenzione alle clausole per l'occupazione delle donne e dei giovani, al Mezzogiorno, il potenziamento del progetto per l'autosufficienza, la garanzia sulla sicurezza per il cloud dei dati pubblici, la richiesta di chiarimento sulla strategia per la rete unica". Fonti di governo di FI spingono su Sud, Pa, partecipazione degli enti locali all'attuazione del piano. Leu dice no a interventi che possono portare più inquinamento. Da 'fuori', anche Confindustria chiede la proroga del Superbonus. Il dibattito è appena agli inizi.

ANSA