giovedì 4 giugno 2020

“A Milano il virus vi ha fatto rivedere il cielo senza smog”. - Fabrizio d’Esposito

“A Milano il virus vi ha fatto rivedere il cielo senza smog”

Serge Latouche. Decrescita e Covid.
Serge Latouche si ferma, tossisce e poi riprende, lento: “Bon, se questa volta ci salviamo, la prossima sarà peggio”. Male, più che bene. Decisamente.
Nella fase iniziale e drammatica della pandemia, è uscito in Italia "Come reincantare il mondo", l’ultimo libro dell’accademico francese della decrescita felice. Ossia l’economia che ha tutti gli attributi della religione, tipo le chiese-banche e le cattedrali-imprese. A sua volta imitata dalla religione che usa la metafora economica, come quando esige un prezzo per pagare i peccati. Latouche si chiede: “Questo papa è un partigiano della decrescita?”. In ogni caso, Francesco è un pontefice che, a Latouche, piace più del liberista emerito Benedetto XVI.
Francesco che prega da solo in piazza san Pietro sarà una delle immagini simbolo di questo periodo tragico ed eccezionale. Un leader?
Visto dalla Francia che è un Paese laico, non userei la parola leader, però per l’Italia è stato molto rassicurante e presente nell’emergenza. E poi lo trovo simpatico anche se sono ateo.
È stata un’Apocalisse, per rimanere in tema.
Sicuramente è l’ennesimo sintomo del collasso cui andiamo incontro. Non è il primo, né sarà l’ultimo.
Pessimista, eh?
Vede, la cosa più interessante è che per la prima volta la salute è stata considerata più importante dell’economia. Basta pensare al cambiamento di Macron o a voi italiani che siete stati i primi a muovervi.
Il premier Conte è stato accusato di dittatura.
Credo che tutto sommato questo Conte, che all’inizio contava poco, si è rivelato un uomo di Stato di una certa dimensione. Quanto alle accuse, be’, c’è poco da dire: era ben difficile fare altrimenti. C’erano alternative alle politiche di confinamento?
Prima la salute.
Siamo ritornati alle origini del contratto sociale di Hobbes, quando la gente rinunciava a tutti i diritti per salvare la vita.
Il contrario del contratto liberale di Locke.
Qui il contratto sociale vale per cercare la ricchezza a scapito di tutto il resto. Attenzione però: le due visioni sono antagoniste ma complementari.
Qualcosa cambierà, tuttavia.
Il produttivismo, la globalizzazione hanno mostrato la loro fragilità. Tutte le mascherine, per esempio, sono arrivate dalla Cina. L’Occidente è rimasto vittima di se stesso.
Lei spera, senza dubbio.
Sì, ma non basterà per cambiare.
Ora si riapre soprattutto per accontentare il sistema liberista.
Le forze economiche sono state le prime a spingere per la riapertura. Dopo questa parentesi vorranno tornare alla crescita come prima.
Ma?
Allo stesso tempo molta gente è stata colpita dal fatto che si poteva respirare meglio.
Il cielo è blu sopra il virus.
In tanti hanno capito che si poteva vedere il cielo senza smog a Pechino o a Milano. Addirittura hanno constatato che si viveva meglio.
Il Covid-19 come occasione da non sprecare.
Parte della popolazione ha preso coscienza. Il progetto di rottura del produttivismo si fa strada. La descrescita è l’unica via di uscita. Altrimenti la prossima volta sarà peggio.
Una decrescita forzata, in questo caso.
Sì certamente, ma in questa presa di coscienza c’è chi ha scoperto che si può vivere senza consumare tanto. Non solo. Ci sono state forti manifestazioni di solidarietà, di creatività. È stato bello applaudire dai balconi i medici. Tutto questo può essere decisivo.
C’è stato finanche lo smart working di massa.
Ecco, questa virtualizzazione della vita è stata terrificante. Jean Baudrillard (teorico della postmodernità, morto nel 2007, ndr) aveva già profetizzato il trionfo della vita virtuale sul reale.
Dal lavoro alla scuola.
Bisognerà studiare i danni, per esempio, dei bambini davanti ai computer.
C’è da reincantare il mondo, lei scrive, con la saggezza, con “una gestione democratica del senso”. E politicamente?
Con un new deal ecologico e protezionista.
L’ecosocialismo, in una parola.
La pandemia ha accelerato il ritorno dello Stato. Anche se si cercherà di ripristinare la normalità, la logica dell’austerità, del rigore, dei bilanci è saltata in aria.
Il totem del Pil, religione europea.
Ci vorrà un deficit gigantesco per salvare il sistema.
Però tutto questo rischia di riempire di voti la pancia di una destra nera.
Questo è il più grande pericolo, penso soprattutto all’ungherese Orbán che incarna il populismo di destra al governo.
Al di là dell’oceano c’è Trump, per non parlare di Bolsonaro. Il loro approccio al virus, diciamo così, è stato controverso, se non negazionista.
Bolsonaro è un pazzo. Trump ma pure il britannico Johnson non volevano piegarsi alle misure di confinamento, poi sono stati obbligati dalle circostanze. È stato un risultato della pressione dell’opinione pubblica, sulla base di quello che dicevano gli scienziati.
La pandemia come un punto di inizio, in definitiva.
Ci ha ricordato che prima della ricchezza c’è la vita.
E nessuno “vuole tornare nelle caverne”: nel suo ultimo libro lei cita un passaggio di papa Francesco tratto dall’enciclica Laudato si’.
Rispetto ai suoi predecessori questo papa ha fatto autocritica ed operato delle rotture. Resta da capire se la sua rivoluzione riuscirà ribaltare il corso della storia e a invertire la marcia verso la catastrofe.
Ci crede?
La tendenza è avviata e lo dimostra appunto la presa di coscienza da parte di molti in questa emergenza. Bisogna comprendere che la modernità ci spinge all’Apocalisse finale.
Altrimenti non ci salveremo. Arrivederci, professore Latouche.

mercoledì 3 giugno 2020

Destre incapaci di manifestare in sicurezza. E volevano gestire l’emergenza. Salvini, Meloni e Tajani danno vita a un pericoloso assembramento. - Giorgio Iusti

TAJANI, MELONI, SALVINI

Deve essere terribile per uno che pensava di avere il potere in tasca e chiedeva pieni poteri essersi ritrovato in meno di un anno senza un minimo di potere e in calo vertiginoso nei sondaggi. Va da sé che Matteo Salvini non resiste. Sa che la sua forza arriva con selfie e bagni di folla. E ieri ha quindi dato vita a una manifestazione a Roma con migliaia di persone, un mega assembramento, una delle cose peggiori da fare per far ripartire la sinistra catena dei contagi da coronavirus. Dettagli a cui non bada chi pensa solo a fare cassa elettorale, o meglio spera, nonostante durante il lockdown abbia in continuazione omaggiato i medici definiti eroi. E quanto accaduto è la migliore risposta su cosa avrebbero rappresentato le destre e in particolare i sovranisti se si fossero trovati alla guida del Paese, nel momento in cui l’Italia si è trovata a fare i conti con la crisi sanitaria ed economica peggiore nella storia della Repubblica.
IRRESPONSABILE SPOT. In piazza del Popolo il leader leghista ha avuto una sola ossessione: ritrovare il suo popolo e sentirsi nuovamente Capitano. Con la mascherina rigorosamente tricolore, ma abbassata, Salvini si è abbandonato a invettive e foto. Tanto, come ha detto lui, “gli esperti dicono che il virus sta morendo”. Abbastanza da far provare imbarazzo persino a Giorgia Meloni, l’altra sovranista di lotta, dopo essere stata per anni di governo con Silvio Berlusconi, votando provvedimenti che ora dichiara ogni secondo di osteggiare. E all’azzurro Antonio Tajani, che in mezzo a quella folla urlante, appariva un pesce fuor d’acqua.
La leader di Fratelli d’Italia aveva invitato tutti a seguire l’appuntamento via social, ha tenuto naso e bocca ben coperti con la mascherina patriottica, ma appariva evidente che non sapeva come smarcarsi da una situazione improbabile, dove chi come lei aspira alle elezioni e a un Governo delle destre, il cosiddetto buon governo, da contrapporre a quello quotidianamente criticato di Giuseppe Conte, è finita per trovarsi alla guida di tutto quello che non va fatto per evitare al Paese di precipitare nuovamente nel baratro del Covid. Imbarazzo comune a quello delle forze dell’ordine. Non deve essere stato semplice infatti per chi indossa una divisa non poter bloccare quel pericoloso assembramento dopo aver fatto maxi sanzioni a coppiette e pensionati sorpresi a non rispettare l’ormai noto distanziamento sociale.
DURA VERITAS. I Verdi hanno annunciato un esposto alla Procura della Repubblica contro la manifestazione del centrodestra, per il mancato rispetto delle misure di sicurezza. “E’ un fatto vergognoso – ha dichiarato il coordinatore nazionale Angelo Bonelli – in sfregio a chi ha combattuto contro la pandemia”. ‘’Il sentimento di unità oggi è stato cancellato dalle immagini di una piazza vergognosamente strumentalizzata dal centrodestra con Salvini, Meloni e Tajani”, ha aggiunto la deputata pentastellata Anna Macina. Ma, oltre all’enorme rischio legato ai danni che può aver provocato un simile assembramento, a far tristemente riflettere c’è un dato: Salvini & C. non hanno saputo neppure gestire una manifestazione di piazza ai tempi del Covid-19 e per tutto il lockdown hanno sparato contro i giallorosa e in particolare contro Conte, sostenendo che l’approccio dell’esecutivo era sbagliato.
I sovranisti vorrebbero mettersi alla guida del Paese, che deve ancora difendersi da un punto di vista sanitario e far ripartire il tessuto economico ridotto a brandelli, quando non riescono neppure a tenersi la mascherina sul volto e a gestire i loro simpatizzanti. Passi il folklore, seppure pericoloso, dell’estrema destra e dei gilet arancioni del generale Antonio Pappalardo con la giacca da ufficiale Aperol. Passino quelle provocazioni sul virus che non esiste, i rappresentanti delle istituzioni da arrestare e tutto il repertorio del populismo più becero. Un film già visto. Di quelli che non verranno mai girati dentro le Camere o a Palazzo Chigi. Non sono quelle le forze presenti in Parlamento. Ma per la Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, quella che dovrebbe essere l’alternativa, è diverso. Ieri a Roma hanno abbassato davvero la mascherina, ma non solo quella che serve a evitare di diffondere il virus: hanno mostrato il loro vero volto con quanto sanno fare e le troppe cose che non sanno fare. Il Paese ora ha uno strumento in più per capire a cosa andrebbe incontro saltando sul Carroccio.

Nel nome di Cassese: i tentacoli nello Stato. - Carlo Tecce

Nel nome di Cassese: i tentacoli nello Stato

L’Emerito - Dalla cattedra di Diritto amministrativo e dal suo Istituto Irpa, ha costruito un sistema di legami e “allievi”: dai cda alla Consulta, fino ai ministeri e a Chigi.
Assiso davanti ai suoi allievi provenienti dalle università di Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Catania e Siena per la presentazione della sua rivista giuridica, lo scorso anno, Sabino Cassese sentenziò: “La Pubblica amministrazione è il tramite fra la società e lo Stato”. Il tramite, spesso, sono Cassese e i suoi allievi, radicati ovunque, negli atenei, nei ministeri, nelle autorità di controllo, nelle aziende statali. E poi chiosò: “Oggi la Pubblica amministrazione è in una morsa”. Succede quando Cassese e i suoi allievi, cura e corpo dello Stato, luminari di diritto amministrativo, fustigatori della burocrazia, si sentono spodestati o non valorizzati dalla politica incapace di perseguire il meglio. Succede adesso. Cassese e i suoi allievi sono una corporazione, ben istruita, che si ritrova nelle strutture di governo e si riunisce all’Istituto per le ricerche sulla Pubblica amministrazione e nei seminari con le locandine enciclopediche in cui si saggiano futuri ministri e capi di gabinetto.
Curriculum in sella tra Lottomatica e Generali.
Il curriculum di Cassese scritto da Cassese è lungo due pagine, circa 7.500 caratteri. Non è la versione più aggiornata, neanche la più estesa. Si tratta di una volgare epitome. Più volte compare la parola emerito. Si intende docente emerito di diritto amministrativo e si riferisce alla cattedra all’Università Sapienza e al magistero perpetuo negli atenei italiani e stranieri. Ha studiato per mezzo secolo la Pubblica amministrazione, durante gli studi ne ha creato un tipo a sua immagine. Non a somiglianza perché nessuno davvero gli somiglia.
Fratello maggiore di Antonio, che fu giudice internazionale e accademico, Sabino nacque nel ’35 in Irpinia da Leopoldo, stimato archivista e storico. Nell’autunno del 2004, quasi a settant’anni, finiti i mandati nei consigli di amministrazioni di Lottomatica, Autostrade per l’Italia e Assicurazioni Generali e non ancora elevato alla Corte costituzionale, Cassese ha fondato l’Istituto per la ricerca sulla pubblica amministrazione, in breve Irpa, e l’ha dedicato a Cassese e ai suoi allievi. Irpa ha sede nel palazzo di Generali di piazza Venezia a Roma, di fronte al fatidico balcone. Non è proprio una sede, ma un indirizzo ufficiale, poiché viene ospitata dagli affittuari di Civita, l’associazione culturale presieduta da Gianni Letta. Il primo insegnamento che Cassese ha impartito ai suoi allievi è che l’alfabeto comincia dalla lettera c. L’esclusivo elenco soci di Irpa parte da Cassese Sabino e riprende da Agus Diego. In Irpa si entra per cooptazione, a oggi i posti sono 104, si paga un obolo di un paio di centinaia di euro, si va in ritiro a Sutri, provincia di Viterbo, con lo scoccare della raccolta delle castagne. Irpa raduna un gruppo ristretto di professionisti, di nobile lignaggio o di prestigiose carriere, interi blocchi di facoltà di giurisprudenza, docenti ordinari a trent’anni, associati a dottorati appena conclusi, ragazzi svezzati a vent’anni nei ministeri, avvocati dalle parcelle dorate. Tutti uniti da un legame con Cassese o da una venerazione per Cassese, un mentore che ha costruito attorno a sé una classe dirigente, in prosa, un gruppo di potere e di lobby, che negli anni ha proliferato compatto nelle università Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre, Luiss di Confindustria e negli apparati di governo di ogni colore politico. Gli allievi di Cassese di Irpa si assembrano spesso. Da uno, a caso, si diramano gli altri. Più che un gioco di ruolo, è un gioco di Stato. Stefano Battini collabora col professor Cassese dal ’91, è ordinario di Diritto amministrativo all’Università della Tuscia. Nel 2017 il governo Gentiloni l’ha nominato al vertice di Sna, la Scuola nazionale dell’amministrazione. Per una docenza in Sna (40.000 euro), Battini ha reclutato Lorenzo Casini, eclettico e brillante giurista, classe ’76, già presidente per un anno di Irpa e da settembre capo di gabinetto di Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, nonché prof di Diritto amministrativo alla Imt alti studi di Lucca.
il labirinto discepoli vista Quirinale
Battini e Casini, in quest’ordine, si palesano fra i prof del master interuniversitario – Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre, Luiss più Sna – di secondo livello in diritto amministrativo chiamato Mida. Battini, Casini e poi Davide Colaccino, iscritto di Irpa e soprattutto direttore affari istituzionali di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp). I soci di Irpa e i prof. di Mida sono sovrapponibili: pleonastico. Non solo Colaccino. Cdp in Irpa è ben rappresentata, o viceversa. Alessandro Tonetti, già vicecapo di gabinetto al Tesoro col ministro Padoan, è al vertice dell’ufficio legale di Cassa dal 31 marzo 2016. Un anno dopo Cassese è stato scomodato da Cdp per una consulenza legale in “merito alla posizione di Cassa e al suo Statuto” per 39.000 euro. Nel 2018 Susanna Screpanti è stata collocata agli “affari normativi e ai progetti speciali presso la direzione legale” di Cdp. Socia di Irpa, Screpanti è dottore di ricerca in diritto amministrativo a Roma Tre nel feudo del prof. Giulio Napolitano, figlio di Giorgio. Napolitano è stato presidente di Irpa prima di Casini e dopo l’avvocato Luisa Torchia. Nel 2018 Giulio ha ottenuto due incarichi legali da Cdp per un totale di 28.000 euro. Irpa in Consob, la commissione nazionale che vigila sul mercato borsistico, un tempo si fregiava del segretario generale Giulia Bertezzolo, decaduta il 29 marzo 2019 dopo le dimissioni del presidente Massimo Nava. In compenso, sempre nel 2019, il 20 febbraio, Napolitano è stato accolto in Consob nel comitato degli operatori e gli investitori. In Irpa il dibattito sulle concessioni autostradali sarà molto partecipato e si presume univoco. Cassese si è battuto sin da subito, dopo la tragedia del ponte Morandi, contro la revoca totale della concessione per Autostrade della famiglia Benetton. L’ha definita “sproporzionata”. Alcuni maliziosi hanno rievocato la sua esperienza nel cda di Autostrade. Di sicuro Cassese sarà in sintonia con l’amica giurista Torchia (Roma Tre), avvocato di Autostrade e in passato consigliere di Atlantia, la cassaforte dei Benetton. Sull’altro fronte, o almeno in una posizione di neutralità, in Irap c’è Lorenzo Saltari, che Danilo Toninelli, allora ministro dei Trasporti, indicò tra i membri della commissione tecnica per esaminare l’ipotesi di revoca della concessione. E in Irpa c’è anche Massimo Macrì, responsabile dei rapporti legali di Autostrade con il ministero dei Trasporti. A differenza di Macrì, Torchia e Saltari, Alberto Stancanelli, capo di gabinetto del ministro Paola De Micheli, successore di Toninelli, non è un socio di Irpa, ma a pieno titolo va considerato un allievo di Cassese. Ha trascorso vent’anni al suo fianco alla Sapienza. L’avvocato Torchia è stato il presidente più longevo di Irpa, sei anni, uno in più di Bernardo Giorgio Mattarella, figlio di Sergio, ordinario di dDiritto amministrativo a Siena. Mattarella è stato per un biennio capo del legislativo del ministero della Pubblica amministrazione con Marianna Madia. Quel periodo, che ha coinciso col renzismo, è stato l’ultimo di massimo splendore per il proselitismo di Cassese. Come se fosse tornato alla Funzione pubblica dopo l’anno da ministro nel governo Ciampi. Mattarella al legislativo, Pia Marconi alla guida del dipartimento, Elisa D’Alterio all’unità per la semplificazione: una colonna di Irpa al dicastero. Il governo giallorosa può vantare un altro socio di Irpa, però molto trasversale: Luigi Fiorentino, capo di gabinetto al ministero dell’Istruzione (mentre Saltari è al legislativo). Alla Presidenza del Consiglio ci sono i dirigenti Carlo Notarmuzi Chiara Lacava. Cassese e i suoi adepti vanno oltre Irpa. Tra gli allievi va annoverato Giacinto Della Cananea (Tor Vergata), che fu estensore del programma di governo dei 5 Stelle. L’esecutivo renziano ha rottamato l’Isfol con l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche (Inapp). Cassese apprezzò. Stefano Sacchi, il presidente, ne fu orgoglioso. Cassese fu presto coinvolto con un parere legale (25.000 euro) e con la presidenza del comitato editoriale della rivista (15.800) di Inapp. La modesta pecunia non c’entra. Le cose in Italia accadono con rigore scientifico. Se le fanno accadere Cassese e i suoi allievi.

Riciclaggio ed estorsione, nove arresti a Roma: c'è anche l'ex senatore De Gregorio. Il gip: «Caratura criminale eccezionale»

Riciclaggio ed estorsione, nove arresti a Roma: c'è anche l'ex senatore De Gregorio

È in corso un'operazione condotta dalla Squadra Mobile e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, nei confronti di alcune società create per riciclare denaro e commettere estorsioni contro locali del centro della capitale. C'è anche l'ex senatore Sergio De Gregorio tra gli arrestati.

Agenti della Prima Sezione Criminalità Organizzata stanno eseguendo nove provvedimenti cautelari, emessi dal gip, a carico di altrettante persone ritenute responsabili, a vario titolo e in concorso, dei reati di estorsione, riciclaggio ed autoriciclaggio. Eseguito anche un decreto di sequestro preventivo delle quote sociali, dei conti correnti e del complesso aziendale che fanno parte del patrimonio aziendale di alcune società e un sequestro di circa 480 mila euro.
Appresa la notizia, il presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Campania Ottavio Lucarelli ha disposto la sospensione ad horas del giornalista professionista Sergio De Gregorio. 
«Ha una caratura criminale e scaltrezza davvero eccezionale». Così il gip di Roma descrive l'ex senatore arrestato.


https://www.ilmessaggero.it/politica/senatore_de_gregorio_arrestato_chi_e_roma_riciclaggio_estorsioni_ultime_notizie_news-5265789.html

Leggi anche:
https://www.ilmessaggero.it/primopiano/politica/berlusconi_de_gregorio_corte_conti_indaga_compravendita_senatori-3603736.html

Lotti contro il pm “nemico”. “Pronta l’interrogazione”. - Antonio Massari

Lotti contro il pm “nemico”. “Pronta l’interrogazione”

Palamara-gate. Manovre sul Parlamento dell’ex ministro per evitare la nomina a Roma di Creazzo, procuratore di Firenze che aveva arrestato i genitori di Renzi.
Tra il 15 e il 27 maggio 2019 c’è più di un incontro tra Luca Lotti e Luca Palamara. Si discute della futura nomina di Marcello Viola alla Procura di Roma. E si discute anche del concorrente di Viola, Giuseppe Creazzo, che da procuratore capo di Firenze ambisce alla guida della Procura romana. C’è però qualche dettaglio da tenere a mente. Il primo: Creazzo, appena tre mesi prima, ha chiesto – e ottenuto – gli arresti domiciliari (che saranno poi revocati) per i genitori di Matteo Renzi, Tiziano e Laura Bovoli, con l’accusa di bancarotta fraudolenta ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Il secondo: su Creazzo c’è un esposto presentato alla Procura di Genova da un pm del suo stesso ufficio (per il quale non è indagato, ndr).
Parlando del Risiko delle nomine negli uffici giudiziari, delle caselle di Torino, Roma e Reggio Calabria, Lotti dice: “…per me è un pizzico legata alla difesa di ufficio che devono fare loro due di una situazione fiorentina che, ve lo dico con franchezza, è imbarazzante….”. L’ex consigliere del Csm Luigi Spina commenta: “…te lo dobbiamo togliere dai coglioni il prima possibile”. Poiché Lotti, a Firenze, non era coinvolto in nessuna inchiesta, par di capire che Creazzo andava “tolto dai coglioni” per altri motivi e l’inchiesta sui genitori di Renzi potrebbe essere un riferimento logico. Anche Lotti potrebbe riferirsi alla stessa vicenda quando definisce “imbarazzante” la “situazione fiorentina”.
Il parlamentare Pd (autosospeso dal partito, ndr) preferisce non commentare, ma fonti a lui vicine spiegano che il riferimento non era all’inchiesta sui genitori di Renzi, bensì all’esposto pendente alla Procura di Genova. Come dire: per gli esponenti della corrente Unicost (un paio, ndr) che intendevano sostenere la candidatura di Creazzo alla Procura di Roma, la sua “difesa d’ufficio” rispetto all’esposto sarebbe stata complicata.
Un fatto è certo: Lotti è contrario all’approdo di Creazzo a Roma. E così una settimana dopo, quando il plenum ha già sancito la vittoria di Viola su Creazzo con 4 voti a 1, pensa che si potrebbe tornare sul suo esposto a Genova, favorire un’interrogazione parlamentare sull’argomento e affossarlo definitivamente. Non è esattamente il ruolo che un parlamentare della Repubblica dovrebbe svolgere. Ma Lotti, da quando è diventato l’artefice della nomina di David Ermini al Csm – con l’asse tra Unicost e Magistratura Indipendente, creato insieme a Luca Palamara e Cosimo Ferri – nella partita delle nomine, e di Roma in particolare, c’è entrato con tutte le scarpe. Ed ecco la conversazione del 27 maggio 2019.
“…un passaggio a Genova me lo puoi fare te personalmente (…)?” chiede Lotti, “perché io l’ho pronta l’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia…”. “Ma la fai proprio te”, risponde Palamara. “No”, risponde Lotti “ci vuole cinque stelle a Bonafede (…) per chiedere se viste le cose uscite sui giornali …”. “E come mai”, continua Palamara, che non capisce il ruolo del M5S, “perché si stanno scollando”. “Perché c’è un pezzo che si sta scollando”, conferma Lotti. “E te lo recuperi”, continua Palamara. “No, ma tanto non mi serve a nulla, me lo gioco su altre cose. Però, capito, già il fatto che ci sia un’interrogazione parlamentare sul (al, ndr) ministro della Giustizia, che chiede se (…) corrisponde al vero le notizie di giornale uscite su una donna fiorentina, però va deciso se farla o no”.
In alternativa si potrebbe realizzare un’interrogazione parlamentare sull’esposto che il pm Stefano Fava ha presentato al Csm sull’ex procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone: “Piuttosto – continua Lotti – gli faccio una roba sulla prima commissione e quindi fa uscire la roba anche su Ielo (Paolo, procuratore aggiunto di Roma, ndr) e Pignatone”. Lotti non dovrebbe interferire sulle nomine né influenzarle attraverso le interrogazioni parlamentari. Ielo peraltro è il procuratore aggiunto che ha chiesto il suo rinvio a giudizio per favoreggiamento e rivelazione del segreto nell’inchiesta Consip. Fonti vicine a Lotti spiegano che, secondo il parlamentare Pd, il M5S, che al Csm, con i suoi componenti laici, aveva già scelto Viola, avrebbe potuto trovare utile presentare un’interrogazione parlamentare (mai presentata) sul concorrente Creazzo.

Conte, un piano Marshall per scacciare i fantasmi. - Luca De Carolis

Conte, un piano Marshall per scacciare i fantasmi

Oggi il premier parla della ricostruzione.
Innanzitutto chiederà responsabilità e cautela, a tutti. Perché oggi le Regioni riapriranno i confini, e potrebbe bastare poco per ridare forza e artigli al coronavirus, fiaccato da settimane di chiusura e dai provvedimenti che l’avvocato diventato premier rivendica come sacrifici indispensabili. Ma oggi pomeriggio, nel suo ennesimo discorso alla nazione, sotto forma di conferenza stampa, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, proverà soprattutto a declinare il futuro: del Paese e di fatto del suo governo.
Sarà il mercoledì del suo piano Marshall, parafrasando il Sergio Mattarella che due giorni fa aveva ricordato l’immediato dopoguerra, l’Italia del 1946, invocando “un nuovo inizio” per una nazione ferita. E la chiave di Conte sarà il Recovery Plan, il piano di rilancio che aveva già illustrato in una lettera al Fatto pochi giorni fa.
Sette punti, dalla riduzione della burocrazia “con una rivoluzione culturale nella Pubblica amministrazione” al rilancio degli investimenti pubblici e privati, per arrivare agli “incentivi alla digitalizzazione, ai pagamenti elettronici e all’innovazione” e alla “transizione verso un’economia sostenibile”. Fino a processi più veloci e a una riforma del Fisco, annunciata anche dal M5S tramite una dimaiana di ferro come il viceministro all’Economia, Laura Castelli.
Tante voci e promesse per ripartire, usando come leva i miliardi che dovranno arrivare con il Recovery Fund dell’Unione europea: la benzina indispensabile ”per impostare l’ avvenire da qui a dieci anni” come dicono da Palazzo Chigi. Perché vuole mostrare di pensare in grande, il premier. Svoltata la boa dei primi due anni a Palazzo Chigi, sa che deve puntare su se stesso e su un’agenda “forte” per sottrarsi ai venti contrari, fuori e dentro la sua maggioranza. Avverte e vede movimenti traversali, il presidente che non vuole avere casacche, ma che da terzo è anche più solo, più esposto. Per questo, raccontano, ha apprezzato l’intervista di ieri di Romano Prodi a Repubblica, in cui l’ex premier lo ha difeso. “Questo governo non può cadere, non esiste alternativa”, ha sostenuto il fondatore dell’Ulivo. Duro nei confronti del presidente di Confindustria Carlo Bonomi (“Dicendo che la politica rischia di fare più danni del Covid ha pronunciato un’affermazione distruttiva”): favorevole all’entrata dello Stato in alcune aziende “indispensabili per il nostro futuro”, così da “difenderle da mire straniere”, proprio come intende fare Conte. Ma per tutelarsi l’avvocato deve mettere in campo soluzioni concrete, garantire che ha una rotta che va oltre il crinale del Covid. E da qui si torna al suo piano, che guarnirà insistendo sulla necessità di uno spirito da unità nazionale. “Ma senza appelli particolari alle opposizioni o ai partiti in generale” spiegano fonti qualificate. Conte ha evitato di commentare la manifestazione di ieri del centrodestra a Roma.
Ma da Palazzo Chigi filtra la convinzione che il corteo “sia andato in direzione opposta a quanto auspicato dal presidente della Repubblica” appena poche ore prima. E il filo che Conte e i suoi vogliono tirare è sempre quello che porta al Quirinale, il punto di riferimento del presidente del Consiglio, l’unica certezza a cui non ha mai rinunciato in due anni in cui ha cambiato maggioranza, parola d’ordine e piani. Per non cadere.

Manifestare è un diritto. - Massimo Erbetti



Si manifestare è un diritto, lo dice l'articolo 21 della Costituzione: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure".

Per cui bene hanno fatto ieri a scendere in piazza tutti quelli che ritengono di avere qualcosa da dire.
Hanno fatto bene anche perché ci hanno dato la possibilità di vedere la loro inadeguatezza ad affrontare i problemi e a dare soluzioni adeguate. Fino a 24 ore prima la Meloni assicurava che non ci sarebbero stati assembramenti, che si sarebbero mantenute le distanze di sicurezza e che tutti avrebbero indossato le Mascherine, ma come abbiamo visto così non è stato, sono state violate le più basilari norme per evitare il contagio. 
Vogliamo poi parlare degli slogan contro il Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio? Mattarella vaffa... Conte vaffa... e non contenti di ciò, c'è stato perfino chi gridava "la mafia ha ucciso il fratello sbagliato"...complimenti, veramente complimenti...una vergogna assoluta, inneggiare all'assassinio di un uomo è quanto di più abominevole si possa fare...e per giunta un assassinio di mafia.

Al momento, non mi sembra che i leader della protesta, abbiano preso le distanze da certe dichiarazioni, nessuna parola di condanna e questo fa di loro dei complici.
Per cui è un bene che ieri queste persone siano scese in piazza, perché per l'ennesima volta hanno dato dimostrazione del fatto che predicano bene, ma razzolano veramente male. Non bastava la malagestione della sanita lombarda nell'affrontare la pandemia, non bastava non aver votato contro il Recovery Fund in Europa, non bastavano le fake news messe in circolazione, no a loro non bastava tutto questo, avevano la necessità di farci vedere ancora una volta che non sono in grado di gestire nulla, nemmeno una manifestazione con poche persone...e pensare che questa gente vorrebbe governare un paese intero.
P. S. e se non fosse per il fatto che ieri è stata messa a rischio la salute degli italiani, ci sarebbe anche da ridere...ma purtroppo non c'è niente da ridere...