venerdì 24 luglio 2020

Aiutate Salvini, Calenda e la Santanchè. - Antonio Padellaro

Salvini: «La Lucarelli sfrutta il figlio per fare politica ...  Carlo Calenda a Non è l'Arena: "Conte dice che i paesi europei ci ...  2 giugno, Santanchè (Fdi): "Domani in piazza per dar voce all ...
Ho visto una Daniela Santanchè nervosissima, ieri mattina a Omnibus su La7, e un po’ mi dispiace perché lei che si lamentava di essere interrotta dalla conduttrice è sempre stata un modello di correttezza televisiva, mai una parola di troppo e assai rispettosa delle opinioni altrui. Ho letto di un Matteo Salvini al Senato che leggermente scosso dagli applausi della maggioranza a Giuseppe Conte, si associava con una faccia un po’ così e ripeteva “e so’ contento”, come il Vittorio Gassman pugile suonato nel film "I mostri".
Un discorso, il suo, coerente e lineare come una pista di ciclocross nella Foresta Amazzonica, con un picco assoluto quando rivolto alla sua sinistra ha sibilato: “Non è abbastanza nobile per i frequentatori di Capalbio parlare di agricoltura?”. Vivo turbamento tra i banchi governativi al pensiero che, invece, sulla spiaggia di Milano Marittima l’ex capitano leghista intrattenga i compagni di racchettoni e le cubiste sulla quantità di latte prodotto dalle mucche frisone e sulle performance delle galline ovaiole nella Pianura Padana. Poi il colpo del ko, contro i “cento parlamentari di Pd e 5 Stelle che ritengono che per rilanciare l’agricoltura italiana occorra legalizzare e spacciare droga in nome e per conto dello Stato”. Nessun nesso logico con il dibattito in corso, ma lui è fatto così: quando perde il filo, improvvisa con argomenti per così dire “ad minchiam”. Ho ascoltato Carlo Calenda esprimere giubilo, sprizzare euforiche bollicine come un Dom Perignon appena stappato e complimentarsi con il premier per l’esito del negoziato europeo. Salvo subito dopo spiegarci che i miliardi a fondo perduto in realtà ce li verseremo noi a noi stessi. Mentre quelli che avremo in prestito dovremo restituirli con le stesse modalità imposte alle laboriose popolazioni di Ostia e Coccia di Morto da “don Ciccio lo strozzino” e dal suo fidato collaboratore slavo “Dejan mani di pietra”. Una cortesia, cari patrioti sempre chini sui supremi interessi del Paese: la prossima volta esultate un cicinin di meno.

Il pistola fumante. - Marco Travaglio

Magistrati, giornalisti e processi alla "Storia" - Il Foglio

Nella mia lunga carriera di denunciato, ne ho viste tante. Pure la famiglia Angelucci, compresa una nidiata di figli e nipoti di 8 e 5 anni, che mi chiedevano non so quanti milioni per averli chiamati “gli Angelucci”. Poi, quando Stefano Folli mi querelò per il paragone fra il suo bel riportino e un nido di cinciallegra, pensavo di averle viste tutte. Invece l’altroieri ho aperto la rituale busta verde e ho trovato una citazione civile dell’Innominabile (la quindicesima in otto mesi) che, con l’aria di prendersela con me, denuncia un rotolo di carta igienica. Avete capito bene: il corpo del reato, di cui presto dovrà occuparsi il Tribunale di Firenze fra un processo e l’altro ai suoi cari, sono 20 piani di morbidezza. I giudici, annoiati da cause pallosissime, questa se la strapperanno di mano. Il criminoso fattaccio è del 13.2.2019, quando mi collego con Tagadà, il programma di Tiziana Panella su La7. E, siccome la sala riunioni che uso per i collegamenti è occupata, vengo ripreso alla scrivania del mio ufficio. Si parla del Tav e di Conte al Parlamento Ue. Nei giorni seguenti qualche feticista del web ingrandisce un fermo-immagine e scopre ciò che nessuno in diretta aveva notato per l’impossibilità di vederlo a occhio nudo: nella libreria alle mie spalle, fra libri e oggetti vari (un gufo e varie foto incorniciate), appare – cito dall’atto – “un rotolo di carta igienica con sopra stampato il volto del Senatore Dott. Matteo Renzi accanto a una cartolina che ritraeva anch’essa il volto del senatore insieme a un segnale di ‘pericolo generico’ e a un’immagine di feci umane ‘fumanti’”. A parte “umane” e “fumanti” (a vederle così parrebbero feci generiche, non saprei di quale animale, ma certamente né fumanti né fumatrici), è tutto vero.
Confesso di aver ricevuto da un’abbonata molto spiritosa e molto poco renziana, subito dopo la nostra battaglia vinta in difesa della Costituzione al referendum del 2016, quel gadget prodotto a Napoli e piuttosto diffuso (l’Innominabile non si monti la testa: sul web, a 3,90 euro, si vendono rotoli con altri politici stimati quanto lui, “Berlusconi vai a zappare” ecc.). E, quel che è peggio, l’ho poggiato sullo scaffale accanto al gufo e al libro Perché no sul referendum. Non solo: mi sono scordato della sua esistenza, come accade di solito per i soprammobili. Tutto immaginavo fuorché di ritrovarmi quel rotolino, invisibile a occhio nudo in tv, ingrandito sul web e poi su un atto di citazione che mi dipinge come un criminale, autore di un “comportamento gravissimo”. Un orrendo delitto, ma non di chi ha confezionato e messo in vendita il turpe oggetto nella bizzarra convinzione che i politici bugiardi abbiano la faccia come il culo.
Bensì del sottoscritto, animato dall’“evidente fine di attribuire l’epiteto offensivo di ‘PERICOLOSA’ ‘MERDA’ alla persona di Renzi, nelle diverse comuni accezioni quali ‘uomo di…’, ‘politico di…’, pericoloso perché una…’”. E qui gli avvocati s’interrompono, avendo già suggerito abbastanza. Poi tentano di dimostrare che il gadget sia opera mia, così come la sua collocazione in bella vista (anzi “in prima vista”). In effetti è molto plausibile che io, dovendo parlare di Conte e del Tav in tv, abbia strappato un rotolo dal bagno, gli abbia appiccicato la faccia del Sen. Dott. su ogni foglio, l’abbia riarrotolato e incellophanato, abbia ordinato allo stampatore la cartolina con segnale stradale di pericolo, foto della cacca non fumante e del Sen. Dott.. Del resto, questa è “una vera e propria tecnica comunicativa, studiata ad hoc dal Travaglio… abituato a inviare messaggi offendendo esponenti politici”. Come no, non faccio altro: lo dimostrano “alcuni esempi chiarificatori”.
Alla MaratonaMentana sul referendum 2016, “Travaglio espone alle sue spalle una prima pagina incorniciata di un quotidiano di fantasia, con la scritta in prima vista (ridàgli, ndr) ‘Hanno la faccia come il culo’” (si tratta di una celebre prima pagina di un settimanale vero, Cuore, con cui collaboravo, ma è del 1991, quando l’Innominabile aveva 16 anni; però è bello che ci si riconosca). E 15 anni fa “su Youtube il Travaglio esponeva una statuetta rappresentante un ‘maiale antropomorfico’ con le fattezze di Berlusconi” (si tratta del pupazzo Silviolo, che non ha nulla di suino e che B., molto più spiritoso, si guardò bene dal denunciare). “Pertanto non ci sono dubbi che, considerato il posizionamento degli oggetti e l’abitualità della modalità comunicativa – il Travaglio abbia deliberatamente e volontariamente veicolato tali immagini diffamatorie” contro lo Statista Rignanese. Ora il giudice dovrà visionare “l’immagine-ingrandimento degli oggetti diffamatori esposti” e tutti gli altri “soprammobili a sfondo e carattere diffamatorio in altre trasmissioni e video”. Manca solo un’istanza per l’invio del Nap, il Nucleo Arredatori della Polizia, per bonificare i miei uffici onde evitare la reiterazione del reato. C’è invece la richiesta di “danni morali, esistenziali, patrimoniali e non patrimoniali”, aggravati dall’“assenza di rettifica o dichiarazione correttiva” (testuale) e dalla “notevole risonanza mediatica suscitata dalla notizia”, di cui nessuno s’era accorto finché il Sen. Dott. non ha annunciato coram populo la denuncia al rotolo. Ma alla fine si contenta di poco: “la somma di euro 500.000,00”. Che poi sarebbero 250.000, se la carta igienica non fosse doppio velo.

giovedì 23 luglio 2020

Conte tra MES e 4 marzo bis. - Tommaso Merlo


Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 22-07-2020 Roma Politica Senato – Informativa del Presidente del Consiglio sugli esiti del Consiglio europeoDISTRIBUTION FREE OF CHARGE – NOT FOR SALE – Obbligatorio citare la fonte LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

Vecchi politicanti e stampaccia speravano che Conte tornasse scornato in modo da attaccarlo ancora più ferocemente. Il loro scopo ormai é risaputo. Far saltare Conte e il suo governo e tornare alla cuccagna di un tempo. A quella che si godevano prima della tempesta del 4 marzo. Vedendo Conte tornare clamorosamente vincitore, vecchi politicanti e stampaccia gli hanno riservato il solito vile trattamento. Minimizzando, imbrattando di menzogne il trionfo del nemico o addirittura cercando di appropriarsene. Mai nessuno che ammette i propri errori. Mai nessuno che riconosce i meriti altrui. Una sottocultura retaggio di decenni di malaffare anche politico per cui fair play e onestà intellettuale sono un disvalore, roba da deboli e perdenti. Una sottocultura che inquina la politica di propaganda tossica e la riduce ad una rissa tra bande che giova solo agli ingordi di potere. Uno dei mali più infimi di questo paese e che si sta rivelando davvero arduo debellare. Conte non era nemmeno tornato che già rimbalzava ovunque lo spauracchio del MES. 

A vecchi politicanti e stampaccia del MES non importa un fico secco. Volevano solo sviare l’attenzione dell’opinione pubblica e rimettersi a piantar zizzania nella maggioranza. Sperano di spaccarla in modo da liberarsi di Conte e piazzare finalmente i propri beniamini nelle poltrone che contano. Un gioco sporco a cui si è prestato anche Zingaretti che si è messo subito a blaterare di MES nonostante Conte abbia portato a casa soldi sufficienti per farne a meno. L’obiettivo di certe interiora pidine è costringere il Movimento a rimangiarsi la parola e quindi fargli perdere consenso e stabilire nuovi rapporti di forza. Logiche giurassiche in attesa che qualcuno si degni di fare una seria operazione verità sulle condizionalità del MES visto che quel baraccone finanziario opera secondo leggi e trattati e non aleatori punti di vista. A piantar zizzania si è messo di mezzo anche il giallognolo spettro berlusconiano che ha ripreso ad aleggiare per i palazzi del potere. Oltre a tifare MES trama affinché il governo e quindi il Movimento si appoggi a lui in Senato dove i voti scarseggiano. Il classico abbraccio col diavolo. L’ennesima furbata che farebbe implodere l’odiato Movimento e spianerebbe la strada ad un governo a lui amico che magari cestini il conflitto d’interessi, dia garanzie eterne alle aziende di famiglia e soprattutto manometta la storia degli ultimi decenni in modo da lavargli la reputazione con la candeggina consentendogli un congedo sereno da nobile padre della patria invece che da sciagura epocale. Il vecchio regime non si è arreso ed agita tutti i suoi tentacoli. Essendo privo di fair play ed onestà intellettuale non lascerà mai spazio al cambiamento voluto a gran voce dai cittadini il 4 marzo. È due anni che resiste strenuamente e l’arrivo di una valanga di soldi dall’Europa lo ha ringalluzzito. Vogliono tornare a godersi la cuccagna ma c’è un imprevisto sulla scena politica che vecchi politicanti e stampaccia non colgono, il forte consenso conquistato da Giuseppe Conte nel paese. Loro lo detestano, ma i cittadini lo ammirano in massa grazie alla sua condotta inedita per la circense politica italiana e grazie a clamorosi risultati di cui l’ottima gestione della pandemia e il Recovery Fund sono solo i più eclatanti. Il consenso di Conte va ben oltre l’ambito del Movimento che lo ha espresso e perfino oltre la maggioranza. Se Conte decidesse di ricandidarsi, vecchi politicanti e stampaccia verrebbero travolti da una tempesta ancora peggiore del 4 marzo e la storia italiana potrebbe girare pagina per sempre.

https://repubblicaeuropea.com/2020/07/23/conte-tra-mes-e-4-marzo-bis/

Recovery festival delle bugie. - Gaetano Pedullà

CARLO CALENDA

Non ne azzeccano una neanche per sbaglio, ma più sono smentiti dai fatti più girovagano per le tv a confondere le acque su quello che è appena successo in Europa. La quasi totalità dei giornalisti fissi nei talk show anziché chiedere scusa per aver sballato tutte le previsioni sul Recovery Fund, da ieri ci spiegano che quella di Conte è stata una vittoria di Pirro, se non addirittura una fregatura. Ora se portare a casa 209 miliardi, per quanto divisi in prestiti e contributi a fondo perduto, è una fregatura, speriamo che il Signore ce ne rifili altri di questi raggiri. 
Tuttavia il racconto prevalente, certificato dai giudizi a senso unico ora di un leghista, dopo da un direttore a caso della Triplice del buon umore – LiberoIl Giornale e La Verità – e infine da un Calenda qualunque, è che l’Italia al tavolo europeo ha perso perché Conte non conta, i miliardi li vedremo il giorno del poi dell’anno del mai e semmai qualcosa arriverà non sapremo spenderla. Roba da correre a prendere un bel corno rosso da strofinare a ogni apparizione di tanti menagramo. Niente da fare se invece capitasse di incrociare Salvini, praticamente in ogni dove a cercar voti. In questo caso oltre a non riconoscere di aver fatto male i conti sulla risposta europea alla pandemia, oltre a spacciare impunemente il successo di Conte per un disastro, il pittoresco leader della Lega non scuce una parola sui suoi amici sovranisti che hanno condizionato l’Olanda e provato a negarci gli aiuti con cui abbiamo la possibilità di far ripartire il Paese. Malgrado iettatori, leghisti e i loro scendiletto giornalisti.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/recovery-festival-delle-bugie/

Lo Stato vende, ma l’affare è dei privati. I Benetton fanno il colpo immobiliare. - Nicola Borzi

Lo Stato vende, ma l’affare è dei privati. I Benetton fanno il colpo immobiliare

Nel centro di Roma - La famiglia veneta acquista i Palazzi ceduti dal Fip a prezzi non proprio alti.
A quasi 16 anni di distanza, la maxi cartolarizzazione di fine 2004 di immobili pubblici per 3 miliardi realizzata dal governo Berlusconi si rivela per ciò che è: un grande affare. Non per lo Stato, però: per molti grandi investitori privati che hanno comprato edifici di pregio dal Fondo immobili pubblici (Fip) a sconto e li hanno rivenduti e riaffittati a valori di mercato, grazie a preziose consulenze di ex dirigenti del Fip stesso.
Gli ultimi due esempi si concentrano nel cuore di Roma, in piazza Augusto Imperatore. L’edificio da 22mila metri quadrati tra la piazza, via della Frezza, via di Ripetta, via del Corea e via Soderini non è stato l’unico acquisto recente di Edizione Property. L’immobiliare della famiglia Benetton l’11 dicembre 2018 ha comprato per 150 milioni il palazzo dal Fip gestito da Investire Sgr, la società controllata da Banca Finnat della quale Regia Srl dei Benetton è socia con l’11,6%. Il 5 marzo scorso sempre i Benetton hanno finalizzato l’acquisto di 15mila metri quadrati nell’altro palazzo tra piazza Augusto Imperatore, via dei Pontefici, via del Corso e largo dei Lombardi. Atlantica Properties, società della famiglia Rovati, eredi della società farmaceutica RottaPharm, lo aveva comprato dal Fip il 28 settembre 2016 per 94,5 milioni più tasse e oneri per altri 2,9: dopo un anno di trattativa, lo ha venduto ai Benetton per 122.
Chi ha fatto l’affare? Di certo non l’Inps, che aveva ceduto gli immobili al Fip per un valore che il Fondo non vuol rendere noto. Per il primo edificio il valore di mercato a fine 2018 era di 180 milioni circa, per il secondo il prezzo è in linea con le quotazioni di fine 2019. Edizione Property ha affittato il primo palazzo alla catena di hotel Bulgari per 150 milioni in 10 anni e per il secondo risponde che “non commenta i valori economici. Il progetto non è ancora stato definito ma rispetterà tutte le norme e i vincoli”. Con la riqualificazione della piazza e del mausoleo pagata con 8 milioni da Fondazione Tim, tutta l’area sarà comunque valorizzata.
Il secondo edificio fu messo in vendita a maggio 2016 con una gara. Su 150 investitori istituzionali contattati, arrivarono quattro offerte tra 70 milioni e 95 milioni: la maggiore era di Atlantica Properties per 94,5 milioni corrispondente, secondo il Fip, a “un rendimento netto di circa l’1,6%”. Non un gran ritorno per il Fondo. Invece dopo appena tre anni e mezzo Atlantica Properties, vendendo ai Benetton, ha ottenuto una plusvalenza lorda di 24,6 milioni: il 25%.
Il merito è di Atlantica Real Estate, Srl (Are) che sin dalla fondazione nel 2015 è consulente immobiliare della società dei Rovati. Are per il 94% è di Clemente Di Paola, manager che nel 2000 ha fondato con Banca Finnat proprio Investire Immobiliare Sgr della quale, oltre che azionista, è stato direttore generale fino al 2008 gestendo il Fip. Da Investire ad Are con di Paola sono passate anche Stefania Macchia ed Eva Miceli. Grazie a Di Paola Atlantica Properties ha realizzato molte operazioni immobiliari e per i buoni consigli ricevuti dal 2015 al 2019 ha pagato ad Are commissioni per 15,9 milioni. Ma i legami non si fermano qui. In Are dal 2015 sino a maggio era vicepresidente il principe e finanziere Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini che dal 2015 sino a maggio scorso è stato anche consigliere della Fidim, la holding dei Rovati. Are ha sede nel palazzo romano dei Pallavicini in via 24 maggio al 43 dove c’è anche Athena Investments, società della quale il principe è vicepresidente. Contattate, né Atlantica Properties, né Are né Athena Investmens hanno commentato.
Molti affittuari non accettano lo sfratto da piazza Augusto Imperatore: fioccano le cause contro i nuovi proprietari che non hanno riconosciuto la prelazione, come quelle dei ristoranti Gusto e Alfredo l’originale. Non ci stanno pure i quaranta giornalisti che dal 2014 lavorano nella Sala stampa italiana, ristrutturata a spese loro con un affitto che scade tra due anni. C’è poi chi lì ci vive in affitto, come Jas Gawronski. Insieme ad altri inquilini l’ex corrispondente Rai, portavoce di Berlusconi, senatore ed eurodeputato ha fatto ricorso al Tar per ottenere il diritto di comprarsi l’attico con terrazzo dove da 18 anni ammira il mausoleo di Augusto.

Carabinieri arrestati a Piacenza, l’orgia con le escort in caserma e la scatola della terapia per la droga. Il Gip: “Come un romanzo noir”. - Giovanna Trinchella

Carabinieri arrestati a Piacenza, l’orgia con le escort in caserma e la scatola della terapia per la droga. Il Gip: “Come un romanzo noir”

Troppo lungo e così documentato l'elenco dei reati che il giudice per le indagini preliminari ha creduto di essere piombati nella fantasia di uno scrittore. E invece no: gli arresti illegali, le torture, la droga rubata agli spacciatori per fornirla ai pusher loro informatori durante il locokdown, la consegna e il trasporto di sostanze in divisa e sull'auto di servizio, era tutto vero.

Atti di indagini o le pagine di “romanzo noir“? Il giudice per le indagini preliminari di Piacenza, Luca Milani, a un certo punto dell’inchiesta che ha portato a scoprire l’esistenza a Piacenza di una caserma che potrebbe essere considerata a tutti gli effetti un covo di criminali, se l’è chiesto. Troppo lungo e così documentato l’elenco dei reati da credere di essere piombati nella fantasia di uno scrittore. E invece no: gli arresti illegali, le torture, la droga rubata agli spacciatori per fornirla ai pusher loro informatori durante il lockdown, la consegna e il trasporto di sostanze in divisa e sull’auto di servizio, contestati a vario titolo, era “tutto vero”. E se questi “reati gravissimi”, come li ha definiti la procuratrice capo di Piacenza Grazia Pradella, non fossero bastati a intessere la sceneggiatura, dove si davano “schiaffoni come in Gomorra“, leggendo le 326 pagine di ordinanza cautelare suddivise in capitoli con titoli come se fosse un libro, si viene a sapere che nella caserma di via Caccialupo almeno un carabiniere ha fatto sesso con le escort e secondo un teste anche festini a base di droga.
L’appuntato con la villa con piscina e 24 conti correnti – Ma non solo: i carabinieri avrebbero approntato, secondo le indagini, una sorta di nascondiglio dove pusher che li informavano potevano approvviggionarsi di droga: la “scatola della terapia” come la definisce lo spacciatore e informatore marocchino che ha cominciato a raccontare i comportamenti “sopra le righe” dei militari dell’Arma. Carabinieri, capeggiati da Giuseppe Montella, classe 1983, appuntato, che aveva un tenore di vita molto più alto di quanto permettesse il suo stipendio. Il nordafricano era stato convocato dalla polizia municipale di Piacenza dopo che un maggiore chiamato per una testimonianza aveva fatto ascoltare alcuni audio ai poliziotti che gli erano stati inviati dal pusher. L’ufficiale ha dichiarato agli inquirenti di non aver denunciato perché “non sfidava degli attuali dirigenti” ma riteneva che le dichiarazioni del marocchino potessero essere vere proprio per l’Audi sfoggiata dall’appuntato e la villetta in campagna con piscina rappresentavano un tenore di vita “ben al di sopra di quanto ordinariamente possibile per un militare dell’Arma del suo grado”. Il giudice ha disposto il sequestro dei beni e di 24 conti correnti.

L’incredulità del gip: “Tutto vero e reso più palpabile grazie al trojan”- Le indagini, coordinate dai pm Antonio Colonna e Matteo Centini, hanno rivelato fin dall’inizio “uno scenario estremamente preoccupante … Non è stato semplice rendersi conto, settimana dopo settimana, che dietro i volti sempre cordiali e sorridenti di presunti servitori dello Stato, incrociati più volte nei corridoi e nelle aule del Tribunale di Piacenza mentre svolgevano attività istituzionali, potessero celarsi gli autori di reati gravissimi – ragiona il giudice – è capitato spesso di alzare lo sguardo per capire se non ci si stesse trovando di fronte alle pagine di qualche romanzo noir riguardante militari infedeli. Tutto vero, invece, e reso ancor più palpabile e concreto grazie all’impiego di uno strumento investigativo inedito e potentissimo come il captatore informatico”, il trojan. Le intercettazioni ha restituito in diretta anche gli abusi commessi nella caserma: le botte, le lacrime del fermato, i colpi di tosse (qui l’audio dell’intercettazione). Nella stazione carabinieri Piacenza Levante sono state messe in atto “condotte poco trasparenti e gravemente scorrette” sia nei confronti dell’autorità giudiziaria sia e soprattutto nei confronti di chi “ingiustamente” era stato arrestato: condotte “illecite” che vanno viste “nell’ambito di un generale atteggiamento di totale illeiceità e disprezzo per i valori incarnati dalla divisa indossata“.

L’orgia con le prostitute in caserma e l’estorsione dell’auto – Montella, che aveva l’abitudine di nascondere i soldi illeciti nella cassaforte della caserma, racconta un episodio che dimostra per il giudice quanto fosse profondo quel disprezzo. È il 3 maggio quando l’appuntato parlando con un altro carabiniere, Salvatore Cappellano, che per il collega Giacamo Falanga, anche loro arrestati, avevano organizzato una serata per festeggiare una ricorrenza. “Quella sera due gliene ho fatte trombare” racconta Montella, “Lo scenario è quello di un’orgia” scrive il gip all’interno della stanza del comandante Marco Orlando (domiciliari) dove si era creato tale scompiglio che le pratiche sulla scrivania erano finite sparpagliate, come il cappello e la giaccia. Ma non solo le urla delle due donne, “presumibilmente escort” anche se un teste aveva parlato anche di una transessuale, avevano infastidito qualcuno che si era lamentato. Un comportamento in cui “forse” non sono ravvisabili reati ma che per il gip sono la metafora di quel disprezzo. È invece contestata l’estorsione per un altro episodio (4 febbraio) descritto dal giudice. In questo caso ci sono state minacce con l’arma d’ordinanza, botte ai dipendenti di una concessionaria e computer danneggiati per concludere la vendita di un’Audi A4 alle condizioni economiche da lui imposte: 10mila euro a fronte di un valore di 21.500 euro. Tra i reati contestati c’è anche il peculato. Con l’autovettura di servizio Fiat Punto i carabinieri della Stazione Levante di Piacenza andavano anche al ristorante, al bar, in negozi a Piacenza e addirittura a casa di uno di loro dove ad attenderli, a metà pomeriggio, c’era la mamma per la merenda da consumare prima di far definitivamente rientro in caserma. Gli altri militari arrestati sono Angelo Esposito e Daniele Spagnolo.

Sei mesi indagini, la scoperta delle cimici – In sei mesi di indagini – dal 20 gennaio e fino a pochi giorni fa – sono stati 53 i “target” delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Sono state 75mila le intercettazioni telefoniche e ambientali. Per tre mesi gli indagati sono stati intercettati e per tre mesi è stato un trojan a far emergere i comportamenti inimmaginabili. Questo perché a un certo punto il carabiniere insospettito dal rumore proveniente dalla sua auto l’aveva portata dal meccanico e aveva scoperto di essere intercettato. Impossibile dire quindi quante violazioni sarebbero state svelate se anche le altre cimici non fossero saltate fuori. L’ordinanza è stata divisa in capitoli: “la droga ai temi del coronvirus” che tratta della droga e dei rapporti illeciti con i pusher, “disciplina e onore” che racconta degli arresti illegali ma anche le scampagnate con l’auto di servizio o dell’orgia caserma, “la legge sono io” con l’episodio dell’estorsione, l’acquisto di anabolizzanti e la grigliata il giorno di Pasqua, “la paura” con la scoperta delle cimici e infine “la risposta dello Stato”. Capitolo che chiude il provvedimento, firmato il 19 luglio, definito “atto di giustizia” e dedicato a chi 28 anni fa, in via D’Amelio a Palermo perse la vita. Nell’attentato morirono Paolo Borsellino e gli uomini della scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina morti “compiendo il loro dovere” e “servitori dello Stato di tutt’altro spessore rispetto agli odierni indagati.


Leggi anche:

Traduzione simultanea. - Marco Travaglio

Ora la Bocca della Verità ha un prezzo: per una foto si sborsano 2 ...
Nella commedia Viva l’Italia di Massimiliano Bruno, un vecchio marpione della politica (Michele Placido) è colto da uno strano malore che lo porta a dire, al posto delle solite menzogne, la pura verità. Con le conseguenze destabilizzanti che si possono immaginare. Quel film mi è tornato alla mente mentre facevo zapping fra i talk show estivi dedicati all’accordo europeo sul Recovery Fund. Su Rete4, a Stasera Italia, c’era un imbronciato Piercasinando, detto Er Forcone dei Parioli per aver vaticinato la cacciata di Conte inseguito dai forconi. Aveva la faccia da crisantemo di chi ha appena sepolto il gatto e non so cosa dicesse, ma sul cranio brizzolato campeggiava la nuvoletta dei fumetti con su scritto: “Soccia, e adesso come facciamo a levarci dalle palle ’sto Conte? Oh, ragassi, non facciamo scherzi con quei forconi: mica li vorrete usare contro di me!?”. Partecipava alle esequie Paolo Liguori che farfugliava le consuete fesserie, buone quando parla della Roma come quando discetta di politica, ma lo sguardo brillante da termosifone spento tradiva il vero pensiero: “E mo’ che dico? Sono mesi che dipingo Conte come un pirla e il padrone pareva contento, ma ora gli fa i complimenti. Meglio fare il vago: speriamo che la Gentili mi chieda la tabellina del sette”. A un certo punto s’è rivisto dopo secoli Paolo Garimberti, noto ciclista, ex presidente della Rai ed ex vicedirettore di Repubblica, detto Polentina per la calotta giallo-mais da Mastro Ciliegia: era lì per dimostrare che c’è chi rosica addirittura più di Salvini. Infatti, passando da ciclista a goleador, s’è detto stupito dell’esultanza di Conte: “Manco avesse segnato un gol! Ma quel gol l’avrei fatto anch’io!”. All’idea di Polentina al Consiglio Ue che battaglia giorno e notte con Rutte&C. e mette tutti in riga, in studio è calata una cappa d’imbarazzo mai vista neppure per il duo Maglie-Capezzone. Intanto, sulla chioma paglierina del Garimba, appariva implacabile la nuvoletta: “Guarda che mi tocca dire perché qualcuno, nel mio ex giornale, si ricordi che esisto”.
Ora, non so voi, ma io i balloon dei fumetti con la traduzione simultanea delle bugie li renderei obbligatori: sedute parlamentari, conferenze stampa, le dirette social, talk e giornaloni diventerebbero uno spasso.
Giuseppe Conte. “Il successo non è mio, ma dell’Italia. L’applauso del Parlamento mi ha emozionato, ma è per tutta l’Italia”. Traduzione: “Vi rode, eh, bastardi? Padre Pio, fammi la grazia, tagliami la lingua”.
Matteo Salvini. “È una fregatura grossa come una casa”. Traduzione: “Per me”.
Giorgia Meloni. “Conte si è battuto contro le pretese egoistiche dei Paesi nordici ed è uscito in piedi, ma poteva andare meglio”. Traduzione: “La figura di merda del rosicone la lascio al cazzaro”.
L’Innominabile. “Conte è stato bravo e gliene diamo atto”. Traduzione: “Tanto non vale, c’ho le dita incrociate dietro la schiena”.
Elisabetta Casellati. “Mi scusi, presidente Conte, ma non si possono fare fotografie in aula. Non usate macchine fotografiche, non si può fare!”. Traduzione: “Tutti ’sti applausi in aula a Conte non li sopporto, sgrunt… c’ho un travaso di bile, grrrr… che posso inventarmi per interromperli? Come? Le macchine fotografiche? Ma quali macchine fotografiche, idioti! Siamo nel 2020, ora ci sono gli smartphone! Ah, devo dire che le ho viste lo stesso? Bravi, idea astuta, non ci sarei mai arrivata. Adesso lo dico”.
Silvio Berlusconi: “Accordo buono. Pericolo per l’Europa dai partiti sovranisti”. Traduzione: “Cribbio, quel cazzaro mi farà diventare comunista”.
Renato Brunetta. “Avevamo consigliato al premier di andare a Bruxelles con spirito europeista”. “Un bene per il Paese, ma Conte ha presentato un’Italia piccola e furba”. Traduzione: “Per quella piccola ha seguito i miei consigli”.
Augusto Minzolini. “Il governo delle marchette rischia di fare crac sui fondi” (il Giornale, 22.7). Traduzione: “Io le marchette me le pagavo con la carta della Rai. Se serve una consulenza, sono qui”.
Daniele Capezzone. “Conte festeggia per nascondere la sconfitta” (La Verità, che lo firma “Capezzome”, 2.7). Traduzione (anzi, traduzione): “Stavolta mi vergogno troppo persino io. Scrivo in incognito”.
Vittorio Feltri. “Festeggiano Conte perché ci indebita”. “Non illudetevi, alla fine pagheremo noi”, “Occhio alla fregatura”. Traduzione: “Hic!”.
Stefano Folli (Repubblica, 22.7). “….”. Traduzione: “Oggi non scrivo. Rispettate il mio lutto, abbiate pietà”.
Marcello Sorgi. “Conte rafforzato. Sarà lui a dare le carte” (La Stampa, 22.7). Traduzione: “Prendete i miei pezzi degli ultimi due anni: dove ho scritto mai scrivete sempre, dove ho scritto brutto scrivete bello, dove ho scritto cade scrivete regge”.
Sabino Cassese. “Non è solo questione di soldi” (Corriere della Sera, 21.7). Traduzione: “Quel maledetto avvocaticchio porta a casa 209 miliardi, e io che dico? Occhio a non copiare Salvini, sennò da idolo degli antisovranisti divento l’idolo dei sovranisti. Dunque: se Conte porta patate, io dico che non è solo questione di patate; se porta soldi, io dico che non è solo questione di soldi. Furbo, io. Ammazza che volpe! Chissà se al Corriere ci cascano. Massì, dài, è una vita che se la bevono”.