domenica 13 dicembre 2020

Processo alle invenzioni. - Marco Travaglio

 

C’è solo un processo più inutile di quello di Catania a Salvini per il blocco della nave Gregoretti (scelta sciagurata e demagogica, ma difficilmente inquadrabile come sequestro di persona): quello a Virginia Raggi, che domani va a sentenza alla Corte d’appello di Roma. Chi se lo fosse dimenticato si armi di santa pazienza e mi segua in questa incredibile vicenda che farebbe la gioia di Kafka. A giugno del 2016, appena osa diventare sindaca di Roma, la Raggi viene investita da un uragano politico, mediatico e giudiziario mai visto contro una persona che non ha fatto nulla di male. L’uragano diventa tsunami quando la sindaca si azzarda a sottrarre la mangiatoia delle Olimpiadi ai soliti noti. Appena nata la giunta, viene indagata la sua assessora all’Ambiente Paola Muraro per presunti reati ambientali commessi in 14 anni di consulenze per l’Ama, saltate fuori nell’attimo esatto in cui accetta l’incarico dalla Raggi e archiviate appena si dimette. Poi viene arrestato il capo del Personale Raffaele Marra, ufficiale della Finanza pluridecorato da Fiamme Gialle e Quirinale, per fatti di quattro anni prima, nell’èra Alemanno. Infine viene indagata la Raggi, che una processione di avversari e/o manigoldi ha provveduto a tempestare con decine di denunce.

Tre indagini per abuso d’ufficio per le nomine del funzionario comunale Salvatore Romeo a capo-segreteria, della giudice Carla Raineri a capo-gabinetto e del dirigente dei Vigili Renato Marra (fratello di Raffaele) a capo-ufficio Turismo. Un’indagine per rivelazione di segreto per presunti dossier contro il rivale Marcello De Vito. E un’indagine per falso ideologico per una dichiarazione all’Anticorruzione comunale sul conflitto d’interessi di Raffaele Marra nella promozione del fratello. Alla fine la montagna partorisce il topolino: tutte le accuse archiviate, tranne quella di falso per aver detto all’Anac che Marra, nella nomina del fratello, ebbe un ruolo “di mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte, senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali”. Tantopiù che il Regolamento comunale affida quelle nomine alla discrezionalità del sindaco. Infatti fu la Raggi, su input dell’assessore al Commercio Adriano Meloni, a decidere. L’accusa è un doppio paradosso: nel Paese dei conflitti d’interessi, l’unico politico imputato è la Raggi; una volta archiviata l’accusa di complicità nel conflitto d’interessi di Marra (contestato a lui solo), non si vede perché la sindaca avrebbe dovuto mentire per coprire un delitto che non aveva commesso. Insomma, un caso più unico che raro di reato senza prove né movente né dolo.

Il processo alle intenzioni finisce direttamente in tribunale, perché la sindaca sceglie il rito immediato. E lì si scopre ciò che si era sempre saputo: la nomina di Renato Marra non fu una promozione ad personam, ma era parte di un “interpello” per la rotazione di ben 190 dirigenti comunali; lì, per evitare sospetti di conflitti d’interessi, la Raggi respinse la candidatura di Renato a capo dei Vigili e optò per un ruolo di fascia inferiore; Raffaele fece pressioni per il fratello su Meloni e non sulla Raggi, anzi alle sue spalle; quando lei scoprì che la nomina comportava un forte aumento di stipendio, si lamentò in chat con lui per non averla avvertita; nessun elemento dimostra che la sindaca fosse informata delle sue pressioni. Infatti il Tribunale la assolve perché “il fatto non costituisce reato”. Motivo: “Nel complesso la risposta del Sindaco Raggi alla richiesta” dell’Anticorruzione “appare veritiera”: nessun falso. Fu solo imprecisa quando, con linguaggio avvocatesco, parlò di “istruttoria” in senso giudiziario e non amministrativo. Il buonsenso vorrebbe che la cosa finisse lì. Invece la Procura, crollate tutte le indagini sulla giunta, ricorre in appello con un atto di 31 pagine in cui non prova neppure a confutare nel merito le 316 pagine della sentenza, né porta elementi fattuali in grado di ribaltarle. Per giunta, i pm ripetono il movente-patacca già sostenuto invano in Tribunale: e cioè che la sindaca mentì per non essere indagata per il conflitto d’interessi di Marra, visto che all’epoca (2016) per il Codice etico dei 5Stelle bastava un avviso di garanzia per imporre le dimissioni di un loro sindaco. Peccato che sia falso: Pizzarotti, Nogarin e la stessa Raggi furono indagati nel 2016 e restarono al loro posto.
La Corte ha concesso ai pm di riascoltare due testimoni, che hanno confermato come la sindaca fosse ignara delle pressioni di Marra. Dunque, ancora una volta, l’assoluto deserto probatorio e anche il buonsenso suggeriscono un’assoluzione-bis. Ma tutto è possibile. E, in caso di condanna, il Codice etico dei 5Stelle vieterebbe alla Raggi di ricandidarsi sotto le loro bandiere. A meno che si decidessero a rimetter mano alle regole interne. L’obbligo di dimissioni è sacrosanto anche per un semplice avviso di garanzia (o anche senza) quando sia acclarata una condotta immorale e infamante che metta in serio dubbio l’onestà dell’eletto. Ma, se c’è di mezzo una posta nei bilanci comunali o un incidente di piazza (processi Appendino), o una frase controversa (processo Raggi), giustizia e politica devono viaggiare su binari separati. Confonderli significa condizionare i magistrati e condannarsi a combattere gli avversari con le mani legate dietro la schiena.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/13/processo-alle-invenzioni-2/6035479/

Il “sistema del 15%”. Ecco la prova che inchioda la lega. - Stefano Vergine

 

“Dovere morale”. Soldi al partito dai nominati.

Versamenti al partito in cambio di nomine pubbliche. Posti nei più importanti cda d’Italia, nelle direzioni di ospedali e aziende sanitarie locali, nei consigli di revisione contabile delle partecipate pubbliche. Poltrone assegnate in cambio della restituzione alla Lega di una parte dello stipendio. È il “sistema del 15%” – la quota da restituire al partito per i nominati –, un sistema scritto nero su bianco. Così il Carroccio avrebbe gestito il suo potere politico negli ultimi vent’anni, con un vero e proprio sistema di finanziamento per le casse del partito, stando a quanto emerge sia da documenti inediti (in parte pubblicati in queste pagine) sia da diverse testimonianze raccolte.

Il “sistema del 15%” il Fatto lo ha raccontato, nell’inchiesta sulla Lombardia Film Commission, riportando quanto avrebbe detto il commercialista Michele Scillieri durante l’interrogatorio con i pm di Milano. Ma quello che ora siamo in grado di svelare è un meccanismo strutturato e ben collaudato, in vigore da anni. Tutto è raccontato nei dettagli da alcuni documenti contabili interni alla Lega e dalle testimonianze di tre ex leghisti che fino a pochi anni fa sedevano in posti cruciali dell’amministrazione del partito. I documenti inediti raccolgono i nomi di decine e decine di dirigenti e manager di aziende sanitarie pubbliche lombarde. Molti ancora in attività. Nomi e cifre: quelle che ognuno di loro versava alla Lega, il partito del Nord. Che, a dispetto delle intemerate d’origine contro il clientelismo romano, ha creato un sistema perfetto per controllare le nomine. Tutto fatto in modo trasparente, con bonifico bancario, così che la spesa sia anche detraibile fiscalmente. Un sistema perfetto, che si basa però su un presupposto molto scivoloso, come vedremo più avanti: la donazione deve essere spontanea.

Nero su bianco: la delibera del consiglio federale

Analizzare tutti i nomi è un lavoro lungo: questa è solo la prima puntata di un’inchiesta che pubblicheremo nella prossima settimana. Di certo il sistema del 15% è stato istituzionalizzato, formalizzato in un Consiglio federale della Lega dell’autunno 2001. Lo dimostra un documento del partito, mai pubblicato finora, firmato dall’allora segretario organizzativo della Lega Nord, Gianfranco Salmoiraghi. Il 23 ottobre del 2001 Salmoiraghi informa le varie sezioni della Lega che una settimana prima, in occasione del Consiglio federale (l’organo esecutivo della Lega), è stato deciso che sarà Giancarlo Giorgetti ad avere “l’incarico di sovrintendere alla nomina dei nostri esponenti”. Citando il verbale del Consiglio federale, Salmoiraghi aggiunge che secondo quanto deciso “è dovere morale di quanti saranno nominati, di contribuire economicamente alle attività del Movimento con importi che equivalgano, mediamente, al 15% di quanto introitato”.

Esattamente la stessa percentuale di cui ha parlato Scillieri ai magistrati di Milano pochi giorni fa. Il commercialista e socio d’affari dei contabili della Lega, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni – indagato insieme a loro per peculato nella vicenda della Lombardia Film Commission – ha messo a verbale di aver dovuto restituire al partito il 15% del suo compenso ottenuto come revisore contabile della stessa Lombardia Film Commission, un ente pubblico controllato dalla Regione Lombardia. Ma la testimonianza di Scillieri, alla luce di questi documenti inediti, potrebbe essere solo la punta dell’iceberg.

“Tutti sapevano. Eri nominato e poi aiutavi la Lega”

Che tutto sia andato così per molti anni lo conferma al Fatto Daniela Cantamessa, in Lega dagli albori, segretaria di Umberto Bossi fino all’arrivo di Roberto Maroni alla segreteria federale. “Lo sapevano tutti che funzionava così – racconta – era normale: tu eri nominato dalla Lega e poi aiutavi il partito. Io però non ero in amministrazione, non vedevo personalmente le donazioni”. Chi ha conosciuto bene la macchina contabile per qualche anno è Francesco Belsito, tesoriere dal 2007 al 2012, poi cacciato per lo scandalo degli investimenti in Tanzania e condannato in via definitiva per appropriazione indebita nell’ambito della vicenda dei 49 milioni. I saldi sui conti correnti dei partito Belsito li vedeva, e spiega al Fatto che “i manager nominati nelle partecipate di Stato dovevano versare una quota del loro compenso sul conto corrente del partito, sottoforma di donazione, così la scaricavano dalla dichiarazione dei redditi. Era la prassi, lo sapevano tutti. Quelli che versavano sul conto della Lega Nord federale erano i nominati delle partecipate di Stato. I nominati nelle società locali versavano invece alle sezioni regionali. Per esempio, Regione Liguria nomina persone nella finanziaria di riferimento regionale, in quella del turismo: 7-8 partecipate in tutto. Quei pagamenti li seguiva il segretario regionale del partito. Per società come Eni, Poste, Finmeccanica o allora Invitalia, si versava invece direttamente sul conto della Lega Nord”. Chi ha visto con i suoi occhi ogni singolo versamento, almeno in Lombardia, è una segretaria che ci ha chiesto l’anonimato. Ha lavorato nell’amministrazione in via Bellerio per quasi 30 anni, e dice che almeno fino al 2015 – quando insieme ai tanti altri dipendenti è stata lasciata a casa a causa dei tagli fatti da Matteo Salvini in nome dell’austerity – il sistema funzionava così. “Tutti quelli nominati avevano l’obbligo morale di dare un tot alla Lega ogni anno, almeno quelli che venivano remunerati per quell’incarico. Chi non lo faceva riceveva una telefonata da Giampaolo Pradella, che si occupava allora degli enti locali della Lega, che gli diceva: ‘Guarda, non è arrivato il contributo, ricordati eh’. Insomma, in modo velato gli si diceva: ‘Dai il contributo, altrimenti la prossima volta non vieni più nominato’”. C’erano contratti scritti? “No, era su base volontaria, che però volontaria non era. Il discorso era semplice: ‘La Lega ti ha messo lì, e tu devi contribuire’”. Funziona ancora così nel partito guidato oggi da Salvini? Alle nostre domande, inviate ieri al segretario federale e al suo vice, Giorgetti, non è stata data per ora risposta.

1 – Continua

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/13/il-sistema-del-15-ecco-la-prova-che-inchioda-la-lega/6035488/

sabato 12 dicembre 2020

Volpi in pellicceria, Ghino di Renzi e Matteo di tacco. - Antonio Padellaro

 

Non so perché (anzi lo so) ma quando mercoledì ascoltavo l’accaldato Matteo Renzi, rivolto a Giuseppe Conte, minacciare sfracelli mi veniva in mente una famosa frase di Bettino Craxi a proposito dell’astuto, astutissimo Giulio Andreotti. Ovvero che “prima o poi tutte le volpi finiscono in pellicceria”. Certo, parliamo della lontana Prima Repubblica ma quello che andava in scena mercoledì sera nell’aula del Senato non sembrava forse uno sketch del Bagaglino? Di quelli, per intenderci, dove gli inarrivabili Pippo Franco e Oreste Lionello cucinavano la ribollita dei rimpasti, delle verifiche, dei doppi sensi sui gabinetti ministeriali, e altre simili prelibatezze, con la platea del Salone Margherita a sganasciarsi. Purtroppo, l’altra sera mancava Pamela Prati e non rideva nessuno. Dobbiamo ammettere però che la battutissima del senatore del Mugello sul perché propiziare la caduta del governo, con novecento morti al giorno, l’Italia in ginocchio e l’annunciata terza ondata del Covid, neppure Pingitore (o Dracula) l’avrebbe mai pensata. Perché (tenetevi forte) lui dice: “voglio salvare l’Italia”. A proposito di volpi e volpini qualcuno potrebbe obiettare che Renzi nel reparto delle pelli sartoriali c’era già finito dopo il catastrofico (per lui e i suoi cari) referendum costituzionale del 2016. Quando (insieme alla Boschi) aveva promesso, giurin giurello, che se sconfitto si sarebbe ritirato dalla politica.

Così non è stato e lui ha preferito costruirsi un partitino che ricorda quell’altra maschera che fu coniata, sempre a proposito di Craxi (corsi e ricorsi della politica). Chiamato da Eugenio Scalfari, Ghino di Tacco, come il trecentesco brigante di Radicofani che controllava l’accesso alla strada che da Firenze porta a Roma esigendo al passaggio un pesante tributo. Collocatosi proprio al confine tra la risicata maggioranza e l’opposizione, a Ghino di Renzi si dev’essere dilatato l’ego e adesso non si accontenta più “di qualche strapuntino”. Un altro paio di ministri? Di più, di più. Una bella fetta della torta del Recovery (per “salvare l’Italia”, beninteso)? Fuochino. Poi, non ha resistito e a Barbara Jerkov del Messaggero ha confidato il suo sogno nel cassetto: un governo con “un’ampia maggioranza parlamentare” per arrivare alle politiche del 2023. Magari con Matteo di Tacco premier? Mai dire mai. Siccome, in fondo, ci è simpatico vorremmo dargli, aggratis, due consigli non richiesti. A proposito di furbacchioni da Bagaglino, tenga d’occhio Matteo Salvini che si è subito fatto avanti scambiandosi con Conte un paio di messaggini dialoganti (come diceva Clémenceau: i cimiteri sono pieni di persone indispensabili). Infine, ci duole segnalargli il seguente titolo della Stampa (con puntuale cronaca di Fabio Martini) che la chiama in causa: “‘Stavolta sono tutti d’accordo con me’. Ma nessuno si fida di lui”. E qui non può mancare quell’altro proverbio che dice: quando la volpe predica, guardatevi, galline.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/12/volpi-in-pellicceria-ghino-di-renzi-e-matteo-di-tacco/6034728/

Vaccino anti Covid: quando arriverà in Italia, come prenotarsi e chi avrà le prime dosi. - Biagio Chiarello

 

Ci sarà una app per telefonini per prenotare e controllare le vaccinazioni e le prime dosi andranno al personale sanitario e agli anziani nelle residenze, che saranno vaccinati attraverso delle unità mobili anche con l’aiuto di medici in pensione e gli specializzandi. Ecco come avverrà la somministrazione di massa del vaccino anti Covid (gratuito e non obbligatorio).

Quando arriverà il vaccino Covid in Italia? Chi lo farà per primo? Quali sono le categorie privilegiate? Sarà obbligatorio? Le risposte degli addetti ai lavori non sono sempre concordanti, quindi è opportuno fare chiarezza. Il 29 dicembre dovrebbe comunque essere la data da cerchiare in rosso, come confermato anche dal commissario straordinario all’emergenza, Domenico Arcuri.

Quando arriverà il vaccino in Italia.

C'è attesa per l'okay definitivo dell'Ema, l'agenzia europea del farmaco, per la distribuzione. Il "sì" finale dovrebbe arrivare, appunto, il 29 dicembre, il successivo "semaforo verde" della Commissione Europea è atteso per i primi di gennaio e poi si potrebbe partire con il piano vaccini del governo per portare le "202 milioni di dosi nel primo trimestre del 2021" annunciate dal ministro della Salute Roberto Speranza. "Noi siamo pronti per qualsiasi giorno dopo il 29 dicembre, e siamo contenti se sarà più prima che dopo" ha spiegato Arcuri. "Noi facciamo il tifo perché la vaccinazione possa partire lo stesso giorno in tutta Europa – ha aggiunto il commissario –  e confidiamo che questo accadrà e verrà reso ufficiale nei prossimi giorni".

Chi avrà le prime dosi del vaccino.

Sono quasi quasi 6,5 milioni gli italiani che rientrano nelle categorie ‘prioritari' da vaccinare:  1.404.037 operatori sanitari e socio sanitari, 570.287 personale e ospiti di Rsa, 4.442.048 anziani sopra gli 80 anni. Più nello specifico, le 3,4 milioni di dosi del vaccino della Pfizer (che necessitano di una catena del freddo estrema, tra i -20 e i -70 gradi) dovrebbero essere disponibili entro la fine di gennaio e saranno consegnate direttamente dall'azienda produttrice nei 300 siti indicati dal governo, ospedali e case di riposo, per la prima fase della campagna che riguarderà appunto il personale sanitario e gli anziani nelle residenze, che saranno vaccinati attraverso delle unità mobili.

Come prenotarsi.

Sarà realizzata una app per smartphone per prenotarsi e monitorare eventuali reazioni avverse con un sistema di farmacovigilanza. L’applicazione manderà l’avviso sulla data del richiamo. Arcuri ha parlato della piattaforma digitale per il vaccino: “Poste Italiane ed Eni ci stanno aiutando nell’implementazione di una app, è un sistema molto complesso nel quale ci saranno molte componenti: un call center, elementi di tracciabilità, riconoscibilità e possibilità di alimentare i sistemi informativi delle regioni e del ministero della salute nell’implementazione di una sorta di anagrafe dei vaccini uguale a quella che c’è per tutti i vaccini somministrati per la popolazione italiana”.

Chi eseguirà le vaccinazioni.

Il ministero della Salute ha ipotizzato servano 20 mila persone tra medici, infermieri, assistenti sanitari, operatori socio sanitari, personale amministrativo e anche specializzandi per la somministrazione del vaccino nella prima fase. C'è la possibilità che anche i medici in pensione possano dare un contributo per sgravare il personale degli enti locali, oltre che gli specializzandi e le farmacie.

Dove si farà il vaccino.

L'hub di stoccaggio nazionale, come ha già spiegato Arcuri, sarà all'aeroporto militare di Pratica di Mare, un sito protetto dove transiteranno tutte le 202 milioni di dosi previste in arrivo in Italia da gennaio al primo trimestre del 2022. Da lì arriverà in almeno 300 centri ospedalieri per poi giungere a destinazione, ad esempio nelle Rsa. In una seconda fase il vaccino sarà presente in 1500 punti di somministrazione e le unità mobili lo faranno arrivare direttamente a casa delle persone anziane o con problemi di salute impossibilitate a muoversi.

Gratuito e non obbligatorio.

Il vaccino contro il coronavirus sarà su base volontaria e gratuito per tutti, come ha confermato il Ministro della Salute Roberto Speranza.

https://www.fanpage.it/attualita/vaccino-anti-covid-quando-arrivera-in-italia-come-prenotarsi-e-chi-avra-le-prime-dosi/

Enorme clessidra di gas taglia in due il disco della Via Lattea.

 

Vista dal telescopio eRosita, ha bolle estese fino a 50.000 anni luce.

Una gigantesca clessidra di gas caldo, le cui bolle si estendono fino a 50.000 anni luce, sta attraversando la Via Lattea. Descritta sulla rivista Nature, è stata immortalata nel corso della sua prima scansione completa del cielo dal telescopio a raggi X eRosita, a bordo della missione spaziale russo tedesca ‘Spectrum-Roentgen-Gamma’ (Sgr), lanciata nel luglio 2019.

Il telescopio eRosita ha effettuato una scansione profonda del cielo in meno di sei mesi. Gli autori dello studio, tra i quali i ricercatori italiani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), descrivono “un’enorme struttura gassosa a forma di clessidra, i cui lobi si dipartono dal centro della Via Lattea, al di sopra e al di sotto del piano del disco galattico”. Secondo gli esperti, “le sterminate bolle di eRosita sarebbero onde d’urto generate dall’attività energetica passata al centro della nostra galassia”.

L’energia necessaria per alimentare la formazione di queste strutture potrebbe essere stata innescata in passato dal buco nero gigante al centro della Via Lattea, un mostro con massa pari a circa quattro milioni di volte quella del Sole. La scoperta delle bolle di eRosita, concludono gli esperti, è un passo avanti importante verso la comprensione del ciclo cosmico della materia all’interno e attorno alla Via Lattea e in altre galassie.

[nella foto: Immagini dell’enorme clessidra di gas caldo che taglia in due il disco della Via Lattea. (fonte: MPE/IKI)]

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2020/12/10/enorme-clessidra-di-gas-taglia-in-due-il-disco-della-via-lattea_a2e35e05-ca3d-4fb3-89b8-b73a52c2f093.html

La vignetta di Vauro. ilFQ

 


Conte vuole guidare la crisi, Renzi teme il voto e le fughe da Iv. - Wanda Marra e Paola Zanca

 

Come al Papeete - Il premier decide di convocare i partiti: vuole “trasparenza” sulla fiducia reciproca. Il leader di Italia Viva adesso corteggia Di Maio.

A qualcuno ricordano i giorni dell’estate 2019. Solo che qui, anziché i mojito al Papeete c’è il Natale col Covid. E per qualcuno è anche una consolazione: “Nessuno ci manderà a votare in piena pandemia”. Non è il messaggio che ha fatto recapitare il capo dello Stato, per cui dopo il Conte 2 ci sono solo le urne. Messaggio che tutti hanno ben chiaro, oramai. Anche se molti confidano nell’ancestrale capacità del Parlamento di trovare altre maggioranze, pur di non sciogliersi. Ma quel che è evidente a tutti è che, appena varata la legge di Bilancio, si scatenerà il putiferio. Quello vero, non le schermaglie di adesso. Prima di ripartire da Bruxelles, dopo il vertice europeo che ha dato il via libera al programma Next Generation, Giuseppe Conte ha deciso di non fare più finta di nulla e di provare a “guidare la crisi”. Il messaggio gliel’ha recapitato via El Paìs lo stesso Renzi, in mattinata: un’intervista in cui si è detto pronto a far cadere il governo, proprio mentre il premier italiano era impegnato a trattare al Consiglio europeo. Conte perde la pazienza: “Ci sono istanze critiche, che sono state rappresentate in modo molto vocale, molto sonoro, in varie trasmissioni tv e vari giornali. Sono molto impegnato, ma non è che non cerco di tenermi aggiornato”. E allora chiede “trasparenza”, vuole “capire che cosa nascondono, quali obiettivi”. Un confronto con i partiti che finora lo hanno sostenuto, per chiarire se la fiducia c’è ancora oppure no. Il calendario è ancora da fissare, ma avverrà “presto”, dicono da Palazzo Chigi.

La crisi è profonda. E ha Matteo Renzi come testa d’ariete, ma una marea di giallorosa dietro di lui. Alcuni perfino assetati di vendetta: “Sapevamo dall’inizio che Iv sarebbe stata una spina nel fianco: ma cosa abbiamo fatto per fermarla? Niente, abbiamo continuato a sfamarli, accontentandoli su ogni singolo dossier. E adesso ci presentano il conto”.

Per la verità, non è che il premier avesse molta scelta, visto che Iv conta 18 senatori e il Conte 2 non sarebbe mai stato possibile senza l’avallo di Renzi, allora ancora nel Pd. Lui lo sa bene e ancora una volta si trova a una curva pericolosa della sua carriera, dove la cosa che reputa più inaccettabile è finire nell’irrilevanza politica. Quindi ancora una volta si gioca l’azzardo. E mentre il premier è ancora a Bruxelles, dicevamo, lo attacca frontalmente dalle colonne di El País. Continua a sostenere, Renzi, che “non si va al voto”, perché “bisogna prima verificare che non ci sia una maggioranza alternativa”. Renzi in realtà sa benissimo due cose. La prima è che tutti stanno lavorando per un assetto diverso – senza l’attuale presidente del Consiglio – a partire dal Pd, che pure ieri, prima con Goffredo Bettini, poi con Andrea Orlando agita la minaccia del voto (“No a Papeete di Natale, o si va a votare”). Ma la seconda è che la parola elezioni deve essere disinnescata il prima possibile: perché davanti a questa eventualità, la maggior parte dei parlamentari di Iv sarebbero pronti a lasciarlo solo nella sua decisione di sfiduciare Conte, consapevoli del fatto che a rientrare in Parlamento sarebbero forse meno di una decina di loro, stando ai sondaggi. Anzi, molti si sfogano con i colleghi del Pd, alcuni vorrebbero rientrare. Insomma, Renzi potrebbe non avere i numeri per staccare la spina.

Intanto gli abboccamenti si moltiplicano. Gli uomini di Iv fanno circolare la possibilità di un governo con Di Maio premier. Tanto è vero che spuntano post Facebook di fedelissimi renziani in difesa del ministro degli Esteri “massacrato” per un congiuntivo. Ma per lui sostituire Conte avrebbe non pochi ostacoli: difficile da reggere per il Pd, insopportabile per parte del Movimento, ostativo per l’entrata di FI. E infatti dalla Farnesina smentiscono che quest’ipotesi possa mai realizzarsi.

La carta vera sarebbe un governo a guida Pd. I nomi che si fanno circolare sono quelli di Dario Franceschini e Lorenzo Guerini. Ma anche qui: M5S reggerebbe? Al Nazareno sanno che si tratta di un gioco pericoloso. Per questo, dopo aver mandato avanti per giorni l’ex premier, ieri Nicola Zingaretti l’ha stoppato: “Nessuno deve chiedere marcia indietro a nessuno”. Non è piaciuto al Nazareno l’attacco a Conte in pieno Consiglio, non è piaciuto il suo voler dettare le regole. Il Pd teme che il gioco gli sfugga di mano. E che magari anche un approdo “light” come il Conte-ter a più evidente trazione Pd ormai non sia più a portata di mano.

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