sabato 9 gennaio 2021

Ci provo... - Gianfranco Zucchelli

 

Ci provo…..ci provo per un attimo a indossare i panni del Premier CONTE, ma non per sostituirmi, ci mancherebbe, ma solo per capire cosa ha provato in questi due anni e mezzo, ovvero dal 1 giugno 2018 a oggi.

Non so dove trovi la forza, la voglia e la tenacia di andare avanti. Bistrattato dalla stragrande maggioranza dei media cartacei e catodici, dove un esercito di servi lingua e saliva – manovrati dai soliti editori/costruttori/(im)prenditori e ma(g)nager bombardano senza sosta le nostre teste, per convincerci che sia un nulla di buono.

Sparano balle a raffica, sperando che la frase di Joseph Goebbels, si concretizzi: “ Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.

Oltre al bombardamento mediatico, ha dovuto sopportare il “fuoco amico”.
Prima presiedendo il governo gialloverde, dove le mine anticarro seminate lungo il percorso sono state poste da certo Matteo con la barba, fortunatamente inciampato ed esploso sopra una di loro.

Poi dall’altro MATTEO con i brufoli, il quale sta minando i pozzi, prima di essere inghiottito e sparire dalla scena politica.

E mentre il premier viene osteggiato da coloro che si sono visti portar via da sotto il naso la mangiatoia, si rafforza la stima da parte di comuni cittadini.

Purtroppo quei tanti cittadini comuni che sono stati sodomizzati nei decenni precedenti, dimenticano in fretta le sevizie subite.

Prima di entrare nella cabina elettorale si lasciano comprare dalla classica ciotola di crocchette che viene sventolata sotto il naso e questo basta per convincerli a rimettere la x sul simbolo dei soliti noti.

Questo succede in Italia, mentre tra i suoi colleghi europei aumenta la stima, la fiducia in quest’uomo, non solo a parole, ma con fatti concreti.
Hanno deciso di aprire i cordoni della borsa e quasi un terzo del recovery fund o next generation, che dir si voglia, è stato destinato all'Italia.

Solo nel paese più pazzo del mondo può succedere che una persona che ha restituito dignità e prestigio nel mondo, venga osteggiato.
Io personalmente non saprei come spiegarlo ai miei nipoti. 

Dal Financial Times a El País, la stampa estera contro Matteo. - Lorenzo Giarelli










“Il bel mezzo di una pandemia globale e di una brutale recessione potrebbe non sembrare il momento più opportuno per provare a far cadere il governo. A meno che tu non sia Matteo Renzi”. Nelle prime righe del pezzo di due giorni fa del Financial Times, quotidiano economico del Regno Unito tra i più letti e autorevoli del mondo, c’è tutta la percezione dei giornali esteri rispetto alla crisi di governo minacciata da Italia Viva nelle ultime settimane.

Una rassegna stampa delle principali testate straniere conferma infatti l’impressione del Financial Times: brigare per mandare a casa l’esecutivo non è affatto una buona idea. Nelle mosse dell’ex rottamatore, il quotidiano britannico vede solo interessi personali: “Conte rappresenta un ostacolo alle rinnovate ambizioni politiche di Renzi dopo la nascita del suo nuovo piccolo partito derivato dal Pd”.

In Francia a occuparsi di noi è Les Echos: “Nuovo duello tra Giuseppe Conte e un Matteo. Non più Matteo Salvini, che ha provocato la crisi politica nel 2019, ma Matteo Renzi”. A scrivere il pezzo è Olivier Tosseri: “Qualche errore Conte lo ha commesso – dice al Fatto il giornalista francese – ma allo stesso tempo Renzi lo conosciamo tutti e sappiamo che politico è. Questo non è il momento per scatenare una crisi”.

La sensazione di Tosseri è che, alla fine, quello di Italia Viva possa rivelarsi un bluff: “Credo che Renzi si sia mosso solo per ottenere qualcosa in più al tavolo del governo. Anche perché molti dei suoi sparirebbero dal Parlamento in caso di elezioni”. Impietoso è pure Politico.eu, dorso europeo dell’omonima testata americana: “Le lotte intestine nel mezzo di una pandemia probabilmente faranno infuriare gli italiani, proprio mentre sono alle prese con una seconda ondata che ha visto il Paese tornare il peggiore in Europa per numero di morti”. A dispetto della versione renziana – secondo cui a muovere la crisi sono i temi e non le poltrone –, Politico ne fa un discorso ben più pragmatico: “L’obiettivo a lungo termine di Renzi è di posizionarsi al centro, diventando l’ago della bilancia di qualsiasi governo, magari sbarazzandosi di Conte”.

Gavin Jones, corrispondente da Roma per Reuters, dà un’interpretazione simile: “Renzi dice che sta facendo politica, ma a me evoca l’espressione inglese playing politics, cioè ‘giocare con la politica’. Descrive chi agisce in modo cinico e spregiudicato per un vantaggio politico o personale, invece che per il bene comune”. Di certo c’è che far cadere Conte adesso sarebbe un rischio: “Una crisi in questa situazione mi sembra assurda. Trovo difficile giustificare la posizione di Renzi, anche perché spazia da una questione all’altra: Mes, servizi segreti, giustizia, Recovery”.

I toni non cambiano se si va in Germania. Handelsblatt, che si occupa soprattutto di economia e finanza, nell’edizione cartacea definisce Renzi “il disturbatore d’Italia”. Online non va molto meglio: “Renzi spielt mit dem feuer”, ovvero “Renzi gioca col fuoco”. Nel pezzo si sottolinea ancora come il contesto renda fuori luogo la crisi: “Con le sue minacce e i suoi ultimatum, il 45enne potrebbe portare il suo Paese alle urne in mezzo a una pandemia che continua a fare più di 300 vittime al giorno”. Stando in Germania, il quotidiano Die Welt insiste: “L’Italia ha bisogno di un nuovo governo nel bel mezzo della peggiore crisi degli ultimi decenni?”.

Per non dire di Daniel Verdù su El País, forse il più noto quotidiano spagnolo: “Gli scienziati avvertono sui rischi di una imminente terza ondata, ma la politica resta immersa nella telenovela scaturita dalla minaccia di Matteo Renzi di far cadere il governo”. In un altro articolo, Verdù parla anche di “crisi irresponsabile in un momento di estrema fragilità”. A Renzi e soci non resta allora che aggrapparsi ad Abc, lo stesso giornale spagnolo che qualche mese fa sventolò presunti documenti segreti per dimostrare un finanziamento milionario del governo venezuelano al M5S. Oggi, Abc la vede a modo suo: “Draghi, el mejor remedio italiano contra la crisis”. La traduzione, in questo caso, appare superflua.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/09/dal-financial-times-a-el-pais-la-stampa-estera-contro-matteo/6059970/ 

Trumpusconi. - Marco Travaglio

 

Vedendo Trump che gridava ai brogli e non riconosceva la vittoria di Biden, a B. è venuto in mente qualcuno, ma senza ricordare chi. E, nel dubbio, ha inviato un articolo al Giornale di famiglia per dire che certe cose non si fanno: “È la fine peggiore. Noi liberali siamo un’altra cosa. Il voto va rispettato. Trump ha minato la democrazia Usa” per “non aver riconosciuto la vittoria di Biden”. Figurarsi la delusione di Trump, che ha copiato tutto da lui. Il quale, in 27 anni di malavita politica, non ha mai riconosciuto una sola vittoria avversaria, gridando regolarmente ai brogli. Se i suoi fan più pittoreschi non hanno mai invaso il Parlamento, è solo perché li stipendia lui nei suoi giornali e tv. Invece il resto della stampa se la prende con Salvini&Meloni (che hanno tanti difetti, ma non hanno mai negato la legittimità delle vittorie altrui). Nel 1994 B. vince: quindi elezioni regolari. Ma un anno dopo perde le Amministrative, ergo non vale: “La gente si è sbagliata, erano giusti gli exit-poll che mi davano vincente” (26.4.95). Nel ’96 stravince l’Ulivo di Prodi e lui strilla allo scippo: “Nel ’96 ci hanno tolto 1 milione e 705 mila schede” (6.4.2000). Anzi “1 milione e 171 mila schede” (14.4.2001).

Nel 2001 rivince lui: nessun broglio. Ma a fine legislatura è sotto nei sondaggi: cambia la legge elettorale col Porcellum per ottenere almeno il pareggio e riattacca la guerra preventiva. “A sinistra ci sono dei professionisti dei brogli. Ci hanno sottratto 1 milione e 750 mila voti” (18.2.06). E invoca “gli osservatori dell’Onu per difenderci da questi signori esperti di brogli” (6.4.06). Il 10 aprile si vota: una notte di drammatica incertezza. Anziché presidiare il Viminale dove affluiscono i dati, il ministro forzista dell’Interno Beppe Pisanu fa la spola con Palazzo Grazioli, mentre Marco Minniti e altri Ds vanno e vengono dal Viminale per capire che accade. Su quella notte, si racconterà di tutto. Di certo c’è che Pisanu dice un no di troppo e rompe per sempre con B. L’11, finalmente, i risultati: l’Unione di Prodi ha vinto d’un soffio. B. chiama la piazza, poi la stampa: “Tanti brogli unidirezionali ai miei danni in tutta Italia. Ne ho parlato con Ciampi, cambieranno il risultato: schede non conformi, somme sbagliate, dati riportati male, schede trovate in giro evidentemente messe da parte. Ricontrollare i verbali di 60 mila sezioni”. Le stesse parole che 15 anni dopo userà Trump. E, come le sue, senza uno straccio di prova. Per un mese B. rimane asserragliato a Palazzo Chigi, senza sloggiare né riconoscere la sconfitta, per impedire a Ciampi di incaricare Prodi prima della scadenza del mandato e rinviare la nomina del nuovo premier al suo successore.

Eogni giorno spara cifre a caso: “1 milione di schede contestate”, “1 milione e 100 mila nulle”, “un calo del 60% nelle bianche” … Il Viminale parla di 43.028 schede contestate alla Camera e 39.822 al Senato. Cioè 82 mila schede in bilico, in grado di rovesciare la nuova maggioranza. Poi Pisanu ammette un piccolo “errore materiale”: i cervelloni del Viminale hanno sbadatamente “sommato le schede contestate alle nulle e alle bianche”. Le contestate alla Camera non erano 43 mila, ma 2.131; e al Senato non 39 mila, ma 3.135. La “svista” ha ventuplicato le contestazioni per Montecitorio e decuplicato quelle per Palazzo Madama. B. però continua imperterrito a non riconoscere la sconfitta. Nemmeno quando il 19 aprile la Cassazione mette fine alla querelle e divide le schede contestate fifty fifty tra Cdl e Unione e Prodi va al governo. B. grida all’“esecutivo illegittimo per le elezioni taroccate” e compra senatori per rovesciarlo. E per due anni invoca il “riconteggio delle schede” anche se è già stato fatto e gli ha dato torto (“ci han fregato almeno un voto per ognuno dei 60 mila seggi”).
Tira anche in ballo Pisanu: “Nel 2006 fu una notte di spogli e di brogli, i nostri tecnici ci hanno dato le prove. A mezzanotte il ministro dell’Interno venne da me e mi garantì la nostra vittoria con 100 mila voti in più alla Camera e 250 mila al Senato. Poi è successo qualcosa: l’appello di Fassino ai suoi rappresentanti nei seggi e la difficoltà nel ricevere i voti da Campania e Calabria, che dopo tre ore erano diversi, la Campania segnò la vittoria della sinistra” (10.4.07). “Ci hanno fregato un milione di voti” (30.8.07). Nel 2008 cade Prodi, si rivota e B. ricomincia: “Temiamo brogli ovunque: ci giunge notizia di 150.000 schede stampate in più in Argentina” (1.4.2008). Organizza “lezioni anti-brogli” ai suoi e distribuisce milioni di “normografi anti-brogli” agli elettori. Poi vince lui, dunque tutto regolare. Ma nel 2013 riecco la pippa del 2006. Stavolta Pisanu perde la pazienza: “Non è la prima volta che il presidente Berlusconi fornisce versioni fantasiose della notte elettorale del 2006. Ora basta. Nel 2006 nessuno delle migliaia di scrutatori e rappresentanti di lista berlusconiani sollevò un solo reclamo od obiezione in tutta Italia. Quello scrutinio fu assolutamente regolare, come poi confermò con voto unanime la giunta per le elezioni del Senato” (8.1.13). Stavolta per FI è una débâcle, ma il perchè è semplice: “I brogli della sinistra ci han portato via 1,6 milioni di voti” (17.12.13), per l’esattezza “23 voti a sezione” (3.5.15). E lo ripete a ogni pie’ sospinto nel 2016 e nel ‘17. Come si permette Trump di gridare ai brogli e di non riconoscere la vittoria dell’avversario? Non è liberale né democratico, suvvia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/09/trumpusconi/6059965/

venerdì 8 gennaio 2021

Sala & Calenda, due “rivoluzionari” in cachemire rosé. - Gianni Barbacetto

 

Abbiamo aspettato tanto, ma poi, quando si è deciso, è partito col botto: “Mi ricandido per fare una vera rivoluzione”: così dice Giuseppe Sala. La “rivoluzione” la vuole fare in compagnia di un altro noto bombarolo, Carlo Calenda, autoproposto sindaco della Capitale. “È certamente un candidato credibile per Roma”, ha dichiarato Sala. Me li vedo, i due “rivoluzionari”, a chiacchierare in cachemirino pastello davanti al caminetto con i potenti delle due città. “Ci vogliono persone competenti al governo, per gestire la crisi sanitaria”, disse Sala, stupito che non avessero chiamato lui, competente per definizione, così competente da aver detto che #milanononsiferma, così competente da averla poi fermata, Milano, per non aver saputo spargere un po’ di sale, Sala: sono bastati dieci centimetri di neve a fine dicembre.

“Rivoluzione!”: ormai si è messo a capo del soviet di Brera, Sala, e sta preparando “la discontinuità e il cambiamento”: “La discontinuità è la consapevolezza che non si possa solo subire l’impatto della pandemia. Il cambiamento è inteso come i grandi temi che innervano le metropoli, dall’equità sociale all’ambiente. Con il Covid sento nella gente un’ambizione diversa nella gestione della propria vita in città. Le città stanno pagando salato il prezzo della pandemia, ma i milanesi vogliono vivere a Milano, solo in maniera diversa. In particolare ho in mente la questione ambientale e la mobilità. E quindi due macrorivoluzioni. La prima sul trasporto pubblico urbano ed extra urbano puntando su mezzi meno inquinanti. La seconda è muoversi meno, ovvero tutti i servizi nel raggio di 15 minuti a piedi o in bici”. Vedremo. Intanto Milano, per due anni prima nella classifica della vivibilità in Italia, è precipitata al dodicesimo posto (per il Sole 24 Ore) o al quarantacinquesimo (per Italia Oggi). E le parole altisonanti (“rivoluzione!”) coprono uno smarrimento e una mancanza di prospettive disarmanti. A Milano nell’ ultimo anno i ricchi (pochi) sono diventati più ricchi e i poveri (tanti) sono diventati più poveri.

L’unica rivoluzione possibile è bloccare questa tendenza e cercare di invertirla. Provare a ridurre le disuguaglianze. Per quello che può fare un amministratore di città, si tratta – come va ripetendo il direttore di Arcipelago Milano, Luca Beltrami Gadola – di difendere i beni comuni che i cittadini affidano al loro sindaco affinché li tuteli, li accresca e li difenda. Sala in questi anni ha fatto il contrario: li ha privatizzati, venduti, a volte svenduti. I beni comuni di cui Milano è ricca sono il suo territorio e il suo ambiente. Ci sono almeno 3 milioni di metri quadrati di territorio che nei prossimi anni devono trovare un loro nuovo destino: i sette scali ferroviari, l’area dello stadio di San Siro e dei contigui spazi dell’ippica, la Piazza d’Armi, il quartiere Rubattino, oltre all’area ex Expo che Sala conosce bene. Sì: si potrebbe davvero fare una “rivoluzione”, mettendo queste aree a disposizione dei cittadini, con più parchi e più servizi; Milano potrebbe diventare la metropoli più verde d’Europa e la sua aria potrebbe diventare meno avvelenata. La “rivoluzione” di Sala è invece un esproprio: i milanesi sono espropriati dei loro beni comuni, affidati a Fs (gli scali), a Milan e Inter (San Siro), ai grandi operatori immobiliari, Coima, Lendlease, Hines, in alleanza con banche e assicurazioni (Axa). Altro che “rivoluzione”: Sala ha lavorato – e promette di lavorare in futuro – per rendere Milano più “attrattiva”: per attirare cioè capitali, specie esteri, spesso anonimi e chissà se puliti o sporchi. Una città in vendita. Ai milanesi, le briciole: bei luoghi dove andare a vedere come vivono i ricchi, e periferie che restano periferie per tornare a dormire dopo il lavoro, per chi ce l’ha.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/08/sala-calenda-due-rivoluzionari-in-cachemire-rose/6058774/

Occhio a tutti i Trump: pure a quelli d’Italia. - Antonio Padellaro

 

Non sfotterò Matteo Salvini, quello delle photo opportunity con Donald Trump (che domandava: ma questo chi è?), quello che indossava la mascherina con il logo Trump (fino a quando non è stato battuto da Joe Biden), quello che oggi scarica l’ex amico eversore (come è sempre stato) dicendo “è una follia”. Né rinfaccerò a Giorgia Meloni la sbandata per il guru sovranista Steve Bannon, uno poi accusato di frode e diventato impresentabile perfino per l’inquilino della Casa Bianca (che infatti lo cacciò). E neppure infierirò sulle vedove del presidente “sciagura” (Paul Auster), come Maria Giovanna Maglie in gramaglie, come il mesto Daniele Capezzone, perché la coerenza richiede di sbagliare oggi come si sbagliava quattro anni fa. E mi auguro che adesso non venga in mente a qualcuno di moderare Rete 4, forse l’ultima emittente orgogliosamente trumpiana. Questi sono i miei sentimenti dopo aver visto l’altra notte le sembianze dei sovversivi di Capitol Hill, una massa di esaltati certo, ma anche gli avamposti di un’America la cui disperazione è stata vigliaccamente usata e abusata da quel signore con la chioma arancione. Fu proprio Bannon a ricostruire la genealogia della crisi che ha spinto masse di operai bianchi tra le braccia di Trump. Quando hanno mandato Lehman Brothers in bancarotta, la corruzione della finanza e poi “le banche che hanno guardato da un’altra parte, gli studi legali che hanno guardato da un’altra parte, le società di revisione che hanno guardato da un’altra parte, i media finanziari che hanno distolto lo sguardo”. Questo ha acceso un fiammifero, e Trump è stato l’esplosione. Tutti hanno guardato da un’altra parte e probabilmente starebbero (staremmo) ancora guardando da un’altra parte se non fosse emersa dagli scantinati della società quella moltitudine di facce qualunque, guidate da uno sciamano a torso nudo con un peloso copricapo vichingo, con al seguito un tizio abbigliato da Batman. Tra uno sventolio di bandiere a stelle e strisce ornate con i simboli complottisti di QAnon. Agricoltori senza terra, meccanici senza officine, famiglie senza sussidi, biker con armi automatiche, che per una volta nella vita si sono presi la loro rivincita violando lo studio di Nancy Pelosi, mettendo i piedi sulla scrivania. Sapendo che, prima o poi, verranno a prenderli, uno per uno. Ecco, vorrei che Salvini, Meloni, la Maglie, insieme allo show permanente del Covid governo ladro continuassero a funzionare come promemoria. A ricordarci che i sovversivi se ne sono andati, ma che continuando a guardare da un’altra parte quel Trump, o un altro Trump, potrebbe presto ritornare e sarebbe molto, molto peggio

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Renzi “rivuole” gli 007, ma perde l’arma “destra”. - Wanda Marra

 

Tra gli attacchi a Giuseppe Conte per i suoi rapporti con l’Amministrazione Trump e le penne un po’ abbacchiate dei populisti italiani, l’assalto al Congresso Usa ha più di una ricaduta sulla crisi politica nostrana. Tanto per cominciare, il governo di larghe intese, con tutti (o quasi tutti dentro), si allontana. E con questo il piano B di Matteo Renzi che non ha mai smesso di parlare con Matteo Salvini e di corteggiare FI e persino Fratelli d’Italia.

Ma Renzi, che si trova con un’arma spuntata, è deciso a cercare di volgere la situazione a suo vantaggio. E così sferra l’attacco finale a Giuseppe Conte, chiedendogli di nuovo di lasciare la delega ai servizi segreti nel nome della sicurezza nazionale.

Già da mercoledì sera i social renziani cominciano a condividere foto del premier italiano e di Donald Trump, mentre nelle chat gira il video in cui Conte sosteneva che il suo governo e l’Amministrazione Trump fossero uniti nel “cambiamento”. I renziani si scatenano quando Conte fa il suo tweet (“Seguo con grande preoccupazione quanto sta accadendo a Washington. La violenza è incompatibile con l’esercizio dei diritti politici e delle libertà democratiche. Confido nella solidità e nella forza delle Istituzioni degli Stati Uniti”). Ieri mattina il premier, dopo che il Congresso americano ha certificato la vittoria elettorale di Joe Biden, interviene di nuovo: “Non vediamo l’ora di lavorare assieme al presidente Biden e alla vicepresidente Kamala Harris per promuovere insieme un’agenda globale di crescita, sostenibilità e inclusione”. Renzi in serata ci va giù diritto: “È stato importante che anche Johnson, altro uomo di destra, abbia detto parole durissime come Merkel”. Cita Veltroni, che ha criticato la scelta di Conte di non citare Trump esplicitamente, condannando i fatti. E affonda: “Non è che se uno è amico di Trump non dice parole chiare”. Nel pomeriggio, fonti Iv tirano in ballo il caso Barr, chiedendo “chiarezza” su quanto accaduto nell’estate 2019, con le visite di William Barr, Attorney general di Trump, in Italia. E ancora: “I fatti di Washington testimoniano che la sicurezza nazionale è tema centrale. Conte nel commentare quei fatti non ha citato Trump”.

Il riferimento è alle due visite di Barr in Italia nel 2019 quando avrebbe chiesto agli 007 italiani assistenza per cercare elementi al fine di screditare le indagini condotte dal Fbi per conto del super procuratore Robert Mueller sul Russiagate. L’amministrazione Trump voleva approfondire la pista investigativa secondo la quale lo scandalo delle mail private “rubate” dai russi a Hillary Clinton e poi offerte all’entourage di Trump fosse una trappola ordita dai democratici americani. L’Italia era un tassello fondamentale perché a Roma scomparve il professor Joseph Misfud, l’innesco della prima inchiesta sul Russiagate.

Le richieste erano arrivate a Roma già a giugno 2019 per canali diplomatici. Entrambi gli incontri, uno il 15 agosto e uno il 27 settembre, si svolsero nella sede del Dis, guidato dal fedelissimo di Conte, Gennaro Vecchione. Al primo parteciparono Barr e Vecchione. Al secondo erano presenti, oltre a loro, il procuratore John Durhan, e i direttori delle agenzie operative, Mario Parente (Aisi) e Luciano Carta (Aise). Di fronte al Copasir, Conte tenne a precisare di non aver mai parlato, né dal vivo, né al telefono, con Barr. E sostenne che di fronte alla richiesta degli americani non si poteva dire di no, che non c’erano sospetti sugli 007 italiani e che alla fine la nostra intelligence risultò estranea agli eventi in questione.

Conte finisce nel mirino per i buoni rapporti con l’ ex presidente degli States, che durante il G7 di Biarritz gli fece un endorsement decisivo, chiamandolo “Giuseppi”. Ma il governo ha sempre tenuto rapporti istituzionali con gli Usa. Ieri fonti diplomatiche italiane fanno sapere che Biden e Harris hanno accolto con soddisfazione il messaggio del premier. Ma Renzi alza la posta della trattativa, cercando di porsi come l’uomo di Biden: che la delega ai Servizi venga data a uno dei collaboratori stretti del premier sembra non bastare. La crisi si fa sempre più buia, mentre Luigi Di Maio accetta di riferire in Parlamento sui fatti americani dopo la richiesta dei dem, Andrea Marcucci e Filippo Sensi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/08/renzi-rivuole-gli-007-ma-perde-larma-destra/6058734/

Napoli, voragine all'ospedale del Mare.

 

Profonda 20 metri, ampia oltre duemila metri quadrati. Sgomberato il Covid hotel.


Un'ampia voragine si è aperta nel parcheggio dell'ospedale del Mare, nella periferia est di Napoli. Potrebbe essere riconducibile a un cedimento determinato da infiltrazioni. E' profonda una ventina di metri ed è ampia circa 2000 metri quadrati. Il fatto è accaduto all'alba di oggi.

Non si registrano persone coinvolte anche se alcune autovetture sono finite nella voragine. Sul posto sono presenti i carabinieri e i vigili del fuoco. Il fatto è accaduto lontano dal Covid center e ad un centinaio di metri dal primo edificio della struttura ospedaliera.

Al momento è esclusa la natura dolosa della voragine che si è aperta nel parcheggio dell'ospedale del Mare che si è verificata nella mattinata di oggi all'ospedale del Mare, nel quartiere napoletano di Ponticelli. E' quanto informa una nota dell'Asl Napoli 1. In tutto l'Ospedale del Mare al momento è interrotta l'alimentazione elettrica ma il presidio è alimentato dai gruppi elettrogeni che garantiscono la piena operatività della struttura. Nel più breve tempo possibile l'ASL Napoli 1 Centro provvederà a chiudere temporaneamente il Covid Residence per impossibilità a garantire acqua calda e energia elettrica.

Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha effettuato sopralluogo, accompagnato dal direttore generale dell'Asl Napoli 1, Ciro Verdoliva."Ci occuperemo anche di questo", ha detto il governatore.

https://www.ansa.it/campania/notizie/2021/01/08/voragine-si-apre-in-parcheggio-ospedale-del-mare-a-napoli_607df8f4-bdf6-4c00-b138-610b5a10b157.html