mercoledì 8 settembre 2021

Ruby ter, disposta perizia sulle condizione di Berlusconi. La pm: “È vecchiaia, senza il suo stuolo di medici sarebbe qui a fare il processo”.

 

Di fronte all'ennesima richiesta di legittimo impedimento, il collegio della settima sezione penale di Milano ha deciso per una perizia medico legale sulle condizione di salute del leader di Forza Italia. La procuratrice aggiunta Siciliano: "Lo abbiamo visto scorrazzare in kart nella sua Sardegna, parlare con i leader politici. Se non fosse supportato da una serie di medici infinita e di avvocati sarebbe qui a farsi il processo". L'avvocato: "Negli ultimi tempi diversi episodi di fibrillazione atriale, medici preoccupati".

Serve una perizia medico legale sulle condizione di salute di Silvio Berlusconi per “poter prendere una decisione motivata e ragionata” sul processo Ruby ter. Dopo uno stop di oltre tre mesi, questa è la decisione presa dal collegio della settima sezione penale di Milano, presieduto da Marco Tremolada, di fronte all’ennesima richiesta di un rinvio per motivi di salute presentata martedì dai legali del leader di Forza Italia. Il processo è stato rinviato al 15 settembre per conferire l’incarico ai periti. Quello di Berlusconi è un “quadro di malattia di vecchiaia“, ha spiegato la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano davanti ai giudici, sottolineando che l’imputato “lo abbiamo visto scorrazzare in kart nella sua Sardegna, parlare con i leader politici“. “Se non fosse supportato da una serie di medici infinita e di avvocati sarebbe qui a farsi il processo”, ha detto Siciliano, che sostiene l’accusa con il pm Luca Gaglio. “C’è stato sicuramente un moderato miglioramento nel periodo estivo, che però invece negli ultimi tempi è stato al tempo stesso condizionato da diversi e importanti episodi soprattutto di fibrillazione atriale, che sono quelli che maggiormente preoccupano i medici“, ha sostenuto invece il legale di Berlusconi, Federico Cecconi.

L’istanza di rinvio si basava sulla certificazione medica allegata e l’esito dei controlli a cui si è sottoposto l’ex premier al rientro dalle vacanze a Villa Certosa, in Costa Smeralda. Nelle ultime due settimane per tre volte Berlusconi è andato al San Raffaelelunedì per una visita durata circa 15 minuti con il suo medico personale, il dottor Alberto Zangrillo, il 26 agosto per una serie di analisi che hanno comportato il ricovero per una notte, mentre mercoledì scorso per altri accertamenti durati poche ore. Dal 2016 ad oggi “noi non abbiamo mai chiesto una verifica e un controllo sulle certificazioni”, ha sottolineato la pm Siciliano in Aula. “Le malattie si curano, ma la vecchiaia è una malattia ingravescente”, ha aggiunto, ricordando che il quadro rappresentato dalla difesa prima dell’estate presentava una “gravissima situazione psicologica” del leader di Fi. Nel corso dell’estate, però, le condizioni di Berlusconi apparivano migliorate: “Abbiamo visto che l’imputato Berlusconi stava meglio, lo abbiamo visto scorrazzare in kart nella sua Sardegna, parlare con i leader politici, decidere del nostro futuro e di quello dei nostri figli”, ha sottolineato l’aggiunta, precisando però che a fronte di questo “è arrivata la richiesta di legittimo impedimento” e “nuovi certificati fatti con la telemetria, cioè in una situazione tale che il medico non si è dovuto nemmeno scomodare a visitarlo”.

Quello di Berlusconi è un “quadro di malattia di vecchiaia, costellato da patologie compatibili con la vecchiaia, il quadro di uomo vecchio che nel corso della sua vita ha avuto tante patologie, un uomo molto vecchio, ripeto, con tante piccole fastidiose patologie”, ma che “se non fosse supportato da una serie di medici infinita e di avvocati sarebbe qui a farsi il processo”, ha detto Siciliano, spiegando che, anche sulla base delle relazioni mediche presentate dalla difesa, “questo quadro” non è “tale da costringere 50 persone a rinviare” il processo. L’istanza del leader di Fi, dunque, per l’aggiunta Siciliano e per il pm Luca Gaglio, doveva essere “respinta“.

Silvio Berlusconi ha “ancora necessità di riposo assoluto per evitare” ci sia ancora una “recrudescenza di questi episodi” di fibrillazione atriale cardiaca che sono quelli che più preoccupano il “pool” di medici che lo sta seguendo, ha invece spiegato l’avvocato Cecconi, illustrando ai giudici l’istanza di legittimo impedimento. “Tra il 30 agosto e l’1 settembre ha avuto vari episodi di fibrillazione, uno durato anche più di 9 ore“, ha aggiunto il legale, chiarendo poi che, secondo i medici, non si può escludere la “cronicizzazione” di questi problemi di salute. Stabilire se Berlusconi, per via dei suoi problemi di salute, abbia la capacita di stare in giudizio “è un problema legato proprio a queste situazioni che possono essere destabilizzanti anche perché incominciamo ad avvicinarsi a una serie di fasi processuali, come ad esempio l’interrogatorio, dove la sua presenza è inevitabilmente importante”, ha sostenuto ancora l’avvocato Cecconi.

Lo scorso 26 maggio il Tribunale aveva concesso un lungo rinvio di tre mesi e mezzo, rigettando la richiesta di accusa e difesa di stralciare temporaneamente la posizione di Berlusconi per andare avanti con il dibattimento solo per gli altri 28 imputati, tra cui le molte ‘olgettine‘ accusate di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari riguardo alle serate del ‘bunga-bunga‘. La difesa, comunque, ha già ottenuto lo ‘stralcio’ nel filone processuali sul Ruby ter pendente a Siena. Il processo va avanti dal 2017 senza che ancora si sia conclusa l’istruttoria dell’accusa: mancano due testi convocati dai pm tra cui il ragionier Giuseppe Spinelli, collaboratore fidato di Berlusconi e definito ‘ufficiale pagatore’ delle ragazze ospiti delle “cene eleganti”. Nel frattempo, le imputazioni di falsa testimonianza sono a un passo dalla prescrizione.

“La decisione del Tribunale mi sembra equilibrata a fronte di consulenze tecniche e certificazioni”, è stato il commento dell’avvocato Cecconi, dopo la decisione dei giudici. “È un po’ ondivaga la posizione della Procura, ma lo dico senza nessuna forma di polemica”, ha aggiunto. “Qui – ha proseguito Cecconi – ci sono i consulenti tecnici e poi i medici curanti di altissimo profilo che hanno fatto una fotografia molto asettica che noi doverosamente dovevamo rappresentare al Tribunale. Credo – ha spiegato – che in termini di onestà intellettuale si debba anche apprezzare che questi medici non hanno espresso poi una prognosi così circostanziata in termini di impedimento, ma hanno fatto una fotografia da adesso e quindi trovo che la valutazione, attraverso la quale il tribunale ha risolto questa diatriba, è molto ordinata e corretta”.

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Madia “copiona” perde la causa col Fatto: “Cronaca d’inchiesta”.

 

La sentenza: respinta la citazione della ex ministra.

Marianna Madia perde la causa civile contro il Fatto Quotidiano relativa alla sua tesi “copiata”. La dottoressa Damiana Colla del Tribunale di Roma ha infatti respinto la sua citazione contro il nostro giornale e i giornalisti Laura Margottini e Stefano Feltri sulla base di una sentenza che fa onore al lavoro giornalistico. Oltre a rigettare la domanda, il giudice condanna Madia al risarcimento delle spese nella misura di 6.183 euro “per compensi, oltre spese generali ed accessori come per legge”.

Il caso passa quindi il vaglio del Tribunale. I nostri articoli riferivano di una sostanziale copiatura da parte di Marianna Madia di parte della sua tesi di dottorato in Economia del Lavoro con la quale aveva conseguito nel 2008 il titolo presso la Scuola Imt di Lucca. Altra accusa è stata anche la sua mancata presenza presso l’Università olandese di Tilburg per svolgere un esperimento riportato nella medesima tesi di laurea, tale da determinare la contestazione circa la paternità dell’esperimento stesso.

A fronte di articoli documentati Madia ha deciso di citare il Fatto per diffamazione in una causa civile con richiesta di risarcimento “nella somma ritenuta per giustizia” e quindi non quantificata. L’accusa ai nostri giornalisti è stata, con molta sicurezza, quella di aver dato una notizia “falsa”.

E invece il Tribunale non solo conferma che la notizia non era falsa, ma dà atto a Margottini e Feltri di aver svolto un lavoro che rientra “pienamente nel giornalismo investigativo” portato avanti in modo “accurato con notizie rese con approfondimento e precisione”. Tra le prove di accuratezza c’è anche il fatto che Laura Margottini si è “premurata di acquisire il parere di un esperto in materia di plagio nel settore accademico (Gerhard Dannemann, componente del VroniPlag, ‘il gruppo di accademici che ha analizzato le tesi di dottorato di decine di politici e professori tedeschi’), il cui scambio di email è allegato in atti e il cui parere è riportato nel brano in esame”.

La documentazione prodotta ha dunque “confermato il fondamento dell’indagine e la sua finalità di ingenerare il sospetto di illeciti”.

“Quanto alla verità, prosegue la sentenza, nei limiti in cui tale requisito è applicabile al diritto di critica, deve appena rilevarsi che le frasi pronunciate dall’attrice sono da ritenersi riferite a notizia vera nel suo nucleo essenziale, considerato che proprio nella specie la testata convenuta e i suoi giornalisti hanno svolto attività di inchiesta nei confronti dell’attrice, finalizzata peraltro a ingenerare sospetti di plagio e a denunciare irregolarità nel percorso post universitario della Madia”.

“Non appaiono dunque condivisibili, in conclusione, le doglianze dell’attrice relative al preteso difetto di verità della notizia contenuta nei quattro articoli in contestazione”.

La copiatura è un fatto, tutto il resto chiacchiera.

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Ruby Ter, Berlusconi chiede un nuovo rinvio dell’udienza a Milano per motivi di salute.

 

L’istanza sarà valutata dai giudici della Settima sezione penale, presieduti da Marco Tremolada. Il tribunale aveva già concesso lo scorso maggio un lungo rinvio del processo per tutti gli imputati, sempre a causa delle sue condizioni di salute. Il leader di Forza è stato 3 volte al San Raffaele nelle ultime due settimane.

Richiesta di legittimo impedimento: Silvio Berlusconi ha depositato una richiesta di rinvio per motivi di salute dell’udienza prevista per domani, mercoledì 8 settembre, del processo Ruby Ter a Milano. L’istanza sarà valutata dai giudici della Settima sezione penale, presieduti da Marco Tremolada. Il tribunale aveva già concesso lo scorso maggio un lungo rinvio del dibattimento per tutti gli imputati, a cominciare dallo stesso leader di Forza Italia, sempre a causa delle sue condizioni di salute che aveva portato al rinvio di quattro udienze di seguito.

In quell’occasione i magistrati avevano respinto le istanze di accusa e difesa che chiedevano di separare la posizione di Berlusconi da quella degli altri 28 imputati per corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza nel filone milanese del processo. Analoga richiesta era stata avallata invece dai giudici del filone senese: nel capoluogo, dove la richiesta di condanna dell’accusa pende dal 2020, la posizione di Berlusconi è stata stralciata da quella dell’unico altro imputato, l’amico cantautore Mariano Apicella, che invece deve rispondere di falsa testimonianza.

Nelle ultime due settimane, Berlusconi è stato per tre volte all’ospedale San Raffaele. L’ultima volta è stata lunedì 6 per sottoporsi a un controllo medico di mezz’ora. Giusto una settimana fa, lo scorso primo settembre, il fondatore di Forza Italia era stato nella clinica per circa due ore. Alcuni giorni prima invece c’era stato l’ultimo ricovero, quello del 27 agosto. Il blitz dal medico personale, Alberto Zangrillo, ha ancora una volta agitato gli azzurri, anche se ormai il partito è abituato ai continui pit stop dell’ex presidente del Consiglio legati al suo stato di salute altalenante a causa delle aritmie cardiache dovute all’operazione a cuore aperto subita nel 2016 e agli effetti del long Covid post contagio, avvenuto esattamente un anno fa.

Il tema della separazione delle posizioni nel processo milanese potrebbe riproporsi in aula e già a maggio l’aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio avevano preannunciato la possibilità di richiedere ai giudici una perizia sulle condizioni di salute dell’ex premier. Ad ogni modo, si saprà domani se i giudici decideranno o meno di accogliere l’istanza di legittimo impedimento e di rinviare il processo per tutti e pure quale sarà la posizione della Procura. L’udienza dovrebbe tenersi in mattinata nell’aula bunker davanti al carcere di San Vittore, ma il collegio sta valutando anche se potrà tenersi, invece, al Palazzo di Giustizia e ciò dipenderà dalle attività di udienza che saranno necessarie.

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Per le grandi aziende il Covid è alle spalle: dividendi a livelli pre-crisi. E mentre i salari sono fermi, la paghe degli ad salgono del 19%. - Felice Meoli

 

Secondo l’ultimo aggiornamento del Global Dividend Index sulle 1.200 maggiori aziende al mondo per capitalizzazione di Borsa, nel 2021 i colossi globali pagheranno agli azionisti 1,39 trilioni di dollari. Intanto l'Economic Policy Institute rileva che nel 2020 i ceo delle 350 maggiori imprese Usa sono stati pagati in media 24,2 milioni di dollari, il 18,9% in più rispetto al 2019, grazie anche alla crescita dell’offerta di azioni nei pacchetti di remunerazione. Dal 1978 al 2020, i loro guadagni dei Ceo sono cresciuti del 1.322%, quelli dei lavoratori medi solo del 18%.

Il contesto economico continua a essere incerto, il monte salari delle aziende stenta a recuperare i livelli pre-pandemia e i sussidi finiscono nel mirino perché secondo gli imprenditori – e qualche politico – “scoraggiano il lavoro”. In un quadro a tinte fosche, l’altro lato della medaglia è vissuto invece da azionisti e amministratori delegati delle più grandi aziende del pianeta: i dividendi hanno ormai quasi chiuso il gap provocato dalla discontinuità pandemica e gli stipendi dei loro amministratori delegati, nell’anno della crisi sanitaria, sono cresciuti a doppia cifra. Con la crescita dell’offerta di azioni nei pacchetti di remunerazione i due gruppi – soci e ad – sempre di più vanno a sovrapporsi, determinando anche distorsioni nella governance, negli obiettivi e nella conduzione delle aziende. E ovviamente un aumento delle disuguaglianze: basti dire che dal 1978 al 2020 i guadagni dei Ceo sono cresciuti del 1.322%, mentre quelli dei lavoratori medi solo del 18 per cento.

Secondo l’ultimo aggiornamento del Global Dividend Index, studio trimestrale del gestore patrimoniale globale Janus Henderson sul pagamento delle cedole agli azionisti delle maggiori aziende del pianeta, dopo un anno di magra i colossi globali hanno riavviato la distribuzione dei dividendi, e nel 2021 saranno pagati 1,39 trilioni di dollari. In crescita rispetto agli 1,36 della precedente edizione dello studio, quasi al livello pre-pandemia. L’84% delle aziende considerate dal gestore patrimoniale ha aumentato o mantenuto stabili i dividendi nel secondo trimestre 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020, dividendi che nel trimestre sono cresciuti complessivamente del 26,3 per cento. La parte del leone l’ha fatta l’Europa, dove i dividendi sono saliti del 66,4 per cento. Alle sue spalle il Regno Unito (+60,9%), mentre il Giappone (+0,4%) e il Nord America (+5%) in questo frangente temporale solo apparentemente sono rimasti al palo. Risultati eclatanti per il Vecchio Continente, sia perché il secondo trimestre è tradizionalmente l’arco dell’anno in cui le società europee staccano le cedole in un’unica soluzione, sia perché dall’altra parte dell’Atlantico di fatto la distribuzione dei dividendi non si è mai interrotta, nemmeno nelle fasi più delicate della crisi.

L’indice analizza nel dettaglio le 1.200 maggiori aziende al mondo per capitalizzazione di Borsa, che distribuiscono il 90% di tutti i dividendi globali. Le successive 1.800 aziende, nell’insieme considerato, rappresentano solo il 10% complessivo, con effetti dunque limitati sui risultati generali. Per lo stesso principio idealmente paretiano, anche le prime 20 aziende della speciale classifica dell’Index, dunque meno del 2% del totale, distribuiscono il 20% dei dividendi complessivi. Samsung, Nestlé, Rio Tinto, Sberbank e Sanofi sono le 5 società che nel secondo trimestre di quest’anno hanno distribuito più dividendi agli azionisti. Insieme ad Allianz, China Mobile, Microsoft, Axa e AT&T completano le prime 10 posizioni. Queste aziende nel secondo trimestre di quest’anno hanno pagato agli azionisti dividendi per 59,9 miliardi di dollari. Altre cedole per 33,1 miliardi di dollari sono state staccate da Exxon, Apple, Toyota, Basf, Deutsche Telekom, Zurich Insurance, Walmart, HSBC, Credit Agricole e Johnson & Johnson. Secondo gli analisti, la crescita più importante nel periodo considerato ha riguardato le società minerarie, che hanno beneficiato del boom dei prezzi delle materie prime. Anche le società industriali e i produttori di beni di consumo hanno sperimentato una decisa ripresa, nonostante alcuni sotto-settori, come quello del tempo libero, rimangano sotto forte pressione. Le società finanziarie restano invece vincolate alle decisioni dei regolatori e ai limiti imposti in alcune aree del globo alle banche.

Ma non sono solo gli azionisti delle più grandi multinazionali a sorridere, secondo i dati dell’Economic Policy Institute, che ha invece analizzato gli stipendi degli amministratori delegati delle 350 maggiori aziende americane, nell’ultimo anno cresciuti più del mercato borsistico e dei salari dei lavoratori. Due gruppi – azionisti e amministratori delegati – che diventano sempre più coincidenti. Nel 2020, i ceo sono stati pagati in media 24,2 milioni di dollari, il 18,9% in più rispetto al 2019, grazie anche alla crescita dell’offerta di azioni nei pacchetti di remunerazione e all’esercizio di stock option. Nel 2020 il rapporto tra la retribuzione del ceo e quella del lavoratore medio è stato mediamente di 351 a 1, ovvero per ogni dollaro di salario del lavoratore medio, l’amministratore delegato ne ha guadagnati 351. Nel 2019 questo rapporto era di 307 a 1, nel 1989 di 61 a 1, nel 1963 di 21 a 1. Dal 1978 al 2020, i guadagni dei Ceo sono cresciuti del 1.322%, mentre quelli dei lavoratori medi solo del 18 per cento.

“Le paga esorbitante dei Ceo è una delle principali cause dell’aumento della disuguaglianza che potremmo tranquillamente eliminare. I Ceo stanno ottenendo di più grazie al loro potere di fissare gli stipendi e perché gran parte della loro retribuzione (oltre l’80%) è correlata alle azioni di Borsa, non perché stiano aumentando la produttività o posseggano competenze specifiche e molto richieste”, afferma l’Economic Policy Institute. Il think tank ha infatti messo a confronto le retribuzioni dei Ceo anche con i salari dello 0,1% che guadagna di più, ovvero il gruppo di lavoratori che guadagna più del 99,9% degli altri salariati. Nel 2019, ultimo anno di disponibilità dei dati per i migliori salariati, la retribuzione dei Ceo è stata 6,44 volte maggiore dello 0,1% dei più ricchi salariati, un rapporto che nel periodo 1947-1979 si fermava a 3,18 volte. Eppure, anche questo gruppo non è rimasto al palo, e ha visto crescere i propri guadagni dal 1978 al 2019 del 341 per cento. Ma le retribuzioni dei Ceo, nello stesso periodo, sono cresciute ben tre volte tanto.

La maggior parte dei pacchetti retributivi dei Ceo prevede un aumento della paga ogni volta che il valore delle azioni dell’azienda aumenta; cioè, consentono agli amministratori delegati di incassare le stock option indipendentemente dal fatto che l’aumento del valore delle azioni dell’azienda sia stato maggiore rispetto ad altre società dello stesso settore. Allo stesso modo, i premi in azioni aumentano di valore quando il prezzo delle azioni dell’impresa aumenta a seguito di una escalation dei prezzi delle azioni nel mercato borsistico. “Se le tasse sulle società vengono ridotte e i profitti aumentano, portando a prezzi delle azioni più alti, è corretto affermare che i Ceo hanno migliorato le prestazioni delle loro aziende?”, si chiedono retoricamente i ricercatori. Che indicano anche qualche strada da percorrere: aliquote marginali più alte per i redditi dei vertici della piramide, più tasse per le aziende con un rapporto elevato tra retribuzione del Ceo e salario medio del lavoratore, interventi di antitrust e regolatori e voce in capitolo di tutta la compagine azionaria sulle retribuzioni dei top executive.

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Abbiamo scherzato. - Marco Travaglio

 

Più passano i giorni, più appare chiaro che Draghi non ha alcuna intenzione di imporre i vaccini forzati a 4-5 milioni di No Vax: il suo annuncio “si va verso l’obbligo vaccinale” era una boutade, un ballon d’essai, uno spaventapasseri per indurre il fu Salvini a più miti consigli sul Green Pass. Come quando i genitori, per costringere il bimbo riottoso a fare qualcosa, lo minacciano: “Guarda che chiamo il babau e ti faccio mangiare”. Il bello è che nel frattempo la sparacchiata draghiana, come ogni sospiro o droplet che esce dalla sua bocca, ha già fatto il pieno di consensi: un festival di lingue, salmi, cantici e gridolini di giubilo (Evviva! Era ora! Lo dicevo, io! Sante parole! È un bel presidente!), seguiti dalla scomunica per chiunque obietti qualcosa (Vergogna! Orrore! No Vax che non siete altro!). Figurarsi che faccia faranno i turiferari quando si scoprirà che quel mattacchione di SuperMario scherzava. La scena ne ricorda una del 2006, quando B. in forma smagliante dichiarò testualmente: “Nella Cina di Mao i comunisti non mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi”. L’ambasciatore cinese protestò. Ma lui insistette: “Ma è la Storia! Mica li ho bolliti io, i ragazzini. Se poi non si può nemmeno esprimere una certezza…”.

Intanto i suoi servi sciocchi, anziché sorvolare per carità di patria, si scapicollarono a dargli ragione. Il più lesto, oltre ai camerieri di FI, Lega e An, fu Renato Farina che lanciò la lingua oltre l’ostacolo su Libero: “Ecco le prove: mangiavano i bimbi. Un libro conferma la verità di Berlusconi. E la sinistra, negando, uccide un’altra volta… Su questi bambini ci si scherza su. Come se fosse una barzelletta. Siccome la frase è di Berlusconi, diventa una battuta… Altro che balle. Balle una sega… Ha assolutamente ragione”. Un altro noto sinologo di scuola arcoriana, Filippo Facci, scodellò sul Giornale un altro studio molto accurato sul tema, dal titolo: “Li mangiano ancora”: “In Corea del Nord ultimamente si sono perpetuati cannibalismi e assassini a scopo alimentare a causa di carestie, inondazioni e disperazione”, senza peraltro spiegare che diavolo c’entrasse la Corea del Nord con i “bambini bolliti per concimare i campi” nella Cina di Mao. Mentre Betulla, Facci e gli altri scudi umani sudavano le sette camicie su Google a caccia di altre minchiate da appiccicare a quella del padrone, quello se ne uscì bello fresco con una ritrattazione in piena regola: “Be’, sì, sulla Cina ho fatto un’ironia discutibile, non mi sono trattenuto…”. E li lasciò lì con le lingue a penzoloni, esposti al ludibrio generale: avevano trasformato in dogma una battuta. La cosa comunque non arrecò nocumento alle loro carriere: per non perdere la faccia, il segreto è non averne una.

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martedì 7 settembre 2021

Draghi ordina, Salvini si piega: adesso più Green pass per tutti. - Giacomo Salvini

 

Il cul de sac è evidente anche ai suoi fedelissimi: “Come si muove, Matteo prende sberle”. Così è stato giovedì scorso quando il presidente del Consiglio, Mario Draghi, per reagire al voto contrario della Lega in commissione sul Green pass, ha rilanciato sull’estensione del certificato verde e sull’obbligo vaccinale, e così sarà nei prossimi giorni quando Matteo Salvini dovrà ingoiare anche l’estensione del pass per i lavoratori. A spiegarglielo sarà Draghi in persona nelle prossime ore a Palazzo Chigi: “Sul Green pass non sono ammessi scherzi” è la linea del premier. E Salvini dovrà accettarlo. Il leader della Lega dunque è isolato e, dicono, sempre più nervoso. Perché sulle misure anti-pandemia alla fine si piegherà alla volontà del premier e alle altre forze di maggioranza che stanno appoggiando in toto la linea di Draghi: tra oggi e domani arriverà il voto alla Camera sul decreto che ha introdotto il Green pass e la Lega sarà costretta a dire “sì” – fiducia o non fiducia – rimangiandosi il voto in commissione per abolirlo; poi in cabina di regia i leghisti appoggeranno anche l’estensione del certificato verde per i dipendenti pubblici. Ipotesi che fino a qualche giorno fa Salvini vedeva come fumo negli occhi. E invece, su pressione dei governatori del nord e dei governisti guidati da Giancarlo Giorgetti, il segretario dovrà cambiare idea. Lo ha spiegato ieri proprio il ministro dello Sviluppo Economico che prevede “un’estensione del Green pass” per i lavoratori perché il certificato deve essere “uno strumento di sicurezza nei luoghi affollati”. D’accordo Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia: “Il certificato serve per migliorare la nostra vita”.

Ma Salvini ha grossi problemi anche fuori dal governo. L’altro incubo è quello delle prossime amministrative che potrebbero segnare non solo una pesante sconfitta nelle grandi città ma anche il sorpasso di Fratelli d’Italia nel voto di lista. E i sondaggi che girano a via Bellerio non sono rassicuranti: secondo le ultime rilevazioni FdI triplicherebbe la Lega a Roma (20 a 7%), la doppierebbe in Calabria (16 a 8%) e i due partiti sarebbero appaiati intorno al 10-11% a Milano e Napoli. Il sorpasso nel capoluogo lombardo, spinto dalla candidatura di Vittorio Feltri con Giorgia Meloni, sarebbe una batosta pesante per Salvini, perché Milano è la sua città natale e considerata un luogo simbolo del Carroccio. Per questo ieri pomeriggio Salvini ha convocato la segreteria federale e ha dato la sveglia ai suoi: “Bisogna fare una campagna pancia a terra a Roma, Milano e Napoli – ha detto – io farò 80 comizi in un mese”. Ma l’isolamento e le sberle ricevute negli ultimi giorni stanno portando Salvini ad aprire sempre nuovi fronti nel governo: l’abolizione del Reddito di cittadinanza, gli attacchi alla ministra Lamorgese sugli sbarchi, la battaglia su Quota 100 e l’appoggio a Roberto Cingolani sul ritorno al nucleare. Un modo per mettere pressione su Draghi. “Ma così Salvini spara a salve – attacca un ministro – perché non può permettersi di lasciare l’esecutivo con tutti i soldi del Pnrr”.

Il primo test arriverà oggi sul voto alla Camera. Ieri la Lega ha chiesto in una riunione di maggioranza di non mettere la fiducia ma allo stesso tempo ha deciso di non ritirare i 5 emendamenti che chiedono di eliminare l’obbligo del pass per gli under 12, di introdurre i test salivari e il risarcimento danni da vaccino. Che, se aggiunti ai 10 di FdI, potrebbero mettere in crisi la maggioranza nei voti segreti. Draghi deciderà se mettere o meno la fiducia ma se non lo farà la norma passerà con il voto della Lega. Poi arriverà il decreto per estendere il pass: la cabina di regia non è stata ancora convocata e potrebbe slittare alla prossima settimana. Ma, nel giorno in cui Roberto Speranza annuncia la terza dose da fine settembre e l’estensione “a breve” del pass, il governo vuole introdurre l’obbligo del certificato per i lavoratori da ottobre, dando 15 giorni di tempo ai non vaccinati per fare la prima dose: riguarderà i dipendenti pubblici e quelli di ristoranti, bar, palestre e mezzi pubblici. Per questo ieri Draghi ha ricevuto a Palazzo Chigi il segretario della Cgil Maurizio Landini e in serata i sindacati hanno visto i vertici di Confindustria per parlare del tema. Ma la strada ormai è tracciata.

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Quirinale a ore. - Marco Travaglio

 

Dopo Benigni al Festival di Venezia, anche il cantante Marco Mengoni al Salone del Mobile di Rho-Pero, forse influenzato dal clima di antiquariato e modernariato, ha chiesto a Mattarella di restare ancora un po’. Come nel 2013 con Re Giorgio I e poi II, è partita la rumba delle perorazioni al capo dello Stato perché accetti la rielezione. Non per 7 anni, come prevedrebbe quel testo desueto chiamato Costituzione, ma solo un po’, per tenere in caldo la poltrona a Sua Altezza Reale Mario I, che poi deciderà quando ascendere al Colle dopo avere spicciato le ultime faccende a Palazzo Chigi. Come se il Quirinale fosse un albergo a ore. Immaginate cosa pensano all’estero di un Paese che, su 950 parlamentari, non ne trova uno in grado di fare il presidente della Repubblica, cioè di dire quattro banalità a Capodanno (“vestitevi che fa freddo, mettetevi le galosce”), baciare bambini, tagliare nastri ed estrarre dal cilindro un banchiere o chi per lui nelle crisi più serie. Anzi, uno ce l’avremmo, ma purtroppo fa già il premier e, se trasloca, restiamo senza e non troviamo più nessuno in grado di guidare il governo, pur formato integralmente da Migliori.

Questa barzelletta fa ridere in Italia, figuriamoci fuori dalla cinta daziaria. Eppure è il mantra che salmodiano i giornaloni e seguiteranno a biascicarlo fino alla data di scadenza di Mattarella. I Costituenti, che avevano chiara la distinzione fra una Repubblica e una Monarchia (gli italiani avevano appena scelto la prima e salutato la seconda), assegnarono al capo dello Stato un mandato settennale per sganciarlo dalla logica maggioranza-opposizione e affinché l’interessato ne avesse abbastanza. Infatti nessun presidente pensò al bis fino a Napolitano, che ruppe la tradizione. E non, come ci fu raccontato, perché non c’erano alternative, ma proprio perché c’erano: Prodi e Rodotà, che però minacciavano un governo coi vincitori delle elezioni (M5S e Pd), anziché con gli sconfitti. Infatti i padroni del vapore imbalsamarono il loro santo patrono al Colle per propiziare il governo Letta, cioè l’ammucchiata fra Pd e sconfitti (FI e montiani), e tagliar fuori i vincitori. Ora i soliti noti ritentano l’audace colpo per tagliar fuori M5S e Meloni dal prossimo governo con un’ammucchiata ancor più vasta (ora c’è pure la Lega perché i partiti “affidabili” si sono ristretti un altro po’). Se Mattarella e i suoi fan pelosi vogliono provarci, liberissimi. Ma ci risparmino le balle tipo “non ci sono alternative”, “ce lo chiede l’Europa” e “il presidente è costretto al bis”. Le alternative sono almeno 950. In Europa, quando scade un presidente, se ne fa un altro. E nessun presidente può essere costretto al bis: se non vuole, lo dice chiaro e il Parlamento elegge un altro.

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