giovedì 10 ottobre 2024

Il Nobel per la Fisica a John J. Hopfield e Geoffrey E. Hinton.

 

Il Premio Nobel per la Fisica del 2024 è stato assegnato a John J. Hopfield e Geoffrey E. Hinton «per le scoperte e le invenzioni fondamentali che consentono l’apprendimento automatico con reti neurali artificiali».

Hopfield e Hinton hanno preso in prestito sistemi e strumenti dalla fisica per sviluppare i sistemi di apprendimento automatico (“machine learning”) che oggi fanno funzionare alcuni dei più famosi sistemi di intelligenza artificiale. I loro studi hanno permesso di sviluppare soluzioni per trovare andamenti e modelli nei dati, derivando da questi le informazioni. Il lavoro di Hopfield e Hinton è stato quindi fondamentale per sviluppare le tecnologie che fanno funzionare le reti neurali, cioè i sistemi che provano a imitare le nostre capacità di apprendimento e della memoria.

Nei primi tempi dell’informatica, gli algoritmi erano scritti dalle persone e la loro principale utilità era di indicare al sistema che cosa fare nel caso di una determinata circostanza, una indicazione piuttosto semplice riassumibile in: “Se si verifica questo allora fai quello”. Algoritmi, codice e altre variabili determinano il funzionamento di un software, cioè di un programma informatico, come il browser sul quale si è caricata la pagina che state leggendo in questo momento. Un algoritmo può essere definito come una sequenza finita di istruzioni per risolvere un determinato insieme di richieste o per calcolare un risultato.

Ci sono molti ambiti in cui i dati e i “se questo allora quello” da considerare sono tantissimi, una quantità tale da non poter essere gestita con istruzioni scritte a mano: più dati e più variabili portano a più eccezioni da prevedere e indicare al software per dire come comportarsi, ma se le eccezioni sono miliardi il compito non può essere assolto da dieci, cento o mille programmatori.

Questa difficoltà è stata superata con il machine learning (ML), cioè l’attività di apprendimento dei computer tramite i dati. Mette insieme l’informatica con la statistica, con algoritmi che man mano che analizzano i dati trovando andamenti e ripetizioni, sulla base dei quali possono fare previsioni. L’apprendimento può essere supervisionato, cioè basato su una serie di esempi ideali, oppure non supervisionato, in cui è il sistema a trovare i modi in cui organizzare i dati, senza avere specifici obiettivi.

Messa in altri termini: per fare una torta il software tradizionale segue una ricetta con l’elenco degli ingredienti e le istruzioni passo passo, mentre un software basato sul ML impara attraverso degli esempi osservando una grande quantità di torte, sbagliando e riprovando fino a quando non ottiene un risultato in linea con la richiesta iniziale. Per farlo ha bisogno di una rete neurale artificiale, un modello di elaborazione dei dati che si ispira al funzionamento delle reti neurali biologiche, come quelle nel nostro cervello.

Le reti neurali artificiali hanno richiesto decenni per essere sviluppate e perfezionate, con grandi difficoltà legate soprattutto alle ridotte capacità di elaborazione dei computer per buona parte del Novecento. Le cose iniziarono a cambiare nei primi anni Ottanta quando il fisico John Hopfield fissò in un modello matematico i principi per realizzare una rete neurale che simula la nostra capacità di ricordare e di ricostruire le immagini nella nostra mente. Hopfield aveva sviluppato il modello attingendo dalle proprie conoscenze in fisica e in particolare dalle proprietà magnetiche di alcuni materiali che condizionano il comportamento dei loro atomi.

Una rete di Hopfield funziona memorizzando dei modelli, come immagini e schemi, e poi richiamandoli quando riceve un input parziale oppure distorto come un’immagine incompleta o poco definita. Il sistema prova a minimizzare l’energia complessiva, cioè cerca di raggiungere uno stato stabile riducendo il disordine che rende instabile lo stato di partenza della rete. In pratica, quando la rete riceve un’immagine incompleta o rumorosa, “esplora” varie possibili configurazioni per ridurre l’energia complessiva, finché non trova una configurazione che corrisponde a un modello memorizzato, cioè a un’immagine “stabile” e riconoscibile. In questo modo può dire che una certa immagine mai analizzata prima assomiglia a una delle immagini che ha già in memoria.

Negli anni seguenti alla pubblicazione del modello di Hopfield, Geoffrey Hinton lavorò a un sistema che aggiungeva alcuni principi di fisica statistica, cioè quella parte della fisica che utilizza metodi statistici per risolvere problemi. Elaborò la “macchina di Boltzmann”, basata sulla distribuzione che porta il nome del fisico austriaco Ludwig Boltzmann.

La macchina di Boltzmann è un tipo di rete neurale usato per riconoscere particolari schemi nei dati. Per farlo utilizza due tipi di nodi: i nodi visibili, che ricevono l’informazione, e i nodi nascosti, che aiutano a elaborare queste informazioni senza essere visibili direttamente. Questi nodi interagiscono tra loro e influenzano l’energia complessiva della rete.

La rete funziona aggiornando uno alla volta i valori dei nodi, fino a raggiungere uno stato stabile, in cui il comportamento complessivo della rete non cambia più. Ogni possibile configurazione della rete ha una probabilità, determinata dall’energia della rete stessa. In questo modo, la macchina può generare nuovi modelli partendo da ciò che ha imparato. La macchina impara dagli esempi durante il suo allenamento: i valori delle connessioni tra i nodi vengono aggiornati in modo che i modelli presentati abbiano la probabilità più alta di essere ricreati, quindi più un modello viene ripetuto, più aumenta la probabilità che la rete lo ricordi.

Con i loro lavori ispirati alla fisica, Hopfield e Hinton hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo del machine learning, soprattutto negli ultimi 15 anni grazie all’aumentata capacità di calcolo dei processori. A distanza di anni, i grandi progressi partiti dalla fisica potrebbero avere importanti ricadute per la fisica stessa con l’elaborazione di nuovi modelli per effettuare misurazioni più accurate, per esempio escludendo il rumore di fondo nello studio delle onde gravitazionali. Le possibilità di impiego dei sistemi di intelligenza artificiale sono comunque sterminate e toccano praticamente qualsiasi ambito della ricerca.

John J. Hopfield è nato nel 1933 a Chicago, negli Stati Uniti, ed è docente alla Princeton University.
Geoffrey E. Hinton è nato nel 1947 a Londra, nel Regno Unito, ed è docente presso l’Università di Toronto in Canada. È stato ricercatore e dirigente di Google, incarico che ha lasciato lo scorso anno sollevando alcune perplessità e preoccupazioni sulla rapida evoluzione di alcuni sistemi di intelligenza artificiale.

https://www.ilpost.it/2024/10/08/nobel-fisica-2024/?fbclid=IwY2xjawF0g8NleHRuA2FlbQIxMQABHSUu0mHgIho7_QT2A8SUSna5LwGwEByMkmNRYHK94qmRwPIgrjMumm2qPA_aem_dOn1LM5W4z06zHb55XBvig

Qualcosa di inimmaginabile è successo dentro l'acceleratore di particelle al CERN. - Salvo Privitera

 

Un evento rarissimo ha illuminato il mondo della fisica delle particelle: al CERN, nel cuore dell'esperimento NA62, è stato osservato un fenomeno subatomico straordinario, con il potenziale di riscrivere il nostro attuale modello della fisica.

I ricercatori hanno misurato il decadimento di un kaone carico, una particella subatomica formata da due quark, in un modo talmente raro che si verifica meno di una volta ogni dieci miliardi di casi.

Questo tipo di decadimento, noto come "canale d'oro", è stato predetto con estrema precisione dal modello standard della fisica delle particelle, il quadro teorico che governa il comportamento delle particelle elementari. Tuttavia, la possibilità di osservare questo decadimento offre agli scienziati un'opportunità unica: testare i limiti di questa teoria e aprire la porta a una nuova fisica se venissero rilevate delle deviazioni.

L'esperimento ha richiesto l'utilizzo del Super Proton Synchrotron del CERN, un potente acceleratore di particelle che ha sparato un fascio ad alta intensità di protoni contro un bersaglio stazionario, producendo particelle secondarie come i kaoni. E con un pizzico di fortuna, i ricercatori sono riusciti a catturare il momento preciso in cui i kaoni si sono disintegrati in una particella chiamata pione, insieme a un neutrino e un anti-neutrino.

Il risultato è stato sorprendente: il decadimento ultra-raro è stato osservato circa 13 volte ogni 100 miliardi, una frequenza del 50% superiore a quella prevista dal modello standard.

https://tech.everyeye.it/notizie/inimmaginabile-successo-acceleratore-particelle-cern-745211.html?fbclid=IwY2xjawF0gXpleHRuA2FlbQIxMQABHQwryCuAa4kMPNCHAeDawCaCQaoWsh_F6a5tZ9NTS0O22aQSMXRHpMAhPQ_aem_vHbvBjtguJIIOYLKrKCrRQ

Nobel per la Chimica 2024 – Premiati David Baker, Demis Hassabis, John M. Jumper per gli studi sulle proteine

 

Sono scienziati impegnati nello studio delle proteine “gli ingegnosi strumenti chimici della vita” i vincitori del Nobel per la Chimica 2024. Si tratta di David Baker, Demis Hassabis, John M. Jumper e l’Accademia di Svezia ha deciso di assegnare il premio con una metà a Baker “per la progettazione delle proteine computazionali” e l’altra metà congiuntamente a Hassabis e Jumper “per la previsione della struttura proteica”.

“David Baker è riuscito con l’impresa quasi impossibile di costruire proteine completamente nuove. Demis Hassabis e John Jumper hanno sviluppato un modello di AI per risolvere un problema vecchio di 50 anni: prevedere le strutture complesse delle proteine. Queste scoperte hanno un enorme potenziale. La diversità della vita testimonia la sorprendente capacità delle proteine come strumenti chimici. Controllano e guidano tutte le reazioni chimiche che insieme sono la base della vita. Le proteine funzionano anche come ormoni, sostanze segnali, anticorpi e mattoni di diversi tessuti – prosegue la nota -. Le proteine consistono generalmente in 20 diversi amminoacidi, che possono essere descritti come elementi costitutivi della vita. Nel 2003 David Baker riuscì ad usare questi blocchi per progettare una nuova proteina diversa da qualsiasi altra proteina. Da allora, il suo gruppo di ricerca ha prodotto una creazione di proteine fantasiose dopo l’altra, comprese proteine che possono essere utilizzate come farmaci, vaccini, nanomateriali e piccoli sensori. La seconda scoperta riguarda la previsione delle strutture proteiche. Nelle proteine, gli amminoacidi sono collegati tra loro in lunghe stringhe che si piegano per creare una struttura tridimensionale, decisiva per la funzione della proteina. Fin dagli anni ’70, i ricercatori avevano cercato di prevedere strutture proteiche dalle sequenze di amminoacidi, ma questo era notoriamente difficile. Tuttavia, quattro anni fa, ci fu una svolta sorprendente”.

“Nel 2020, Demis Hassabis e John Jumper hanno presentato un modello di AI chiamato AlphaFold2. Con il suo aiuto, sono riusciti a prevedere la struttura di quasi tutte le 200 milioni di proteine individuate dai ricercatori. Dalla loro svolta, AlphaFold2 è stato usato da più di due milioni di persone provenienti da 190 paesi. Tra una miriade di applicazioni scientifiche, i ricercatori possono ora comprendere meglio la resistenza agli antibiotici e creare immagini di enzimi in grado di decomporre la plastica. La vita non potrebbe esistere senza proteine. Il fatto che ora possiamo prevedere strutture proteiche e progettare le nostre proteine conferisce il maggior beneficio all’umanità” dice l’Accademia di Svezia.

L’atlantista piangente - Marco Travaglio

In principio c’era l’atlantista vanaglorioso, tipo Rampini, che ringrazia l’Occidente di tutti i crimini e i disastri che ha seminato nel mondo. C’era l’atlantista fantasy, tipo Severgnini, che raccontava come Putin senza la Nato sarebbe già a Lisbona (o a Rimini: variante Di Bella).

C’era l’atlantista trionfalista, tipo Parsi, che da due anni e mezzo narra le travolgenti vittorie di Ucraina+Nato sul campo di battaglia, dove nessuno ne ha mai vista una. C’era l’atlantista da lista, tipo Riotta, che addita immaginari nemici dell’Occidente al soldo di Putin. C’era l’atlantista complottista, tipo Crosetto o Fubini, che vedeva Putin e i Wagner anche sotto il suo letto. Ora c’è una nuova sfumatura di Nato: l’atlantista piangente. Tipo il direttore del Corriere che ribalta il doppio standard usato dall’Occidente sulle guerre impunite di Netanyahu e su quelle punitissime di Putin lacrimando come una fontana, anzi un Fontana: “Perché tanto odio per Israele e tanta comprensione per Putin?”

Par di sognare: Putin è sotto sanzioni dal 2014, quando violò il diritto internazionale per riprendersi senza colpo ferire la Crimea, da sempre russa. Sanzioni centuplicate quando violò il diritto internazionale nel 2022 per invadere l’Ucraina e prendersi le regioni russofone che i governi nati da un’altra violazione del diritto internazionale – il golpe bianco-nero di Euromaidan per rovesciare un presidente eletto, ma inviso a Nato e Ue – bombardavano da otto anni. Da 31 mesi Nato e Ue armano Kiev (che non è né Nato né Ue) non solo per aiutarla a difendersi, ma anche per “sconfiggere la Russia” senza neppure dichiararle guerra.

E ora, salvo rare eccezioni, la autorizzano a invadere e bombardare la Russia con i loro missili. Chiudono gli occhi sulle sue attività terroristiche in Germania, Russia, Africa e persino Ucraina. E applaudono se la Corte dell’Aja spicca un mandato di cattura contro Putin, ma strillano se il procuratore lo chiede per Netanyahu (senza per ora ottenerlo) su crimini di guerra molto più gravi di quelli di Putin: 42 mila morti civili in un anno nella striscia di Gaza abitata da 2,5 milioni di persone e vasta 360 kmq (l’1,3% della Crimea), oltre a bombardamenti in Cisgiordania, Libano, Siria, Iran, Iraq e Yemen. L’atlantista piangente fa il finto tonto: perché i civili “morti il 7 ottobre e in Ucraina contano molto meno per tanti presunti democratici”?

Ma non è che contano molto meno: è che sono molti meno, sia in proporzione sia in termini assoluti. E poi chi manifesta in Occidente lo fa perché contesta la politica dei suoi governi, incoerenti con i principi che professano. Dai terroristi e dagli autocrati non si aspetta che diventino buoni per le sue proteste: lo spera da quelli che si spacciano per buoni quando gli chiedono il voto.

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L’uragano, il rutto e la sconfitta ucraina. - Tommaso Merlo

 

Quando arriva un uragano è come in guerra. Ti avvisano di evacuare, parti coi tuoi stracci e poi attendi la distruzione nella speranza di poter ricominciare una vita tra le macerie. Nella ricca Florida come nel martoriato Medioriente, con l’unica eccezione di Gaza dove si viene sterminati anche nei rifugi. Ma ormai il genocidio è talmente sanguinario da non fare più notizia mentre la parola pace non esce più nemmeno per sbaglio dalla bocca dei reggenti. È tornata di moda la guerra e le mandrie si accodano sonnolente verso il burrone. Al bar come nei palazzi del potere dove si è appena insediato il nuovo segretario della Nato, l’olandese Mark Rutte. Nomen omen. Non ha fatto in tempo ad accomodarsi sulla poltrona che ha subito ruttato che servono 150.000 soldati in più alla Nato. Carne fresca in vista del terzo macello mondiale e da selezionare con cura tra gli allevamenti di poveri cristi. Rutto ha anche tuonato che i paesi membri dovrebbero spendere più del 2 percento del loro Pil in armamenti, perché sarebbe questa la vera priorità dei poveri cristi. Missili, bombe e contraerea per difenderci dall’efferata Russia che brama di fagocitarci. Già, come no. Ma del resto se la pensava diversamente o meglio se pensava, la poltrona se la scordava. Oggi come oggi conformismo ed arrivismo sono sinonimi e se va di moda la guerra, tutti in mimetica. Tra i primi incontri in agenda del neo segretario Nato quello con un altro protagonista assoluto della nostra epoca, la volpe della steppa Zelensky impegnato nell’ennesimo giro delle sette chiese. Cosa elemosini non è certo una novità, armi per proseguire la cavalcata e soldi per mantenere quello che resta dello stato ucraino. Zelenskyy ha in tasca un piano di pace che prevede la guerra e un paio di chicche. Pare che sia disposto a trattare con la Russia se si ritira da tutto il territorio ucraino. Davvero geniale, chiedere ai vincitori di perdere. Zelenskyy vuole poi che Putin paghi per i crimini di guerra commessi come se l’Ucraina sparasse fiori coi nostri cannoni. Qualcuno dovrebbe spiegare a Zelenskyy che in guerra le condizioni le dettano i vincitori, agli sconfitti spettano giusto le modalità della resa. Ed è questo il dilemma ucraino ma anche occidentale: continuare a buttare benzina sul fuoco per ragioni di principio o presunte tali, oppure smetterla di litigare come bambini dell’asilo e tornare a ragionare da persone adulte e negoziare. Del resto dalle scarse informazioni che filtrano dalle trincee, la situazione appare drammatica. I politicanti aprono bocca e gli danno fiato ma secondo gli analisti militari l’esercito ucraino potrebbe cedere per mancanza di uomini. Molti persi nelle quotidiane carneficine altri fuggiti a gambe levate. E anche i tanto conclamati missili a lungo raggio non sarebbero decisivi. L’unico modo per cambiare le sorti del conflitto sarebbe l’ingresso della Nato ma questo vorrebbe dire guerra mondiale e pure atomica e sembra che nemmeno gli Stati Uniti la vogliano al momento. Anche perché sono divisi internamente, la Harris gira con pistola e tanica in mano mentre quel marpione di Trump si sente di nascosto con Putin da anni e in caso di bis ha preannunciato che manderà Zelensky a quel paese. Siamo a quasi tre anni dall’escalation, l’Ucraina è in cenere eppure non c’è un leader europeo in grado di lanciare una valida iniziativa diplomatica. Non c’è nessuno che ha il coraggio di proporre una alternativa differenziandosi dalle mandrie che procedono sonnolente verso il burrone. Passiamo da un uragano di guerra all’altro e la parola pace non esce più nemmeno per sbaglio dalla bocca dei reggenti. Come se non capissero che il vero ed unico piano per la vittoria dell’Ucraina come di tutti noi, sia quello di far tornare di moda la pace.

Tommaso Merlo

martedì 8 ottobre 2024

Mantide curiosa.

La foto risale al 2016; ricordo che, mentre la fotografavo, mi guardava incuriosita, ma non è scappata.

cetta.

Trovati microrganismi ancora vivi in una roccia di 2 miliardi di anni fa. - Dénise Meloni

 Mentre le rocce marziane sono generalmente molto più vecchie (da 20 a 30 miliardi di anni): “Il rover Perseverance della NASA dovrebbe attualmente riportare sulla Terra rocce di età simile a quelle che abbiamo utilizzato in questo studio. Trovare vita microbica in campioni della Terra risalenti a 2 miliardi di anni fa ed essere in grado di confermare con precisione la loro autenticità mi rende entusiasta di quello che potremmo essere in grado di trovare ora nei campioni di Marte”.


Una roccia vecchia di 2 miliardi di anni, che è stata dissotterrata in Sudafrica, ospita anche sacche di microrganismi che sono ancora vivi e rigogliosi. Essendo in circolazione da eoni, questi sono i più antichi esempi di organismi viventi mai trovati all'interno di rocce antiche.

Microrganismi viventi rintracciati nelle fratture del campione di roccia risalente a 2 miliardi di anni fa.

Non sapevamo se rocce vecchie di 2 miliardi di anni fossero abitabili. Finora, lo strato geologico più antico in cui erano stati trovati microrganismi viventi era un deposito di 100 milioni di anni sotto il fondale oceanico, quindi questa è una scoperta molto interessante“, ha affermato Yohey Suzuki dell’Università di Tokyo, autore principale di uno studio che presenta la nuova scoperta.

Studiando il DNA e i genomi di microrganismi viventi come questi, potremmo essere in grado di comprendere l’evoluzione della vita primitiva sulla Terra”.

I microrganismi viventi sono stati trovati all’interno di una frattura sigillata nell’antica roccia, che è stata scavata dal Bushveld Igneous Complex in Sudafrica, un’intrusione rocciosa che si è formata quando il magma si è lentamente raffreddato sotto la superficie terrestre.

L’enorme complesso copre un’area approssimativamente delle dimensioni dell’Irlanda e contiene alcuni dei depositi di minerali più ricchi della Terra, tra cui circa il 70 percento del platino estratto al mondo. È rimasto relativamente invariato dalla sua formazione, fornendo condizioni perfette in cui l’antica vita microbica ha potuto sopravvivere.

Lo studio.

Tali organismi, che vivono molto al di sotto della superficie terrestre, si evolvono in modo incredibilmente lento e hanno un metabolismo estremamente lento, il che significa che possono persistere nelle rocce ignee per intere scale temporali geologiche, fino a 2 miliardi di anni, come hanno dimostrato le ultime ricerche.

Con l’aiuto dell’International Continental Scientific Drilling Program, i ricercatori hanno perforato 15 metri sottoterra per recuperare un campione di carotaggio di roccia lungo 30 centimetri. Dopo un’ispezione più attenta, il team ha trovato cellule di microrganismi viventi strettamente compresse in fratture all’interno della roccia, isolate dall’ambiente esterno da fessure riempite di argilla.

Per confermare che i microrganismi fossero nativi del campione di roccia e non fossero contaminanti derivanti dai processi di perforazione o esame, hanno colorato il loro DNA e utilizzato la spettroscopia infrarossa per osservare le proteine al loro interno e quelle nell’argilla circostante, una tecnica di cui erano stati pionieri nel 2020. Questo ha permesso loro di determinare che gli organismi arcaici erano vivi e non contaminati.

Trattandosi dei microrganismi viventi più antichi mai rinvenuti in campioni di roccia, le implicazioni della loro scoperta sono di vasta portata, potenzialmente estese fino al Pianeta Rosso.

Sono molto interessato all’esistenza di microbi del sottosuolo non solo sulla Terra, ma anche alla possibilità di trovarli su altri pianeti“, ha affermato Suzuki. .

Conclusioni.

Mentre le rocce marziane sono generalmente molto più vecchie (da 20 a 30 miliardi di anni): “Il rover Perseverance della NASA dovrebbe attualmente riportare sulla Terra rocce di età simile a quelle che abbiamo utilizzato in questo studio. Trovare vita microbica in campioni della Terra risalenti a 2 miliardi di anni fa ed essere in grado di confermare con precisione la loro autenticità mi rende entusiasta di quello che potremmo essere in grado di trovare ora nei campioni di Marte, ha concluso l’esperto.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Microbial Ecology.

https://reccom.org/microrganismi-ancora-vivi-rintracciati-roccia/