domenica 19 ottobre 2025

𝗨𝗟𝗧𝗜𝗠𝗢 𝗔𝗩𝗩𝗘𝗥𝗧𝗜𝗠𝗘𝗡𝗧𝗢 𝗗I 𝗣𝗨𝗧𝗜𝗡 𝗔𝗟 𝗣𝗥𝗘𝗦𝗜𝗗𝗘𝗡𝗧𝗘 𝗙𝗥𝗔𝗡𝗖𝗘𝗦𝗘 𝗠𝗔𝗖𝗥𝗢𝗡:

 

"Signore e signori, ho ascoltato attentamente le parole del Presidente Emmanuel Macron, che ha sottolineato la fine dell’egemonia occidentale e l’emergere di un mondo multipolare. Ha ragione su un punto essenziale: il mondo sta cambiando profondamente, ma dimentica di spiegare perché e, soprattutto, dimentica di riconoscere che la Francia e l’Occidente stanno combattendo la Russia oggi proprio perché si rifiutano di accettare questa realtà.

Oggi, la Russia è bersaglio di sanzioni, attacchi diplomatici, economici, informativi e persino militari, come in Ucraina.

Perché? Perché l’Occidente si rifiuta di accettare che la sua era di egemonia incontrastata sia finita. Perché l’Occidente si rifiuta di vedere altre nazioni difendere i propri interessi, i propri valori e la propria sovranità.

L’Occidente parla di libertà e democrazia, ma cosa ha fatto per secoli? Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo, Belgio, Paesi Bassi: hanno tutti colonizzato quasi tutto il pianeta. Dimmi dove, in quale parte del mondo, l’Occidente non ha messo piede e imposto la sua legge?

In Africa, la Francia ha tracciato confini arbitrari, sfruttato risorse e costretto milioni di persone a spostarsi. In Asia, gli inglesi hanno ridotto in schiavitù intere popolazioni, dall’India alla Cina. In America, le potenze europee hanno massacrato intere civiltà. E ancora oggi, attraverso la NATO, vogliono imporre il loro modello ovunque.

Il signor Marcon parla dell’ispirazione politica dell’Europa. Ma dov’è questa ispirazione?
L’Europa segue gli Stati Uniti in tutte le sue guerre, senza esitazione: Iraq, Libia, Siria. Ogni volta, causa centinaia di migliaia di morti. È questa l’ispirazione?

E non ditemi che la Russia è un pericolo per il mondo. Per oltre duecento anni, l’Occidente ha cercato di distruggere la Russia: Napoleone venne a Mosca, convinto di poter sottomettere il nostro Paese. Se ne andò sconfitto nella neve.
La Germania lanciò la più grande guerra d’invasione contro di noi. Fu spezzata a Stalingrado, a Kursk e persino nelle strade di Berlino. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti cercarono di soffocare la nostra economia, di accerchiarci, di provocare colpi di stato tra i nostri vicini, eppure siamo ancora qui.

La Russia ha attraversato prove difficili, ma nessuno è riuscito a sconfiggerci. Perché stiamo combattendo non solo per la nostra terra, ma anche per la nostra civiltà, i nostri valori e la nostra dignità.

Oggi non è più solo la Russia a rifiutare l’egemonia occidentale; la Cina si sta facendo avanti; l’India sta affermando la sua visione del mondo; l’Africa si sta gradualmente liberando dalla tutela straniera; anche l’America Latina sta cercando la propria voce. Non è più un mondo dominato da una singola potenza o da un singolo blocco: siamo entrati in un’era multipolare.
E nessuno potrà fermarla. Ecco perché Francia, Europa e Occidente sostengono l’Ucraina contro la Russia. Non per amore del popolo ucraino, ma perché vogliono usare questo Paese come pedina per cercare di indebolire la Russia, per contenere il nostro sviluppo e impedire che questo mondo multipolare prenda forma.

Voglio dire al Presidente Macron e ai suoi colleghi europei: non potete andare controcorrente per sempre, parlate di valori ma rifiutate di rispettare le scelte dei popoli, parlate di diritto internazionale ma lo violate non appena non serve più ai vostri interessi, parlate di pace ma seminate guerra ovunque interveniate.

La Russia non è nemica di nessuno, ma non permetteremo mai a nessuno di decidere il nostro futuro.

Vogliamo cooperazione, ma una cooperazione su un piano di parità. Vogliamo la pace, ma non a scapito della nostra libertà, della nostra identità. E sia chiaro: nessuno sconfiggerà mai la Russia. Abbiamo sopportato secoli di difficoltà, abbiamo visto imperi nascere e cadere, e siamo ancora qui. E saremo lì domani, in questo nuovo mondo multipolare che sta già nascendo".

Inferno Rosso

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Egitto: "il pozzo a gradini dei faraoni".

 

Nelle profondità delle sabbie dell'Egitto si trova una misteriosa meraviglia spesso chiamata "il pozzo a gradini dei faraoni": un'antica struttura sotterranea avvolta nella leggenda e nella genialità architettonica.
A differenza delle famose piramidi che si ergevano verso il cielo, questo monumento discendeva nella terra, simboleggiando un viaggio verso gli inferi e il regno degli dei.
Gli archeologi ritengono che il pozzo a gradini risalga all'Antico Regno d'Egitto e che sia stato probabilmente costruito durante il regno di un faraone meno noto che cercava di sfruttare sia l'acqua che il divino.
Scavata nel calcare, la scalinata a spirale scende attorno a un pozzo centrale che un tempo convogliava l'acqua sotterranea, una caratteristica rara nel paesaggio desertico della valle del Nilo.
Le iscrizioni geroglifiche lungo le pareti raffigurano sacerdoti che eseguono riti di purificazione, suggerendo che il pozzo svolgeva non solo scopi pratici ma anche sacri.
Alcuni studiosi paragonano il suo design ai successivi pozzi a gradini indiani, sollevando intriganti interrogativi sulle antiche influenze interculturali o su un parallelo genio ingegneristico.
Nel corso dei millenni, le sabbie mobili hanno seppellito il sito, preservandone le camere e le incisioni in condizioni straordinarie fino alla loro riscoperta da parte degli archeologi nel XX secolo.
Gli scavi hanno portato alla luce intricati sistemi di drenaggio e nicchie cerimoniali, il che suggerisce che potrebbe aver fatto parte di un complesso templare dedicato a Osiride, dio dell'aldilà.
Oggi, "Il pozzo a gradini dei faraoni" è un inquietante promemoria delle innovazioni dimenticate dell'Egitto, dove acqua, architettura e spiritualità si incontravano in perfetta armonia.

Le sue profondità silenziose continuano a suscitare meraviglia, invitandoci a guardare non solo verso l'alto, verso le piramidi, ma anche verso il basso, nel cuore nascosto dell'antico Egitto.

sabato 18 ottobre 2025

Travaglio. Notizie bomba.

 

La bomba contro Sigfrido Ranucci non è un attentato o un avvertimento a tutti i giornalisti. Magari lo fosse: vorrebbe dire che la democrazia è sana e il “quarto potere” funziona. Ma allora colpirne un singolo esponente sarebbe inutile, perché poi bisognerebbe colpirli tutti; anzi dannoso, perché si scatenerebbe la reazione di tutti. Invece di giornalisti come Sigfrido e gli altri di Report ce ne sono pochi, pochissimi: li conosciamo per nome e cognome perché quelli che danno notizie proibite e fanno domande indiscrete si contano sulle dita delle mani di un monco. La stragrande maggioranza degli iscritti all’Albo nessuno si sognerebbe di toccarla, perché non ha mai dato fastidio a nessuno e ha sempre fatto comodo a tutti. Quindi la bomba – qualunque ne sia la matrice – era contro Ranucci e Report, non contro una categoria popolata di soggetti che Sigfrido si vergognerebbe di chiamare “colleghi”. E chi l’ha piazzata è andato a colpo sicuro, nel senso che intorno a lui c’è quasi il vuoto. Contro Report – da Gabanelli a Ranucci – gran parte della politica si esercita da trent’anni al tiro al bersaglio, dalle destre al Pd alle frattaglie “riformiste” (la Gabanelli, uscita da Report per lavorare al portale delle news Rai, fu messa alla porta nella luminosa èra renziana, che aveva pure Ranucci nel mirino ben prima dell’avvento di “TeleMeloni”). La lista dei politici che chiedono di punire o di chiudere Report, e intanto lo coprono di cause civili e querele, è sterminata, fino alla patetica sceneggiata di Gasparri in Vigilanza con carota e cognac contro Ranucci “per dargli coraggio” (di cui carota e cognac sono notoriamente i simboli), essendo il Gasparri un celebre cuor di leone che denuncia chi lo critica e corre a piangere da mammà per l’immunità quando qualcuno lo querela perchè lui l’ha insultato.

Poi c’è la lista dei grandi gruppi economici e finanziari che, appena Report li sfiora, corrono in tribunale, peraltro con grave sprezzo del pericolo. Infine c’è la pletora di “giornalisti” e “critici televisivi” che, non contenti di leccare il potere, si scagliano pure contro Report perché ha l’ardire di smascherarlo, mettendoli in mutande. Sono gli stessi che ora attaccano Crozza, reo di fare satira solitaria in un Paese che, dopo il giornalismo, ha abolito pure quella. Gli stessi che, quando Assange era recluso in un’ambasciata e poi in un carcere a Londra, fischiettavano o gli davano della spia russa perché, diversamente da loro, faceva bene il suo mestiere. È questo il vero “isolamento” che espone al pericolo alcuni giornalisti, magistrati e figure di contro-potere: non il fatto di avere contro il potere (questo è fisiologico), ma di essere così pochi da sembrare strani o deviati. Quindi più facili da eliminare o silenziare. 

Marco Travaglio FQ 18 ottobre 2025

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La solidarietà salverà il mondo! - Solidarietà a Ranucci, eroe dei nostri tempi

 



Cancro, terapie innovative.

 

Gli scienziati della Johns Hopkins University hanno creato un innovativo interruttore proteico capace di rivoltare le cellule cancerose contro se stesse.

Questa tecnologia rivoluzionaria induce le cellule tumorali a produrre internamente farmaci anticancro e a innescare la propria autodistruzione, senza danneggiare le cellule sane.

Il metodo funziona introducendo nel corpo un profarmaco, ossia una forma inattiva di chemioterapia. L’interruttore proteico è progettato specificamente per riconoscere i marcatori unici presenti solo nelle cellule tumorali.

Una volta all’interno, l’interruttore attiva il profarmaco, trasformando le cellule cancerose in vere e proprie fabbriche di farmaci autodistruttivi.

Questa precisione nel bersaglio riduce in modo significativo gli effetti collaterali dannosi tipici della chemioterapia tradizionale, poiché le cellule sane restano illese.

I test di laboratorio hanno già mostrato risultati promettenti su cellule di tumore al colon e al seno, e i ricercatori intendono ora passare alle prove sugli animali.

Con un ulteriore sviluppo, questa tecnica potrebbe rivoluzionare il trattamento del cancro, rendendo le terapie più mirate, personalizzate e molto meno tossiche.

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Bologna, al Rizzoli i medici “congelano” i tumori: sei pazienti curati con una tecnica innovativa.

 

All’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna è stata sperimentata con successo una tecnica innovativa capace di “congelare” i tumori. Sei pazienti, affetti da una forma rara di tumore chiamata fibromatosi desmoide, sono stati trattati con la crioterapia, un procedimento che utilizza il freddo estremo per distruggere le cellule malate.
Si tratta di un risultato che rappresenta un passo importante nella medicina italiana, perché dimostra come tecniche meno invasive e più mirate possano offrire nuove speranze anche in casi complessi o recidivanti.

Un tumore raro ma insidioso.

La fibromatosi desmoide non è un tumore maligno nel senso classico del termine: non produce metastasi e non si diffonde in altri organi, ma può comportarsi in modo molto aggressivo. Si sviluppa nei tessuti connettivi, nei muscoli o vicino ai tendini, crescendo lentamente ma in maniera invasiva, tanto da comprimere nervi, organi e strutture vitali.
Spesso chi ne è colpito convive per anni con dolore cronico o limitazioni funzionali, perché la massa, pur non essendo cancerosa, può risultare difficile da rimuovere completamente senza danneggiare le aree circostanti.

La chirurgia tradizionale, in questi casi, non sempre è risolutiva. Anche dopo un intervento perfettamente eseguito, il rischio di recidiva rimane alto. Per questo motivo i medici del Rizzoli hanno deciso di sperimentare un approccio diverso, capace di colpire solo il tessuto malato senza compromettere quello sano.

Come funziona la crioterapia.

La crioterapia, detta anche crioablazione, si basa su un principio semplice: il freddo può uccidere le cellule.
Durante il trattamento, i medici inseriscono delle sottili sonde metalliche – chiamate ago-sonde – direttamente all’interno del tumore, sotto la guida di tecniche radiologiche di precisione. Attraverso queste sonde viene fatto passare un gas ad altissima pressione, che provoca un rapido abbassamento della temperatura fino a raggiungere circa -80 gradi Celsius.

In pochi minuti si forma attorno al tumore una sorta di “bolla di ghiaccio” che congela i tessuti malati. Questo shock termico rompe le membrane cellulari, danneggia i vasi sanguigni che alimentano la massa e porta le cellule tumorali alla morte.
Nei giorni e nelle settimane successive, il corpo umano assorbe gradualmente il tessuto necrotico, riducendo la massa e alleviando i sintomi.

Il grande vantaggio della crioterapia è che consente di preservare i tessuti sani, riducendo il rischio di complicazioni e rendendo spesso inutile un intervento chirurgico invasivo. Inoltre, il paziente può tornare alle proprie attività in pochi giorni, con un tempo di recupero minimo e senza le cicatrici o i disagi tipici della chirurgia tradizionale.

I sei pazienti trattati.

Al Rizzoli, la procedura è stata applicata su sei persone di età e condizioni diverse, tutte affette da fibromatosi desmoide* in aree difficilmente operabili.
In alcuni casi, i pazienti avevano già subito interventi chirurgici o trattamenti farmacologici senza risultati soddisfacenti. La crioterapia è stata quindi una sorta di ultima risorsa, ma con esiti sorprendenti.

Già dopo i primi mesi di follow-up, i medici hanno osservato una significativa riduzione del volume dei tumori e, soprattutto, un miglioramento del dolore e della qualità della vita. In uno dei casi più emblematici, un paziente che da anni viveva con dolori persistenti è tornato a condurre una vita normale dopo una sola seduta.
Nessuno dei sei pazienti ha riportato complicazioni gravi, e nei controlli successivi non si sono registrate nuove crescite della massa.

Un passo avanti per la medicina mininvasiva.

Il successo di questi trattamenti rappresenta un importante segnale per la medicina moderna.
Negli ultimi anni, la tendenza è quella di ridurre sempre più la traumaticità delle cure, cercando di sostituire gli interventi chirurgici con tecniche percutanee, cioè eseguite attraverso la pelle, con aghi o microsonde.

La crioterapia è già impiegata in altri ambiti della medicina, ad esempio nella cura di alcune forme di tumore al rene, al fegato o alla prostata, ma la sua applicazione sui tessuti muscolo-scheletrici è ancora relativamente recente.
Il lavoro svolto a Bologna apre, quindi, la strada a nuove possibilità terapeutiche anche per tumori benigni ma difficili da gestire, o per recidive localizzate dove la chirurgia risulterebbe troppo rischiosa.

Un futuro promettente.

I medici del Rizzoli, incoraggiati dai risultati, stanno ora ampliando il campo di studio per capire se la crioterapia possa essere applicata anche ad altri tipi di lesioni.
Il passo successivo sarà raccogliere dati su un numero più ampio di pazienti, per verificare l’efficacia nel lungo periodo e valutare eventuali limiti o effetti collaterali non ancora osservati.

Un aspetto interessante della crioablazione è la possibilità di personalizzare il trattamento: grazie alle immagini radiologiche, i medici possono controllare in tempo reale la diffusione del freddo, assicurandosi che l’intera massa tumorale venga trattata, ma senza danneggiare organi o nervi vicini. Questo livello di precisione, impensabile solo pochi anni fa, è frutto di un’evoluzione tecnologica continua.

Una nuova speranza per i pazienti

Il caso dei sei pazienti di Bologna è un esempio concreto di come la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica possano migliorare la qualità della vita anche in situazioni che sembravano senza soluzione.
Non si tratta di una cura universale per tutti i tipi di tumore, ma di una nuova arma a disposizione dei medici, da affiancare alle terapie tradizionali.

L’obiettivo finale è chiaro: offrire trattamenti sempre più efficaci, meno dolorosi e con minori conseguenze per chi già combatte una battaglia difficile.

Conclusione

La sperimentazione condotta al Rizzoli dimostra che la crioterapia può rappresentare una rivoluzione silenziosa nella cura dei tumori benigni ma aggressivi.
“Congelare” un tumore non è più un’immagine simbolica, ma una realtà clinica che sta dando risultati tangibili.

Mentre la scienza continua a perfezionare queste tecniche, l’esperienza bolognese resta un orgoglio per la medicina italiana e una fonte di speranza per molti pazienti: perché a volte, anche nel gelo, può nascere la vita.

(*tumori benigni del tessuto molle, ma localmente aggressivi)

https://www.social-magazine.it/al-rizzoli-di-bologna-medici-congelano-i-tumori-la-nuova-terapia-che-elimina-le-masse-senza-bisturi-ne-chemio/

SUMMIT TRUMP-PUTIN: LA RIVINCITA DI ORBAN E LA “VARIABILE CUBANA”.

 

Interessante analisi di Gianandrea Gaiani sui motivi nascosti che potrebbero pesare sulla decisione di Trump di non fornire i missili Tomahawk a Kiev.
[…] dovremmo chiederci quanto abbia influito, non solo nella apparente decisione di Trump di frenare sulla fornitura dei Tomahawk a Kiev, ma sul contesto complessivo che ha portato i due presidenti a decidere di vedersi in un campo amichevole per entrambi (Budapest), un elemento del tutto esterno alla guerra in Ucraina e che potremmo definire la “variabile cubana”.
Anche se, come spesso accade per le notizie davvero rilevanti, i nostri media e TV non ne hanno quasi per nulla riferito, l’8 dicembre il Consiglio della Federazione Russa ha ratificato, in sessione plenaria, l’accordo intergovernativo di cooperazione militare con Cuba che fornisce piena base giuridica per definire gli obiettivi, le modalità e gli ambiti della cooperazione militare tra i due Paesi, rafforzando ulteriormente i legami bilaterali nel settore della difesa.
L’accordo era stato firmato il 13 marzo all’Avana e il 19 marzo a Mosca. In passato, esperti e funzionari russi avevano ipotizzato un possibile dispiegamento di sistemi militari russi nell’area caraibica, tra cui Cuba e il Venezuela. La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha ribadito che eventuali decisioni in tal senso rientrano nelle competenze del ministero della Difesa.
[…]
Per intenderci, è probabile che Putin abbia spiegato a Trump che in risposta ai Tomahawk in Ucraina, la Russia potrebbe schierare i missili ipersonici Kinzhal o Oreschnik a Cuba.
continua su Analisi Difesa

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