lunedì 18 maggio 2020

Perchè altrimenti siamo fottuti. - Roger Hallam

Extinction Rebellion. Settimana di ribellione internazionale ...

Il fondatore del movimento per salvare il pianeta “Extinction Rebellion”: il virus ci insegna che dipendiamo dalla natura tanto quanto la natura dipende da noi. Perciò va preservata.

Ho scritto questo libro sulla crisi climatica e l’inerente bisogno di una disobbedienza civile di massa prima che esplodesse la tragica pandemia del coronavirus. In occasione della sua pubblicazione in Italia, sento il dovere di anteporvi questa breve premessa, conscio di quanto ora più che mai sia impossibile affrontare un discorso sulla catastrofe del clima senza menzionare le terribili sofferenze che l’attuale emergenza sta infliggendo alla popolazione italiana e a milioni di altri cittadini in tutto il mondo. La diffusione del contagio ci ricorda che non siamo avulsi dall’ambiente naturale, bensì a esso interconnessi per molteplici aspetti quotidiani che spaziano dal bisogno di respirare a quello di assumere cibo. Dipendiamo dalla natura tanto quanto la natura dipende da noi. Il virus ci ha messo ancora una volta di fronte a un dato di fatto: siamo tutti mortali e inermi di fronte a determinate manifestazioni del cosmo. Siamo ormai tutti consapevoli di quanto il nostro pianeta si regga su un equilibrio ecologico estremamente fragile che, quando viene alterato, tende a ricercare un nuovo assetto condannando all’estinzione un gran numero di specie viventi. Ci basti osservare il ritmo con cui aumentano le epidemie man mano che proseguiamo nella distruzione indiscriminata della biodiversità. Ecco perché, se non ridurremo l’emissione di gas serra nell’atmosfera, condanneremo le prossime generazioni a livelli inimmaginabili di sofferenza. Dopo tre decenni di grida d’allarme inascoltate da parte della scienza, la nostra inerzia ci ha condotti sull’orlo del baratro. La crisi ecologica è a un punto di non ritorno, pari a quello che ha portato alla diffusione incontrollata del coronavirus. Non è una corrente politica o l’opinione di una minoranza ad affermarlo. È la scienza nuda e cruda. (…) È ORA DI APRIRE GLI OCCHI e guardare in faccia la realtà. Esistono fatti immutabili e incontrovertibili, tra cui le leggi della fisica: se la temperatura aumenta, i ghiacci si sciolgono; in condizioni di siccità i raccolti muoiono; gli incendi distruggono le foreste. Sono tutti fenomeni reali, e questo è solo un assaggio di ciò che ci aspetta. All’orizzonte si profila il collasso ecologico. L’estinzione o la sopravvivenza della specie umana dipenderà in larga parte dalla capacità delle nostre società di attuare, nei prossimi dieci anni, cambiamenti rivoluzionari. Qui l’ideologia non c’entra. Si tratta di pura matematica e fisica. Secondo le Nazioni unite, per contenere l’innalzamento delle temperature entro la soglia di sicurezza di 1,5°C, entro il 2030 dovremmo dimezzare le emissioni di anidride carbonica. La stima rischia di essere ottimistica, visto che, stando agli ultimi rilevamenti, il permafrost si sta sciogliendo con novant’anni di anticipo e i ghiacciai dell’Himalaya stanno scomparendo due volte più in fretta del previsto. Anche senza tener conto di ulteriori incrementi della temperatura provocati dalle emissioni antropiche, nel giro di dieci anni basteranno gli effetti di feedback e l’attuale ciclo di riscaldamento a determinare un aumento della temperatura di 2 °C. In breve, siamo fottuti. Resta solo da capire fino a che punto e quanto tempo ci rimane. DOBBIAMO RASSEGNARCI a questa fatalità? Secondo me no. In molti ormai, superando la debolezza umana di coprirsi gli occhi di fronte alle verità sgradevoli, sono arrivati ad accettare i fatti a cui la scienza ci mette di fronte già da un pezzo. Tuttavia non ne hanno ancora elaborato le implicazioni politiche e sociali. (…) Serve un’immediata inversione di rotta, che non potrà essere attuata senza una rivolta e una trasformazione radicale delle nostre società e della nostra politica. E non parlo di semplici avvicendamenti tra partiti ai vertici del potere. Quello che serve è uno stravolgimento della struttura stessa delle nostre società. Proprio come le specie viventi, le istituzioni non sono capaci di evolversi in maniera repentina. Affinché il cambiamento avvenga in tempo utile, bisogna rimpiazzarle con nuovi sistemi politici, sociali e culturali. (…) Si tratta di agire sul senso comune. Nel 1776, Thomas Paine scrisse un pamphlet intitolato proprio Common Sense per dire ai cittadini delle colonie americane ciò che in cuor loro sapevano già ma non osavano esprimere apertamente: bisognava dichiarare l’indipendenza dalla Corona britannica. Quel testo fu letto soltanto dal 10% della popolazione, eppure gli si riconosce il merito di aver infuso a molti americani il coraggio di fare quel salto verso l’ignoto. Lo scopo del mio libro è identico. La verità che comunica la conosciamo già: così non si può andare avanti. Ormai può salvarci solo una rivoluzione della società e degli Stati, un tuffo nell’ignoto come quello sollecitato da Paine. (...) Da un punto di vista prettamente sociale, è un dato di fatto che la cultura riformista, di sinistra come di destra, tipica dell’at - tuale società neoliberista non sia adatta allo scopo. Detto fuori dai denti, le Ong, i partiti e i movimenti politici che ci hanno portati al disastro degli ultimi trent’anni – dal 1990 le emissioni globali di CO2 sono aumentate del 60% – rappresentano l’intralcio più grosso al cambiamento. Si ostinano a proporre soluzioni graduali, spacciandole per efficaci. (...) Il nuovo paradigma impone di passare dalle parole all’azione, dalle proteste alla violazione in massa della legge attraverso la disobbedienza civile nonviolenta, dall’esclusivismo elitista alla mobilitazione democratica popolare. (…) Bisogna agire subito, in prima persona e senza aspettare l’intervento delle caste al potere. Già oggi esiste un movimento di transizione. È essenziale ampliarlo in maniera massiccia e integrarlo con la ribellione. È degli ultimi mesi del 2019 la notizia paradossale secondo cui nel mondo vengono investiti circa 1,9 trilioni di dollari nel gas e nel carbone, proprio mentre l’elettricità prodotta dai pannelli solari e dalle turbine eoliche è sul punto di diventare meno costosa dei combustibili fossili a livello globale, e in molti Paesi lo è già. Non c’è tempo da perdere. Bisogna agire. Sarà una bella avventura.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/05/17/perche-altrimenti-siam-fottuti/5804260/

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

FCA: prestito miliardario garantito dallo Stato? I dettagli
Viva la Fca (che dio la benedica)/1. “L’innovativo accordo riconoscerebbe il ruolo del settore automobilistico nazionale” (comunicato Fca, 16.5). “Formula innovativa. Un modello per tutta l’economia”, “È un’operazione del tutto innovativa, quella che vede protagonista Fca, il governo e Intesa” (Francesco Manacorda, Repubblica, 17.5). “Va sottolineata la portata fortemente innovativa dell’operazione… per la ripartenza del sistema industriale” (Teodoro Chiarelli, La Stampa, 17.5). Miliardi pubblici alla Fiat: una cosa mai vista.
Viva la Fca (che dio la benedica)/2. “Il prestito fino a 6,3 miliardi di euro che la prima banca italiana si avvia ad assicurare con la garanzia pubblica della Sace a Fca Italy, capogruppo del colosso automobilistico del nostro Paese, servirà ad assistere con nuova liquidità tutta la filiera del settore ‘automotive’, raggiungendo decine di migliaia di lavoratori e di piccole e medie imprese… Il primo grande prestito garantito dallo Stato dell’era post-Covid19… coinvolge, anche grazie alla forza di una grande azienda multinazionale fortemente radicata in Italia, … imprese e lavoratori sul territorio e dà una spinta forte all’economia” (Manacorda, ibidem). Ah ecco, non li prendono per sé, ma per i lavoratori e le piccole imprese. Lo fanno per noi.
Viva la Fca (che dio la benedica)/3. “È un esempio che mette in secondo piano le polemiche in queste ore sul fatto che la holding Fca e la sua controllante Exor … abbiano sede legale in Olanda” (Manacorda, ibidem). Vuoi vedere che, niente niente, Repubblica e Stampa hanno qualcosa a che fare con la Fca?
Viva la Fca (che dio la benedica)/4. “La scelta di spostare la sede delle holding fuori dall’Italia è stata ed è comune a molte multinazionali italiane non solo per vantaggi fiscali offerti da altre legislazioni, ma anche per una linearità del diritto societario che in Italia è difficile trovare” (Manacorda, ibidem). Quando si dice parlare del Manacorda in casa del finanziato.
Test o croce/1. “Sconsiglio il test sierologico, ma in caso di positività la Regione lo rimborsa” (Attilio Fontana, Lega, presidente Lombardia, Italpress,17.5). Quindi ammalarsi conviene.
Test o croce/2. “Sì, io ho posto il problema delle regole di comportamento… uguali in ogni regione. Ma poi ognuno si regola come meglio crede” (Fontana, La Stampa, 16.5). Ma un bel Tso no?
Giù le manette. “Gli errori li ha fatti il governo. Giù le mani dalla Lombardia” (Roberto Formigoni, ex presidente Regione Lombardia, rubrica “La frustata”, Libero, 17.5). Ce le vuole rimettere lui?
Rosé. “A Conte dico: la nostra pazienza è finita” (Ettore Rosato, presidente Iv, Riformista, 9.5). Brrr che paura.
Bluff. “La sconfitta di Bonafede… Non si possono rimandare i mafiosi in carcere per decreto, checché ne dica la propaganda del M5S” (Annalisa Cuzzocrea, Repubblica, 7.5). “Bluff di Bonafede sui boss scarcerati” (il Giornale, 11.5). “Flick svela il bluff del governo ‘No, il decreto Bonafede non riporterà i mafiosi in carcere’” (Il Foglio, 13.5). “Ritorna in cella il boss Sacco” (Corriere della sera, 13.5). “Zagaria tra i primi a tornare in carcere” (Repubblica, 14.5). Quindi, se non è il dl Bonafede, sono i boss che tornano in galera spontaneamente?
Comprensione. “Capisco l’imprenditore che si è tolto la vita” (Silvio Berlusconi, Libero, 11.5). Non aveva una villa in Costa Azzurra.
Cazzullate. “Le lacrime della Bellanova sono state forse il momento migliore di questo governo” (Aldo Cazzullo, Corriere della sera, 16.5). Sono soddisfazioni.
Al Renzhab. “Per salvare Bonafede dalla sfiducia, Italia Viva rivuole la prescrizione” (Il Dubbio, 13.5). Cos’è, una richiesta di riscatto?
Neurodeliri. “Questi neuro comunisti al potere espopriano il nostro spazio vitale” (Marcello Veneziani, La Verità, 15.5). “Abusi, cialtronerie, crisi gravissima. Urge gente seria o esplode la bomba” (Veneziani, ibidem, 13.5). Perchè autoescludersi così?
I governi della settimana. “Conte nuova bestia nera del M5S” (La Verità, 12.5). “Conte nel mirino del fuoco amico. L’ira degli alleati: 5Stelle allo sbando” (Messaggero, 12.5). “La crisi è in atto” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 13.5). “Premier sotto assedio. Il Pd: ‘Così non va’. E spinge per il rimpasto” (il Giornale, 14.5). “Rissa M5S e tutti contro Conte” (Messaggero, 14.5). “Il governo dei tamponi: anche il rimpasto al buio potrebbe essere letale” (Augusto Minzolini, il Giornale, 15.5). “Assedio giallorosso a Conte: vogliono imporgli l’agenda” (il Giornale, 16.5). “Governo in lockdown tra affanni e sospetti” (Verderami, Corriere, 16.5). Ci siamo: praticamente è fatta.

“I soldi statali fanno gola: ora vogliono buttarci giù”. - Carlo Tecce

“I soldi statali fanno gola: ora vogliono buttarci giù”

Il vicesegretario Pd Orlando: “Pure i giornali dei grandi gruppi sono della partita”.
“Noi spendiamo ottanta miliardi di euro per la pandemia e nelle prossime settimane vedrete gruppi editoriali e centri di potere che tenteranno di buttare giù il governo”, ieri Andrea Orlando, vicesegretario del Partito democratico, un politico dai toni sempre pacati, l’ha detto due volte. In teleconferenza a un evento dem di Milano e poi, in serata, al Fatto. Orlando, c’è in atto un complotto? “Mi creda, il mio ragionamento è più semplice. Questo governo fu generato dal desiderio di strappare l’Italia dalle grinfie di Matteo Salvini. Per alcuni era una soluzione balneare, un mezzo più o meno comodo e sicuro per giungere alle elezioni. Invece adesso indichiamo un percorso e dettiamo le regole in una situazione eccezionale. Con le manovre che abbiamo approvato mettiamo in circolo denaro come mai accaduto negli anni scorsi. E fa gola. Lo Stato si riappropria di un ruolo a cui aveva rinunciato. In quattro o cinque mesi si definirà un futuro di cinque o dieci anni. Noi alziamo la posta, altri alzano la pressione. Anche gli editori, diciamo non puri, sono interessati a gestire o almeno a sfruttare questo momento straordinario. Qualcuno potrebbe promuovere stravolgimenti della maggioranza”.
L’ex ministro è severo con la Fca che s’avvia a ottenere una garanzia statale, attraverso Sace e per merito del decreto liquidità, a un prestito bancario di 6,3 miliardi di euro: “Chiede aiuti all’Italia? Bene, allora riporti la sede fiscale qui”. E sempre a Fca della famiglia Elkann/Agnelli, nella veste di proprietaria del gruppo Gedi, cioè dell’ex gruppo Espresso e di Repubblica, si riferisce Orlando: “Se gli assetti azionari non sono mutati all’improvviso, i grandi gruppi editoriali italiani sono in mano a grandi gruppi economici. Quotidiani, settimanali, televisioni. Io non faccio nomi, non esamino la scelta del nuovo corso di Repubblica con l’addio di Carlo Verdelli. La mia riflessione è di facile interpretazione, è generica e vale per molti. Ho già spiegato che ci parleranno della capacità comunicativa del premier Conte o dell’errore di questo o quel ministro, ma l’argomento principale sarà diverso e più delicato: costruire un’altra formula politica. A noi spetta il compito di essere lucidi, respingere e smentire queste ipotesi che entreranno nel dibattito pubblico da qui a pochi giorni. Dobbiamo essere consapevoli senza aver paura”. In conferenza stampa a palazzo Chigi, il premier Conte ha commentato l’intervento di Orlando in maniera più sfumata, ma ripetendo un concetto simile: “Sui giornali leggiamo di tentativi di spallate. A parte il chiacchiericcio, noi dobbiamo concentrarci sugli obiettivi. Stanno arrivando cospicui finanziamenti e noi confidiamo nell’appoggio delle forze sane del Paese”.
Poi il premier ha parlato pure del supporto a Fca: “Se ne può beneficiare, vuol dire che risponde alle prescrizioni: non è un privilegio concesso a qualcuno. Stiamo comunque parlando, al di là della capogruppo, di società e fabbriche italiane che producono in Italia e occupano tantissimi lavoratori. Ma è un problema all’ordine del giorno e – ha annunciato Conte – lo affronteremo nel decreto semplificazioni: non dobbiamo porci il problema di chi sta in Inghilterra in Olanda o altri Paesi, ma rendere più attraente il nostro ordinamento giuridico. C’è un ordinamento giuridico più attraente in Olanda? Stiamo lavorando a questo. Ovviamente ci sono anche le agevolazioni fiscali: non intendiamo più lasciare questi vantaggi ai nostri concorrenti, addirittura nell’Unione europea”. Buone “prossime settimane” a tutti.

I grandi editori (impuri) dietro i media. - Lorenzo Giarelli

I grandi editori (impuri) dietro i media
Elkan, Caltagiorne, Berlusconi, Cairo, Angelucci.


Poco puri - Dal colosso degli Agnelli a Urbano Cairo fino a una vecchia conoscenza: Silvio.
I soldi “fanno gola a molti”, e in particolare a “centri economici e dell’informazione” che possono esercitare pressioni sulla politica fino a condizionarla. L’attacco di Andrea Orlando non è casuale, soprattutto quando collega potere economico e mediatico: la gran parte dei gruppi editoriali italiani è in mano a editori impuri, ovvero imprenditori che fanno utili milionari altrove (con le cliniche, le auto, l’immobiliare, la finanza) e che hanno nei giornali una proprietà magari poco redditizia, ma certo utile.
Di recente è tornato attuale il cambio di proprietà in casa Repubblica: nel 2016 il Gruppo L’Espresso della famiglia De Benedetti (che editava tra gli altri Repubblica, l’Espresso, Huffington Post e parecchi giornali locali) ha incorporato Italiana editrice (Stampa, Secolo XIX), proprietà degli eredi della famiglia Agnelli, quindi Fca. Tre anni dopo, John Elkann e la sua Exor hanno acquistato la maggioranza del gruppo (denominato Gedi), diventando dunque azionisti principali del nuovo colosso (che comprende anche, tra l’altro, Radio Deejay, Radio Capital e m2o). Un cambiamento che ha portato al recente domino dei direttori e alla decisa virata anti-governativa di Repubblica.
Fanno invece capo alla holding di Franco Caltagirone il Messaggero, il Mattino e il Gazzettino. Quotidiani con forte radicamento nei rispettivi territori (Roma, Napoli e Venezia) che dipendono da una delle famiglie più influenti nell’edilizia (Cementir, Vianini) e nella finanza.
Più diretto il coinvolgimento in politica di Antonio Angelucci, deputato di Forza Italia alla terza legislatura e proprietario de Il Tempo e, attraverso una fondazione, anche di Libero. Il fulcro delle sue attività è però altro: la holding di Angelucci gestisce infatti decine di cliniche private e case di cura in giro per l’Italia, soprattutto nel Lazio. Settore delicato, visto il periodo.
Ben noti sono poi i casi del Sole 24 Ore, espressione di Confindustria, e della famiglia Berlusconi, che attraverso Fininvest controlla Mediaset, Il Giornale, decine di riviste e diverse radio, tra cui R101 e Radio 105. Da tempo pare che Urbano Cairo, editore di La7 e di Rcs (Corriere della Sera) debba seguire le orme di B., cercando fortuna in politica dopo averla trovata sui media e nel mondo del calcio. L’idea potrebbe tornare di moda.

Artrite reumatoide.

Artrite reumatoide

L'artrite reumatoide è una malattia infiammatoria autoimmune permanente (cronica) che provoca dolore, gonfiore, rigidità e perdita delle funzioni delle articolazioni. Può colpire qualsiasi tipo di articolazione ma ad essere più frequentemente coinvolte sono quelle delle dita delle mani, dei polsi, dei piedi, delle ginocchia e delle caviglie (Video); più raro, è il coinvolgimento di spalle, gomiti e colonna vertebrale (rachide e annessi).
In Italia, il numero di casi di artrite reumatoide presenti nella popolazione generale (prevalenza) è pari a circa lo 0,5% e si stima che i malati siano tra i 200.000 e i 300.000.
È più frequente nelle donne, colpite in misura tre volte superiore agli uomini.
Può manifestarsi a qualsiasi età, ma si verifica più spesso negli adulti e nelle persone anziane: inoltre, nel 70% dei casi la malattia compare tra i 40 e i 60 anni di età.
L’artrite reumatoide può svilupparsi anche nell’infanzia o nell’adolescenza e può essere difficoltoso distinguerla da altre forme reumatiche (problemi di diagnosi differenziale).
L’evoluzione della malattia varia da persona a persona. I disturbi (sintomi) possono comparire in forma graduale, anche nel corso di diverse settimane o di alcuni mesi.
Gran parte dei malati attraversa periodi caratterizzati da disturbi (sintomi) acuti alternati a periodi in cui il dolore è pressoché assente.
Sebbene l’articolazione sia la parte dell’organismo più coinvolta, l’infiammazione può svilupparsi anche in organi interni (come, ad esempio, polmoni, reni, cuore, sistema nervoso, vasi sanguigni, occhi).
Non si conoscono le cause dell’artrite reumatoide. Sembra che possano influire fattori genetici, ambientali o ormonali.


Non esiste una cura (terapia) definitiva per l’artrite reumatoide, ma le terapie disponibili possono ridurre l’infiammazione e il dolore nelle articolazioni, prevenire o rallentare i danni a loro carico, limitare la disabilità e consentire una vita attiva.
L’artrite reumatoide è una malattia che persiste nel tempo (cronica), necessita di terapie prolungate e, in alcuni casi, continuative. Infatti, solo pochi malati giungono a completa guarigione mentre la maggior parte di essi deve curarsi per tempi lunghi.
La terapia va iniziata il più rapidamente possibile, prima che le articolazioni infiammate siano danneggiate in modo permanente.
I medicinali utilizzati possono essere divisi in due grandi gruppi:
  • farmaci sintomatici, adatti ad alleviare i disturbi causati dalla malattia. Includono analgesici, farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) come ibuprofene, naprossene, diclofenac, ketoprofene, i più recenti COX2-inibitori (celecoxib, etoricoxib) e i cortisonici
  • farmaci anti-reumatici modificanti il decorso della malattia, chiamati disease modifying anti-rheumatic drugs (DMARD) nei paesi anglosassoni, migliorano notevolmente i disturbi, la funzionalità delle articolazioni e la qualità di vita della maggior parte dei malati.
    I DMARD utilizzati sono: il metotrexato, la leflunomide, gli antimalarici, la ciclosporina, la sulfasalazina e i sali d’oro.
    Il metotrexato, di solito è il primo farmaco utilizzato. Può produrre effetti indesiderati (effetti collaterali) quali inappetenza, diarrea e mal di testa e può incidere sull’emocromo e sulla funzionalità epatica. Questi parametri durante la cura dovrebbero essere controllati regolarmente attraverso le analisi del sangue. Più raramente, il metotrexato può provocare disturbi a livello respiratorio.
    La terapia con DMARD richiede alcuni mesi per manifestare la sua efficacia ed è importante continuare a prendere regolarmente il farmaco prescritto anche se in un primo momento sembri non fare effetto. A volte, è necessario provare due o tre tipi di DMARD prima di trovare quello più adatto
Farmaci biologici
Negli ultimi anni la cura dell’artrite reumatoide si avvale dell’uso di farmaci biologici, medicinali che agiscono specificatamente su alcune molecole prodotte da cellule del sistema immunitario. Sono somministrati qualora le terapie convenzionali non si siano dimostrate efficaci. Le cure approvate dalle agenzie del farmaco sono: adalimumab, anakinra, etanercept, infliximab, abatacetp e rituximab. In alcuni casi, tali medicinali sono prescritti da soli ma, in genere, per ottenere una maggior efficacia, sono somministrati contemporaneamente al metotrexato.
Gli effetti indesiderati (effetti collaterali) di solito sono lievi e consistono in reazioni della pelle nella zona delle iniezioni, febbre e mal di testa. Raramente, si è verificata la riattivazione di un’infezione tubercolare già esistente.
La cura (terapia) ideale dell’artrite reumatoide richiede un approccio multispecialistico, con la collaborazione tra reumatologi, medici di medicina generale, ortopedici, fisiatri, psicologi.

domenica 17 maggio 2020

A chi la ciccia e a chi le frattaglie. - Gaetano Pedullà

JOHN ELKANN

Che qualcosa di grosso stesse cucinando in pentola l’avevano capito tutti da tempo. Se n’era sentito l’odore quando alcuni grandi giornali erano passati alla Fiat (che ora si chiama Fca, ma a me piace usare lo stesso nome a cui lo Stato bonifica da decenni montagne di miliardi pubblici sotto forma di cassa integrazione, contributi e rottamazioni). Perché – mi domandavo – gli Elkann, cioè gli eredi della dinastia Agnelli, portano il cuore del loro gruppo automobilistico ad Amsterdam, a Londra e Detroit, poi si fondono con la francese Peugeot e intanto comprano la Repubblica e spingono una schiera di direttori che anche in tv sentiamo ripetere come un disco rotto ogni contumelia contro il Governo?
Elkann nisciuno è fesso, e noi quanto i discendenti dell’Avvocato sappiamo bene che di questi tempi (anzi, in tutti i tempi) i giornali sono un pessimo investimento, a meno che non ci sia da usarli come clave per guadagnarci da un’altra parte. E stavolta la clava si era vista subito: neanche il tempo di salutare i dipendenti che già il nuovo direttore del quotidiano di Scalfari incorniciava in prima pagina i consigli non richiesti di Cottarelli e Moavero per salvare l’Italia, con implicito avviso di sfratto a Conte e a quegli scappati di casa del Movimento Cinque Stelle.
Il governissimo con dentro tutti, dalla Lega di Giorgetti e Zaia (le sparate elettorali di Salvini ora non servono) all’Italia Viva di Renzi, con il Pd e frotte di responsabili, è il sogno di chi vuole sedersi a capotavola del grande banchetto allestito con i miliardi di aiuti pubblici stanziati per ripartire dopo il Covid. Tant’è vero che ieri, su un’agenzia di stampa straniera, è saltata fuori la notizia che Fiat sta trattando con Banca Intesa Sanpaolo un prestito da oltre sei miliardi interamente garantito dalla Sace (cioè lo Stato). Niente male mentre famiglie e imprese ricevono col contagocce i prestiti garantiti fino a 25mila euro, e c’è un Paese da rimettere in piedi, possibilmente senza lasciare tutta la ciccia ai soliti noti, e agli altri le frattaglie.

Ezio Bosso: Musica, maestro! (insegnare le note dalla più tenera età). - Ezio Bosso


Morto Ezio Bosso | Il pianista che faceva commuovere malato da tempo

Ricordiamo il grande direttore d'orchestra ripubblicando questa sua testimonianza nella quale, partendo dalla propria esperienza – quella di chi da bambino ha imparato a leggere prima le note che le parole – spiega perché la musica è un elemento formativo indispensabile e, quindi, da insegnare fin dalla scuola materna: suonare uno strumento è importantissimo per lo sviluppo dei bambini e può essere significativo fattore di inclusione sociale. Fino a una proposta: “Renderei obbligatorio in tutte le scuole lo studio di 'Pierino e il lupo' di Prokof’ev, un testo determinante per la crescita di un bambino”.

di Ezio Bosso, da MicroMega 5/2019
Ho iniziato lo studio della disciplina musicale all’età di quattro anni, ma alla musica mi sono avvicinato anche prima. Praticamente, ho imparato a leggere le note prima delle parole. E questo studio è la base di quello che sono oggi. È la conferma di come quella disciplina, che a volte può essere complessa e faticosa per un bambino, sia stata per me un’esperienza fondante, meravigliosa. La musica è stata di fatto tutta la mia vita. E devo ringraziare quella zia che mi vietava di suonare il pianoforte prima di studiare le note: «Se non impari a leggere la musica», mi diceva, «non lo tocchi». Perché educazione è anche questo: ottenere qualcosa con il lavoro e non per capriccio. E la musica è una forma educativa molto ampia, sempre basata sul merito. Un concetto importante, da non sottovalutare.

Strumento di benessere.
Data anche la mia esperienza personale, ritengo che la musica sia un elemento formativo indispensabile fin dalla scuola materna. E questo perché noi siamo naturalmente composti della materia dei suoni: abbiamo il senso del ritmo fin da quando siamo molto piccoli, fin dall’età di uno o due anni. E l’aspetto ludico del ritmo, per i bambini, è di fondamentale importanza, fa la differenza anche dal punto di vista fisico. Come dimostrano studi scientifici, la capacità di convogliare il ritmo aiuta anche a camminare meglio. Nell’età evolutiva è un aspetto fondamentale per l’equilibrio della crescita. E ugualmente importante è coltivare l’ascolto e lo stupore.

L’associazione Diamo il La di Milano, di cui sostengo l’attività, ha il merito di portare tutto questo nelle periferie urbane. Perché, a differenza delle scuole dei ricchi, che possono contare anche sulla presenza di musicoterapeuti, nelle periferie mancano spesso gli strumenti per realizzare questo lavoro. Tuttavia, che si utilizzi un registratore o uno xilofono, l’accesso al suono, alla produzione del suono associata all’ascolto complesso, è un aspetto fondamentale della formazione e della cultura, lungo tutta la nostra esistenza.

Del resto io sostengo tutti i progetti miranti a promuovere l’accesso alla musica come strumento di benessere sociale, come valore fondante di una società migliore. In particolare, sono il testimonial dell’associazione Mozart 14, fondata da Claudio Abbado, impegnata a portare il canto corale e la musicoterapia nei reparti di terapia intensiva, tra i bambini che hanno problemi di salute, e nelle carceri, tra i detenuti. È la dimostrazione di come la musica possa e debba essere un modo per migliorare la vita, per cambiarla e anche per salvarla.

Il potere della vibrazione, non a caso, è ben noto alle neuroscienze, essendo noi fatti proprio di vibrazioni. E non mi riferisco a teorie come quella della frequenza a 432 Hz 1, ma proprio al fatto che la musica, al di là del benessere consolatorio che produce, svolge una funzione vera e propria nell’attivazione delle cellule neuronali.

A scuola di musica.

La prima fase dell’insegnamento della musica nelle scuole dovrebbe consistere nell’accesso all’ascolto e poi nella produzione del suono e del ritmo. È come insegnare una lingua: è per questo che i bambini e i ragazzi devono apprendere come sono le note e come funzionano. Dovrebbe essere più facile insegnare la musica che le parole ed esistono anche alcuni esperimenti in tal senso. E invece mi capita di sentire cose aberranti, tipo l’idea di far cantare al saggio musicale l’ultima canzone di Sanremo. Questa, in realtà, è diseducazione alla musica, perché la musica esige sempre la meritocrazia, la capacità di impegnarsi per sentirsi felici, non per soddisfare le voglie della zia.

Ben venga il flautino, allora – malgrado le polemiche sollevate da grandi musicisti – perché mette tutti sullo stesso piano, annulla le differenze sociali, consentendo anche a chi non ha i soldi di ricevere una prima educazione al suono. Non tutte le famiglie, infatti, possono permettersi di comprare un pianoforte.


L’ho suonato anch’io il flautino, proprio perché avevo bisogno di uno strumento a portata di mano e a basso costo. E penso che il fatto che tutti possano avere nelle proprie mani uno strumento musicale sia meraviglioso. E non impedisce a un bravo maestro di suggerire alla famiglia di un bambino particolarmente dotato di fargli continuare lo studio della musica.

Prima di pontificare sui flautini, peraltro, bisognerebbe riflettere sul ruolo fondamentale che dovrebbe avere la formazione degli insegnanti… Io poi introdurrei per legge l’educazione musicale perlomeno in tutta la scuola dell’obbligo, dunque fino ai 16 anni. Penso che dovrebbe essere vista come una materia che collega in un unico percorso qualunque indirizzo si voglia poi seguire. Una costante che potrebbe anche far sì che non ci si perda di vista nei cambi di istituto.

Del resto, poiché la musica, essendo un grande collante sociale, è associabile a tutto, persino al cibo, potrebbe rappresentare un collegamento tra una materia e l’altra, rendendole meno avulse ed evitando il rischio di cadere in nozionismi privi di senso. Rischio che oggi, peraltro, riguarda l’educazione nel suo complesso perché, nel momento in cui metto una crocetta sulla base del 33,3ˉ per cento di possibilità di indovinare la risposta giusta, l’educazione è morta. Io sono un umanista, continuo a sognare un mondo che guarda alle cose, non che tenta la sorte.

Riscoprire la musica classica.
Anche se è solo da un paio d’anni che passo un po’ più di tempo in Italia, sono convinto che, in questo paese, il principale ruolo educativo in materia, a partire dagli anni Cinquanta, lo abbia svolto la televisione. E certo, se per musica si intende soltanto un genere, è evidente che non potremo fare molta strada.

Ritengo invece che, nell’insegnamento musicale, la priorità vada assegnata alla musica classica, che è quella in cui affondano le nostre radici, il fondamento della nostra identità. È soprattutto attraverso di essa che si sviluppa quell’insieme di curiosità e di approfondimento che può valere poi per qualsiasi altro genere, impedendoci di restare schiavi dell’ultima moda o dei gusti di pochi. Ecco, l’educazione non è questione di gusto, ma è sviluppo della curiosità.

Le note le abbiamo inventate in questo paese grazie a un signore che si chiamava Guido d’Arezzo. Ed è da qui che possiamo partire, considerando che da quelle note è nata tutta la musica a cui ci riferiamo. Certo, noi pecchiamo sempre un po’ di egocentrismo, perché in realtà siamo solo una parte del mondo: in India, in Pakistan, per esempio, il sistema di notazione è completamente diverso. Ed è importante che ciò venga detto, perché chi lo sa che poi un bambino non ci si appassioni… Penso che utilizzare la storia insieme alla musica, e la musica insieme alla storia, possa costituire un percorso formativo fondamentale per la formazione di un adolescente. E in questo percorso renderei obbligatorio in tutte le scuole lo studio di Pierino e il lupo di Prokof’ev, un testo determinante per la crescita di un bambino. E anche di un adulto.

Rispetto al metodo di insegnamento, penso sarebbe presuntuoso da parte mia dare indicazioni, non essendo un pedagogista e non occupandomi di educazione musicale in senso stretto. L’Italia, però, vanta una pedagogia musicale avanzatissima. Torino, per esempio, è all’avanguardia in questo campo. In ogni caso, esistono metodi assai efficaci, come il meraviglioso e inclusivo metodo Orff, grazie a cui qualsiasi bambino può imparare le note attraverso una partecipazione attiva, anche solo con un piattino, e condivisa con gli altri. Perché lo stare insieme è di fondamentale importanza. E tutto ciò serve anche a superare le proprie difficoltà, le proprie paure. Ma questo, per quel che mi riguarda, vale a qualsiasi età.


Ai miei studi aperti vengono anche bambini dai tre-quattro anni ai dieci, che spesso la sanno più lunga dei trentenni, mostrando una maggiore capacità di risolvere i problemi. Alla fine quello che ha luogo è uno scambio tra bambini, adolescenti, professionisti. Si tratta in fondo di una questione di linguaggio, di vocabolario. Io sono attento a non trattare i bambini da deficienti. Sono piccole persone, che imparano anche in fretta, ed è così che mi rapporto con loro.

Continuo a vedere la società come una multiformità di differenti età, di differenti esistenze, di differenti singolarità. È ovvio che a un bambino piccolo non farò ascoltare tutto Wagner. Di musica ce n’è tanta: Bach, Monteverdi, Palestrina… Se io fossi un bambino, per esempio, vorrei che mi raccontassero storie. Una cosa che peraltro mi piace anche oggi.

La musica classica è una forma oggettivamente meritocratica nel senso più alto del termine: se uno non arriva significa che non è ancora arrivato. Spinge alla cooperazione, non all’esclusione, e spesso cura anche il dolore e riappiana le differenze sociali. Più ancora che uno strumento di inclusione, è uno strumento di parificazione. E invece è stata resa qualcosa di elitario. È sbagliato. È una cosa con cui mi scontro ancora oggi. La musica è fondamentale, perché elimina pregiudizi e difetti (persino fisici), cancella le età e lenisce i dolori di qualsiasi forma siano. Lo dico per esperienza personale: malgrado le mie debolezze, fragilità, stranezze non venivo denigrato, ma suscitavo curiosità perché emettevo un suono che affascinava chi mi stava intorno. E di fronte al potere così grande della musica, è evidente che ci voglia una grande responsabilità. La musica non è un linguaggio universale, ma un patrimonio universale. Non un bene comune, ma una necessità comune. E dunque se ne deve garantire l’accesso a tutti.

(testo raccolto da Giacomo Russo Spena e curato da Claudia Fanti)


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