giovedì 22 ottobre 2020

Clownterapia. - Marco Travaglio

 

Più la seconda ondata peggiora, più si comprende il vero motivo dell’esistenza in vita della destra italiana: tenerci allegri. Fontana, dopo aver sistemato tutta la famiglia (tranne forse la seconda figlia, che bisognerà prima o poi piazzare da qualche parte per un fatto di equità), attende l’ok di Salvini per firmare il ridicolo coprifuoco dopo le 23, come se prima il virus riposasse. Però ha scoperto di poter chiudere territori per emergenza sanitaria in base alla legge 833/ ’78: l’avesse scoperto prima, ci saremmo risparmiati centinaia di morti nella Bergamasca. Gallera, che incredibilmente è ancora assessore e ancora parla, “rivendica” i premi dati ai manager della cosiddetta sanità lombarda che hanno tagliato i posti Covid negli ospedali. Più disastri combina, più rivendica. I contagi raddoppiano nella Regione modello? Lui rivendica: “Situazione meno critica che altrove”. Il Cts lombardo chiedeva il lockdown totale a Milano da venerdì: lui non l’ha fatto manco ieri, però rivendica. E poi ora – udite udite – “riapriremo i reparti alle Fiere di Milano e di Bergamo”. Quello di Bergamo ha 48 posti, ergo quello di Milano dovrebbe averne 152 (senza bagni, ma che sarà mai). Ma il Giornale parla di 53. Strano: a marzo Gallera ne aveva annunciati “600 in sei giorni”. Però rivendica. Intanto il commissario Arcuri attende notizie sui 2900 ventilatori per terapie intensive già comprati ma inutilizzati dalle Regioni. Però Gallera rivendica.
Per completare la clownterapia, mancava giusto il terzo del trio: Bertolaso. Che si rifà vivo per candidarsi un’altra volta a sindaco di Roma. Lo vuole B., o quel che ne resta: “È l’uomo giusto per il Covid”, forse perché l’ha già avuto. Ma allora tanto vale candidare Fabrizio Corona o Paolo Brosio. Sgarbi la prende male: “A questo punto, meglio Zalone”, che però il Covid non l’ha fatto. L’ideale sarebbe se corresse a sindaco della Maddalena, così potrebbe spiegare agli isolani l’utilità del mega-Centro Congressi di cristallo a strapiombo sul mare e di altre opere imperiture costate mezzo miliardo – il doppio dei preventivi – per un G8 mai fatto, perché dirottato in extremis a L’Aquila. Oppure ecco: potrebbe candidarsi a L’Aquila, dove lo ricordano tutti commossi, ma con un lievissimo prurito alle mani. Però non vanno trascurate le messi di voti che assicurerebbe nei paraggi del Salaria Sport Village, specie fra le massaggiatrici brasiliane specializzate in cervicale. E poi garantisce buonumore, merce rara di questi tempi. Già pregustiamo i teleconfronti con Calenda: chiacchiere contro chiacchiere, distintivo contro distintivo. A riprova di una vecchia ma sempre attuale teoria di Paola Taverna: “A Roma c’è un complotto per far vincere la Raggi”.

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Renzi e Calenda emuli di Rossi e Turigliatto. - Antonio Padellaro

 

Ai tempi del Prodi bis, viva sensazione suscitarono le imprese di una coppia di senatori comunisti col botto, Franco Turigliatto (di Rifondazione) e Fernando Rossi (PdCi), i quali a mezzogiorno votavano con la maggioranza mentre all’imbrunire gli manifestavano contro. Finché una mattina del gennaio 2008, i due si svegliarono male e, forse innervositi dal clima rigido o perché ancora appesantiti dalla cena, tagliarono la testa al toro e al governo Prodi. Alla fulgida figura di Turigliatto può oggi essere accostato un senatore più contemporaneo, Matteo Renzi, la cui natura smaniosa e oscillante lo costringe a camminare piroettando per non accoltellarsi alle spalle. L’ex tutto ha infatti incaricato due suoi pseudonimi di Italia Viva (tali D’Alessandro e De Filippo) di partorire l’intergruppo parlamentare “Mes subito”, a cui hanno entusiasticamente aderito, tra gli altri, l’allegro forzista Renato Brunetta (Forza Italia), lo spensierato Maurizio Lupi (uno che s’imbuca sempre dai tempi del liceo), e il pidino Andrea Orlando che passava di lì. Non v’è chi non veda come l’esclusivo scopo dell’intergruppo renziano sia quello di rompere le scatole a Giuseppe Conte, alle prese con problemucci come la pandemia e il tentativo di evitare la catastrofe economica del Paese.

Così ieri, a Palazzo Madama, mentre al piano di sopra il premier si smazzava con il Dpcm d’emergenza, al piano di sotto la combriccola cospirava allegramente per creargli qualche intralcio di troppo. Soltanto che, a differenza del Turigliatto di lotta e di governo, il Matteo double face fa sempre molta attenzione a non tirare troppo la corda perché se la maggioranza di cui fa parte va a casa, lui e Iv a casa rischiano di restarci per sempre. Magari giocando online a Fantapolitica con l’altro 2 per cento targato Azione. Alla domanda su chi potrebbe essere il Fernando Rossi del Turigliatto-Renzi, l’immediata risposta è infatti Carlo Calenda. Entrambi sono già entrati nel climaterio politico che non è molto diverso, nei sintomi, da quello fisiologico, caratterizzato da lunghe e tumultuose crisi smanianti, cui succedono inopinate fasi di stagnazione. Inconvenienti curabili con infusi di magnesio e rodiola, somministrati da Brunetta mentre Lupi si occuperà degli impacchi.

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Salvini tenta il blitz sul “coprifuochino”. Fontana però firma. - Gianni Barbacetto

 

Nel giorno nerissimo in cui Milano si consacra ufficialmente capitale italiana del Covid, la politica mostra tutta la sua incapacità a fronteggiare l’emergenza. Il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, ha firmato l’ordinanza che impone il coprifuoco in tutta la regione dalle 23 alle 5, a partire da oggi e fino al 13 novembre 2020; e che chiude le scuole superiori, ma non i bar della movida. Un “coprifuochino”: una misura inadeguata alla gravità della situazione, secondo lo stesso Comitato tecnico scientifico regionale. Eppure il leader della Lega Matteo Salvini ha tentato di frenare anche quel provvedimento così blando. “Voglio capire, a me piace capire le cose”, aveva dichiarato martedì sera, al termine di una riunione con gli altri esponenti del centrodestra lombardo, convocata “per farsi spiegare” le misure in arrivo. “Salvini ha preso per le orecchie Fontana – aveva poi dichiarato il sindaco di Bergamo Giorgio Gori – è una ingerenza insopportabile, quella del leader della Lega, arrabbiato per questa decisione della Regione Lombardia che contraddice le sue precedenti posizioni”. Fontana, incalzato dai numeri angoscianti di ieri, ha infine firmato il “coprifuochino” deciso lunedì, con l’accordo dei sindaci dei capoluoghi lombardi, tra cui Giuseppe Sala e Gori. Impossibile tornare indietro. Ma Salvini ha confermato di avere dubbi sul coprifuoco notturno: “E non li ho soltanto io”. Il senatore leghista Gian Marco Centinaio ha dichiarato: “È un provvedimento senza senso. Non serve”. E ha annunciato che violerà il coprifuoco.

Salvini ha comunque negato ogni “ingerenza” nella decisione lombarda: “Io non mi permetto di intervenire nel lavoro di governatori e sindaci. Semplicemente ho chiesto più coordinazione”. Così la politica si è trovata a difendere con i denti una trincea considerata già arretrata da medici e scienziati, insufficiente a fronteggiare la situazione: il contagio sta avanzando senza freni, soprattutto nell’area metropolitana milanese, che ieri ha registrato 1.858 nuovi contagi, 264 ricoveri, di cui 11 in terapia intensiva, e 20 morti. Il Comitato tecnico scientifico regionale lombardo aveva chiesto almeno la chiusura di tutto già dalle 21 e dei bar dalle 18, ma non è stato ascoltato. Raggiunti i 15 mila casi alla settimana, la misura suggerita dal Cts era quella più radicale: il lockdown. La politica invece non ha avuto il coraggio di prendere misure ritenute impopolari. Così è nato il “coprifuochino” dalle 23, quasi indolore, ma anche davvero quasi inutile, visti i numeri del contagio e la velocità con cui si moltiplica soprattutto a Milano.

Fontana, varata una misura così prudente, ha dovuto comunque subire le rimostranze del capo del suo partito, Salvini. Chissà se, accusato da Gori di subire ingerenze esterne, a Fontana è tornata in mente la definizione che di lui ha dato, intervistato da Report, Nino Caianiello, il ras di Forza Italia arrestato e condannato per concussione: “Attilio Fontana non fa la politica, è un gestore della politica e risponde agli accordi. Attilio Fontana è un front office della politica”. È lo stesso Fontana, del resto, che dopo aver scelto i suoi assessori, nel 2018 dice a Caianiello (intercettato): “Hai visto Ninuzzo? I tuoi consigli per la giunta regionale li ho seguiti quasi tutti. Mi sembra che sia una giunta abbastanza bella”. Tra i “consigli” di Caianiello a Fontana c’erano i nomi di due assessori oggi molto pesanti: Giulio Gallera, al Welfare, che gestisce il budget da 20 miliardi della sanità lombarda e che si è trovato a gestire l’emergenza Coronavirus; e Raffaele Cattaneo, all’Ambiente, che sta gestendo l’approvvigionamento del materiale necessario ad affrontare la pandemia, dalle mascherine ai camici protettivi (compresi quelli arrivati dall’azienda del cognato e della moglie di Fontana).

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mercoledì 21 ottobre 2020

Il Covid e i sindaci Presunti sceriffi, ma con indosso la stella di un altro. - Alessandro Robecchi

 

Quante cose si vengono a sapere con una pandemia in corso! Per esempio che esiste una “chat dei sindaci”, dove i primi cittadini esprimono la loro “indignazione” per quel passaggio del Dpcm che li autorizza a chiudere vie e piazze a rischio, o luoghi dove il contagio minaccia di diventare incontrollabile. Tutti frementi, e/o furibondi, e/o sbalorditi (aggiungete a piacere) nelle dichiarazioni alle agenzie. Poi, all’apparir del vero, si è visto che si trattava di un’indignazione un po’ peregrina: i sindaci molti di quei poteri ce li hanno già, ci saranno accordi con le prefetture, il ministero dell’interno, eccetera eccetera. Insomma, pare che l’incidente diplomatico governo/sindaci sia un po’ rientrato, riportato alle sue giuste dimensioni.

Eppure la cosa – i sindaci italiani che declinano la responsabilità di chiudere o limitare zone che loro per primi conoscono meglio di tutti – lascia un po’ perplessi, almeno per come ci hanno abituati i sindaci italiani che solitamente fanno una polemica contraria (cioè vogliono decidere di più, non di meno). Anche se si tratta di archeologia politica, forse qualcuno ricorderà i decreti Maroni del 2008, che davano ai sindaci la possibilità di deliberare in modo “creativo” su tutto e tutti. Fu una specie di meravigliosa ordalia della cazzata: kebab vietati se non c’erano corrispondenti dosi di polenta, parchi frequentabili in non più di due persone, divieti tra i più assurdi e grotteschi. Prima che la Corte Costituzionale facesse a pezzi quelle leggi, l’entusiasmo per i sindaci sceriffi, sfiorò l’apice assoluto, il sindaco divenne una specie di legislatore superiore, un crociato del decoro, un poeta del divieto estemporaneo (spesso totalmente cretino). Stupisce quindi vederli ora, in situazione d’emergenza, storcere il naso (di più “indignarsi in chat”) davanti a nuovi poteri che gli verrebbero concessi. Probabile che i sindaci pensino più all’elettorato che a tutto il resto, e dire al barista che deve chiudere, o a un quartiere che deve spegnersi due ore prima, non è che porta molti voti, meglio che glielo dica il governo. Insomma, sceriffi, ma con la stella di un altro, ecco. Fa specie, solo per fare un caso, vedere il sindaco di Firenze Nardella dolersi che gli vengano dati poteri di controllo del territorio, proprio lui che si vantava di installare più telecamere di tutti.

In più, il Paese dei sindaci, dove periodicamente si alza qualche bel tomo a dire che ci vuole “il sindaco d’Italia”, ci ha abituato a un culto locale della personalità, per cui molti sindaci giocano la loro partita politica o personale. Vero che a virus inoltrato questo ruolo da protagonisti è stato usurpato dai governatori (si pensi a De Luca, o a Zaia Superstar, o al pasticcione della Lombardia), ma anche vero che i sindaci potranno ora riprendersi la scena. Bene, se questo garantirà decisioni rapide, efficaci e tempestive, dopotutto se c’è pericolo in via Pincopallino lo sa per primo il sindaco, non il ministro dell’Interno. Male, invece, se ricomincerà il valzer delle vanità, della visibilità, della gara mediatica, del chi la spara più grossa. Probabilmente assisteremo a un’impennata delle cronache locali, con i sindaci intenti a usare l’arte del bilanciamento: ora ottimisti-aperturisti (Hurrà! Si riparte!), ora allarmisti-chiusuristi (Tutti a casa!) a seconda del bilancino del consenso contingente, delle pressioni di categoria, delle opportunità politiche, insomma, se tutto diventerà soltanto altro materiale di consumo da talk show.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/21/il-covid-e-i-sindaci-presunti-sceriffi-ma-con-indosso-la-stella-di-un-altro/5973843/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-10-21

Csm, non scordiamoci i tanti meriti di Davigo. - Gian Carlo Caselli

 

La maggioranza del Csm ha deciso: Piercamillo Davigo, regolarmente eletto a far parte dell’Organo di governo autonomo della magistratura per gli anni 2018-2022, deve lasciare la carica prima della scadenza del mandato, in ragione del compimento dell’età pensionabile.

Festeggiano, anche in maniera scomposta, tutti coloro che hanno sempre sostenuto (e ancora oggi ne rivendicano le ragioni) le crociate contro il pool di Milano anti corruzione nel quale aveva un ruolo centrale proprio il “dottor sottile” Davigo. Crociate avviate dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in seguito – non è un mistero – ai numerosi processi a suo carico e di alcuni dei suoi più stretti collaboratori. Questi processi non potevano essere credibilmente contestati da soli. Meglio mettere sotto accusa l’intera stagione giudiziaria in cui essi si inserivano, così da nascondere l’interesse di parte.

Il primo punto di attacco era suggestivo: perché le indagini esplodono solo nei primi anni Novanta? In verità c’erano stati anche prima significativi processi per fatti di corruzione politica: vicende come l’Italcasse, i Fondi neri Iri, la Lockeed, i vari scandali petroliferi, i casi Teardo, Zampini, Longo e Nicolazzi appartengono purtroppo alla storia italiana. Il successivo imponente aumento dei processi per corruzione si spiega con il concorso di molteplici fattori: primo, uno sviluppo del malaffare diventato incompatibile con le esigenze dell’economia; secondo, lo “scaricamento” di personaggi intorno ai quali il sistema aveva in precedenza fatto quadrato, a seguito di uno scontro politico senza esclusione di colpi; terzo, la crescita di efficienza e di capacità investigativa di alcuni apparati di polizia; quarto, il graduale incrinarsi di quel sostanziale blocco omogeneo fra potere politico e parte della magistratura (consapevole o inconsapevole) di cui per lustri era stata simbolo la Procura di Roma, “porto delle nebbie” responsabile di artifici e acrobazie arditi pur di non turbare gli assetti di potere esistenti; quinto, la contestuale riduzione della tradizionale prudenza e sobrietà della cosiddetta “giustizia politica” nelle autorizzazioni a procedere (emblematica al riguardo la prima indagine genovese sul contrabbando petrolifero dei primi anni Settanta; accertati versamenti illeciti per oltre tre miliardi di lire in favore di cinque ministri dell’Industria per alcuni provvedimenti; ma alla fine tutto prescritto, grazie anche – obiettivamente – al tempo trascorso per le “cure” assicurate alla vicenda dal Parlamento).

Un altro punto di attacco riguardava specificamente quanto accaduto dopo l’arresto nel febbraio 1992, del mariuolo milanese Mario Chiesa. Una sorta di effetto valanga, battezzato dai media come Tangentopoli o Mani pulite. Secondo il presidente del Consiglio, “un’azione lungamente studiata dai comunisti, che hanno introdotto nella magistratura elementi propri che hanno fatto politica attraverso indagini, processi, sentenze”. A questa garbata sintesi si contrappose (anche tra i magistrati) la trionfalistica evocazione di una rivoluzione per via giudiziaria, alla base del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Non fu, in realtà, né l’una né l’altra cosa, ma più semplicemente l’emergere in sede giudiziaria (tra malaffare e settori dell’amministrazione, dell’imprenditoria e della politica) di un intreccio diffuso e apparentemente inarrestabile, diretto prevalentemente (ma non solo) al finanziamento illecito dei partiti. Mani pulite e le inchieste che si diffusero da Milano (epicentro del fenomeno) in tutt’Italia di certo non furono un’operazione indolore. Furono anzi un vero e proprio terremoto. Ma il problema vero è: fu un terremoto fondato su fatti, o su sospetti infondati, o su forzature, o su impropri teoremi? La risposta è nelle carte e negli esiti processuali.

E oggi, ad anni di distanza, si può agevolmente constatare che Mani pulite non è stata una stagione di persecuzioni giudiziarie (o l’anticamera di una stagione siffatta), ma il doveroso e corretto dispiegarsi del principio di obbligatorietà dell’azione penale e di un controllo di legalità diffuso.

E tuttavia i componenti del pool di Milano sono stati ingiustamente sbattuti nell’occhio del ciclone di un assalto spesso selvaggio. Davigo in testa. Anche per la sua indiscutibile abilità nel ribattere le accuse, intervenire sui problemi della giustizia con posizioni, sempre argomentate, esposte con linguaggio non felpato (bandito il “giuridichese”) e spesso urticante, perciò temuto da chi preferisce le cortine fumogene.

Tutti meriti che gli vanno riconosciuti anche in questo momento difficile, che per qualcuno potrebbe costituire una rivincita.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/21/csm-non-scordiamoci-i-tanti-meriti-di-davigo/5973842/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-10-21

Coronavirus, 10.874 nuovi casi con 144.737 tamponi. Quasi 800 ricoveri in 24 ore e altri 73 malati in terapia intensiva. (20 .10.2020)

 

Le tre regioni con i maggiori incrementi sono Lombardia (2.023), Piemonte (1.396) e Campania (1.312). Male anche Lazio e Liguria. I morti sono 89. Forte incremento di ospedalizzazioni con +778 in reparti Covid e +73 in terapia intensiva: si tratta, rispettivamente, dei peggiori dati dal 27 marzo (+1.276) e dal 30 marzo (+75).

Nelle ultime 24 ore sono 10.874 i nuovi casi di coronavirus accertati in Italia su 144.737 tamponi processati (87.680 i casi testati) e un rapporto del 7,5% in calo rispetto agli ultimi due giorni. Forte incremento di ospedalizzazioni con +778 in reparti Covid e +73 in terapia intensiva: si tratta, rispettivamente, dei peggiori dati dal 27 marzo (+1.276) e dal 30 marzo (+75). I morti sono 89. Le tre regioni con i maggiori incrementi sono Lombardia (2.023, di cui 1.054 in provincia di Milano e 515 in città), Piemonte (1.396) e Campania (1.312), seguite dal Lazio (1.224). Male anche la Liguria, con il nuovo record di positività in ventiquattr’ore: sono state 907. Solo due regioni hanno meno di 75 casi: Molise e Basilicata, rispettivamente con 26 e 17 contagi.

Prosegue quindi l’incremento prossimo al 100% sullo stesso giorno della settimana precedente: martedì 13 furono 5.901 i casi accertati con 112.544 tamponi. Tra lunedì e martedì di questa settimana sono 20.212 i nuovi infetti rintracciati, il 12 e 13 ottobre furono 10.520. Sette giorni fa i ricoverati con sintomi erano 5.076 e le persone in terapia intensiva 514, oggi sono 8.454 e 870. Il saldo tra ingressi-uscite fa segnare quindi un incremento di posti letto occupati negli ospedali di 3.378 unità e 356 in rianimazione.

Dall’inizio della pandemia sono 434.449 i contagiati accertati. Di questi 255.005 sono clinicamente guariti o sono stati dimessi, mentre 36.075 sono deceduti. Gli attualmente positivi sono 142.739, di cui 133.415 sono in isolamento domiciliare, mentre quasi 10mila, come detto, necessitano di assistenza in strutture sanitarie. Le regioni che fanno segnare i peggiori trend di crescita nelle ospedalizzazioni sono Lombardia (+132 in reparto e +10 in terapia intensiva), Piemonte (+154 e +1), il Lazio (66 e 12), il Veneto (63 e 7) e la Liguria con 69 persone in più ricoverate con sintomi ma due posti letto in meno occupati in terapia intensiva.

I dati regione per regione

Lombardia 2.023 – ieri 1.687
Piemonte 1.396 – 933
Emilia-Romagna 507 – 552
Veneto 490 – 402
Lazio 1.224 – 939
Campania 1.312 – 1.593
Toscana 812 – 986
Liguria 907 – 323
Puglia 295 – 321
Sicilia 574 – 362
Marche 89 – 98
Trento 94 – 79
Friuli Venezia Giulia 131 -159
Abruzzo 184 – 159
Sardegna 221 – 159
Bolzano 209 – 85
Umbria 194 – 167
Calabria 94 – 108
Valle d’Aosta 75 – 135
Basilicata 17 – 22
Molise 26 – 38

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/20/coronavirus-10-874-nuovi-casi-con-144-737-tamponi-quasi-800-ricoveri-in-24-ore-e-altri-73-malati-in-terapia-intensiva/5973305/

Dubbi da covid: prima la salute o l’economia? - Antonio Padellaro

 

Agostino Miozzo si occupa a tempo pieno di Covid, ma non è personaggio da grande pubblico pur essendo medico e soprattutto il coordinatore del famoso (e famigerato) Comitato tecnico scientifico. Forse perché non fa parte del gruppo di virologi, immunologi e scienziati a vario titolo, costantemente sui giornali e in tv, si è potuto permettere l’attacco alzo zero contro “i terroristi della comunicazione, chi alimenta scenari inquietanti distribuiti a fini di speculazione più politica”. Terrorismo da respingere “perché se si cade in una pericolosa spirale depressiva si inibisce qualsiasi forma di reazione e resilienza” (intervista al Corriere della Sera). Giusto, ma come si fa? Dal momento che (terrorismo a parte), in parallelo alla guerra contro il Covid un’altra guerra divampa, e non meno virulenta, tra chi dice prima la salute e chi risponde no, prima l’economia.

La prima categoria è ben rappresentata dal professore, assai autorevole e ascoltato, Massimo Galli, che con una frase ha detto tutto: “Non vedo morti di fame per le strade, ma morti di malattia negli ospedali”. Sicuramente non ha torto anche se la gente non muore di fame soltanto perché sostenuta dalle robuste iniezioni di denaro pubblico (cassa integrazione, blocco dei licenziamenti, reddito di cittadinanza), che gli economisti da divano e tastiera chiamano assistenzialismo. Sul fronte opposto spicca il manifesto del filosofo Massimo Cacciari: “Ci si ammala anche di disperazione, non solo di Covid. Se l’Italia si blocca siamo di nuovo fritti…”. Sicuramente neppure lui ha torto, anche se un contagio di massa nella forza lavoro non è il modo migliore per tenere aperte fabbriche e supermercati. In mezzo c’è un governo che naviga a vista, che si barcamena, che cerca di salvare capra e cavoli, che ogni giorno misura il proprio interventismo in base ai numeri dei contagi, dei morti e delle terapie intensive. Variabili indipendenti che rendono impossibile mettere in campo una strategia perfino da una settimana all’altra. Se poi allarghiamo la visuale al Paese tutti hanno le loro ragioni a protestare. A cominciare dai gestori di piscine e palestre che (con la testa già sulla mannaia) si sentono ingiustamente perseguitati. Come se, dicono, un settore che dà lavoro a decine di migliaia di persone fosse paragonato a un parco giochi da poter chiudere tranquillamente. Quanto al terrorismo psicologico e alle speculazioni politiche, in una situazione del genere è vero fanno schifo, ma si tratta degli inevitabili danni collaterali di quella cosa che si chiama democrazia. La forma di governo più imperfetta e infelice soprattutto se chiamata ad affrontare un nemico invisibile e implacabile. Non ci sta bene? L’alternativa esiste, è il modello cinese, quello che se non metti la mascherina ti vengono a prendere a casa.

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