venerdì 5 marzo 2021

Australia: 'l'Ue riveda il bando all'export', la richiesta dopo lo stop all'esportazione dei vaccini Astrazeneca.

 

BRUXELLES - L'Italia è il primo Paese dell'Unione europea a rifiutare l'export delle dosi di vaccini anti Covid -19 di AstraZeneca. È stata notificata ieri la decisione di bloccare l'export di 250 mila dosi della casa farmaceutica in Australia. Canberra minimizza l'impatto della decisione dell'Italia di bloccare l'esportazione. "Si tratta di un lotto da un un Paese", ha detto un portavoce del ministero della salute australiano all'Afp e la spedizione del vaccino AstraZeneca dall'Italia "non è stata presa in considerazione nel nostro piano di distribuzione per le prossime settimane". L'Australia ha già ricevuto 300.000 dosi AstraZeneca e la prima di esse dovrebbe essere somministrata oggi. Il lotto, insieme alle forniture Pfizer, dovrebbe durare fino a quando la produzione interna di AstraZeneca non sarà aumentata.

"In Italia, le persone muoiono al ritmo di 300 al giorno. E quindi posso certamente capire l'alto livello di ansia in Italia e in molti Paesi in tutta Europa. Sono in una situazione di crisi senza freni. Questa non è la situazione in Australia": lo ha detto il primo ministro australiano Scott Morrison, in merito alla decisione dell'Italia di bloccare l'esportazione di 250.000 dosi di vaccino Covid-19. "Questa particolare spedizione non era quella su cui avevamo fatto affidamento per il lancio della campagna vaccinale, e quindi continueremo senza sosta", ha ribadito Morrison come già sottolineato dal suo ministero della Salute.

L'Australia ha chiesto alla Commissione Europea di riesaminare la decisione dell'Italia di bloccare una spedizione del vaccino Covid-19 di AstraZeneca, pur sottolineando che le dosi mancanti non influenzerebbero il programma di inoculazione australiano. "L'Australia ha sollevato la questione con la Commissione europea attraverso più canali, e in particolare abbiamo chiesto alla Commissione europea di rivedere questa decisione", ha detto ai giornalisti a Melbourne il ministro della Salute australiano Greg Hunt, secondo quanto riporta l'agenzia Reuters sul proprio sito web.

La decisione sul blocco dell'export di 250mila dosi di AstraZeneca all'Australia è stata presa e in Ue non c'è intenzione di tornarci sopra. La compagnia farmaceutica può comunque avanzare una nuova richiesta per la fornitura a Canberra, che verrà analizzata sulla base del meccanismo sul controllo e la trasparenza dell'export. Lo si apprende a Bruxelles.

https://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2021/03/05/laustralia-minimizza-perso-solo-un-lotto-da-un-paese-_4ac4c9e7-24f0-4f7c-aaed-6707b392f619.html

Zingarella. - Marco Travaglio


Come volevasi dimostrare, da quando è nato il governo Draghi il centrodestra non è mai stato così bene e i giallorosa così male. Non occorrevano le dimissioni di Zingaretti per capirlo. È un effetto collaterale dell’ammucchiata, in cui Draghi, per sua fortuna estraneo ai giochi politici, c’entra poco. C’entra molto di più chi l’ha concepita e imposta col ricatto del 2 febbraio al Parlamento “o mangiate questa minestra o saltate da quella finestra”: Mattarella & his friends. I quali, anziché usare quell’arma di pressione per rinviare alle Camere il Conte-2 (con lo spettro delle urne, i 5 o 6 voti mancanti al Senato sarebbero diventati 50 o 60), hanno preferito creare il Governo di Tutti. Come se, caduti il Conte-1 per mano di Salvini e il Conte-2 per mano dell’altro Matteo, la soluzione fosse un assembramento con tutti dentro. Come se le liti dei giallorosa si potessero spegnere cumulandole con quelle del centrodestra. Come se le discordie fra i partiti fossero pretestuose come quelle agitate dall’Innominabile contro Conte (Mes, task force del Recovery, Dpcm, settimane bianche, 007, reddito, Casalino, subito scomparse dai radar dopo il premiericidio), e non invece sostanziali e squisitamente politiche: a chi vanno i 209 miliardi Ue, se i vaccini sono un bene pubblico o un affare privato, se nella lotta al Covid prevale la salute o il profitto.

Per rinviare la politica a data da destinarsi, si è optato per due governi in uno: quello vero, che fa capo a Draghi, ai suoi tecnici e a Giorgetti, più il capo della Polizia e un generale dell’Esercito, che si occupano della ciccia senza render conto a nessuno; e quello finto dei ministri presi dai governi Conte e B., con funzioni puramente decorative. Il silenzio di Draghi regala praterie a Salvini, che come sempre blatera (così molti credono che faccia tutto lui, come nel Conte-1, senza neppure il fastidio della sinistra che gli dà del fascista o gli ricorda i flop della sua Lombardia). FI si ricompatta col sacro mastice del potere e pare addirittura un organismo vivente (c’è persino la Gelmini in vetrina). E la Meloni incassa consensi da esclusivista dell’opposizione, pronta a riunirsi con Matteo e Silvio in tempo per le urne. Chi sta meglio di loro? Il prezzo lo pagano tutto i 5Stelle, il Pd e LeU, che non toccano palla in un governo fatto apposta per il centrodestra. Con la differenza che il M5S ha almeno la carta Conte da giocare. Il Pd nemmeno quella. Zingaretti, con tutti i suoi limiti, era sopravvissuto a due scissioni (Renzi e Calenda) riscoprendo un barlume di progressismo, azzeccando l’asse col M5S e guadagnando consensi: peccato mortale, per un partito a vocazione suicidiaria per via della variante renziana. Quod non fecerunt Napolitani fecerunt Mattarelli.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/05/zingarella/6122762/

I ristori? Nessuna fretta, il governo rimanda ancora: fino a un mese per la piattaforma, dopo le richieste. Per le aziende ferme altre settimane senza soldi.

 

INDENNIZZI A RILENTO - Secondo le bozze del cosiddetto decreto Sostegno, a partire dall'approvazione (che arriverà la prossima settimana ma non si sa quando) ci saranno 30 giorni di tempo per Sogei per elaborare un nuovo sistema informatico per le procedure di rimborso. Dopo altri 10 giorni partiranno i pagamenti. Insomma: il rischio è che i soldi arrivino dopo Pasqua.

Oltre un mese fa, quando la crisi politica che ha portato Mario Draghi a Palazzo Chigi non si era ancora conclusa, l’erogazione degli indennizzi alle attività chiuse causa Covid sembrava la priorità assoluta di tutti i partiti. Tanto che il governo Conte, in carica solo per gli affari correnti, era al lavoro per approvare comunque il decreto Ristori 5 dopo l’ok unanime dell’Aula allo scostamento di bilancio. Ma ora che il nuovo esecutivo è pienamente operativo e sono passati 20 giorni dal giuramento dei ministri, il nuovo provvedimento ancora non si vede. Il lavoro si preannuncia lungo: il testo sarà oggetto di riunioni continue in settimana per arrivare a uno schema condiviso entro 7-10 giorni. Non solo. Stando all’ultima bozza anticipata dall’Ansa, gli esercenti potrebbero vedere i primi soldi solo dopo Pasqua. Il motivo è che, per bonificare gli aiuti, il ministero dell’Economia vuole una nuova piattaforma gestita da Sogei. La tabella di marcia prevede che la società abbia 30 giorni di tempo, a partire dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto, per costruirla. Poi si aprirà una finestra temporale per le richieste. L’Ansa calcola quindi altri 10 giorni per i primi contributi – verosimilmente inizio aprile – e la chiusura di tutta la partita entro il 30. In pratica ci saranno aziende che vedranno i soldi a oltre tre mesi dall’ultimo bonifico.

Il provvedimento, ribattezzato decreto Sostegno, prevede però anche diverse novità. A partire dalla scomparsa, ampiamente annunciata, dei codici Ateco. Il meccanismo, stando a questa bozza, non sarebbe quello del rimborso dei soli costi fissi che si ipotizzava da settimane. Ma rimarrebbe legato al calo di fatturato: non più quello del solo aprile 2020 a cui finora sono stati ancorati i precedenti ristori bensì la media mensile dell’intero anno rispetto al 2019, a patto di aver perso nel complesso almeno il 33% (ma la percentuale è ancora da confermare). Nel decreto sono previsti poi altri due miliardi di euro per il Piano vaccini, compreso il trasporto, la somministrazione e il coinvolgimento dei medici di famiglia, e le terapie anti-Covid. I licenziamenti vengono bloccati fino a fine giugno, mentre la Cassa integrazione Covid potrebbe essere prorogata fino a fine anno. Il governo lavora anche alla sospensione dell’invio di nuove cartelle per altri due mesi, cioè fino a fine aprile.

Per imprese, esercenti e partite Iva cambiano inoltre le fasce di indennizzo. La bozza attuale ne prevede quattro: il 30% per le attività con ricavi fino a 100mila euro, 25% fino a 400mila euro, 20% fino a un milione e 15% per quelle con fatturato più alto, mentre si starebbe ancora valutando come intervenire per sostenere le start up. I decreti ristori del governo Conte riconoscevano invece cifre parametrate al 20% della differenza di fatturato tra aprile 2020 e aprile 2019 per chi avesse avuto ricavi 2019 sotto i 400mila euro15% in caso di ricavi tra 400mila euro e 1 milione e 10% con ricavi tra 1 e 5 milioni. Questi aiuti dovrebbero coinvolgere 2,7 milioni tra imprese e professionisti con fatturato fino a 5 milioni. L’intenzione di prevedere tetti più alti di fatturato è confermata a Radio24 dalla viceministra all’Economia Laura Castelli.

“Gli uffici tecnici preposti sono al lavoro per individuare un pacchetto di misure normative di sostegno ispirato all’equità, alla celerità, alla semplificazione e alla immediatezza”, ha aggiunto il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti durante il question time alla Camera. Il provvedimento, sostiene , “è ispirato ad una radicale semplificazione delle attuali procedure, superando lo schema normativo improntato sulla base del codice Ateco e favorendo l’automatismo dell’erogazione in tutti i casi in cui ciò risulta possibile, ed eventualmente prevedendo anche in modo opzionale la possibilità di compensazione in sede di dichiarazione“. Per quanto riguarda le tempistiche di approvazione, Giorgetti fa sapere che il decreto “vedrà la luce, auspicabilmente, entro la prossima settimana“.

Nel provvedimento sarebbero previsti anche 600 milioni da aggiungere ai contributi a fondo perduto per la filiera della neve, visto lo stop definitivo della stagione per lo sci, da ripartire in Conferenza Stato-Regioni. Per la filiera della montagna, però, si starebbe ragionando su come modulare in modo diverso l’intervento. Così come si valuta se rafforzare ulteriormente il finanziamento per il piano vaccinale e sarebbe ancora in discussione la modalità con cui fare ripartire la riscossione delle cartelle. Al momento si pensa a un nuovo stop generalizzato fino al 30 aprile sia per l’invio di nuovi atti sia per il pagamento delle rate della cosiddetta ‘pace fiscale’ cioè la rottamazione ter e il saldo e stralcio. Il capitolo fiscale, peraltro, potrebbe anche contenere un nuovo stralcio delle cartelle ferme da anni nel magazzino: si ipotizza di cancellare quelle tra il 2000 e il 2015 per importi massimi fino a 5mila euro comprese sanzioni e interessi. L’intervento riguarderebbe 60 milioni di cartelle e avrebbe un costo di due miliardi tra 2021 e 2022.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/03/i-ristori-nessuna-fretta-il-governo-rimanda-ancora-fino-a-un-mese-per-la-piattaforma-dopo-le-richieste-per-le-aziende-ferme-altre-settimane-senza-soldi/6120471/

giovedì 4 marzo 2021

“Aspi, trust e divorzi finti: così gli indagati nascondono i soldi”. - Marco Grasso

 

L’inchiesta. La Gdf: l’obiettivo è evitare di pagare i risarcimenti alle vittime.

C’è chi ha creato un trust, dove ha messo al riparo il patrimonio personale. Chi ha venduto case e le ha intestate a familiari. Chi si è separato, avviando così anche divisioni patrimoniali. C’è fermento all’ombra dei processi nati dal crollo del Ponte Morandi. Procedimenti che prospettano cause penali e civili milionarie. Le stime sui possibili risarcimenti ammontano a 1 miliardo e mezzo di euro, secondo lo Cassa depositi e prestiti, impegnata in un’aspra trattativa per l’acquisizione di Autostrade per l’Italia. Una valutazione non troppo lontana da quella fatta dalla Corte dei Conti, che stima in più di 1 miliardo i costi dei soccorsi prestati durante l’emergenza e i danni all’economia. Insomma, cifre da capogiro. Ed è in questo contesto che gli inquirenti hanno notato un fenomeno ricorrente: alcuni degli indagati nelle inchieste della Procura di Genova hanno cominciato a disfarsi di proprietà e conti in banca.

A segnalarlo è un’informativa della Guardia di Finanza, depositata nelle settimane scorse ai pm Walter Cotugno e Massimo Terrile, i magistrati che si occupano delle indagini nate dal disastro, coordinati dal procuratore capo Francesco Cozzi e dall’aggiunto Paolo D’Ovidio. L’annotazione contiene il tracciamento di alcuni movimenti finanziari sospetti.

Al centro dell’attenzione ci sono una decina di persone, manager di medio e alto livello, nomi ricorrenti in tutti i filoni di indagine. Da una prima scrematura circa la metà di queste posizioni sono ritenute di massimo interesse. Gli investigatori stanno cercando di valutare se si tratta di manovre lecite, oppure se sono la spia di un tentativo di occultamento di capitali o di intestazioni di beni a persone fittizie, insomma movimenti strategici per evitare future aggressioni in caso di guai giudiziari.

La Procura di Genova non indaga solo sulla tragedia del viadotto Polcevera, che il 14 agosto 2018 ha provocato 43 vittime. Da quel fascicolo ne sono nati altri tre paralleli: uno sulla falsificazione dei report sulla sicurezza dei viadotti; un secondo molto simile che riguarda ispezioni ammorbidite sulle gallerie; un terzo sull’installazione di barriere antirumore difettose. Tre filoni che lasciano intravedere una medesima filosofia gestionale, orientata secondo il tribunale alla massimizzazione dei profitti, e che per questo potrebbero a un certo punto essere accorpati in un unico processo.

L’affaire barriere a novembre ha portato all’arresto dell’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci. Il manager aveva già lasciato il gruppo nel settembre del 2019, dopo la diffusione delle prime intercettazioni che coinvolgevano alcuni fedelissimi. Tra loro l’ex capo delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli (licenziato due mesi più tardi), registrato mentre chiedeva a personale di Spea (società del gruppo incaricata del monitoraggio delle opere) di ammorbidire i rapporti sulla sicurezza dei viadotti. In un altro messaggio, poche settimane prima del crollo del Morandi, Donferri scrive al suo diretto superiore Paolo Berti che i cavi del ponte “sono corrosi”. Affermazione a cui il suo interlocutore risponde: “Sticazzi, io me ne vado”. E sono sempre i due dirigenti le figure che ritornano in un altro passaggio fondamentale delle indagini. A gennaio del 2020 Berti è appena stato condannato a cinque anni per i morti di Avellino. Minaccia di cambiare versione in appello e di poter mettere nei guai i vertici della società. Donferri lo va a prendere in aeroporto per portarlo a un incontro con Castellucci e in una circostanza lo convince “a stringere un accordo con il capo”.

L’allontanamento di Castellucci, in ogni caso, non è stata un’operazione a costo zero per Aspi. L’accordo di “risoluzione consensuale” prevedeva per il manager una buonuscita da 13 milioni di euro. Castellucci finora si è sempre difeso dicendo di essere stato tenuto fuori dai dettagli tecnici sulla sicurezza. Ma dopo l’aggravamento del quadro indiziario nei suoi confronti, Atlantia ha provato a congelare la liquidazione d’oro e a richiedere indietro anche il primo acconto da 3 milioni. La decisione è stata impugnata di fronte al giudice del lavoro di Roma, che in una prima fase ha dato il via libera al pagamento della seconda tranche. È quasi certo che la controversia sarà destinata ad avere altri sviluppi. Soprattutto quando il tribunale di Genova presenterà il conto da pagare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/04/aspi-trust-e-divorzi-finti-cosi-gli-indagati-nascondono-i-soldi/6121366/

Uomini Eni alla Farnesina: l’accordo segreto del 2008. - Stefano Vergine

 

Esclusivo. Dai tempi di B. e Putin, 11 anni fa, il gruppo può dislocare dirigenti al ministero e viceversa. Così è parte della nostra diplomazia.

C’è un accordo riservato che mette nero su bianco il segreto di pulcinella della politica estera italiana. È un protocollo d’intesa stipulato tra il ministero degli Esteri ed Eni nel 2008, finora mai pubblicato. Spiega in concreto perché il colosso petrolifero di San Donato, controllato dal Tesoro, non è una società privata come tutte le altre. L’accordo concede infatti a Eni un privilegio particolare: stanziare un proprio “funzionario” presso il ministero degli Esteri per un periodo di due anni rinnovabile all’infinito e, reciprocamente, avere nei propri uffici un “funzionario diplomatico” della Farnesina. Insomma Eni e governo italiano si scambiano pedine, così da “rafforzare il raccordo tra l’azienda e il ministero degli Affari Esteri”, dice l’accordo. In più, il gruppo privato e la Farnesina si sono impegnati a scambiarsi informazioni “sulla realtà economica, istituzionale e sociale dei Paesi oggetto di interesse”.

Lo rivela un rapporto intitolato “Tutti gli uomini del ministero” firmato da Re:Common, associazione italiana che da anni monitora l’attività di Eni nel mondo e ha, tra le altre cose, dato il via con le proprie denunce alle inchieste condotte dalla Procura di Milano per casi di sospetta corruzione in Nigeria e Repubblica del Congo. “In veste di principale compagnia energetica italiana, Eni gode di un peso rilevante sulla politica estera del nostro Paese. La protezione degli asset petroliferi del Cane a sei zampe ha motivato persino alcune delle missioni militari in cui è tuttora impegnato l’esercito italiano”, scrive Re:Common nell’introduzione del suo rapporto. Che il confine tra Eni e lo Stato italiano sia sempre stato sottile non è un segreto. “L’Eni è oggi un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della nostra politica di intelligence. Cosa vuol dire intelligence? I servizi, i servizi segreti”, disse in tv nel 2014 Matteo Renzi, appena eletto presidente del Consiglio, scatenando le proteste dell’opposizione. La frase di Renzi “potrebbe essere usata da qualunque concorrente, all’estero, per bloccare contratti o gare”, commentò ad esempio Guido Crosetto, coordinatore di Fratelli d’Italia. Ma non è solo una questione commerciale. Prendiamo il caso di Giulio Regeni. Che peso ha avuto finora Eni, che in Egitto ha enormi interessi economici, nella decisione del governo italiano di non rompere i rapporti con il regime di al-Sisi? È uno dei tanti temi toccati dal rapporto di Re:Common, così come quello delle negoziazioni sul clima. “Quello in corso sarà un anno fondamentale per la politica energetica italiana”, scrive l’associazione, “e il nostro Paese avrà la co-presidenza della prossima COP 26 e quella del G20. Un tema centrale sarà proprio quello dei finanziamenti pubblici in nuovi progetti fossili. Viene da chiedersi però quali siano le possibilità concrete che l’esecutivo smetta di finanziare i devastanti progetti di Eni, fintanto che la compagnia godrà di una posizione privilegiata all’interno della stessa cabina di regia incaricata di coordinare la posizione dell’Italia nell’ambito di questi negoziati”. L’associazione ha scoperto quali sono i dipendenti Eni distaccati alla Farnesina. E due di questi avrebbero partecipato alle riunioni del ministero svoltesi in vista delle negoziazioni internazionali sul clima. Si tratta di Alfredo Tombolini, distaccato alla Farnesina dal 2016 al 2019, e di Sandro Furlan, oggi ancora in carica. Secondo Re:Common, i due manager hanno partecipato ad almeno tre riunioni delle cabine di regia su “Energia” e “Ambiente e Clima” tenutesi tra il dicembre del 2019 e la scorsa estate. Il problema, secondo l’associazione, è che così facendo la politica italiana rischia di essere troppo influenzata da Eni.

Il protocollo d’intesa tra l’azienda e il ministero dura ormai da 13 anni. È stato firmato nel settembre del 2008, quando a capo del governo c’era Silvio Berlusconi e sulla poltrona di amministratore delegato di Eni sedeva Paolo Scaroni. Due anni prima l’azienda aveva firmato con la russa Gazprom un contratto di fornitura di gas con scadenza 2035. “Visto il lungo radicamento della società in Russia e gli ottimi rapporti di cui gode con il Cremlino, Berlusconi vide in Eni un asset formidabile per la sua politica estera, tanto da permettere alla compagnia petrolifera di insediare i propri funzionari all’interno della Farnesina”, scrive Re:Common. Di sicuro il primo manager Eni distaccato al ministero degli Esteri è stato Giuseppe Ceccarini, fino ad allora responsabile delle relazioni istituzionali con la Russia per il Cane a sei zampe.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/04/uomini-eni-alla-farnesina-laccordo-segreto-del-2008/6121370/

Signorsì signore! - Marco Travaglio

 

A Sanremo, Fiorello parla alle sedie vuote e incassa applausi finti. A Roma, la sedia vuota di Draghi parla agli italiani e incassa applausi veri. Anzi, standing ovation.

Dpcm. C’è una bella differenza fra quelli di Conte e quello identico di Draghi. Lo spiega la Gelmini, appena fuori dal tunnel dei neutrini, che ai tempi della tirannide contiana lo definiva “strumento discutibile” e ora lo illustra alla stampa “rivendicando la discontinuità nei tempi e nei metodi”. Nei tempi perché i Dpcm di Conte erano datati 2020 e quello di Draghi 2021. Nei metodi perché “abbiamo tentato di correre il più possibile” (come prima) e “cercato la condivisione più ampia possibile” (come prima, solo che allora la destra e le sue Regioni erano all’opposizione). Ma soprattutto: prima i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri li illustrava il Presidente del Consiglio dei Ministri, ora invece c’è la Gelmini, perché a lui gli vien da ridere.

Premier fantasma. In democrazia, il premier coinvolge nelle decisioni il Consiglio dei ministri e poi le spiega al Parlamento e ai cittadini. Draghi ha silurato il capo della Protezione civile (Borrelli) sostituendolo col predecessore (Curcio) e il commissario all’emergenza (Arcuri) rimpiazzandolo con un generale (Figliuolo). I risultati diranno se ha fatto bene o ha fatto male. Ma perché l’abbia fatto sfugge a tutti. Non vuole spiegarlo a voce? Scriva un comunicato stampa. Ma la stampa non vuole. Il silenzio del premier, per il Giornale, è “un po’ come il grande Gatsby, che non partecipava quasi mai alle sue feste, limitandosi a vigilare sul fatto che tutto fosse impeccabile” (infatti già allora ci mandava la Gelmini). Per il Foglio, “Draghi sa scomparire” e “offre la scena ai ministri”, ma non per scaricare barile: “delega e si fida”, è l’“uomo solo al comando che sa delegare”. Per il Messaggero, pare che taccia, ma parla con quei “silenzi eloquenti che migliorano la politica”. Seguiranno le parole silenti, i movimenti immobili, i vegani carnivori, la tirannia democratica.

Prima la scuola. Ricordate la “svolta” di Draghi al Senato? “La didattica a distanza crea disagi ed evidenzia diseguaglianze… Dobbiamo tornare rapidamente a un orario scolastico normale e recuperare le ore di didattica in presenza perse”. Risultato: le scuole richiudono nelle zone rosse e, se i presidenti di Regione vogliono, pure in quelle gialle e arancioni.

Prima i ristori. Il 21 gennaio il Parlamento approvò 32 miliardi di deficit per il dl Ristori-5, ultimo atto del Conte-2, mentre FI, FdI, Lega e Iv strillavano ai ritardi nei rimborsi alle categorie colpite e le tv erano piene di ristoratori e gestori di impianti sciistici furibondi, affamati, alcuni suicidi.

Dopo un mese e mezzo le proteste sono scomparse, così come il dl Ristori: forse i soldi arrivano dopo Pasqua perché il ministro Franco sta escogitando una nuova piattaforma presso Sogei. La Stampa però già li vede: “Draghi: 12 miliardi di sostegni” (si rivende quelli dei famigerati predecessori). E la discontinuità è garantita: il dl Ristori-5 si chiamerà Sostegno-1.

Prima i commissari. Ricordate gli alti lai di renziani&giornaloni sulla cabina di regia di Conte per il Recovery che esautorava ministri, Parlamento, Regioni e Comuni? Il neoministro Giovannini informa sul Sole 24 Ore: “Commissari anche per le opere del Recovery”. E tutti zitti, anzi plaudenti. Com’è umano, lui.

Fianco destr! Tutti vedono che questo è un governo di centrodestra coi voti gratuiti della maggioranza di centrosinistra. Il premier è un grande banchiere, il ministro dell’Economia è l’ex dg di Bankitalia, il loro consigliere economico è il turboliberista Giavazzi, il sottosegretario ai Servizi è l’ex capo dei Servizi, i ministeri chiave sono tutti in mano a tecnici e politici di centrodestra. E ora è arrivato pure il generale al posto di Arcuri che M5S, Pd, LeU avevano chiesto di confermare e Lega, FI, FdI, Iv di cacciare. Lo scrive persino Repubblica a pag. 6: “Di fatto Draghi ha escluso la politica dalla linea di comando: le scelte economiche le fa lui insieme a Franco”. Ma Stefano Folli spiega a pag. 27 che “il governo Draghi non va a destra” perché “la sostituzione di Arcuri permette a Salvini di sentirsi soddisfatto”, e “ questo rafforza l’esecutivo”, mentre Speranza non l’hanno ancora cacciato. Quindi, per “rafforzare” il suo governo, Draghi deve badare ogni giorno che Salvini si senta “soddisfatto”. Ergoè ufficiale: il governo è di centrodestra. Chissà se il centrosinistra lo capirà. E quando.

Vogliono i colonnelli. Nel 1980, dopo il terremoto in Irpinia, il Corriere di Franco Di Bella iniziò a reclamare la militarizzazione dell’emergenza (“E adesso la mano passa ai militari”), fortunatamente inascoltato dal governo Forlani, che nominò commissario Zamberletti. Quattro mesi dopo si scoprì che Di Bella e il Corriere erano della P2. Altri tempi, ma questo festoso tintinnar di sciabole e penne fa comunque riflettere. Sentite il caporale Merlo dalla nuova fureria su Rep: “Oggi i militari, come i pompieri di New York, sono gli ‘arrivano i nostri’ della democrazia, risorse dello Stato che intervengono nei terremoti e nelle emergenze, anche meno gravi della pandemia”. Conte e Arcuri “non erano generali, ma hanno esercitato un potere autoritario, come i ‘colonnelli’ di Tognazzi”. Quindi i veri generali non sono i generali (che semmai sono pompieri), ma quelli che non lo sono. E chi non si allinea stia punito. Signorsì signore!

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/04/signorsi-signore-2/6121339/

Buchi neri supermassicci dalla materia oscura. - Giuseppe Donatiello

 

UNO STUDIO ESPLORA UNA POSSIBILE ORIGINE DI QUESTI MOSTRI CELESTI.

È probabile che ogni grande galassia ospiti nel suo centro un buco nero supermassicio (Smbh), pesante milioni o miliardi di masse solari, come quello ripreso nel cuore di Messier 87. Esistono prove della presenza di questi oggetti già nel giovane Universo, 800 milioni di anni dopo il Big Bang.

Una presenza precoce che contrasta con lo scenario che indica la formazione di tali mostri da un collasso stellare e da un successivo accrescimento a spese della materia normale (stelle e nubi di materia).

Si ritiene che le primissime stelle, quelle di “Popolazione III”, fossero più massicce di quelle formatesi in seguito, quindi in grado di generare, esplodendo come supernove, i buchi neri di taglia stellare che sarebbero stati gli embrioni per quelli supermassici. Tuttavia, stime ragionevoli sulla tempistica rendono molto improbabile che i Smbh si siano formati con questo meccanismo in pochi milioni di anni. Deve essere intervenuto un meccanismo completamente diverso, ma quale?

Sono stati proposti scenari diversi per spiegare l’arcano, invocando per esempio il collasso d’intere regioni nel centro delle proto-galassie, considerando anche il ruolo della materia oscura in questi processi.

Un nuovo studio, guidato da Carlos R. Argüelles, ricercatore presso l’Universidad Nacional de La Plata e l’Icranet, propone la formazione di Smbh unicamente dal collasso di materia oscura. Questo modello era già stato proposto, ma il merito del nuovo studio consiste nel descrivere l’intero processo, partendo da regioni ad alta densità poste nel centro delle attuali galassie, con tutte le implicazioni cosmologiche che ne derivano.

Lo studio considera la presenza di notevoli concentrazioni di materia oscura nelle galassie. Le simulazioni hanno mostrato la possibilità di un collasso da nuclei di materia oscura, una volta raggiunta una soglia critica. Così, si formerebbe direttamente un buco nero con milioni di masse solari senza la necessità di una progressiva accrezione ai danni della materia circostante.

Due intriganti conseguenze.

Tale processo è piuttosto rapido al confronto con altri meccanismi e introduce un’intrigante conseguenza: i Smbh si formano prima della galassia e non dopo, come ritenuto in precedenza. Questi oggetti fungerebbero da nuclei di aggregazione per la formazione gerarchica successiva.

Un’altra intrigante conseguenza è che non tutti gli aloni di materia oscura raggiungono la massa critica per collassare in Smbh, conservandosi sotto forma di piccoli aloni, come quelli che sembrano avvolgere le galassie nane, tenendole insieme. Questo è ciò che si osserva in molti sistemi diffusi, dove il nucleo denso di materia oscura produrrebbe effetti gravitazionali simili a quelli di un buco nero supermassicio.

Alcune galassie che non manifestano la presenza di nuclei attivi, come la Via Lattea, potrebbero invece ospitare un nucleo denso di materia oscura in luogo di un Smbh, pur esibendo movimenti stellari del tutto simili.

https://bfcspace.com/2021/02/25/buchi-neri-supermassicci-dalla-materia-oscura/?fbclid=IwAR2k9_Sq8W2Ue53PglIm3anzjYn50tl48hEuJUmNXk782eC6Nm8nNbrBpQE