Come se non fabbricassero abbastanza cazzate in proprio, i giornaloni le importano dall’estero. Il Financial Times implora Draghi di restare a Palazzo Chigi e tutti: “Evviva evviva, l’abbiamo detto anche noi! Fino al 2023! No, fino al 2028! Anzi, meglio, a vita!”. Poi, sempre sul Ft, Bill Emmott gli dà il via libera per il Quirinale, e gli stessi che esultavano per il piano A tripudiano per il piano B: “Al Quirinale, al Quirinale, è quel che diciamo anche noi!”. Intanto l’Economist (gruppo Elkann) premia l’Italia come Paese dell’anno e tutti a spellarsi le mani: “Hip hip hurrà! Con i Migliori siamo Er Mejo!”, salvo scoprire che prima di noi i Paesi dell’Anno furono Armenia, Uzbekistan e Malawi (mai visti da Draghi se non in cartolina). Poi arriva Scholz e saluta cortesemente SuperMario: tanto basta ai nostri aruspici per arguirne che la Germania lo vuole a Palazzo Chigi in saecula saeculorum, ma contemporaneamente anche al Quirinale. E, siccome anche Macron gli fa gli occhi dolci e gli stringe la mano per 12 secondi (“oltre un minuto” per il Corriere e mezz’ora per la Questura), ne deducono che anche lui vuole imbullonarlo vita natural durante a Chigi (sicuramente più a lungo di quanto lui resterà all’Eliseo). Deduzione confermata ieri dalla frase di Manu “Draghi e Mattarella sono una fortuna”, indice della sua volontà di imbalsamare i nostri presidenti lì dove sono.
Voi vi domanderete: ma con tutti i casini che ha in casa sua, che gli frega a Macron dei nostri? Ingenui: Bresolin spiega sulla Stampa che “una crisi nel nostro Paese può ostacolare il cammino di Macron verso il bis”: è noto infatti, dalla presa della Bastiglia in poi, che i francesi prima di fare qualunque cosa chiedono il permesso agli italiani. E nella pagina accanto la Cuzzocrea rivela che “l’emergenza Covid spinge Draghi al Quirinale”: noi credevamo che un anno fa l’emergenza Covid l’avesse spinto a Palazzo Chigi ed, essendo peggiorata, lo inchiodasse lì per tentare di risolverla. Mah. A illuminarci in cotanto buio arriva una fonte super partes: la banca d’affari americana Goldman Sachs, che ebbe Draghi ai vertici nel 2002-‘05. Noi non ci dormivamo la notte: che vorrà da noi Goldman Sachs? Il responso è alfin giunto: “Goldman ammonisce l’Italia: ‘Le riforme rallentano se il premier si dimette’” (Stampa). Quindi niente, non si muove di lì. Sapete chi firma la dotta analisi? Tal Filippo Taddei, ex cervellino della sinistra Pd assurto a consigliere economico dell’Innominabile, con gli esiti a tutti noti. Mica pizza e fichi. In attesa che si pronunci il divino Otelma, torna alla mente una battuta che girava ai tempi delle leggi (finte) anti-casta: “Abolite le province, ci resta il provincialismo”.
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