martedì 4 gennaio 2022

Renzi, B. e logge: un 2022 di inchieste sul potere. - Vincenzo Bisbiglia, Saul Caia, Francesco Casula, Vincenzo Iurillo, Marco Grasso, Davide Milosa, e Lucio Musolino.

 

Cosa ci aspetta. Quest’anno sapremo se il leader di Iv andrà a giudizio per Open e se ci sarà dibattimento per il caso Regeni. Poi le udienze Open Arms e Consip: tutti gli appuntamenti.

Il 2022 sarà – Covid permettendo – un anno di grandi processi e inchieste. Da quello in corso a Matteo Salvini a Palermo per il sequestro dei migranti sulla ong Open Arms, a quello che potrebbe iniziare a Firenze per Matteo Renzi per un’altra Open, la Fondazione cassaforte del renzismo. Il leader di Italia Viva però ha una grana anche a Roma dove è indagato per finanziamento illecito nell’ambito di un’inchiesta che riguarda i rapporti economici che lo legano all’agente delle star Lucio Presta. A Bari, invece, continua il processo che vede imputato Silvio Berlusconi, autocandidatosi al Quirinale, per aver indotto Tarantini a non dire il vero. La prossima udienza è fissata il 21 gennaio, nel pieno delle votazioni per il successore di Mattarella. A Siena, inoltre, il Cavaliere pregiudicato e riabilitato attende decisioni della Procura generale che potrebbe impugnare l’assoluzione di ottobre nel processo Ruby ter con l’accusa di aver corrotto il pianista delle sue cene eleganti di Arcore per indurlo a mentire. E ancora: nei prossimi mesi il Gup di Brescia sentenzierà se rinviare o meno a giudizio il pm di Milano Paolo Storari e l’ex consigliere Csm Piercamillo Davigo per la diffusione dei verbali segreti dell’avvocato Piero Amara sulla presunta Loggia Ungheria. Quest’anno potrà riservare parecchi colpi di scena.

Toscana Matteo d’arabia rischia di finire alla sbarra.

La Toscana è la terra dei Renzi, anche da un punto di vista giudiziario. Quest’anno si saprà ad esempio se ci sarà un processo per il caso Open: a Firenze Matteo Renzi è indagato per concorso in finanziamento illecito con gli ex ministri Luca Lotti e Maria Elena Boschi. I pm – che ritengono la Open un’articolazione politico-organizzativa della corrente renziana del Pd – hanno chiuso l’inchiesta a ottobre. Anche i genitori del leader di Iv hanno qualche grana a Firenze. Qui è in corso in primo grado il processo che vede imputati Tiziano Renzi e Laura Bovoli per la bancarotta di tre cooperative. Per Renzi sr. e Bovoli poi è in corso il processo in appello per fatture false: il 7 novembre 2019 i due sono stati condannati a 1 anno e 9 mesi, due anni sono stati inflitti all’imprenditore D’Agostino. A Firenze ci sono anche altre inchieste delicate, come quella che vede indagati Berlusconi e Marcello Dell’Utri con l’accusa, tutta da dimostrare, di essere i mandanti esterni nelle stragi del 1993: per questa ipotesi la Procura di Firenze dal 1997 in poi ha iscritto e archiviato già tre volte i due.

Lazio Consip, imputati Tiziano Renzi e Luca Lotti.

A Roma è attesa la sentenza di primo grado sul presunto depistaggio nel caso Cucchi: il pm Musarò ha chiesto otto condanne, fra cui 7 anni all’ex capo dei Corazzieri del Quirinale, Alessandro Casarsa. Il 10 gennaio ci sarà la nuova udienza preliminare del processo Regeni: si dovrà decidere la modalità per notificare gli atti ai 4 agenti della National Security egiziana accusati di aver rapito, torturato e determinato la morte del ricercatore. Continua il processo Consip: fra gli imputati Tiziano Renzi, papà di Matteo, accusato di traffico di influenze illecite e Luca Lotti, accusato di rivelazione di segreto. Fra le indagini in dirittura d’arrivo nel 2022 c’è quella sull’ex giornalista Rai, Mario Benotti: l’inchiesta riguarda l’acquisto da parte del governo, nel 2020, di oltre 800 milioni di mascherine dalla Cina. Indagato per peculato e abuso d’ufficio anche l’ex Commissario, Domenico Arcuri. Arcuri all’inizio fu iscritto per corruzione, ma per lui c’è stata richiesta di archiviazione. Va verso l’archiviazione anche la posizione del Commissario Figliuolo, finito in un’inchiesta su alcuni capi di abbigliamento donati da un imprenditore. Nel 2022 si attende la chiusura dell’inchiesta sulla morte dell’ambasciatore Attanasio.

Campania Appalti e favori: il sistema De Luca.

Quest’anno sapremo se il governatore della Campania Vincenzo De Luca verrà risucchiato nel gorgo delle indagini sul Sistema Salerno, il collaudato meccanismo ‘appalti alle coop in cambio di voti’ di prassi per un ventennio a Salerno. Città di cui De Luca è stato a lungo sindaco.
Per ora raggiunto solo da un avviso di proroga delle indagini per corruzione, De Luca è spesso evocato nelle intercettazioni, dalle quali appare come il vero dominus di Salerno.
E il prossimo anno sarà quello decisivo per le indagini su ‘Lady Camorra’ Maria Licciardi. ‘A piccerella’ è ritenuta dalla Dda di Napoli una figura di vertice dell’Alleanza di Secondigliano. Fermata a fine agosto con il biglietto aereo per la Spagna in tasca, a inizio dicembre il ministro della Giustizia Cartabia ha disposto per lei il 41-bis.
La Dda partenopea nel 2022 dovrà sciogliere un altro nodo: quello dell’estradizione del narcos Raffaele Imperiale, l’uomo che custodì per anni a Castellammare di Stabia due Van Gogh rubati ad Amsterdam. L’Interpol lo ha arrestato in luglio a Dubai, mettendo fine a una latitanza dorata pluriennale. Ma Imperiale è ancora lì, in attesa che gli Emirati concretizzino le istanze del nostro governo.

Lombardia i guai di Fontana, lega e gestione covid.

Il libro-mastro della Procura di Milano per il 2022 ha in elenco indagini delicate. A partire dalla Lega: dopo le condanne per il caso Lombardia Film Commission, si aprono nuovi scenari sul fronte dei soldi. Due le inchieste in corso sulla galassia 5S: la prima sui presunti 4 milioni arrivati dal governo venezuelano (è indagato per finanziamento illecito e riciclaggio il console in Italia), la seconda (fascicolo senza indagati né reati) sui finanziamenti alla Casaleggio associati da parte dell’armatore Vincenzo Onorato, indagato in un filone parallelo per bancarotta. Altro fascicolo aperto è quello sulla lobby nera: indagati per finanziamento illecito e riciclaggio l’eurodeputato di FdI Carlo Fidanza e il neonazista Jonghi Lavarini. Nel 2022 si attende anche la chiusura indagine per il caso Moscopoli: il reato contestato a Gianluca Savoini, uomo di Salvini in Russia, è corruzione internazionale. Caso camici: per il presidente Attilio Fontana c’è la richiesta di rinvio a giudizio per l’accusa di frode in pubbliche forniture, resta aperto il fascicolo sui soldi del leghista in Svizzera. A Bergamo prosegue l’inchiesta sulla mancata zona rossa e sulla gestione della prima ondata pandemica: i pm sono in attesa della super perizia del professor Andrea Crisanti.

Puglia Berlusconi in aula nei giorni del voto al colle.

Tra la Puglia e la Basilicata, il 2022 sarà un anno di grandi colpi giudiziari. A Bari, infatti, il 21 gennaio – proprio nei giorni in cui si voterà per il nuovo capo dello Stato – è in programma l’udienza del processo che vede imputato Silvio Berlusconi per induzione a mentire, con l’accusa di aver offerto denaro all’imprenditore Gianpaolo Tarantini affinché mentisse ai pm baresi che indagavano sulle escort portate nelle ville dell’ex premier tra il 2008 e il 2009. Finora tra convalescenze, elezioni e strutture inagibili, il processo è stato rinviato molte volte. Basti pensare che il fascicolo è arrivato a Bari nel 2011. Qualche giorno prima dell’udienza di B., inoltre, sempre nel Tribunale di Bari si celebrerà anche l’udienza preliminare alle quattro escort accusate di aver mentito sui loro rapporti con il leader di Forza Italia. Procedimenti importanti anche a Potenza, dove quest’anno potrebbe arrivare la richiesta di rinvio a giudizio della procura per gli indagati coinvolti nell’inchiesta sull’affare Ilva: dall’avvocato Piero Amara all’ex commissario straordinario dell’Ilva Enrico Laghi fino all’ex procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo.

Umbria I casi a Perugia Palamara, “Ungheria” e l’esame farsa di Suárez.

Quest’anno si saprà se ci sarà o meno un processo per il caso Suárez, il calciatore uruguaiano (non indagato) che, secondo i pm, sarebbe stato agevolato nel suo esame di italiano finalizzato a ottenere il passaporto italiano. Imputati a vario titolo per falso ideologico e rivelazione di segreto d’ufficio i vertici dell’Università Stranieri di Perugia e l’avvocato Maria Cesarina Turco, che secondo i pm agiva per conto della Juventus. Il 15 marzo poi ci sarà la nuova udienza del processo per corruzione all’ex pm Luca Palamara. La vicenda riguarda il pagamento di viaggi, soggiorni e cene che, per l’accusa, Palamara avrebbe ottenuto dall’imprenditore Fabrizio Centofanti (che ha chiesto il patteggiamento a 1 anno e 6 mesi). Il 17 gennaio invece si apre il processo d’Appello sul caso Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Ablyazov espulsa nel 2013: condannate in primo grado 7 persone, fra cui l’ex capo della Squadra Mobile di Roma, Renato Cortese, e l’allora dirigente dell’Ufficio immigrazione, Maurizio Improta. Infine, è ancora in corso l’inchiesta per violazione della legge Anselmi sulla “Loggia Ungheria”, una presunta associazione segreta di cui ha parlato l’avvocato Piero Amara davanti ai pm di Milano.

Calabria Appello in corso per il boss stragista Graviano.

Se il 2021 è finito con le motivazioni della sentenza di condanna a Mimmo Lucano da parte del Tribunale di Locri, l’inizio dell’anno giudiziario in Calabria è tutto dedicato all’attesa per le motivazioni della sentenza del processo “Gotha”, contro la componente riservata della le cosche reggine in cui è stato condannato a 25 anni di carcere l’avvocato ed ex parlamentare del Psdi, Paolo Romeo, ritenuto una delle due teste pensanti della ’ndrangheta. Il 2022, a Reggio, sarà dedicato al processo d’appello “’ndrangheta stragista”: in primo grado il boss Giuseppe Graviano è stato condannato all’ergastolo per il duplice omicidio di due carabinieri.
Procede anche, nell’aula bunker di Lamezia Terme, il maxi-processo “Rinascita-Scott” contro la cosca Mancuso e i presunti colletti bianchi arrestati nel 2019 dalla Dda di Catanzaro: imputato anche l’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, da poco rispedito in carcere dopo aver scritto una lettera al ministro Mara Carfagna, violando, secondo il tribunale, le prescrizioni previste dai domiciliari.

Sicilia i “parenti” salvini e verdini, le accuse a Schifani.

Il 2022 sarà l’anno del processo in primo grado a Matteo Salvini: l’ex ministro dell’interno è imputato a Palermo per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per il mancato assegnamento del pos (place of safety), il porto per lo sbarco, alla ong spagnola Open Arms, che nell’agosto 2019 rimase cinque giorni al largo di Lampedusa con a bordo 147 migranti. Nel capoluogo siciliano inizierà anche l’appello al giornalista Pino Maniaci, travolto nel 2016 da un’inchiesta della Dda, assolto in primo grado dall’accusa di estorsione, e condannato per diffamazione a 1 anno e 5 mesi. L’altro volto di questa vicenda invece si celebra a Caltanissetta, dove sul banco degli imputati per l’appello siede l’ex giudice Silvana Saguto, condannata in primo grado a 8 anni e 6 mesi per diversi episodi di abuso d’ufficio e corruzione. Sempre nel cuore della Sicilia si processa il “Sistema Montante”, da una parte l’appello per l’ex presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Calogero Montante, condannato in abbreviato in primo grado a 14 anni per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Dall’altra, con rito ordinario, il troncone che vede imputati prefetti, 007 e anche l’ex senatore forzista Renato Schifani, accusato di rivelazione di segreto. A Messina invece si celebra il processo ‘Sistema Siracusa’: imputato l’ex senatore Denis Verdini, accusato di finanziamento illecito. Mentre due processi per corruzione elettorale attendono a Catania il deputato regionale neo leghista Luca Sammartino.

Liguria&Sardegna Crollo del Morandi, Grillo jr. e lo stupro.

L’inizio del 2022 sarà decisivo per il processo sul crollo del Ponte Morandi e le altre inchieste che hanno coinvolto Autostrade per l’Italia. L’udienza preliminare è stata rinviata al 28 gennaio, per attendere la decisione della Cassazione sulla ricusazione del giudice Paola Faggioni, proposta dagli avvocati dell’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci e da altri manager Aspi. Sono 59 gli indagati per i 43 morti provocati dal disastro. Le altre tre indagini – i falsi report sui viadotti, le barriere fonoassorbenti pericolose e delle gallerie – saranno riunite in unico maxi-processo sulla mala gestione delle infrastrutture. Quest’anno il Tribunale di Genova sarà impegnato in un altro grande caso: i 33 imputati per presunte mazzette e gare truccate sul Terzo Valico, reati destinati però a essere prescritti a fine 2022. A Verbania (in Piemonte), invece, è in corso l’incidente probatorio sulle cause di un altro disastro: i 14 morti della funivia del Mottarone. Mentre il 16 marzo inizierà a Tempio Pausania (in Sardegna) il processo per violenza sessuale di gruppo che coinvolge Ciro Grillo, figlio del fondatore del M5S, e tre amici: sono accusati di stupro nei confronti di una coetanea e di un’amica conosciuta al Billionaire.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/04/renzi-b-e-logge-un-2022-di-inchieste-sul-potere/6444480/#

Fallimento totale. - Marco Travaglio

 

Qualunque cosa decida domani con l’ennesimo pacchetto di misure anti-Covid (il quinto in un mese), il governo Draghi ha fallito una delle sue due missioni (l’altra era il completamento del Pnrr). E non perché la quarta ondata Delta-Omicron sia colpa sua (era inevitabile come le precedenti, anche se si è pensato di bloccarla alle frontiere coi tamponi ai turisti). Ma per gli errori e le omissioni commessi prima e dopo la sua esplosione.

1. Della terza dose si sapeva da maggio, ma siamo partiti a novembre: intanto Figliuolo chiudeva un hub vaccinale su tre.

2. La copertura dei vaccini scemava (da 12 a 9 a 6 a 4 mesi), ma premier e commissario puntavano solo su quelli, garantendo “ambienti sicuri” e “immunità di gregge”, salvo scoprire (buoni ultimi) che ci salvano solo dalle forme gravi e mortali, non dai contagi.

3. Nulla s’è fatto per la ventilazione degli ambienti chiusi, le distanze nelle scuole (“un metro là ove possibile”, sennò finestre aperte e preghiere), su bus, metro e treni regionali (capienza al 100% senza nuovi mezzi), grazie all’inettitudine di Bianchi, Giovannini e Gelmini (rapporti regionali).

4. Quell’altro genio di Brunetta ha smantellato lo smart working nella Pa, prima arma usata in tutto il resto dell’Ue e raccomandata a novembre dall’Ecdc.

5. Mentre il Green Pass diventava super, mega, maxi e rafforzato, nessuno pensava a revocarlo ai positivi, lasciandoli liberi di contagiare con tanto di carta verde. Ora càpita pure che venga tolto dopo il primo test negativo: cioè quando non si può più infettare.

6. La caccia ai No Vax (molti meno che negli altri grandi Paesi Ue) con argomenti fallaci ne ha convertiti pochissimi, ma ha illuso noi Vax di esser immuni. E l’ossessione per i bimbi (che rischiano poco o nulla) oscura i tanti over 80 (uno su 5), i più esposti a rischi mortali, ancora senza terza dose.

7. Figliuolo, presunto esperto di logistica e approvvigionamenti, non ha calmierato i prezzi di Ffp2, tamponi molecolari e antigenici (fra i più cari in Ue), non ha garantito tende di testing nelle strade per evitare le ore di code al freddo, né ha procurato i reagenti, che scarseggiano come i vaccini.

8. Anziché inseguire ancora i No Vax con obbligo vaccinale o Super Gp per lavorare o lockdown selettivi, rischiando di paralizzare i servizi pubblici e il sistema produttivo, il governo faccia subito qualcosa per ridurre le occasioni di contagio, partendo dallo smart working. E garantisca la terza dose ai 18 milioni di bivaccinati in attesa del booster perché hub e farmacie non ce la fanno. Figliuolo aveva promesso 700 mila dosi al giorno: siamo a 400 mila. Dinanzi a un simile disastro, si stenta a credere che Draghi voglia andarsene al Quirinale. Però si capisce benissimo il perché.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/04/fallimento-totale/6444464/

Il Pd e gli ex: pochi posti, tanti in corsa. - Antonio Padellaro

 

Pochi sono i chiamati perché pochi saranno gli eletti: il detto evangelico rovesciato può essere la vera (e poco confessabile) ragione delle rispostacce piovute dal Pd sul figliol prodigo Massimo D’Alema. Che nell’auspicare il ritorno al Nazareno di Articolo 1, la frangia di sinistra uscita quattro anni fa perché bullizzata da Matteo Renzi, ha usato la frase giusta al momento sbagliato.

Infatti, affermare come ha fatto l’ex leader Maximo, che il renzismo era stata la malattia da cui fuggire, proprio perché vero ha suscitato la finta indignazione dei renziani rimasti nel Pd. In realtà finalizzata a molestare, una volta di più, il segretario Enrico Letta. Ma è stata soprattutto l’occasione di un vade retro, poiché il possibile rientro armi e bagagli dei fuoriusciti accrescerà l’affollamento degli aspiranti candidati quando, presto o tardi, arriveranno le elezioni.

Un sempiterno problema acuito dal robusto taglio dei parlamentari che riguarda adesso l’intero arco partitico. Comprensibile quindi che i numerosi trasferimenti in atto di girovaghi e frontalieri della politica – ex forzisti alla corte della Meloni, ex italovivi ed ex grillini dove capita – in genere non venga accolto nei luoghi di approdo con entusiasmo per le stesse motivazioni di cui sopra. Un si salvi chi può che nel caso di Articolo 1 porterebbe nel Pd pochi voti, ma alcuni nomi piuttosto ingombranti.

Se nel caso di D’Alema parliamo di un personaggio che si è ritagliato un meritato ruolo di padre nobile della sinistra, e da lì non si muove, un rientro di Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza potrebbe creare seri problemi di competizione interna. Il primo per la notevole popolarità che ha saputo conservare, per la schiettezza tutta emiliana con cui dice pane al pane assai apprezzata nei decisivi salotti tv (in confronto allo stile non proprio frizzante di Letta). Come ministro della Salute che ha combattuto la pandemia, il secondo è molto salito in visibilità e sondaggi e nel governo non c’è ministro Pd capace di tenergli testa. Si chiama concorrenza, altro che malattia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/04/il-pd-e-gli-ex-pochi-posti-tanti-in-corsa/6444508/?fbclid=IwAR1WAs5u1H3X1aqd6PFGQhBiqK48d3fBrlLcaFMtyqOSyfwhz0Gg65eYjuE

domenica 2 gennaio 2022

I Nordisti dell’anno da Letizia-Quirinale all’Orietta “naziskin”. - Gianni Barbacetto

 

E a fine 2021 incoroniamo dunque i “Nordisti dell’anno”, i personaggi che hanno meglio (o peggio?) rappresentato quella che è considerata l’area più ricca e propulsiva del Paese.

Letizia Moratti. Dopo essere stata sindaco di Milano, ministra, presidente della Rai, è riemersa come vicepresidente della Regione Lombardia e assessore al Welfare, chiamata per far dimenticare i disastri di quel buontempone di Giulio Gallera. Ha varato una riformetta della sanità regionale che non risolve alcuno dei problemi messi in evidenza dalla pandemia. E adesso è candidata a tutto: a succedere ad Attilio Fontana come presidente della Regione, ma anche a Mattarella come presidente della Repubblica: l’ha lanciata per primo Luigi Bisignani, dall’alto delle sue condanne e del curriculum P2. Non l’aiuta l’inchiesta in corso sul petrolio “sporco” della famiglia Moratti (con soldi finiti perfino all’Isis) e il brutto conflitto d’interessi di quand’era presidente Ubi e finanziava l’azienda del marito.

Attilio Fontana. Il presidente della Lombardia ha finanziato invece l’azienda della moglie e del cognato: è la brutta vicenda dei camici e altro materiale di protezione anti-Covid in cui Fontana si è incartato, prima trasformando un acquisto in donazione e poi pagando con soldi suoi: ma arrivati da conti milionari all’estero che nessuno conosceva e che il tapino ha così rivelato al mondo.

Giuseppe Sala. Rieletto sindaco di Milano al primo turno. Ma, a ben guardare le cifre, con la più bassa partecipazione elettorale mai vista in città. Ora è alle prese con la grana San Siro: la vicenda dello stadio Meazza, da abbattere per permettere a un fondo Usa e una società cinese di salvarsi dal fallimento con una mega-speculazione immobiliare su terreni pubblici. Come finirà?

Massimiliano Fedriga. A Roma era “il leghista gentile”. Poi è tornato a Trieste a fare il presidente del Friuli Venezia Giulia. Fedriga non ha mai cercato di assomigliare al capo del suo partito, Matteo Salvini, ha sempre preferito i toni pacati e la sua autonomia, in politica e nello stile di comunicazione. Nella Trieste diventata capitale dei no vax, si è più volte dichiarato favorevole alla vaccinazione anti-Covid e all’adozione del Green pass rafforzato. Risultato: minacce, lettere minatorie, scritte ostili sui muri. Così ora è costretto a vivere sotto scorta. In campagna elettorale aveva fatto un paio di promesse (“Due disastri a cui dovremo porre rimedio”) che aspettano di essere mantenute: aumentare i posti letto e l’assistenza sanitaria sul territorio; e azzerare la riforma degli enti locali che aveva trasformato quattro province in 18 Uti, Unioni territoriali intercomunali, accrocchi politici non elettivi.

Anonimo No-Tav. Dopo che il Frecciarossa ha iniziato a competere con il Tgv francese per unire Milano e Parigi ad alta velocità sulla linea già esistente, qualcuno ci spiega a che cosa serve il tunnel che vorrebbero scavare in Val di Susa?

Orietta Berti. Non ho mai capito se ci è o ci fa, ma l’Oriettona merita un posto in questa classifica. Dopo un’onorata carriera al suono di Fin che la barca va, ha lampi di genio quando chiama “Naziskin” i Måneskin e “Baby Gay” Baby K. Tutt’altro stile, l’Orietta, rispetto a un’altra collega emiliana, quella Iva Zanicchi che dopo aver fatto la pasionaria berlusconiana è riuscita a tornare in tv e a stonare in maniera clamorosa “Prendi questa mano, zingara…”. Orietta riesce invece a dare ancora il meglio di sé in trio con il Fedez e l’Achille Lauro, cantando una canzoncina (Mille) che piace tanto ai bambini ma a ben ascoltare è un inno gioioso e trasgressivo alla droga e al sesso (fluido, com’è di moda oggi).

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/31/i-nordisti-dellanno-da-letizia-quirinale-allorietta-naziskin/6441700/

L’ultima intervista a Borsellino e i dubbi che ancora restano. - Peter Gomez

 

Inutile girarci intorno. La vera storia dell’ultima, o meglio della penultima, intervista a Paolo Borsellino in cui il giudice parla di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e del boss Vittorio Mangano è da sempre l’anello mancante nelle indagini sulle stragi di mafia del 1992.

In questi anni, mentre Berlusconi e Dell’Utri venivano messi sotto inchiesta e poi archiviati, pm, investigatori e giornalisti si sono spesso chiesti se quell’intervista, mai mandata in onda fino al 2000, abbia rappresentato la miccia che convinse Cosa Nostra a uccidere Borsellino solo 57 giorni dopo Falcone. Un’accelerazione, decisa da Totò Riina e confermata da molti pentiti, insensata dal punto di vista logico. Perché far saltare in aria Borsellino meno di due mesi dopo la morte del suo amico Giovanni, come era perfettamente prevedibile, avrebbe spinto lo Stato a reagire con forza inaudita e a instaurare il 41-bis, il cosiddetto carcere duro per i mafiosi. Detto in altre parole, gli investigatori si sono domandati se per caso qualcuno nella primavera-estate del ’92 abbia avvertito il gruppo Berlusconi dell’esistenza del filmato (l’intervista a Borsellino è del 19 maggio, Falcone muore il 21) e se poi Dell’Utri o altri abbiano parlato di quelle dichiarazioni con qualche esponente dei clan.

L’interrogativo è diventato ancora più pressante in questi ultimi anni dopo che, nel 2016, il boss stragista Giuseppe Graviano, intercettato in carcere, si è lasciato sfuggire con un amico l’ormai celebre frase “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. Adesso, grazie a uno scoop de L’Espresso, sull’intervista sappiamo qualcosa in più. Fabrizio Calvi, che con Jean Pierre Moscardo incontrò Borsellino per conto della pay-tv francese Canal plus, ha raccontato ai colleghi del settimanale quanto gli confidò, con imbarazzo, Moscardo. Secondo Calvi, un emissario di un manager del gruppo Fininvest offrì 1 milione di dollari per avere quel filmato e altre 50 ore di girato che dovevano far parte di un documentario su Berlusconi e la mafia. Calvi e Moscardo oggi sono morti. Non è insomma possibile sapere se l’offerta (sempre che ci sia realmente stata) risalga al ’92 o agli anni successivi, quando le parole di Borsellino rappresentavano un tassello importante delle indagini che avrebbero portato alla condanna di Dell’Utri per fatti di mafia. E nemmeno si può sapere se la proposta sia stata accettata.

In attesa che le Procure tentino di fare chiarezza, noi però ci facciamo un’altra domanda. Meno da questurini e più da giornalisti. Ma come diavolo è possibile che Canal plus abbia deciso di non mandare in onda l’intervista? Nell’estate del ’92, in tutto il mondo, tv e giornali non parlavano d’altro che degli attentati di Cosa Nostra contro Falcone e Borsellino. Ovunque venivano mandati in onda servizi su servizi. La scelta di tenere quell’intervista in un cassetto, sebbene in quel momento rappresentasse uno scoop mondiale, è qualcosa che cozza contro qualsiasi logica editoriale e giornalistica. Per questo contiamo che nei prossimi giorni qualche collega chieda a Canal plus una spiegazione ufficiale. E per ora ci limitiamo a questo commento: gli scoop non vanno mai tenuti nei cassetti. Perché altrimenti chiunque è autorizzato a pensare che quello non sia stato giornalismo, ma solo una manovra oscura o peggio ancora un ricatto.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/29/lultima-intervista-a-borsellino-e-i-dubbi-che-ancora-restano/6439842/

Mattarella, un addio esplicito e solare. - Antonio Padellaro

 

“Eravamo così poveri che a Natale il mio vecchio usciva di casa, sparava un colpo di pistola in aria, poi rientrava in casa e diceva: spiacente ma Babbo Natale si è suicidato”.

Jake LaMotta

In una notte di San Silvestro, se possibile più mesta del Natale descritto da Jake LaMotta, abbiamo provato viva solidarietà e un pizzico di sincera compassione per i colleghi costretti a chiosare il messaggio presidenziale che da quando viene celebrato riserva le stesse sconvolgenti sorprese della cerimonia del Ventaglio, con la differenza che in quel periodo dell’anno fuori fa caldo.

Infatti, venerdì sera, la diretta dal Quirinale non ha fatto che confermare la mirabile sintesi “testo breve, bandiere e sobrietà” con cui i giornali avevano titolato alla vigilia, sbadigliando. La colpa non è naturalmente di Sergio Mattarella (o dei suoi predecessori) ma di un’attesa assolutamente fuori luogo poiché nel redigere l’augusto testo gli amanuensi addetti alla bisogna avranno cura di espungere qualsiasi riferimento al mondo delle cose reali, fosse pure una virgola malandrina. Onde evitare, il giorno successivo, quelle puntute precisazioni con cui l’ufficio stampa del Colle è impegnato a scoraggiare qualunque goffo tentativo di trovare il classico peluzzo nell’uovo.

Faremo dunque preventiva ammenda per esserci scossi dal benefico sopore dopo quell’invito di Mattarella all’unità nazionale, alla solidarietà, e al patriottismo che avevamo incautamente inteso come un possibile viatico per l’elezione di Mario Draghi. Un plebiscito, insomma, che unisse i buonisti di Fratoianni ai patrioti della Meloni, un po’ come la grande chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa. Niente da fare perché prima ancora che potessimo articolare una supposizione il tuono rimbombò di schianto e tra capo e collo ci giunse la preventiva smentita degli uffici.

Dunque per dare un senso a questo scritto formuleremo un apprezzamento e un auspicio. Bene, perché giunto al termine del settennato, il commiato di Sergio Mattarella non poteva essere più chiaro, evidente, esplicito, solare. Il più fermo e cortese “giù le mani” rivolto a coloro che insistono a tirarlo per la giacca (pensiamo che ne abbia diritto, al posto della giacchetta corta di maniche che gli mettono addosso) affinché si faccia rieleggere. L’auspicio riguarda invece il tradizionale pistolotto rivolto ai “giovani”. E qui rivolgiamo un accorato appello al prossimo presidente affinché l’anno prossimo ci risparmi il piagnisteo su ciò che si doveva fare e non si è fatto nei secoli dei secoli per questa categoria quanto mai indistinta e scalognata. Anche perché temo che i “giovani”, la sera del 31, non siano all’ascolto (mentre può darsi che stiano sparando a Babbo Natale).

https://ilfat.to/3JyG5Dc

Nuda proprietà. - Marco Travaglio

 

Siccome dopo le Feste siamo tutti più buoni e soprattutto ieri non uscivano i giornali, abbiamo letto i pensierini per il nuovo anno del direttore dell’Huffington Post, Mattia Feltri, affascinati dal titolo “Solo Berlusconi e Letta possono salvare Draghi (e l’Italia)”. L’idea del tutto inedita che B. possa salvare non solo Draghi, ma financo l’Italia intera, ci ha spronati ad avventurarci nella prosa feltriana. E tutto ci è apparso chiaro già dall’incipit: “Due persone possono salvare il Paese dal disastro di sottrarre il Quirinale a Mario Draghi, con la conseguenza di sottrargli anche il governo…”. Orrore: qualcuno, forse uno spirito maligno, più probabilmente un complotto demoplutogiudaicomassonico, vuole “sottrarre il Quirinale” a Mario nostro e, quel che è più grave, “sottrargli anche il governo”. Ma si può? Che notizia. Noi, gente semplice, ci eravamo abituati all’idea – propalata per tutto l’anno dal gruppo Gedi, editore del sito clandestino – che Draghi dovesse restare a Palazzo Chigi fino al 2023, lasciando sul Colle un Mattarella o un Amato a ore come scaldasedia e scaldaletto. Ma poi anche dopo (previa abolizione delle elezioni), almeno fino al 2028 o meglio ancora a vita. Poi si è scoperto dalla sua viva voce, alla vigilia di Natale, che s’è già stufato di governare, dunque ritiene compiuta la missione. E ambisce a passare a miglior vita, ma sempre su questa terra: traslocando da Palazzo Chigi al Quirinale.

A quel punto i Cavalieri Gedi si sono un po’ disuniti: alcuni lo vorrebbero ancora lì, imbullonato a Palazzo Chigi contro la sua volontà; altri ritengono “un disastro” non accontentarlo aviotrasportandolo al Quirinale che – apprendiamo or ora – è già di sua proprietà. Ma c’è chi vorrebbe “sottrarglielo” col tipico esproprio proletario. Siccome però, non contenti, gli anonimi scippatori vorrebbero pure “sottrargli il governo”, ne deriva che Draghi, zitto zitto, s’è comprato pure Palazzo Chigi. Tutto fra Natale e Capodanno. E noi vorremmo tanto conoscere l’agenzia immobiliare, i compromessi e i rogiti, l’entità degli anticipi, le forme di finanziamento, i dettagli dei mutui (Banca d’Italia? Montepaschi? Antonveneta? Goldman Sachs?), ma soprattutto sapere quale sia la prima casa e quale la seconda. Secondo voci non confermate, la seconda è il Quirinale, che presenta le incertezze tipiche del villino al mare o dello chalet in montagna, dove si va quando capita, in base agli impegni e al tempo che fa. Altri sostengono che Draghi, per Palazzo Chigi, abbia fatto valere l’usucapione (sia pure di undici mesi scarsi) e che del Quirinale abbia acquistato solo i muri, per non insospettire l’anziano inquilino: la nuda proprietà, insomma, rinviando l’usufrutto a tempi migliori. Anzi, Migliori.

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