mercoledì 9 dicembre 2020

Il ministro Bonafede presenta l’Alleanza contro la corruzione per “impedire la dispersione e l’accaparramento criminale” dei fondi. No dei renziani.

 

No da Italia Viva che parla di mania di task force e ricorda come per il contrasto alla corruzione esista già l'Anac creata da Matteo Renzi. Nella squadra anche il governatore di Banca d'Italia Ignazio Visco, il presidente dell'Autorità anticorruzione Giuseppe Busia e il procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho. Firmato questa mattina il decreto che da vita alla struttura per "impedire la dispersione e l’accaparramento criminale" dei fondi per contro la pandemia.

Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha annunciato questa mattina l’avvio di una grande consultazione pubblica sulle pratiche anticorruzione, anche con lo scopo di “difendere” i quasi duecento miliardi di euro che verranno stanziati per riparare ai danni sociali ed economici causati dalla pandemia. Stando alle prime indicazioni i fondi destinati a sostenere la ripresa economica godranno infatti di una sorta di corsia preferenziale. Atti e provvedimenti emanati delle strutture guidate da sei manager scelti dal ministero dell’economia e dalla presidenza del Consiglio, per l’impiego dei 196 miliardi di euro del Recovery fund, non saranno infatti soggetti a controllo preventivo da parte della Corte dei conti.

“L’emergenza della pandemia sarà accompagnata da un ingente sostegno finanziario” e per “impedire la dispersione e l’accaparramento criminale” di queste risorse ho firmato il decreto costitutivo di un’iniziativa intitolata ‘Alleanza contro la corruzione: una grande consultazione pubblica di esperti di diversa provenienza professionale e di varia estrazione disciplinare, con l’intento di fare il punto sull’assetto messo in campo dal nostro Paese nei settori della prevenzione e del contrasto alla corruzione”. Così il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.

Poco dopo l’annuncio arriva però il primo mugugno, da Italia Viva. “La smania da task force si sta diffondendo. Ora anche il ministro Bonafede ne crea una, dimenticando che il compito che dovrebbe assolvere è già svolto dall’Autorità Nazionale anticorruzione creata da Renzi”, hanno dichiarato i parlamentari di Italia Viva Lucia Annibali, capogruppo in Commissione Giustizia alla Camera, e Giuseppe Cucca, vicepresidente dei senatori di Italia Viva

L’’Alleanza contro la corruzione coinvolgerà circa sessanta esperti che – partecipando a titolo gratuito – si confronteranno in vari tavoli sulle prospettive e gli aspetti più importanti della lotta alla corruzione: parteciperanno economisti, studiosi del diritto e del processo penale, esperti del diritto amministrativo, magistrati, avvocati, statistici, operatori della comunicazione e della scuola: tutti chiamati a confrontarsi, in appositi gruppi di lavoro, sui diversi aspetti del fenomeno

Nella squadra Visco, Davigo, Cafiero de Raho, Busia – A comporre il Comitato scientifico costituitosi per l’iniziativa ci sono Giorgio Lattanzi (presidente della Scuola superiore della magistratura e presidente emerito della Corte Costituzionale), David Ermini (vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura), Pietro Curzio (Primo presidente della Corte di Cassazione), Filippo Patroni Griffi (presidente del Consiglio di Stato), Guido Carlino (presidente della Corte dei Conti), Giovanni Salvi (procuratore generale presso la Corte di Cassazione), Ignazio Visco (governatore della Banca D’Italia), Raffaele Piccirillo (capo di gabinetto del Ministero della Giustizia), Giuseppe Busia (presidente Autorità Nazionale Anticorruzione), Federico Cafiero de Raho (procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo), Maria Masi (presidente facente funzioni del Consiglio Nazionale Forense), Paola Severino (vicepresidente dell’Università Luiss ed ex ministro della Giustizia), Piercamillo Davigo (ex presidente di sezione della Suprema Corte di Cassazione), Marco D’Alberti (professore ordinario di diritto amministrativo a La Sapienza di Roma), Francesco Palazzo (professore emerito università di Firenze) e Gabrio Forti (professore ordinario di diritto penale e criminologia e direttore dell’alta scuola sulla Giustizia Penale alla Cattolica)

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/08/il-ministro-bonafede-presenta-lalleanza-contro-la-corruzione-per-impedire-la-dispersione-e-laccaparramento-criminale-dei-fondi/6029948/

Riforma del Mes, la Camera approva: 314 sì, 239 contrari e 9 astenuti. Conte: “Italia chiederà in Ue di rivedere la struttura del fondo, ma serve maggioranza coesa”

 

Il premier è intervenuto prima alla Camera, poi alle 16 al Senato. La votazione non riguarderà la richiesta di accedere al meccanismo per prendere i fondi da spendere per la pandemia. Sembra scongiurato l'incidente parlamentare: dopo l’intervento del capo del governo, Italia Viva annuncia il suo appoggio alla risoluzione di maggioranza. Il dissenso dei 5 stelle si riduce a 6 deputati, anche il forzista Brunetta vota in contrasto al suo partito.

Primo ostacolo superato, ora tocca al Senato. Montecitorio ha dato il via libera alla riforma del Mes: l’Aula ha approvato la risoluzione di maggioranza sulle comunicazioni di Giuseppe Conte in vista del prossimo Consiglio europeo con 314 sì. I contrari sono stati 239 e nove gli astenuti. Fratelli d’Italia dopo il voto ha mostrato magliette con la scritta “M5s=Mes” e il presidente Roberto Fico ha sospeso la seduta. Tra i 5 stelle sono stati sei i deputati che hanno espresso il loro dissenso in Aula: Andrea Colletti, Pino Cabras, Fabio Berardini, Alvise Maniero, Maria Lapia, Francesco Forciniti. Altri due: Raphael Raduzzi e Andrea Vallascas hanno annunciato il loro voto contrario. Tutti gli interventi in dissenso pronunciati dai deputati del MoVimento 5 stelle contro la risoluzione sono stati accolti da fragorosi applausi da parte dei deputati della Lega.


Il voto alla Camera
 
– In totale sono state presentate quattro risoluzioni: una di maggioranza, una di Fi, una di +Eu e una di Lega e Fdi. Su richiesta del deputato del gruppo Misto Gianluca Rospi, il voto sulla risoluzione di maggioranza è stato per parti separate. Il primo voto ha raccolto appunto 314 sì. Sono stati invece 297 i voti a favore, 256 i contrari e sette gli astenuti sulla parte della risoluzione di maggioranza che impegna il governo “a finalizzare l’accordo politico raggiunto all’eurogruppo e all’ordine del giorno dell’Eurosummit sulla riforma del trattato del Mes. In entrambe le votazioni sulla risoluzione di maggioranza, identica alla bozza circolata ieri e sulla quale si è trovato l’accordo anche col M5s (il riferimento all’accesso ai fondi per la sanità è stato spostato in fondo), lo scarto è stato di 75 e 41 voti, quindi il governo non ha mai veramente rischiato di non avere i numeri sufficienti. E’ stata invece respinta la risoluzione del centrodestra: il testo era stato firmato dai deputati Molinari, Gelmini, Lollobrigida e Lupi.

Il voto in Senato – I numeri della maggioranza in Senato sono quelli che preoccupano maggiormente, anche se, soprattutto alla luce delle mediazioni delle scorse ore, i critici dentro il Movimento 5 stelle cercheranno di esprimere il loro dissenso senza arrivare al punto di non ritorno. Cosa significa in concreto? Potrebbe esserci qualcuno che esce dall’Aula o semplicemente decide di non votare. Tra gli interventi più attesi c’è anche quello di Matteo Renzi (ore 18.30): il leader di Italia viva sta sfidando il governo sulla task force e da giorni annuncia un suo discorso rivolto al premier proprio dai banchi di Palazzo Madama. “A poche ora dal voto sulla risoluzione dopo le comunicazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sulla riforma del Mes, in Senato si fanno i conti sui numeri. La maggioranza dovrebbe raggiungere all’incirca 158 voti. Secondo chi ha in mano il ‘pallottoliere’ i giallorossi potrebbero contare su 33 senatori Pd (due sarebbero assenti per causa di forza maggiore), 86 M5s (sottraendo ai 92 che compongono il gruppo tre assenti e tre ‘irriducibili’ no Mes), 18 di IV e 7 delle Autonomie. Poi ci sarebbero 14 o15 parlamentari del Misto che di solito votano con la maggioranza, Mario Monti e Elena Cattaneo. I 5 stelle che potrebbero far mancare il sostegno apertamente sono Mattia Crucioli, senatore spesso in dissenso con la linea della maggioranza (a gennaio scorso firmò il primo documento per la leadership collegiale), e la collega Bianca Laura Granato. 

L’intervento di Conte – “Devono essere riconsiderate in modo radicale la struttura e la funzione del Mes, affinché sia trasformato in uno strumento completamente diverso“. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è partito da qui per chiedere appoggio al Parlamento in vista del Consiglio Ue previsto per il 10 e 11 dicembre. Al centro delle sue comunicazioni c’era la riforma del Meccanismo europeo di stabilitàavviata tre anni fa dagli Stati membri, e non la sua eventuale attivazione. Il premier non ha concesso infatti alcuno spazio a chi, dentro e fuori la maggioranza, avrebbe voluto subito attingere alle risorse del fondo. Anzi, ha anticipato che l’Italia “si farà promotrice di una proposta innovatrice per superare la natura del Mes come accordo intergovernativo, per integrarlo nel quadro dell’intera architettura europea“. L’obiettivo è quello di “raccordarlo alle altre istituzioni dell’Ue, che offrono maggiori garanzie di trasparenza e democraticità“. Poi ha ricordato che sulla ratifica finale del trattato “resta la responsabilità delle Camere” che saranno chiamate a esprimersi più avanti. Un modo per sminare il voto dopo le tensioni all’interno della maggioranza: se infatti il Movimento 5 stelle ha trovato un’intesa al suo interno dopo lunghe mediazioni e discussioniItalia viva ha annunciato il suo appoggio solo in mattinata, dopo giorni di tensioni legate alla cabina di regia che dovrà gestire i fondi del Recovery. 

Non è un caso che Conte si sia rivolto direttamente ai partiti che lo sostengono, sostenendo che il governo ha bisogno della “massima coesione delle forze di maggioranza per continuare a battersi in Ue. Il confronto dialettico è segno di vitalità e ricchezza ma è senz’altro salutare che sia fatto con spirito costruttivo e che non ci distragga dagli obiettivi”. Nel corso del dibattito in Aula, però, sono emerse le prime divisioni, anche se fortemente ridimensionate rispetto ai timori della vigilia. Conte non si è limitato a parlare ai parlamentari che sostengono la sua maggioranza ma durante il suo discorso a Montecitorio si è rivolto anche alle opposizioni: “Spesso in quest’Aula ho rivolto alle forze di opposizione un appello all’unità e al dialogo. E devo riconoscere che in alcuni passaggi questi appelli hanno trovato ascolto. Ribadisco che il tavolo del confronto con le opposizioni rimane sempre aperto“. Poi ha rivendicato i risultati raggiunti dall’Italia proprio sul Mes. “Com’è noto”, la riforma del Meccanismo “contiene il backstop (una sorta di rete di sicurezza per eventuali crisi bancarie, ndr) che è obiettivo cardine per il nostro Paese. Grazie al contributo italiano l’Eurogruppo ha trovato un’intesa per introdurlo con due anni di anticipo“. Il lavoro da fare, però, è ancora molto. E non riguarda soltanto il Mes: “Il modello al quale ispirarsi per costruire a livello europeo gli strumenti di politica economica del futuro è certamente il Next generation Eu”, chiarisce il capo del governo, riferendosi ai fondi stanziati dall’Ue per contrastare la crisi dovuta alla pandemia. “Auspico fortemente, e lo ribadirò in tutte le sedi di confronto con gli altri leader, che possa diventare strutturale“.

L’intesa di luglio che ha portato al Recovery fund, insiste Conte, “fino a pochi mesi fa sembrava a molti irraggiungibile“. E unita al “sostegno senza precedenti fornito dalla Bce attraverso il programma di acquisto di titoli pubblici e privati, sta cambiando la fisionomia dell’Unione europea”. Ma restano da superare “i veti di Ungheria e Polonia” per rendere operativo l’accordo. “I cittadini dei 27 Paesi non perdonerebbero un segnale che contraddica” quella che è stata una svolta “irreversibile delle politiche dell’Ue”, chiarisce il premier, ribadendo di sostenere “gli sforzi della presidenza tedesca per una soluzione rapida dello stallo“. È anche in vista di queste sfide che Conte cerca l’appoggio della maggioranza in un momento così delicato del Paese, proprio mentre Italia viva continua a minacciare la caduta del governo sul nodo della governance del Recovery

I deputati M5s che si sono espressi contro il gruppo (o che non hanno partecipato al voto) – Gli occhi erano puntati sui parlamentari M5s, il cui gruppo è stato travolto dai malumori nei giorni scorsi. Una settimana fa 58 eletti 5 stelle (42 deputati e 16 senatori) hanno scritto una lettera per chiedere che fossero rinviate le parti critiche della riforma del Mes. Ma di quei 42 dissidenti, a Montecitorio sono rimasti solo una decina di deputati. In particolare sei sono intervenuti in Aula per spiegare la loro contrarietà al documento. Si tratta di Andrea Colletti, Fabio Berardini, Francesco Forciniti, Pino Cabras, Alvise Maniero e Mara Lapia. Di questi, Colletti e Lapia sono stati da poco sospesi dal Movimento per aver votato contro la riforma per il taglio dei parlamentari. “Il problema è che autorizzando politicamente il Mes autorizziamo la Bce a ridurre i titoli del debito pubblico nel 2022″, ha detto il deputato M5s Andrea Colletti, “e allora un governo tecnico sarà obbligato a attivare il Mes. I congiurati, presidente, non sono quelli che prendono posizione ma sono i commensali. Ed è per questo che non darò voto favorevole”. Poi ha parlato Fabio Berardini, deputato eletto in Abruzzo e nei mesi scorsi considerato a rischio sospensione per problemi di rendiconto: “Non è un voto contro Conte, è totalmente falso. Crimi e Di Maio ci spieghino perché vogliono tradire il programma M5S”. Per Forciniti, deputato eletto in Calabria e anche lui tra i firmatari delle lettera contro il Mes: “Questa riforma è un errore, voterò contro la risoluzione”, ha detto. Mentre Cabras ha dichiarato: “Non si può votare sì ad una risoluzione dicendo che poi si vota no, il Mes va smantellato”. Per Lapia: “Non stiamo sfiduciando il nostro presidente, noi portiamo avanti il nostro programma elettorale”. E Maniero a sua volta ha sottolineato: “Io non indebolirò lei, presidente non voterò mai contro il mio Paese, questa riforma è una spada di Damocle”

Il deputato M5s Raphael Raduzzi, tra i primi firmatari della lettera di dissenso e colui che ha tenuto le lezioni sul Mes sulla piattaforma Rousseau, ha dichiarato: “È stata una Caporetto“, ha detto. “La risoluzione di oggi, che non ho votato, manda Conte a firmare una terribile riforma del Mes! Una riforma che potenzia il Mes come istituto per gestire le prossime crisi finanziarie (che ci saranno)”. Ha annunciato il suo voto contrario anche Andrea Vallascas: “Io voto No al Mes, strumento di compressione della sovranità nazionale e della libertà dei popoli. Qualcuno ventila la possibilità di caduta di Conte e della fine della legislatura, come se la democrazia e le scelte dei suoi rappresentanti non dovesse essere legata al destino migliore per il suo popolo, ma alla sorte di un esecutivo”.

Chi ha invece lanciato un messaggio distensivo è stato il capo politico M5s Vito Crimi: “Le parole di Giuseppe Conte sono chiare e non lasciano alibi a chi ancora sostiene che dovremmo andare in Europa a porre il veto sulla modifica del trattato sul Mes, richiesta e voluta da tutti gli altri Stati che ne fanno parte”, ha scritto su Facebook. “Ora è il momento di pensare ad investire bene, investire nel futuro dell’Italia. Basta polemiche, dunque, su chi o come gestirà le risorse. Controlleremo che ogni singolo centesimo vada nella direzione giusta”. E, ha detto: “La risoluzione appena approvata contiene due elementi rivoluzionari. Per la prima volta portiamo il Parlamento italiano ad ammettere, e votare, un impegno concreto ad una revisione radicale del Patto di Stabilità. Una battaglia, questa, che ha visto per lungo tempo il MoVimento 5 Stelle battersi da solo, e che è stata poi sposata opportunisticamente da qualche partito che si definisce ‘sovranistà'”. Quindi Crimi ha concluso: “Non temiamo il Mes, perché fino a quando ci sarà il Movimento 5 stelle vigileremo affinché non sia mai attivato per il nostro Paese”.

Chi dentro Forza Italia ha votato per la maggioranza – Tra gli azzurri, che hanno votato contro la risoluzione in linea con Fdi e Fi, almeno il deputato Renato Brunetta si è espresso in dissenso con il gruppo e ha sostenuto il governo: “Il nuovo Mes, con il salva-banche, metterà fine a quel drammatico errore di Deauville di Merkel e Sarkozy. Per questo voterò in dissenso con il mio partito. Il no alla riforma non sarà in mio nome”, ha annunciato durante il suo intervento. “Oggi – ha proseguito, riferendosi all’unanimità registrata nell’ultimo voto sullo scostamento di bilancio – mi addolora che in quest’Aula non ci sia quello stesso spirito nel dare pieno mandato al nostro presidente del Consiglio per il prossimo Eurosummit”.

Forza Italia è pronta a votare anche al Senato ‘no’ alla riforma del fondo salva-Stati, aderendo alla risoluzione unitaria del centrodestra. Resta solo il caso dell’azzurro Andrea Cangini, portavoce di ‘Voce Libera’, che potrebbe astenersi. ”Non ho mai detto che voterei sì”, assicura all’Adnkronos Cangini, che precisa: “Ho detto e scritto che su una questione così rilevante, per l’identità di un partito e la credibilità della coalizione, sarebbe opportuno non cedere alla retorica anti europeista”. Alla fine si asterrà? “E’ possibile”, replica il senatore forzista che aggiunge: “ma prima leggerò le risoluzioni di maggioranza e opposizione e poi deciderò”. Oggi, alle 14, prima delle comunicazioni in Aula del premier Giuseppe Conte, si riunirà il gruppo azzurro a palazzo Madama guidato da Annamaria Bernini, dove sarà illustrata anche la risoluzione comune di centrodestra sulla riforma del Trattato del Mes presentata in Parlamento.

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Mes cosa cambia con la riforma che il Parlamento deve approvare e perché i fondi per la sanità non c’entrano nulla. - Mauro Del Corno

 

La riforma è in cantiere da tre anni ed era stata bloccata dall'Italia prima dell'inizio dalla pandemia. Fondamentalmente le novità riguardano l'uso dei fondi Mes anche per il sostegno alle banche della zona euro, primo tassello in vista dell'obiettivo di un'unione bancaria. I rischi ipotizzati per i debiti dei paesi membri non sembrano trovare riscontri reali.

Chiariamo subito il punto. La riforma del Mes che si vota oggi in Parlamento c’entra poco o nulla con i prestiti per la sanità. Il Meccanismo europeo di stabilità esiste infatti dal 2012 ed è stato pensato come strumento per garantire stabilità finanziaria ai paesi euro (che sia servito davvero allo scopo è un altro paio di maniche) e questa rimane la sua funzione principale. La possibilità di erogare crediti, ai paesi che ne fanno richiesta, per interventi sanitari è un compito attribuito al Mes solo di recente a causa dell’emergenza Covid. Il motivo alla base della decisione è che il Mes avrebbe potuto essere più rapido nel mobilitare i finanziamenti, avendo alle spalle una struttura già pronta e rodata.

La riforma su cui si esprimerà il Parlamento non riguarda questi prestiti ma bensì compiti e modalità di funzionamento del Mes. E’ una riforma di cui si discute ormai da quasi tre anni, quindi da ben prima dello scoppio della pandemia. Il progetto era stata momentaneamente congelato, anche su richiesta italiana. Poi, il 30 novembre scorso i ministri economico finanziari della zona euro hanno trovato un’intesa definitiva sulla prima fase di modifica. La parola passa ora ai parlamenti dei vari stati, per l’approvazione finale serve l’unanimità.

A cosa serve il Mes? Il compito principale è quello di prestare soldi ai paesi che faticano ad accedere ai mercati finanziari. In sostanza il Mes assicura agli stati la possibilità di continuare a finanziarsi pagando interessi sostenibili anche quando gli investitori non sarebbero più disposti a comprare titoli di Stato se non dietro il pagamento di interessi molto elevati. Per farlo si interpone tra lo Stato e i mercati. In sostanza il Mes raccogliere direttamente finanziamenti sui mercati e poi “gira” i soldi al paese richiedente. Poiché ha alle sue spalle le garanzie di tutti gli stati membri dell’euro (possono arrivare fino a 700 miliardi di euro) la sua affidabilità è maggiore rispetto a quella di un singolo stato specie se in difficoltà. Quindi gli investitori sono disposti a prestare il loro denaro in cambio di interessi più bassi. La funzione è insomma un po’ quella di uno scudo. Il problema è che quando un paese bussa alla porta del Mes, viene accolto solo se accetta delle condizioni. In sostanza se presta i soldi, il fondo può mettere bocca nelle politiche economiche del paese richiedente, pretendere riforme o tagli alle spese. Le poche volte che è stato usato, dalla Grecia, dal Portogallo o dalla Spagna, il Meccanismo europeo di stabilità non si è guadagnato una buona reputazione. Forse era inevitabile ma sta di fatto che questi precedenti hanno reso politicamente “tossici” i suoi finanziamenti.

Cosa prevede questa riforma e perché è contestata in alcuni suoi punti?  Un primo elemento di novità è la possibilità di mobilitare i fondi del Mes anche a sostegno al sistema bancario. In particolare per far fronte ad improvvisi aumenti delle esigenze di liquidità di una o più banche. Quando le condizioni di mercato peggiorano una banca può incontrare problemi nel disporre di tutti i soldi liquidi di cui ha bisogno per il suo normale funzionamento. Questo non significa che la banca sia fallita, i problemi possono nascere dal fatto che in quel preciso momento fatica a vendere asset in suo possesso e a reperire così denaro liquido. Ma come recita un adagio finanziario…“liquidity kills fast”, la carenza di liquidità può uccidere rapidamente. Il nuovo Mes dovrebbe essere in grado di intervenire rapidamente per evitare guai peggiori. Inizialmente questa nuova funzione avrebbe dovuto scattare dal 2024 ma con le ultime modifiche si è deciso di anticipare al 2022. E’ un passo verso l’agognata unione bancaria europea che precede la creazione di un’ assicurazione unica sui depositi.

Oggi i depositi bancari sono assicurati fino a 100mila euro ma a farsi carico di questa tutela sono i sistemi bancari dei singoli paesi. L’ipotesi è quella di unificare tra tutti i paesi euro questa rete di sicurezza per i correntisti. Ad ostacolare questo “salto” è soprattutto la condizione di 4 paesi, uno di questi è l’Italia. Il nostro paese presenta un livello di crediti deteriorati (ossia prestiti bancari che non verranno più restituiti o lo saranno solo in parte), superiore al limite necessario per dar vita all’assicurazione unica. Paesi dove il sistema creditizio è meno esposto a rischi sono comprensibilmente restii a condividere i rischi con stati che presentano un pericolo di fallimenti bancari maggiore. Certo è che senza riforma del Mes l’assicurazione unica sui depositi si allontanerebbe ulteriormente, cosa che all’Italia non conviene.

Debiti pubblici e default, cosa cambia con la riforma – Più delicate le questione che riguardano il ruolo del Mes a sostegno degli stati. Il vero rischio non sembra essere tanto quello che il Mes venga usato come grimaldello per scardinare la sovranità di uno stato imponendone la ristrutturazione del debito, come paventato da alcuni critici. Piuttosto il pericolo è che la riforma cambi poco o nulla, condannando il Mes ad una sostanziale inutilità. Come abbiamo visto oggi il Fondo muove in soccorso dei paesi in difficoltà a condizione che firmino un accordo su un programma di interventi. In teoria la riforma dovrebbe rendere un po’ più semplice l’accesso ai finanziamenti. Uno stato che ha i conti in ordine potrebbe accedervi senza dover prima di concordare un piano di risanamento. Sarebbe sufficiente una valutazione preventiva delle sue condizioni finanziarie. Se sufficientemente solide il prestito verrebbe erogato anche senza firmare accordi di altro tipo. E’ un po’ una contraddizione in termini visto che se un paese fatica a finanziarsi sui mercati è proprio perché non ha conti particolarmente brillanti. Tutto naturalmente dipende da quanto saranno stretti questi criteri. Difficile che si valutino debiti e deficit come prima della pandemia. Se così fosse quasi tutti gli stati, Italia in primis, sarebbero tagliati fuori dagli aiuti senza condizioni.

Il dilemma delle Cac’s – C’è un altro elemento che preoccupa i paesi fortemente indebitati come l’ Italia. Sono le cosiddette Cac’s, le clausole di azione collettiva. Quando un paese decide di dichiarare default o è costretto a farlo, il piano di ristrutturazione del debito che ne consegue (ossia misure come l’allungamento delle scadenze dei titoli, il taglio ai rimborsi e/o agli interessi etc) deve essere approvato dai possessori dei titoli coinvolti. In passato per ogni tipo di titolo era necessario un voto. Le Cac previste nella riforma fanno in modo che basti una sola votazione per tutti i titoli coinvolti. Così si rende più semplice il processo di ristrutturazione del debito, e si evitano infiniti strascichi giudiziari. Perché potrebbe essere un male?

Secondo i critici il fatto che ricorrere al default sia più semplice, aumenta la probabilità che si ricorra davvero a questa opzione. Ma se le possibilità di default crescono, gli investitori si faranno pagare interessi più alti per prestare i loro soldi. Questi timori sono comprensibili in linea teorica ma appaiono però poco fondati nella pratica. Clausole di azione collettiva stanno venendo via via introdotte nei titoli di Stato di tutto il mondo, senza che si registrino apprezzabili conseguenze sul cosiddetto “premio al rischio”. Anzi, la possibilità di un procedimento ordinato in caso di default, finisce per rendere i titoli più allettanti. La modifica delle Cac’s per i titoli di stato dei paesi euro non è peraltro strettamente legata alla sola riforma del Mes e verrebbe introdotta in ogni caso. Più fondate sembrano le critiche che riguardano l’impianto generale della riforma. Secondo più di un osservatore il nuovo Mes nascerebbe già vecchio. La pandemia ha cambiato il mondo e persino la lenta Unione europea ha accelerato i suoi processi. L’avvio di programmi gestiti dalla Commissione Ue per reperire fondi sui mercati con una parziale condivisione del rischio tra gli strati membri, si pensi al programma Sure per finanziare le casse integrazioni o allo stesso recovery fund, rendono obsoleto il Meccanismo europeo di stabilità nel suo ruolo di intermediario tra stati in difficoltà e mercati.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/09/mes-cosa-cambia-con-la-riforma-che-il-parlamento-deve-approvare-e-perche-i-fondi-per-la-sanita-non-centrano-nulla/6030098/

C’è la finanziaria, è tempo di marchette: ecco la lista. - Giacomo Salvini

 

A Montecitorio. Una cavalcata tra gli emendamenti “segnalati” dai partiti.

Sarà che l’occasione fa l’uomo ladro. O, più prosaicamente, che davanti al ricco piatto da 800 milioni per far fronte alle “esigenze indifferibili” dei parlamentari per il 2021, resistere è difficile. Mai prima d’ora deputati e senatori, avidi di accontentare i propri elettori sul territorio, avevano avuto a disposizione un bottino così cospicuo: si era partiti nel 2015, governo Renzi, da poco più di 100 milioni e oggi il conto viaggia verso il miliardo. In attesa di capire dove andrà a finire il grosso (se ne sta discutendo), è comunque già arrivata la vagonata degli emendamenti “localistici, ordinamentali e micro-settoriali” (quelle che sbrigativamente si definiscono “marchette”) che per legge sarebbe vietato inserire nel ddl Bilancio. Anche quest’anno, infatti, basta sfogliare il fascicolo degli oltre 800 emendamenti “segnalati” – quelli che i partiti ritengono prioritari – per incontrare normette, commi bis-ter-quater, stanziamenti a pioggia, micro-finanziamenti e chi ne ha più ne metta. Non tutti, ovviamente, saranno approvati. Ma la speranza, si sa, è l’ultima a morire.

Lega agricola. Tra i primi emendamenti a saltare all’occhio c’è quello di Guglielmo Golinelli, 33enne deputato leghista, che  propone di alzare la compensazione dell’Iva sulle carni bovine e suine dal 2021 al 2023. Peccato che lo stesso Golinelli allevi suini nel modenese e sia “invitato permanente” di Confragricoltura Modena. Attento alla famiglia, in un altro emendamento chiede che le agevolazioni sull’Imu agricola riguardino un terreno concesso “fino ai parenti di terzo grado”. E chissà se Marzio Liuni, anche lui del Carroccio, mentre scriveva il suo emendamento per detrarre il 36% delle imposte sui redditi “per l’acquisto di fiori e piante da interno” a favore dei vivaisti, s’era scordato del suo secondo mestiere: il vivaista nell’azienda “Vivai Liuni e Greppi” nel novarese.

Interesse privato. Nelle pieghe del “librone” degli emendamenti, i battitori liberi del conflitto d’interesse spuntano come funghi. C’è la meloniana Maria Cristina Ceretta, cacciatrice ed ex presidente della Confederazione delle Associazioni Venatorie, che propone di ridurre del 50% la tassa sul porto d’armi: è appena il caso di ricordare che a maggio 2018 l’Associazione Cacciatori Veneti aveva fatto un bonifico da 70mila euro a Fratelli d’Italia. Il settore dei lavoratori autonomi dello spettacolo è stato pesantemente colpito dalla pandemia e l’ex M5S Nicola Acunzo firma allora una norma per concedere loro norme fiscali vantaggiose. Oltre al deputato, che lavoro fa Acunzo? L’attore. Il renziano Mattia Mor, ex cervello in fuga tornato in Italia “per amore del mio paese”, si ricorda invece del suo passato: prima di innamorarsi della Leopolda, Mor aveva creato un marchio di Made in Italy (Biomor), chiuso nel 2015, per poi diventare Executive director per l’Europa di Mei.com, store della moda con cui diffondeva “il made in Italy nel mondo”. Non poteva quindi mancare il suo emendamento in favore delle aziende del made in Italy che potranno usufruire del credito d’imposta sulle consulenze contro la contraffazione dei marchi.

Cinque cerchi. L’attrazione tra parlamentari e sport è antichissima e questa manovra non fa eccezione. Il deputato lombardo di “Cambiamo” Stefano Benigni vuole 90 milioni in tre anni per riqualificare gli “impianti sportivi degli sport invernali nei piccoli comuni montani” della Lombardia in vista delle olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026. La leghista Silvia Comaroli vorrebbe invece 75 milioni per i “XX Giochi del Mediterraneo 2026” di Taranto, mentre la forzista Giusy Versace 4 milioni per gli Europei di Nuoto 2022 di Roma.

Ponti, strade, musei, etc. Anche le autostrade sono un classico e ai tempi della Dc si facevano le cose in grande: da quella tra l’Abruzzo e Roma che aveva uno svincolo a Gissi, patria natale di Remo Gaspari, alla famosa “curva Fanfani” che conduce la A1 nella Arezzo di Amintore. Oggi, per accontentare i propri collegi, si lavora molto più in piccolo. Raffaella Paita, proconsole di Renzi in Liguria, chiede di assumere un contingente di 263 persone all’arsenale di La Spezia, il leghista Claudio Borghi propone l’istituzione di un “Museo nazionale dell’astrattismo storico e del razionalismo architettonico” a Como, la leghista Rebecca Frassini un fondo da 50 milioni per l’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo) e il calabrese Domenico Furgiuele 3 milioni per lo scalo di Lamezia Terme. Non mancano i ponti (il M5S chiede 100 milioni per mettere in sicurezza quelli sul Po), le strade (FI 50 milioni per la Statale Ionica nel tratto Crotone-Catanzaro, mentre FdI 100 per la Salaria e l’Appia Antica) fino al completamento dell’idrovia Padova-Venezia di cui si parla dal 1955 e per cui sono già stati spesi 200 miliardi di vecchie lire. Ergo: 100 milioni di euro. Il deputato forzista Roberto Caon ne vorrebbe altri 200 per i prossimi tre anni per finire l’opera. Difficile che sia la volta buona.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/09/ce-la-finanziaria-e-tempo-di-marchette-ecco-la-lista/6030453/#

PERMETTE UNA DOMANDA? - Rino Ingarozza

 

C'è poco da fare, quando trova uno che gli fa delle domande, non "confezionate" nei programmi degli amici, va in estrema difficoltà. Quando trova una persona che gli fa notare le sue incongruenze, le sue fantasiose analisi politiche, le assurdità dei suoi programmi, delle sue soluzioni basate sul nulla, solo su vuote parole, sul "tanto per dire", su cose irrealizzabili, il meglio che sa fare è il solito elenco, il solito mischiare cose che, tra di loro, non hanno nessun nesso, non riesce a raccapezzarsi, va in tilt, le pupille cominciano a girare come le palline dei vecchi flipper, tra tante luci fosforescenti, sino ad arrivare al game over. E in game over lo ha messo, sicuramente, Corrado Augias.

Lo ha fatto con la sua proverbiale calma. Probabilmente, all'inizio, il Senatur pensava davvero che gli stesse facendo un complimento, poi, probabilmente (almeno spero per lui) ha capito che lo stava prendendo per il culo. Lo avrà capito? Mah .....Augias è un gran giornalista, un grande intellettuale che non risparmia nessuno. Se deve fare una domanda, la fa, se deve inchiodare qualcuno sulle sue incoerenze, lo fa, senza pensare se, questo, può provocargli delle conseguenze. In una parola, fa il giornalista. Ed è quello che dovrebbero fare tutti. Sempre, in ogni situazione, chiunque si trovino davanti. Purtroppo, come spesso ho scritto, la destra controlla il 90 percento della stampa italiana e allora è molto difficile che ai due dell'apocalisse, vengano fatte delle domande non preconfezionate ed ecco, quindi, che la stampa italiana si è resa complice, di questa destra, per le sue malefatte e ha macchiato, sempre più, la qualità dell'informazione italiana, tant'e' che siamo agli ultimi posti della graduatoria come libertà di stampa. E quantunque questa cosa offenderebbe chiunque, loro non vengono neanche scalfiti, continuano ad andare avanti a tessere le lodi di questa destra, anche quando, alcuni di loro, come spesso accade, vengono presi con le mani nella marmellata. Sono capaci di dire che la marmellata non è marmellata ma la "figlia dello yogurt". Ma è possibile che questi giornalisti o, pseudo tali, la sera, quando ritornano a casa, non si chiedano "Ma che uomo sono? Sono costretto a difendere anche dei delinquenti, basta, non ne posso più". No, non lo fa nessuno, perché la mattina dopo, ritornano in redazione, magari ricevono un ordine dall'alto e via, si ricomincia. La dignità non è una cosa che si acquista al supermercato o all'Ikea, o si ha o non sia ha. Il giornalista ha un codice deontologico che lo obbliga a correggere, immediatamente, eventuali notizie, rivelatesi false, date in precedenza. Eppure avete mai letto o ascoltato una smentita, un accenno di scuse per le numerose notizie false date da certa stampa? Io mai. Parlo, per esempio, della farsa della aggressione di Grillo ad un loro giornalista, ai bambini che facevano lezioni in ginocchio, alla falsa leghista picchiata mentre distribuiva volantini, al presunto scoop del solito Filippo Roma (una iena che fa veramente pena) sull'assenteismo della Senatrice 5 stelle, Vittoria Bogo Deledda, pedinata per giorni e messa alla berlina da questo "galantuomo" e che invece si assentava perché malata di cancro e, purtroppo, morta, per questo. Hanno persino insinuato che Conte andasse dal barbiere in pieno lockdowm. Per arrivare alla cena in pieno lockdown dello stesso Conte con la compagna o dell'uso improprio, di quest'ultima, della scorta. Tutte cose che sono state smentite, categoricamente, da decine di persone.E potrei continuare sino al prossimo fine settimana (W la lingua italiana) ma mi fermo qui, perché provo una certa vergogna per loro. Niente, mai una rettifica, una correzione, due righe di scuse. Niente, per loro l'importante è dare in pasto a distratti lettori ed ascoltatori, queste fake e sono a posto. Hanno "evaso" gli ordini dall'alto. Provo una profonda tristezza per queste cose. Io penso che facendo il paragone con lo sport, sia come vincere una gara, una partita, un incontro, barando, dopandosi, imbrogliando. Ne' più né meno. Come si fa a guardare in faccia i propri figli, dopo aver fatto queste porcate? Se potessi fare una domanda, a questi "giornalisti " farei questa: " Ma perché offendete, quotidianamente, l'intelligenza delle persone? Credete veramente che il popolo sia un manipolo di coglioni creduloni? E come se non bastasse, lo offendono pure. Come ha fatto il signor toc toc, che lo ha chiamato "massa di pecoroni". Questo signore ha incitato tutti, all'insubordinazione. Ha incitato la folla a disobbedire alla legge. A "fare quel che cavolo ci pare".  A Porro........toc toc, sei un demente, i croccantini ti hanno dato al cervello. Ma come si fa a sputare, così spudoratamente, sui morti, sui medici, sugli infermieri.......... chi diavolo sei, tu, per contraddire gli scienziati? Come ti permetti a promuovere assembramenti, che potrebbero dimostrarsi fatali? Forse non hai capito una cosa, tu e quell'altro coglione di Fontana ( al quale non basta, evidentemente, il poco invidiabile record, della sua regione, dei morti per covid), che non siete voi e i vostri seguaci (o meglio, segugi) a subire le conseguenze dei vostri comportamenti, ma siamo tutti noi. Toc toc... Mi auguro che la tua vita e quella dei tuoi mediocri colleghi, si ribellino ai miserabili "involucri" che le contengono, che somigliano, vagamente, ad un essere umano e che possano, un giorno, dir loro: Siete uomini, non tappeti dei potenti, comportatevi da tali.

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Blitz antidroga, 6 arresti, anche fratelli Bianchi.

 

I due si trovano attualmente in carcere.


Operazione antidroga dei carabinieri ai Castelli romani. Sei gli arrestati.

Tra i destinatari del provvedimento ci sono anche i fratelli Bianchi, attualmente in carcere poiché indagati per l'omicidio di Willy Duarte Montero, avvenuto a Colleferro lo scorso 6 settembre. Le indagini dei carabinieri della Compagnia di Velletri avrebbero accertato l'esistenza di un sodalizio dedito allo spaccio di stupefacenti nell'area di Velletri, Lariano, Artena e comuni limitrofi, ricorrendo ad azioni violente e minacce per intimorire gli assuntori 'insolventi' e obbligarli a pagare.

I Carabinieri del Comando Provinciale di Roma stanno eseguendo un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Velletri su richiesta della locale Procura, nei confronti delle 6 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e tentata estorsione. 

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2020/12/09/blitz-antidroga-6-arresti-anche-fratelli-bianchi_3320027a-a4ac-4ab8-bb65-da6bdc9a1536.html

Anonima Rignano. - Marco Travaglio

 

Da che mondo è mondo, quando l’Anonima Sequestri prende qualcuno in ostaggio, chiama i famigliari per chiedere il riscatto. Invece l’Innominabile e gli altri italomorenti sequestrano Conte, ma non dicono cosa vogliono in cambio del suo rilascio. È una nuova fattispecie di banditismo politico: il sequestro di governo a scopo di estorsione imprecisata. Basta leggere le loro interviste (lo facciamo anche noi, ma ce la pagheranno): non una sillaba che faccia capire che diavolo vogliono. Lunedì l’Innominabile su Repubblica, ieri i pappagalli Boschi, Faraone e Rosato su Corriere, Stampa e Messaggero: tutte supercazzole che riescono persino a nobilitare i frondisti M5S sul Mes (almeno quelli parlano di idee). Sentite lo Statista di Rignano: “Conte si fermi”. Oh bella, ma non è lui ad accusarlo di immobilismo? “Del merito del (Recovery Plan) non sappiamo niente. Sul metodo siamo contrari”. Oh bella, ma nei Consigli dei ministri i suoi (anzi, le sue) che fanno? Le piante grasse? Giocano alla Playstation o al solitario sull’iPhone? “Il futuro dell’Italia non lo scrivono Conte e Casalino nottetempo in uno stanzino”. Oh bella, ma l’accusa non è di circondarsi di troppe task force e tecnici esterni? “Abbiamo fatto nascere un governo per togliere i pieni poteri a Salvini, non per darli a Conte”. Oh bella, ma Conte non è un indecisionista? “Dire che ha i ministri migliori del mondo è una barzelletta”. Oh bella, ma se pensa di aver scelto i ministri peggiori – tesi peraltro apprezzabile – perché non dà il buon esempio e non li cambia, tirando fuori i suoi Churchill ingiustamente esclusi, oltre a Boschi, Rosato e Faraone?

Ed ecco la Boschi: “Progetto scritto nottetempo” (già sentita), “senza consultare la società né le categorie” (ma gli Stati generali con la società e le categorie non erano una passerella?), “stiamo difendendo le istituzioni di questo Paese” (non di un altro). Dunque vogliono il rimpasto? “Non più”. Un posto a tavola con Conte, Gualtieri e Patuanelli sopra la task force sul Recovery? La Bellanova, nota intellettuale della Magna Grecia, “non è interessata”. La difesa della democrazia? Improbabile: il “Piano choc” di R. per “opere pubbliche da 120 miliardi” prevede “100 commissari” sottratti alla democrazia con pieni poteri di: scelta delle opere, progettazione, attuazione e controllo. Invece i piani del Recovery li progetta il governo, li approva il Parlamento, li attuano ministeri, Regioni, Province e Comuni; e la famigerata cabina di regia monitora le realizzazioni per non perdere i fondi dell’Ue (che ha chiesto espressamente la task force di controllo). E allora a quanto ammonta il riscatto? Trattandosi di Soliti Ignoti, un piatto di pasta e ceci può bastare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/09/anonima-rignano/6030440/