venerdì 7 maggio 2021

“Complotto contro Renzi”: Lega, FI e dem ci cascano. - Giacomo Salvini

 

Il video di report - L’incontro in autogrill con lo 007 Mancini: solo M5S e FdI non credono alla “manina” ai danni del leader di Iv.

Il complotto c’è, ma al contrario. Non quello per far cadere il governo Conte-2 proprio usando l’argomentazione che l’ex premier giallorosa voleva tenere per sé la delega ai Servizi Segreti. Nossignori, quasi tutti i partiti – esclusi M5S e Fratelli d’Italia – ormai hanno maturato la convinzione che il 23 dicembre scorso all’autogrill di Fiano Romano Matteo Renzi e il capo reparto del Dis Marco Mancini fossero “pedinati”, “spiati” e che poi qualche strana manina abbia inviato il video del colloquio a Report per delegittimare l’ex premier. Una storia che, se vera, farebbe invidia ai romanzi di John Le Carré.

Sicché nelle ultime ore è stato tutto un profluvio di dichiarazioni in difesa delle prerogative di Renzi e contro la legittimità del servizio di Report. A partire dagli stessi renziani. Mercoledì, durante l’audizione del direttore di Rai3, Franco di Mare, in Commissione di Vigilanza Rai, il capogruppo di Italia Viva al Senato Davide Faraone ha teorizzato una cospirazione anti-Renzi: “Un senatore è stato intercettato, spiato con un video abusivo e la Rai ha mandato in onda un servizio di una persona che stava commettendo un reato” ha detto Faraone senza spiegare quale. Poi l’accusa diretta alla trasmissione di Sigfrido Ranucci: “Come mai la Rai ha mandato in onda un servizio senza verificare la versione della signora? Questo non è giornalismo, sono illazioni”. A Faraone ha dato manforte il deputato renziano Michele Anzaldi: “è stata firmata una pagina nera del giornalismo – ha spiegato – lì sono stati tutti pedinati”. Secondo l’onorevole di Iv “è stata fatta una consecutio drammatica” tra il colloquio di Renzi con Mancini “e le nomine dei Servizi”. Per il direttore di Rai 3 Di Mare invece è stato tutto regolare perché “il diritto alla privacy di un personaggio pubblico come Renzi è limitato”. Ieri è intervenuto anche Ranucci che ha smontato le presunte incongruenze fatte notare dai renziani: il video della donna “non è di 40 minuti ma di 20 secondi”, ha iniziato a registrare “solo quando è arrivato Renzi” e, alla fine dell’incontro, Mancini “è partito per primo e si è diretto a Fiano Romano per poi tornare indietro” mentre Renzi “è rimasto in autogrill e poi ha proseguito per Firenze”. Poi il conduttore ha annunciato che nella puntata di lunedì interverranno la donna e anche il padre che si era sentito male per spiegare come sono andate le cose. Ma Renzi non ci sta lo stesso: fonti a lui vicine spiegano che la versione di Ranucci “è falsa” perché Renzi sarebbe partito “prima di Mancini” e che oggi l’ex premier farà un esposto in procura per acquisire le immagini delle videocamere dell’autogrill.

Ma non ci sono solo i renziani a teorizzare la cospirazione contro il proprio leader: anche Pd, Lega e Forza Italia sono della stessa opinione. Bastava sentire Andrea Ruggieri (FI): “Io non credo che quel video sia utilizzabile in tv, ammesso che sia davvero una cittadina curiosa non aveva il diritto di riprendere due personaggi, uno pubblico e l’altro no perché non è una giornalista”. Anche nel Pd si levano voci che teorizzano il complotto. Fausto Raciti parla di “porcheria” e di “accanimento di un pezzo dell’informazione” mentre Simona Malpezzi ieri a Omnibus si è detta “inquieta” sul fatto che “quelle immagini siano arrivate in altre mani”. D’accordo anche il leghista Riccardo Molinari secondo cui “sarebbe grave se il filmato fosse stato commissionato” e se Renzi “fosse stato pedinato”. Intanto ieri si è riunito il Copasir ed è stato deciso che la prossima settimana sarà audito il direttore del Dis Gennaro Vecchione e dopo quella testimonianza si valuterà se sentire anche Renzi e Mancini. Secondo fonti qualificate, il Copasir non si occuperà dell’inchiesta giornalistica o dell’autenticità della fonte, ma si concentrerà sull’incontro.

ILFQ

Zingaletta. - Marco Travaglio

 

Tra le notizie stupefacenti delle ultime ore, la più stupefacente è il pressing di Letta sul suo predecessore Zingaretti perché lasci la Regione Lazio con un anno d’anticipo e si candidi a sindaco di Roma. O, peggio ancora, lo faccia senza dimettersi, aspettando fino all’ultimo giorno utile (inizio settembre) per mollare la carica, così da far slittare le Regionali anticipate a qualche settimana dopo le Comunali. Il motivo è evidente: se si votasse lo stesso giorno per la Capitale e per la Regione, gli stessi elettori romani del centrosinistra dovrebbero votare separati per il sindaco (o la Raggi o Zingaretti, che già fanno scintille prima della sfida, figurarsi in campagna elettorale) e uniti per il cosiddetto “governatore” (verosimilmente espresso dalla coalizione giallorosa). Diciamo subito che questo trucchetto da magliari sarebbe umiliante per Zingaretti, per il Pd, per la coalizione, ma soprattutto per gli elettori. Un’indecenza etico-politica, oltreché la tomba di quel “nuovo centrosinistra” che il Pd di Zingaretti, con Conte, al M5S e a Leu, ha cercato faticosamente di costruire in questi 20 mesi e in cui Letta dice di credere.

Che Pd e M5S corrano separati alle Comunali è inevitabile: la Raggi aspira legittimamente al bis e il Pd non ha perso occasione di combatterla, con armi proprie e anche improprie, per tutto il mandato. Un accordo al primo turno è impensabile: nulla di strano se i dem presentano il loro candidato (Zingaretti aveva scelto Gualtieri, Letta l’ha ibernato): poi si vedrà chi fra lui e la Raggi passerà al ballottaggio e chi fra 5Stelle e Pd dovrà sostenere l’altro. Ma una forzatura assurda come sradicare Zingaretti dalla Regione sarebbe una dichiarazione di guerra al M5S alleato, che non resterebbe senza conseguenze. Il M5S sarebbe legittimato a rispondere schierando candidati forti a Milano, Torino e Bologna per mettere i bastoni fra le ruote a Sala e agli altri aspiranti sindaci Pd (per ora ignoti). E comunque i cittadini la prenderebbero malissimo: quelli del Lazio si domanderebbero che rispetto abbia Zingaretti a mollarli a metà della campagna vaccinale per traslocare al Campidoglio, fra l’altro dopo aver giurato per mesi che mai e poi mai l’avrebbe fatto; e quelli di Roma, già perplessi per la politica regionale sui rifiuti (molto simile al sabotaggio permanente della sindaca), si sentirebbero usati in una guerra di potere che non ha nulla di nobile (se è pronto Gualtieri, perché far saltare Zinga da una poltrona all’altra?). Davvero Letta pensa che basti spostare le Regionali un paio di settimane dopo le Comunali per far dimenticare agli elettori del Pd e del M5S la battaglia all’arma bianca fra Raggi e Zinga? Ma dove vive: sulla luna?

ILFQ

Bertolaso e Albertini mollano Salvini e lui se la prende con FdI: “Troppi no”. - Lorenzo Giarelli

 

Leghista suonato - Matteo scaricato dai suoi candidati a Roma e a Milano: destra spaccata.

La campagna elettorale deve ancora iniziare, ma per Matteo Salvini le Amministrative di ottobre sono già un grosso problema. In barba al solito ottimismo sbandierato a favor di telecamera, il leghista ha impiegato sei mesi per trovare i candidati per Roma e Milano, li ha strombazzati come cavalli vincenti e poi è finito per essere sbugiardato da entrambi.

È successo con Guido Bertolaso per la Capitale ed è successo ieri a Milano con Gabriele Albertini, il cui no alla corsa per sfidare Beppe Sala ha aperto l’ennesima frattura pubblica nel centrodestra. Con tanto di smacco personale a Matteo, che ora se la prende con gli alleati per aver “fatto perdere la pazienza” ai suoi candidati, provocandone la fuga.

Ufficialmente, Albertini decide di farsi da parte per motivi familiari. Scrive una lettera a Libero ringraziando per i tanti messaggi di sostegno, assicura che stava “per cedere e dire sì” ma che poi si è fermato: “Non potevo infliggere un disagio a mia moglie. Preferisco sperare di trascorrere con la mia famiglia, finché ci sarà salute, l’ultimo ottavo di vita media”. E nell’uscire dal pressing, Albertini butta lì pure che se avesse vinto avrebbe chiesto a Sala “di entrare in giunta come vicesindaco”, gesto di rispetto per l’avversario ma anche ecumenico segnale per una Milano pronta “alla primavera” dopo “l’inverno della pandemia”.

Tante belle parole di cui Salvini non sa però che farsene, visto che pochi giorni fa anche Bertolaso si è sfilato da Roma lasciandolo col cerino in mano: “Ringrazio chi mi vuole sindaco nella Capitale – la versione del factotum dell’emergenza lombarda – ma cerchino qualcun altro”. E allora il leader leghista – che peraltro aveva scelto due nomi fuori dal suo partito – fiuta la disfatta e si agita, tirando in mezzo Fratelli d’Italia e Forza Italia: “Sono mesi che cerco di costruire e unire il centrodestra in vista delle amministrative. A Roma e Milano avevamo i candidati giusti, ma altri hanno detto no per settimane e mesi e loro hanno perso la pazienza”.

In effetti i passi indietro di Albertini e Bertolaso sono attribuibili solo in parte a ragioni personali, ma molto più alle crepe interne alla coalizione. Il problema è che FdI, a sua volta, scarica le responsabilità su Salvini, che da tempo rimanda il famoso “tavolo” del centrodestra in cui dovrebbero essere definite tutte le principali candidature alle Amministrative, per paura che la trattativa coinvolga vicende molto più nazionali (su tutte: la presidenza del Copasir contesa proprio da Lega e Fratelli d’Italia).

Ed è questo che Daniela Santanchè, riferimento milanese del partito di Giorgia Meloni, rinfaccia al leghista: “Il fatto che Salvini non abbia ancora convocato il tavolo del centrodestra ha determinato la decisione di Albertini. Quando non si hanno risposte e si vive senza sapere poi succede che un candidato si ritiri”.

Non basta allora il nome di Maurizio Lupi, indicato ora come il favorito per sfidare Sala, a calmare i malumori della destra. La lacerazione è molto più profonda e rischia non solo di ritardare la scelta dei candidati su Milano e Roma, ma persino di compromettere l’intesa altrove. A Napoli, per esempio, Giorgia Meloni potrebbe andare da sola sostenendo l’avvocato Sergio Rastelli (figlio di Antonio, ex governatore della Campania dal 1995 al 1999) e lasciando gli alleati al loro destino con Catello Maresca, sperando poi di arrivare al ballottaggio da una posizione di forza.

Uno sgarbo non da poco che potrebbe replicarsi in altre città dove l’accordo è ancora in alto mare, come Salerno o Bologna. Non c’è da stupirsi allora che di questo quadro fracassato, a taccuini chiusi, un big del centrodestra dia una sintesi simile a un epitaffio: “Non esiste più una coalizione”. Figurarsi se possono esistere i candidati.

ILFQ

Vaccini per ragazzi e bambini, ecco a che punto siamo. - Nicola Barone

 
Covid, Pfizer: vaccino efficace al 100% nella fascia 12-15 anni

I punti chiave


Dopo il via libera in Canada nella fascia tra 12 e 15 anni per il vaccino Pfizer/BioNTech, anche gli Stati Uniti sono pronti - ottenute le autorizzazioni - a lanciare una campagna ad hoc per gli adolescenti. Con buona approssimazione arriverà entro un mese in Europa una parola da parte delle autorità regolatorie sull’allargamento della platea ai più giovani. I sacrifici per bambini e adolescenti imposti dalla pandemia da coronavirus sul piano educativo, e di relazione, fanno guardare con fiducia alla ripresa autunnale in base ai risultati preliminari dei trial. I vaccini in corso di sperimentazione si basano sulla tecnica dell’Rna messaggero e stanno mostrando, entrambi, evidenze assai incoraggianti.

Dalla vaccinazione tre benefici.

Proteggere i ragazzi con il vaccino ha tre diversi valori, nella sintesi dell’immunologo Andrea Cossarizza. «Il primo è che in questo modo possono tornare a fare una vita sociale il più normale possibile, e riprendere quello che facevano prima della pandemia. Secondo, vengono protetti da una sindrome causata dall’infezione, ovvero la sindrome infiammatoria multisistemica dei bambini (Multisystemic inflammatory syndrome in children - Misc). Il terzo è che la vaccinazione di queste persone aiuta moltissimo a tenere la pandemia sotto controllo». Stando alle anticipazioni, Pfizer/BioNTech si trova nella fase finale di preparazione della domanda di approvazione all’Ema, in media la valutazione dei test richiede da quattro a sei settimane.

Primi dati, efficacia del 100%.

Al momento le informazioni disponibili sono quelle diffuse dall’azienda americana per quel che riguarda gli adolescenti con età compresa tra 12 e 15 anni. «Sono state trasmesse come comunicato stampa qualche settimana fa, ma il relativo lavoro scientifico con tutti i dettagli necessari per una accurata valutazione non è ancora stato pubblicato», osserva il professore dell’università di Modena e Reggio Emilia. «I dati riportati comunque riguardano l’efficacia e la tollerabilità. Per quanto riguarda il primo punto, non sono state riportate infezioni da SARS-CoV-2 nel gruppo dei 1.131 ragazzi trattati con il vaccino, mentre ne sono state riscontrate 18 nei 1.129 ragazzi trattati con placebo. L’efficacia del vaccino è stata quindi del 100%, e i ragazzi vaccinati hanno sviluppato tutti una forte quantità di anticorpi». Quanto alla tollerabilità, spiega Cossarizza, «è stata giudicata buona, in quanto non sono stati riportati effetti collaterali diversi da quelli attesi, quali febbre, dolore al braccio dopo l’iniezione, malessere generale di breve durata».

Attesa per la pubblicazione definitiva.

È attualmente iniziato un altro trial che riguarda bambini di età compresa tra sei mesi e 12 anni, divisi per fasce d’età, e i risultati arriveranno tra qualche mese. Nel complesso secondo l’immunologo «quanto riportato dal comunicato stampa è un’ottima notizia, che va comunque verificata valutando il lavoro scientifico che immagino venga pubblicato a breve». Sui tempi di autorizzazione all’uso bisognerà attendere il corso, fino in fondo, degli studi, per quanto sia auspicabile che ciò avvenga al più presto. «Ma non prima che le autorità competenti abbiano valutato a fondo i risultati dei trial clinici fatti e di quelli in corso, e controllato per bene la tollerabilità dei vaccini».

Moderna, sperimentazioni arrivate in fase 2/3.

Passando a Moderna, la prima sperimentazione in fase ⅔ è stata avviata negli Stati Uniti lo scorso dicembre su 3.000 ragazzi fra 12 e 17 anni e la stessa azienda ha appena avviato un secondo studio, chiamato KidCove, anche questo in fase 2/3 su 6.750 bambini da sei mesi a 11 anni. Secondo i programmi, i primi a ricevere il vaccino saranno i più grandi e gradualmente si scenderà con l’età.

Da Oxford stop ai test per AstraZeneca.

Dall’inizio di aprile l’Università di Oxford ha sospeso la sperimentazione del vaccino AstraZeneca sui bambini in attesa di un’analisi sui possibili legami tra il farmaco ed episodi di trombosi tra gli adulti. Le sperimentazioni erano iniziate a febbraio e avevano coinvolto bambini e ragazzi tra i 6 e i 17 anni (circa 300 i volontari). «Sebbene non ci siano preoccupazioni per la sicurezza nella sperimentazione pediatrica, attendiamo ulteriori informazioni dall’Mhra (l’Authority per i farmaci britannica, ndr) sui rari casi di trombosi e trombocitopenia che sono stati segnalati negli adulti, prima di somministrare altri vaccini», ha spiegato il professor Andrew Pollard.

Coronavirus, per saperne di più.

Le mappe in tempo reale.

L’andamento della pandemia e delle azioni di contrasto è mostrato in due mappe a cura di Lab24. Nella mappa del Coronavirus i dati da marzo 2020 provincia per provincia di nuovi casi, morti, ricoverati e molte infografiche per una profondità di analisi.
La mappa dei vaccini in tempo reale mostra l’andamento della campagna di somministrazione regione per regione in Italia e anche nel resto del mondo.
Guarda le mappe in tempo reale: Coronavirus - Vaccini

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IlSole24Ore

giovedì 6 maggio 2021

Una società evoluta. - Beppe Grillo

 

“Le repubbliche e le società contemporanee si dichiarano fondate sul lavoro, presentando questo dato come naturale, certo e immutabile, sino a fare del diritto al lavoro il diritto per il cittadino di realizzare se stesso. Su questo mito dei tempi modernisi sono costruite ideologie e teorie, poi crollate di fronte alla crisi dell’occupazione delle società industriali avanzate. Si è cercata una soluzione nell’economia e nella creazione di posti di lavoro; ma il problema non è e non è mai stato soltanto economico, tecnico o politico,  il lavoro è necessariamente il fondamento delle società. Occorre una nuova riflessione critica, che tenga conto delle rappresentazioni che del lavoro si sono date nella storia, per chiarire una questione che mette in gioco la libertà degli individui e la sopravvivenza della moderna civiltà industriale.” Società senza lavoro: per una nuova filosofia dell’occupazione (Dominique Méda)


In che modo una ricorrenza dedicata al lavoro, che affonda le sue radici durante la rivoluzione industriale negli Stati Uniti d’America, può aiutarci a capire e cambiare qualcosa in più del lavoro di oggi?

Nel 1880 la questione era: “quanto tempo è giusto dedicare al lavoro?” Una faccenda di vita o di morte: stavano costituendosi i diritti di colui che metteva il suo tempo e la sua vita a disposizione di un imprenditore, il lavoratore. Senza il riconoscimento di quei diritti era soltanto schiavitù, le persone erano costrette a lavorare sino allo sfinimento senza alcun riguardo per la loro salute, le loro speranze e la loro sofferenza: le loro vite.

Mi chiedo, che cosa stiamo festeggiando oggi? Entro il 2025, l’automazione e la ricollocazione del lavoro tra uomini e macchine faranno perdere 85 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo nelle medie e grandi imprese in 15 settori e 26 economie. I ruoli in aree quali l’immissione dei dati, la contabilità e il supporto amministrativo sono sempre meno richiesti con la crescita dell’automazione e della digitalizzazione. Oggi, i lavoratori non hanno nulla da festeggiare, perché i loro diritti stanno subendo un attacco lento e progressivo. Non in nome dei padroni ma in nome della salvezza dell’economia finanziaria. Lavorare peggio e di più per tenere in piedi concezioni della società e del lavoro, che hanno lo stesso spessore culturale delle dicerie più becere.

Nel futuro le persone lavoreranno quando e quanto sarà vantaggioso per la loro, personale ed unica, produttività. Ed il Covid ci ha sbattuto la realtà in faccia. Molti credono che disporre del tempo del proprio lavoro sia una cosa da grandi scienziati, come Darwin, che difficilmente lavorava più di quattro ore al giorno, o di Poincare, che lavorava anche 2 ore a settimana. Si è portati così a pensare che persone come loro potevano permetterselo, mentre le persone comuni no.

E se la pandemia ha fatto qualcosa di buono, è stato quello di dimostrare che il lavoro non è qualcosa per cui vieni in ufficio, è qualcosa che fai, andando in contro alle esigenze personali di ognuno, dove al centro c’è soltanto l’uomo e non il mercato.

Dobbiamo solo avere più coraggio, perché siamo condizionati dall’idea che “tutti devono guadagnarsi da vivere”, tutti devono essere impegnati in una sorta di fatica perché devono giustificare il loro diritto di esistere.

In questi giorni ho ripreso in mano un libro del 2013, dell’attivista del movimento contro le disuguaglianze Occupy Wall Street, David Graeber: un saggio strepitoso in cui l’autore parte da questo assunto “Siate onesti: se il vostro lavoro non esistesse, quanti ne sentirebbero la mancanza? Qual è il contributo significativo che offre al mondo?” E’ questa la domanda che dobbiamo porci oggi. Una lettura che vi consiglio e che tutti i policy makers, i legislatori, gli amministratori e tutti coloro che “creano occupazione” dovrebbero avere sul comodino.

Il lavoro retribuito, e cioè legato alla produzione di qualcosa, non è più necessario una volta che si è raggiunto la capacità produttiva attuale. Abbiamo una capacità produttiva che è di gran lunga superiore alle nostre necessità. Per rispondere a questa crisi cosmica, per uscirne fuori, tutti cercano il lavoro. Ma siamo sicuri che il problema sia davvero il lavoro?

Appena smetteremo di produrre in sovrabbondanza; appena penseremo con impegno al nostro pianeta; appena si formerà nelle persone un’idea su quanto sia importante esistere ed essere nel mondo; appena gli individui potranno svilupparsi in modo libero; appena metteremo in atto soluzioni capaci di ridistribuire la ricchezza e di superare le disuguaglianze create dal nostro modello economico, potremo dire di vivere in una società evoluta… e sarà davvero una gioia festeggiare quel giorno.

ILBlogdiBeppeGrillo

Omicidio Cerciello Rega, ergastolo per i due americani. - Giacomo Galanti

 

Accolta la richiesta dell'accusa. Giudici in camera di consiglio per 13 ore.


Condanna all’ergastolo per gli americani Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth per l’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega e il ferimento del collega Andrea Varriale. Lo ha deciso la prima corte d’assise di Roma dopo una camera di consiglio di 13 ore. 

La vicenda. È successo tutto in poche ore nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2019. E la storia è subito apparsa ingarbugliata. O comunque non chiara. Proprio sulla non chiarezza di alcuni elementi si è giocata la sfida tra l’accusa e la difesa dei due ragazzi americani. Ci sono versioni che cambiano a seconda di chi le racconta. Testimoni oculari dati per certi e che invece non ci sono. E se ci sono stavano dormendo. Le pistole d’ordinanza dimenticate in caserma insieme al tesserino di riconoscimento. Gazzelle dei carabinieri pronte a partire in aiuto dei due colleghi, ma di cui la centrale non sa nulla. Varriale, il collega di Cerciello, che chiede aiuto scambiando gli americani per due magrebini. Per non parlare del video girato in caserma sempre dallo stesso Varriale con uno dei ragazzi bendato e legato a una sedia che ha fatto il giro del mondo. O la della presunta manomissione delle traduzioni delle intercettazioni dei due imputati.

Il caso è arrivato davanti ai giudici in tempi record, solo dopo sette mesi dal delitto. La difesa dei due americani è stata chiara: hanno aggredito Cerciello e Varriale, in abiti civili, senza sapere che fossero carabinieri. Al contrario li hanno scambiati per uomini mandati da Sergio Brugiatelli. Un tizio con precedenti che poche ore prima dell’omicidio, nel quartiere di Trastevere, si è offerto come intermediario per trovare un po’ di droga ai due giovani. Così mette gli americani in contatto con un pusher, Italo Pompei, che invece di un grammo di coca gli rifila della tachipirina. I due, dopo essersi accorti della “sòla”, rubano lo zaino di Brugiatelli e gli telefonano per fissare un appuntamento: se rivuole indietro la refurtiva dovrà portare 100 euro e un po’ di droga. Ma a quell’incontro si presentano Cerciello e Varriale, chiamati in aiuto da Brugiatelli. I due militari vengono aggrediti. Il primo muore dissanguato colpito da undici coltellate, l’altro, in stato di choc, chiama i soccorsi.

Nella sua arringa, il difensore di Elder, l’avvocato Renato Borzone ha sottolineato come “le omissioni e le menzogne da parte di alcuni carabinieri hanno confuso l’accertamento della verità”. E soprattutto, secondo il legale, a mentire è stato Varriale, quella sera aggredito insieme a Cerciello. Varriale è stato infatti indagato dalla Procura militare per il reato di “violata consegna” in quanto si era presentato senza arma all’appuntamento, mentre i militari sono obbligati a portare al seguito l’arma d’ordinanza quando sono in servizio, anche se in borghese, come quella notte. Ed è emerso il tentativo dello stesso carabiniere di accordarsi con un collega per dimostrare che aveva lo stesso la pistola. Qui si inserisce la versione di Varriale data a processo, quando afferma di aver mostrato il tesserino e di essersi qualificato come carabiniere insieme a Cerciello. Per l’avvocato, che contesta il fatto che i due militari si siano qualificati, “Varriale aveva tutto l’interesse personale a dire in aula che ha mostrato il tesserino ai due americani altrimenti avrebbe potuto essere accusato di un altro reato dinanzi al Tribunale militare”.

D’altro canto, Elder, autore materiale del delitto, è stato definito imputabile dai periti nominati dal Tribunale, i professori Stefano Ferracuti e Vittorio Fineschi, perché “capace di intendere o di volere al momento del fatto”. Anche se, sempre secondo la la perizia, il giovane californiano “presenta un disturbo di personalità borderline-antisociale di gravità medio elevata, una storia di abuso di sostanze (in particolare Thc) e un possibile disturbo post-traumatico da stress”. Nelle sue dichiarazioni spontanee a processo ha raccontato così quella notte: “In un attimo si sono girati e si sono avventati su di noi senza dire una parola, senza qualificarsi. L’uomo più grande, era una montagna, mi ha buttato per terra e ha messo tutto il suo peso su di me. Ho provato panico e ho pensato volesse uccidermi”. E ha aggiunto: “In America i poliziotti si comportano in maniera diversa, si identificano e tirano fuori le armi. Non ho mai pensato che uno spacciatore potesse chiamare la polizia, questo non accade in America”.

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Come cambiano i colori nelle regioni: la Puglia verso il giallo, in arancione solo Valle d’Aosta e Sicilia. Sardegna in bilico. - Andrea Gagliardi

 

Puglia verso il giallo. Insieme probabilmente a Basilicata e Calabria. Valle d’Aosta di nuovo arancione, insieme alla Sicilia. Sardegna in bilico. È questo il quadro attuale in vista del monitoraggio di venerdì 7 maggio che vedrà quasi tutta la cartina geografica colorarsi di giallo (ristoranti e bar con tavoli all'aperto a pranzo e a cena; ingresso consentito in cinema, teatri e musei sia pure con capienza limitata, spostamenti liberi verso altre regioni gialle). Va monitorato l'indice Rt (indice di velocità del contagio) dopo il leggero rialzo (0.85) registrato la scorsa settimana. La stima non sarà ancora influenzata dalle parziali riaperture del 26 aprile

Valle d’Aosta torna arancione.

La Valle d'Aosta resterà in lockdown solo una settimana. Finita in fascia rossa dal 3 maggio a causa di un numero di nuovi casi settimanali oltre la soglia critica di 250 contagi settimanali ogni 100mila abitanti (265), ha visto l’incidenza ridursi velocemente (siamo a 204). E può contare su un Rt sotto 1 e un sistema ospedaliero non particolarmente sotto pressione. Di qui il ritorno in arancione a partire da lunedì 10 maggio. Resta arancione la Sicilia. La settimana scorsa infatti aveva l'intervallo inferiore dell'Rt a 1,02 e un rischio moderato. Per tornare in giallo deve aspettare almeno due settimane con l'Rt sotto 1 o il rischio basso.

Puglia verso il giallo.

La Puglia è diventata arancione il 26 aprile. E già da due settimana ha numeri da zona gialla. Il tasso di occupazione di posti letto in terapia intensiva di pazienti Covid (34%) resta sopra la soglia critica del 30 per cento. Ma il trend è positivo e la zona gialla a portata di mano. «La situazione continua a migliorare - conferma l’assessore regionale alla Sanità Pierluigi Lopalco - abbiamo un Rt calcolato da noi inferiore a 1, tassi di occupazione dei posti letto in miglioramento, non ci sono focolai in ospedali e Rsa». Dvrebbero essere promosse nella fascia con minori restrizioni anche Basilicata Calabria.

Sardegna in bilico.

In bilico la Sardegna, uscita lunedì 3 maggio dal lockdown e passata in fascia arancione. Probabile un quadro da zona gialla (sarebbe il secondo consecutivo), ma starà alla cabina di regia decidere se lasciarla un’altra settimana in arancione o «promuoverla» subito.

La normativa di riferimento.

Come si arriva alla «promozione» in giallo? Ricapitoliamo le regole in vigore, che non sono state modificate dal nuovo decreto anti Covid che disciplina le riaperture. Sono obbligatori «quattordici giorni in un livello di rischio o scenario inferiore a quello che ha determinato le misure restrittive. E i parametri da rispettare sono: Rt (l'indice che misura la velocità del contagio) sotto 1 e «rischio complessivo» basso o moderato. Un indicatore quest'ultimo risultato del calcolo di 21 parametri, dalla comparsa dei nuovi focolai al tasso di occupazione di ospedali e terapie intensive. Non sono obbligatorie due settimane in fascia arancione per poter essere «promossi». Ne può bastare anche una. La decisione spetta alla cabina di regia del ministero della Salute.

IlSole24Ore