venerdì 18 marzo 2022

Sì, ma come? - Massimo Erbetti


 

Arriviamo mai a farci questa domanda?
Pensioni minime a 1000 euro.
Togliamo le accise.
Abbassiamo le tasse.
Creeremo un milione di posti di lavoro.
Ma anche…e questo sta succedendo nella mia città in vista delle prossime elezioni amministrative…
Più sicurezza
Più lavoro
Più turismo
Più pulizia
Più decoro urbano
Più cultura…  Più…più…più…

E tutti a battere le mani…e mentre tutti guardano adoranti il pifferaio magico di turno…a me viene in mente sempre la solita domanda…come un tarlo…sempre e solo:
Sì, ma come?

Ci avete fatto caso? La storia si ripete all'infinito, dalla notte dei tempi…promesse, promesse, promesse…e poi alla fine nulla cambia…e riparte il giro di giostra…arriva un altro illusionista che ripete sempre la stessa identica storia…più più più…
E noi come pesci abbocchiamo all'amo.
Se solo cominciassimo a farci quella banale domanda: "Sì, ma come?"

Se ce la fossimo fatta in passato, quanti Berlusconi ci saremmo risparmiati? Quanti incantatori di serpenti avremmo evitato?
Campagne elettorali faraoniche, spese folli…cene…regali…ma con quali soldi? E soprattutto di chi? E perché?
Più che idee si "vendono" sogni…sogni irrealizzabili…ma a noi piace sognare…e evitiamo sempre quella banalissima domanda: "sì, ma come?"
Non svegliatemi…lasciatemi sognare…lasciatemi credere che arrivi il principe azzurro sul suo cavallo bianco e mi salvi da questo schifo in cui sono costretto a vivere…
Ma le favole sono favole…il lieto fine (quello vero) non arriva mai su un cavallo bianco…il vero principe azzurro siamo noi, solo noi possiamo salvarci…e possiamo farlo solo facendoci quella stupida domanda: "sì, ma come?

Ma ve lo ricordate" il contratto con gli italiani"?
Il contratto con gli italiani è un documento presentato e firmato da Silvio Berlusconi l'8 maggio 2001, cinque giorni prima delle elezioni politiche, nel corso della trasmissione televisiva Porta a Porta condotta da Bruno Vespa…
E io ve lo ripropongo sto benedetto Contratto con gli italiani, perché tutto nacque li…Berlusconi sdoganó un modo di far politica che è sopravvissuto a lui e ha generato una miriade di piccoli berlusconi…che ancora oggi a distanza di venti anni continuano a promettere…ogni giorno uno nuovo…ogni giorno uno diverso…cambiano i suonatori, ma la musica è sempre la stessa…

Eccolo:
"Contratto Tra Silvio Berlusconi nato a Milano il 29 settembre 1936 leader di Forza Italia e della Casa delle Libertà, che agisce in accordo con tutti gli alleati della coalizione, e i cittadini italiani si conviene e si stipula quanto segue.
Silvio Berlusconi, nel caso di una vittoria elettorale della Casa delle Libertà, si impegna, in qualità di Presidente del Consiglio, a realizzare nei cinque anni i seguenti obiettivi:
1. Abbattimento della pressione fiscale:
o con l'esenzione totale dei redditi fino a 22 milioni di lire annui;
o con la riduzione al 23% per i redditi fino a 200 milioni di lire annui;
o con la riduzione al 33% per i redditi sopra i 200 milioni di lire annui;
o con l'abolizione della tassa di successione e della tassa sulle donazioni.
2. Attuazione del "Piano per la difesa dei cittadini e la prevenzione dei crimini" che prevede, tra l'altro, l'introduzione dell'istituto del "poliziotto o carabiniere o vigile di
quartiere" nelle città, con un risultato di una forte riduzione del numero dei reati rispetto agli attuali 3 milioni.
3. Innalzamento delle pensioni minime ad almeno 1 milione di lire al mese.
4. Dimezzamento dell'attuale tasso di disoccupazione con la creazione di almeno 1 milione e mezzo di posti di lavoro.
5. Apertura dei cantieri per almeno il 40% degli investimenti previsti dal "Piano decennale per le Grandi Opere" considerate di emergenza e comprendente strade, autostrade, metropolitane, ferrovie, reti idriche, e opere idro-geologiche per la difesa dalle alluvioni.
Nel caso che al termine di questi 5 anni di governo almeno 4 su 5 di questi traguardi non fossero stati raggiunti, Silvio Berlusconi si impegna formalmente a non ripresentare la propria candidatura alle successive elezioni politiche.
In fede,
Silvio Berlusconi
Il contratto sarà reso valido e operativo il 13 maggio 2001 con il voto degli elettori italiani."

Ha rispettato niente di quello che aveva promesso? No vero? Eppure sta ancora lì…vogliamo parlare di Renzi? Se perdo il referendum mi ritiro…ma sta ancora lì…e le accise di quell'altro? E potrei continuare a fare mille esempi di persone conosciute, o meno conosciute…a livello nazionale, ma anche a quello locale…

Ve lo chiedo per favore…fatevi quella stupida domanda: "sì, ma come?" e se riceverete una risposta, verificatela, controllate, andate a vedere se è vero quello che vi si dice…"toglierò gli sprechi"...ok, ma a quanto ammontano? Bastano per pagare quello che mi prometti? Fatevi due conti, perché i soldi non nascono nell'orto dei miracoli, non si moltiplicano come i pani e i pesci.

Volete un futuro migliore? Non aspettate il messia…fatevi domande…

Raccontare non è mai stato così difficile. - Ettore Zanca

 

Ci troviamo di fronte a una narrativa degli avvenimenti che andrebbe preservata come in un’oasi protetta.
Abbiamo assistito a un cambio radicale dell’oggetto narrativo che per chi scrive per mestiere è un banco di prova non da poco.
Pensate ad esempio a chi considerava la “narrativa pandemica” come possibile una volta che il Covid fosse stato se non dimenticato, almeno metabolizzato. Se uscisse adesso un romanzo sulla pandemia avrebbe poco impatto. La realtà ha doppiato in curva la narrativa.
Tutto il narrabile di due anni è stato spinto fuori a calci da una nuova “narrativa del conflitto”. La guerra ha chiesto a chi vive di parole di essere raccontata. Ma l’impegno non si è fermato lì. Chi racconta ha visto nascere una guerra di parole crudeli nate da una guerra cruenta.
La disinformazione, le finte notizie prese dai social e artatamente diffuse. Il cortocircuito pericoloso dell’ideologia da divano che ha rallentato l’emotività in luogo delle giustificazioni.
Esempio principe della disinformazione e delle difficoltà di dare connotazione autorevole è stato l’esempio della Botteri che parla di un ospedale abbandonato in Iraq e viene immediatamente frainteso come l’ospedale di Mariupol.
Ricordo quello che disse Jurgen Klopp, allenatore del Liverpool quando scoppiò la pandemia: nessuno chiederebbe a un virologo di fare la formazione di una squadra, io ho opinioni sul Covid, mi informo ma non sono un virologo. Ecco. Il compito di chi narra è quello di raccontare vite, di lasciare sul terreno delle parole il proprio cuore per episodi che danno voce agli sconfitti. E gli sconfitti in guerra sono trasversali. Sono i soldati al fronte che combattono e muoiono senza bandiera per gli utili altrui, i civili uccisi o che scappano. Gli animali che partono svantaggiati già in tempo di pace, figuriamoci in guerra.
Chi narra deve confrontare le informazioni, leggere soprattutto la stampa straniera che spesso arriva prima. Oppure come mi ha suggerito qualcuno autorevole “guardare sempre se l’articolo è scritto da chi è in zona di guerra”. Verificare subito anche con motori di ricerca stranieri se una notizia corrisponde. Il morbo del dito caldo pur di acchiappare like non deve essere nelle corde. Chi narra deve respirare profondamente e sentire le vibrazioni che lo portano a raccontare con la spina dorsale tesa sapendo che quel racconto, quella vita, saranno nella propria pelle, come chiodi di croce, spine o petali di fiori.
Per me sono di famiglia una pantera che vive in Siberia, due bambini che il neuroblastoma ha portato via, due genitori che hanno perso un bambino in un bombardamento, tre ragazzine che fanno rock. E poi ci sono le persone che amo, da cui parto per raccontare tutto. Si parte sempre dal giardino di casa.
Il resto, le deviazioni, le manipolazioni e il livore, non devono appartenerci. Se riusciamo a non entrare in nessun tipo di guerra, abbiamo già vinto. verso noi stessi e chi ci ascolta. Cosa abbiamo vinto? Il loro tempo passato a leggerci. Un tempo che non restituisce nessuno.
Foto rielaborata da una originale AP
Soundtrack: Esseri umani - Marco Mengoni

https://www.facebook.com/photo/?fbid=5268733313157339&set=a.211974708833250

giovedì 17 marzo 2022

Guerra Russia-Ucraina, dalla normalizzazione fallita alla nuova crisi: i 5 mesi di colloqui Mosca-Washington prima dell’invasione.

 

L'inizio di questo processo, che ha anticipato di pochi mesi l'escalation militare con l'invasione russa dell'Ucraina, può essere individuato nell'incontro di metà giugno a Ginevra tra Joe Biden e Vladimir Putin. A questo sono seguiti il viaggio a Mosca del 'falco' Victoria Nuland e del direttore della Cia, William Burns. E' in questo lasso di tempo che, forse, il conflitto poteva essere evitato: ma i colloqui non hanno portato a risultati concreti.

16 giugno, 11 ottobre, 2 novembre 2021. Tre date che corrispondono ad altrettanti incontri di vario livello tra rappresentanti americani e russi e che, in poco meno di 5 mesi descrivono la breve parabola di un tentativo di riavvicinamento tra Washington e Mosca conclusosi, però, con un’escalation militare senza precedenti in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. È una storia di meeting di alto livello tra presidenti che non hanno mai nascosto la reciproca avversione, tra ‘falchi’ ai quali è stato chiesto di trasformarsi, senza successo, improvvisamente in ‘colombe’ e di spie inviate come ultimo tentativo di riallacciare rapporti (o a lanciare un ultimatum) con quello che, nel frattempo, era diventato, di nuovo, il principale avversario a livello internazionale.

L’inizio di questo processo, che ha anticipato di pochi mesi l’escalation militare con l’invasione russa dell’Ucraina, può essere individuato nell’incontro di metà giugno a Ginevra tra Joe Biden e Vladimir Putin. Il presidente americano era in carica da appena 6 mesi, ma i rapporti con Mosca si erano deteriorati già dall’inizio del suo mandato, dopo la stagione di distensione nell’era Trump. A marzo, il capo della Casa Bianca aveva definito il suo omologo “un killer”, mentre tra i due Paesi si stava ormai consumando una crisi diplomatica che aveva portato a espulsioni di diplomatici e soprattutto a un pericoloso, dal punto di vista americano, avvicinamento della Russia alla Cina di Xi Jinping. Un incontro che portava sul tavolo anche altri temi fondamentali, dal Nord Stream 2 alla vicenda Navalny, dall’Ucraina, appunto, agli attacchi cibernetici fino, ovviamente, alle sanzioni alla Russia imposte da Washington. Un tentativo di iniziare a ricucire i rapporti gravemente deteriorati, dopo il ritorno al governo dei Dem americani, che da quanto era trapelato al tempo si era concluso senza trionfalismi.

Appuntamento a 4 mesi dopo, l’11 ottobre, quando a Mosca vola la sottosegretaria di Stato Usa, Victoria Nuland. Non un nome qualsiasi. Nuland è considerata un ‘falco’ tra le file democratiche, sostenitrice della linea della fermezza nei confronti della Federazione russa. Fu lei, da Assistant Secretary of State dell’amministrazione Obama con incarico diplomatico in Ucraina, nel 2014, a pronunciare quelle parole poi finite in un leak diffuso poco dopo in cui sbottò con un “Fuck Eu”“fanculo la Ue”, parlando con l’allora ambasciatore americano a Kiev, Geoffrey Pyatt. Il riferimento era proprio all’indecisione, dovuta alle divisioni interne, dell’Europa sull’assumere un atteggiamento duro nei confronti di Mosca nell’ambito della crisi politica in Ucraina seguita alle proteste di EuroMaidan.

Ma il suo arrivo nella capitale russa venne visto in quei giorni come un importante segnale di distensione. Dal 2019, infatti, Nuland era stata inserita nella blacklist del Cremlino che le era costata un divieto di viaggio nel Paese. Questo travel ban è stato cancellato proprio per permetterle di recarsi in Russia a novembre, dove nell’arco di tre giorni ha incontrato Yuri Ushakov, ex ambasciatore russo negli Stati Uniti, Sergei Ryabkov, viceministro degli Esteri, e Dmitrij Kozak, vicecapo dello staff presidenziale. Gli Stati Uniti, dal canto loro, avevano compiuto il proprio passo in avanti togliendo dalla lista dei russi colpiti dalle sanzioni diversi cittadini della Federazione proprio pochi giorni prima dell’arrivo di Nuland nel Paese, come comunicò al tempo la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova.

Le premesse erano, quindi, tutt’altro che negative, ma sull’esito dei vertici, ancora una volta, le dichiarazioni finali erano state di basso profilo. Da Washington si era parlato di incontro positivo, ma progressi concreti, di fatto, non sembrano essercene stati. Anzi, secondo alcuni osservatori è stato proprio in quell’occasione che i tentativi di pacificazione tra i due Paesi sarebbero di nuovo naufragati. Lo testimonierebbe anche il terzo e ultimo incontro, di un valore ben diverso, del 2 novembre, nemmeno un mese dopo. In quell’occasione, a volare a Mosca non è stato un diplomatico, bensì il direttore della Cia in persona, William Burns, che, facendo valere il suo passato da alto diplomatico, ha incontrato un alto consigliere del presidente Putin, Nikolai Patrushev, insieme al sottosegretario di Stato per gli Affari Europei ed Eurasiatici Usa, Karen Donfried. Anche in questo caso, i funzionari Usa fecero sapere in maniera informale che si trattava di un incontro sulla scia del processo di normalizzazione avviato a giugno a Ginevra.

Da lì in poi, però, la situazione si è rapidamente deteriorata. Biden e Putin si parleranno un’altra volta il 7 dicembre, ma a quel punto la situazione era probabilmente già arrivata a un punto di non ritorno: la Russia aveva iniziato ad ammassare le truppe al confine con l’Ucraina, lo scambio di messaggi tra i due leader si era fatto più teso col passare dei giorni, fino all’ultimo vertice mai avvenuto tra i due. Joe Biden si era detto disponibile a incontrare di nuovo il presidente russo se questi non avesse invaso il Paese di Volodymyr Zelensky. Era il 21 febbraio, i carri armati russi stavano entrando nei territori autoproclamati indipendenti del Donbass: tre giorni dopo i razzi di Mosca colpivano Kiev e altre città ucraine dando così inizio all’invasione su larga scala del Paese.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/17/guerra-russia-ucraina-dalla-normalizzazione-fallita-alla-nuova-crisi-i-5-mesi-di-colloqui-mosca-washington-prima-dellinvasione/6527893/?utm_content=petergomez&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR1-64grvp-5FoSOZVF97gJ5sQeUau1NAxx1Cn7XP19B_PZJPDKHpypfFkY#Echobox=1647501697-1

Mangino bombe. - Marco Travaglio

 

Tre giorni fa abbiamo ricevuto un comunicato stampa di Fao, Unicef e World Food Programme (Wfp), che si aggiunge a quelli di Oxfam, sulla situazione in Yemen. Lì dal 2015 si combatte una presunta “guerra civile”, che in realtà è il tipico conflitto per procura che le grandi potenze affidano ai Paesi più poveri. Come in Ucraina. Solo che lì le grandi potenze sono l’Arabia Saudita (quella del Nuovo Rinascimento renziano) e l’Iran. E i morti sono infinitamente più numerosi di quelli ucraini (370 mila, fra vittime di guerra, malnutrizione e malattie non curate): sia perché si combatte da sette anni, sia perché nessuno ne parla (a parte il Papa) né invoca la Corte dell’Aja per crimini contro l’umanità, dunque si può massacrare indisturbati. Tanto oblio si deve al fatto che gli yemeniti sono un po’ più scuretti degli europei e che gli sterminatori più feroci, la coalizione a guida saudita, sono amici nostri e usano armi nostre, anche italiane (bloccate nel 2020 dal governo Conte-2). Risultato: 4 milioni di profughi (su una popolazione di 29) e 17,4 milioni di affamati, che a fine anno saranno saliti a 19. Le donne incinte e le neomamme che allattano “gravemente malnutrite sono 1,3 milioni” e i bambini addirittura 2,2, di cui quasi mezzo milione in “grave malnutrizione acuta, che mette a rischio la vita”. Quindi – urlano le tre organizzazioni – “dobbiamo agire ora con sostegno alimentare e nutrizionale, acqua pulita, assistenza sanitaria di base, protezione e altre necessità. La pace è fondamentale, ma si possono fare progressi ora. Le parti in conflitto dovrebbero revocare tutte le restrizioni al commercio e agli investimenti per le merci non soggette a sanzioni”. Tantopiù che “la guerra in Ucraina porterà allo choc delle importazioni, spingendo ulteriormente in alto i prezzi dei generi alimentari: il 30% del grano lo Yemen lo importa dall’Ucraina”. Ergo, “senza immediati finanziamenti, avremo carestia e fame generalizzata. Ma, se agiamo ora, c’è ancora la possibilità di evitare un disastro e salvare milioni di persone. Il Wfp è stato costretto a ridurre le razioni di cibo per 8 milioni di persone all’inizio dell’anno per mancanza di fondi”.

Per questo ieri abbiamo aperto il Fatto su questa guerra dimenticata: nella speranza che se ne accorgessero gli indignati selettivi e intermittenti della cosiddetta Europa, così solerte a inviare armi per 1 miliardo a imprecisati “ucraini” (non certo ai civili in lotta, ma a milizie di locali e di mercenari). Fortuna che il cuore d’oro del Parlamento e del governo italiani ha subito raccolto il grido di dolore, aumentando le spese militari fino al 2% del Pil, da 26 a 38 miliardi l’anno. Per la gioia dei bambini ucraini e yemeniti, che non vedevano l’ora.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/17/mangino-bombe/6528350/

CHI E' DAVVERO ZALENSKY? - Saverio Masi

 

Chi è davvero il comico ucraino divenuto beniamino della stampa occidentale e decantato come un eroe sulle copertine dei nostri settimanali e nei nostri Telegiornali?
Chi è il personaggio che sabato scorso si è palesato in divisa militare comparendo in diretta a Firenze tra gli applausi e le ovazioni della piazza dei Pacifisti a mano armata del PD?
Sappiamo che nasce nel 1978 da una famiglia di origini ebraiche e che la sua prima lingua non è l'ucraino, ma il russo.
Sceglie la carriera di attore e comico , fonda il 𝗞𝘃𝗮𝗿𝘁𝗮𝗹 𝟵𝟱 𝗦𝘁𝘂𝗱𝗶𝗼 e produce la Telenovela "Sluha Narodu" (Servitore del Popolo) in cui lo stesso Zelensky interpreta l'uomo qualunque che stanco della corruzione politica che imperversa in Ucraina, viene inaspettatamente eletto presidente.
Pare che a Igor Kolomoyskyi - potente uomo d'affari dal triplo passaporto ucraino, cipriota e israeliano, fiduciario degli USA e principale oligarca di Ucraina - guardando la popolare telenovela venga la magnifica idea di trasformare la fiction in realtà e di far interpretare all'attore comico Zelenzky la parte del Presidente non soltanto in video ma anche nella realtà.
Subito dopo Zelensky annuncia la fondazione di un partito che porta lo stesso nome della popolare telenovela: "Servitore del popolo" e, all'apice della sua popolarità televisiva, annuncia la propria candidatura alle elezioni presidenziali dell'anno successivo.
Da quel momento la sua società, la Kvartal 95, registrerà un anomalo flusso di finanziamenti, gestiti attraverso società off-shore con sedi in paradisi fiscali, per un ammontare di 𝟰𝟬 𝗺𝗶𝗹𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗱𝗼𝗹𝗹𝗮𝗿𝗶.
Il principale sovvenzionatore della campagna di Zelensky è proprio il discusso oligarca Kolomoyskyi, proprietario di 𝗣𝗿𝗶𝘃𝗮𝘁𝗕𝗮𝗻𝗸, la più importante banca in Ucraina, coinvolta in diversi casi di bancarotta fraudolenta e investimenti illeciti.
𝗜𝗴𝗼𝗿 𝗞𝗼𝗹𝗼𝗺𝗼𝘆𝘀𝗸𝘆 𝗲̀ 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗼 𝘂𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗶 𝗽𝗿𝗶𝗻𝗰𝗶𝗽𝗮𝗹𝗶 𝗳𝗶𝗻𝗮𝗻𝘇𝗶𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗶 𝗮𝗹𝗰𝘂𝗻𝗶 𝗱𝗲𝗶 𝗴𝗿𝘂𝗽𝗽𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗮𝗺𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮𝗿𝗶 𝗻𝗲𝗼𝗻𝗮𝘇𝗶𝘀𝘁𝗶 𝗲𝗱 𝘂𝗹𝘁𝗿𝗮-𝗻𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗶𝘀𝘁𝗶 che nel 2014 hanno prodotto il colpo di stato che ha rovesciato il legittimo governo del Presidente Janukovic innescando 8 anni di instabilità e guerra civile nella regione.
Nell'Aprile del 2019 Zelensky appena eletto Presidente provvede subito a distribuire incarichi governativi ai soci della sua società, la Kvartal 95.
Ivan Bakanov, già Amministratore Delegato della società, diventa il capo dei Servizi Segreti, mentre il Vice Direttore Serhiy Shefir diventa il portavoce ufficiale del presidente.
L'oligarca Igor Kolomoysky, padrino e finanziatore di Zelensky, ha forti interessi economici sul Donbass, motivo per cui il suo esercito privato di organizzazioni neonaziste, in parte inquadrate nell'Esercito ucraino, dal 2015 𝗵𝗮 𝘀𝘁𝗲𝗿𝗺𝗶𝗻𝗮𝘁𝗼 𝗰𝗶𝗿𝗰𝗮 𝟭𝟲 𝗺𝗶𝗹𝗮 𝗿𝘂𝘀𝘀𝗼𝗳𝗼𝗻𝗶 𝗻𝗲𝗹 𝘀𝗶𝗹𝗲𝗻𝘇𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗶𝘁𝗮̀ 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗻𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲.
Questo è anche il motivo per cui Zelensky alle trattative di pace rifiuta le richieste russe di riconoscimento delle Repubbliche Popolari del Donbass ed è disposto a continuare la guerra con ogni mezzo, cercando in tutti i modi di coinvolgere la NATO e allargarla al resto d'Europa.
In base a quanto emerso nei Pandora Papers e riportato dal "𝗧𝗵𝗲 𝗚𝘂𝗮𝗿𝗱𝗶𝗮𝗻" 𝗱𝗲𝗹 𝟯 𝗼𝘁𝘁𝗼𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟭, Zelensky detiene quote azionarie di tre società off-shore, ha legami con diversi oligarchi da cui riceve finanziamenti illeciti e introiti miliardari ed è coinvolto direttamente in un giro di armi e soldi ai neonazisti.
Alla luce di ciò e del suo 𝗱𝗶𝗰𝗵𝗶𝗮𝗿𝗮𝘁𝗼 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗲𝘀𝘀𝗲 𝗮 𝗳𝗮𝗿 𝗮𝗱𝗲𝗿𝗶𝗿𝗲 𝗹'𝗨𝗰𝗿𝗮𝗶𝗻𝗮 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗡𝗔𝗧𝗢, piazzando basi missilistiche americane ai confini della Russia, invocando la no-fly zone e l'uso della bomba atomica, viene da chiedersi se il presidente ucraino sia davvero l’eroe che i mass media europei stanno rappresentando.
Ci domandiamo se i politici e i mezzi di informazione occidentali si rendano davvero conto di quale grumo di affarismo e corruzione si celino dietro questo turpe personaggio e di quanto ci stiano facendo rischiare nell'assecondare i deliri bellici di questo faccendiere squilibrato.

La Lolita “mitra e lecca-lecca”: oscenità bellica a uso dei voyeur. - Daniela Ranieri

 

Noi eravamo rimasti che il fenomeno dei bambini-soldato era uno dei crimini più osceni delle guerre.

Oggi no, anzi: la foto di una ragazzina ucraina che imbraccia un fucile e mangia un lecca-lecca, postata su Facebook dal padre, e diventata virale, è una bellissima favola per adulti occidentali iperconnessi, contenti di aver trovato nella guerriera in età prepuberale un simbolo tanto potente del coraggio del popolo ucraino.

“La ‘Bambina con la caramella’ icona della resistenza dei bambini di Kiev”, titola HuffPost. “Fucile e lecca- lecca. Un urlo al mondo”, titola La Stampa sotto la foto in prima pagina. Una strana euforia si è impossessata delle redazioni. La semantica aberrante dell’arruolamento di bambini al fine di farli combattere e uccidere altri esseri umani ha cambiato di segno. Quel che fanno gruppi armati in Uganda, Sud Sudan, Afghanistan etc. (dove i bambini vengono usati anche come rilevatori di mine, cuochi, oggetti sessuali) è una barbarie. La piccola ucraina col fucile è glamour: “I capelli castani intrecciati con un nastro che ha i colori giallo-azzurro della bandiera ucraina, la gamba destra distesa lungo il davanzale e lo sguardo volto verso l’esterno, come un soldato che sta di guardia, un soldato di soli 9 anni che non pare affatto terrorizzato” (La Stampa). Donald Tusk, ex presidente del Consiglio europeo, ha twittato la foto con la didascalia: “Per piacere non ditele che sanzioni più pesanti potrebbero essere troppo costose per l’Europa”.

La bambina così è usata due volte: come combattente (ma la foto era “posata”, dicono i minimizzatori: ma allora non si spiega la retorica resistenziale) e come icona. Romantizzazione ed eroizzazione di un crimine (per la Convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia) caricano la foto di un vitalismo incongruo quanto osceno: citazioni iconografiche, Vermeer e Lolita, rendono seduttivo il racconto della fierezza di un popolo che resiste all’invasore mettendo i propri figli sui muretti a sparare. Gli ucraini, dicono gli esperti, sono bravissimi a comunicare: Zelensky chiama il popolo alle armi con le storie di Instagram; il governo ha reso la propaganda di guerra una cosa frizzante, ironica, battagliera, perfetta per TikTok. A questa propaganda si possono sacrificare anche i bambini (come negli antichi riti collettivi di morte e rinascita). (E se la bambina fosse russa?). Lo sciame digitale assorbe cadaveri e bambina, la cui bellezza da copertina incita l’indugio consumistico dello sguardo, che è sempre guidato dal potere snervante del capitalismo. A questa barbarie non opponiamo resistenza.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/14/la-lolita-mitra-e-lecca-lecca-oscenita-bellica-a-uso-dei-voyeur/6524823/?utm_campaign=Echobox2021&utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR32iYjeWSvxkySUk8aYyuJ_wQRLnyozzkz2MOFgrBnQirKR6Dj1aMCowOk#Echobox=1647252293

mercoledì 16 marzo 2022

L’escalation militare cresce, “ma perché ci preoccupiamo?”. - Peter Gomez

 

Ricapitolando: 30 mila militari Nato stanno svolgendo una esercitazione in Norvegia. È la più grande degli ultimi anni, ma non c’è da preoccuparsi perché le operazioni erano state programmate già otto mesi fa.

Un sedicente ufficiale dei servizi segreti russi ha inviato una nuova lettera in cui sostiene che per Putin “la terza guerra mondiale è iniziata” e che l’autocrate si prepara a lanciare i suoi missili verso le Repubbliche baltiche se non verranno ritirate le sanzioni. Ma non c’è da preoccuparsi, perché la spia potrebbe non essere tale e il contenuto della missiva potrebbe essere falso.

Una circolare del nostro Stato maggiore invita i generali a intensificare gli addestramenti orientati al war fighting, ovvero agli scenari di combattimento. Ma non c’è da preoccuparsi, perché circolari simili vengono inviate ogni volta che sale la tensione internazionale.

Domenica scorsa, l’Iran, in ottimi rapporti con la Russia, ha sparato una dozzina di razzi a Erbil, nel Kurdistan iracheno, e ha sfiorato il consolato Usa. Ma non c’è da preoccuparsi, perché gli iraniani assicurano di aver mirato a “un centro strategico israeliano” e molti pensano che il lancio sia stato una vendetta per due pasdaran morti durante un bombardamento in Siria. Lunedì, infine, mentre a Roma si incontravano gli emissari del governo americano e cinese, 13 caccia militari di Pechino hanno violato la spazio aereo di Taiwan. Ma non c’è da preoccuparsi, perché il sorvolo è stato un semplice avvertimento.

Così anche noi non ci preoccupiamo. Constatiamo solo che 20 giorni dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’escalation militare non accenna a fermarsi. E ci chiediamo cosa accadrà se davvero, come pronosticato dalla Gran Bretagna, i soldati di Putin, dopo aver conquistato al prezzo di terribili massacri le principali città ucraine, dovranno affrontare per anni una resistenza fortemente motivata e ben armata dall’Occidente.

L’obiettivo della Ue e della Nato del resto è chiaro. Visto che con soli 170 mila uomini è impossibile controllare uno Stato grande il doppio dell’Italia, Europa e Usa armano gli ucraini nella speranza che Putin, per evitare d’impantanarsi in una guerra in stile afghano, si accontenti presto di ciò che gli è già stato offerto dall’eroico presidente Zelensky: la neutralità, l’annessione ufficiale della Crimea, il riconoscimento delle Repubbliche del Donbass. L’idea è che in questo modo Putin potrebbe ordinare il ritiro dicendo ai russi di aver ottenuto ciò che rivendicava e quindi di aver vinto la guerra. Ma se il piano è questo, qualcuno ci dovrà spiegare cosa si spera che accada dopo.

Ciò che Putin sostiene è noto. La Russia afferma di essere stata circondata negli anni da Paesi Nato in grado di ospitare testate nucleari a poche centinaia di chilometri da Mosca. Teme che l’espansione non sia finita e sogna pure che le confinanti Repubbliche baltiche rinuncino a far parte dell’alleanza. Inoltre sa che nel medio periodo le sanzioni economiche occidentali diventeranno un reale problema. È pura utopia, dunque, che quando e se si comincerà davvero a parlare di un possibile ritiro dall’Ucraina, Putin non chieda a Stati Uniti ed Europa di ridiscutere tutto: a partire dall’embargo deciso nei suoi confronti.

A un tavolo di questo tipo non potrà che pretendere di essere presente pure la Cina. Ma non c’è da preoccuparsi. Perché l’operazione è semplice: si tratta solo di riscrivere il nuovo ordine mondiale. Roba da niente. Io, comunque, pur restando tranquillissimo, comincio a cercar casa in Argentina.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/16/lescalation-militare-cresce-ma-perche-ci-preoccupiamo/6527069/?fbclid=IwAR39NBDKC9qRM1eEuzzylLN8HOtB3qnHRSwMn78vjlQZIemtS2vY4vbZGiU