sabato 2 aprile 2022

Il paradosso italiano: rinnovabili bloccate per il 90% e produzione di gas in caduta. - Jacopo Giliberto

 

I PUNTI CHIAVE

Mentre mezz’Europa studia come organizzare il razionamento dell’energia, mentre mezz’Europa sta riempiendo a tutta forza di metano gli stoccaggi di gas, ecco che cosa accade in Italia. Meglio: ecco che cosa non accade in Italia.

Giacimenti abbandonati.

I giacimenti in mezzo all’Alto Adriatico, fra i 30-40 miliardi di metri cubi, che non si riuscirebbe a estrarre oltre una velocità tecnica di qualche miliardo di metri cubi per una quindicina d’anni, non vengono sfruttati per timore che facciano sprofondare Venezia. Intanto, un metro di là dal confine immaginario in mezzo all’Adriatico, la Croazia ha appena perforato un nuovo pozzo con piattaforma, 150mila metri cubi di gas al giorno, 55 milioni di metri cubi l’anno, totale del giacimento 200 milioni di metri cubi. Entusiasmo a Zagabria per questo importante contributo all’indipendenza energetica.

Ancora notizie dal mare Adriatico. Il giacimento Giulia al largo di Rimini ha già la piattaforma posata, il pozzo perforato, 550 milioni di metri cubi di metano da estrarre (il doppio di quello appena avviato dai croati), ma è fermo e tappato perché è più vicino di 12 miglia dalla riva e quindi per legge è stato congelato l’allacciamento della condotta fino a terra. Le norme dal 2016 fino all’attuale Pitesai dicono che quel giacimento non va toccato.

Più import, meno gas nazionale.

Il ministero della Transizione ecologica ha appena pubblicato il bilancio del metano in Italia per il mese di febbraio: dai giacimenti nazionali sono stati estratti appena 260 milioni di metri cubi di gas, -24,8% rispetto al febbraio 2021. In gennaio erano 279 milioni. I consumi totali italiani di febbraio sono stati 7,59 miliardi di metri cubi, l’import è in aumento del 16,8%, soprattutto dall’Algeria; la Russia è scesa in seconda posizione. (Le anticipazioni dicono che in marzo l’import russo sia in aumento e torni in prima posizione).

Stanno riempiendo a manetta gli stoccaggi di metano i seguenti Paesi: Austria, Cechia, Croazia, Francia, Germania, Lettonia, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Ungheria. Segno meno per le scorte italiane.

Fonti rinnovabili bloccate.

Secondo il censimento dell’Anie Rinnovabili, per raggiungere gli obiettivi minimalisti del piano nazionale l’Italia dovrebbe costruire impianti solari, eolici, idroelettrici, geotermici e così via per 4.700 megawatt l’anno. Nel 2021 sono stati costruiti impianti nuovi pari a 1.300 megawatt, meno di un terzo, mentre degli impianti che erano già attivi sono usciti dal servizio 21 megawatt, spenti perché troppo vecchi. Totale: ci sono centrali rinnovabili complessive per 57.676 megawatt su un obiettivo al 2030 di 95.210 megawatt, periodo ipotetico dell’irrealtà.

Il nuovo rapporto Regions del centro studi Elemens con Public Affairs Advisors dice che più del 90% degli impianti eolici e solari presentati nel 2021 non ha superato lo stadio cartaceo.

I numeri dell’eolico: è ancora allo stadio di autorizzazione il 57,5% dei progetti proposti nel 2018, il 79,3% dei progetti presentati nel 2019, il 90% dei progetti presentati nel 2020 e del 99,9% dei progetti del 2021.

I numeri del fotovoltaico: è ancora in sala d’attesa per l’autorizzazione il 79,5% dei 14mila megawatt richiesti nel 2020 e il 92,4% dei progetti presentati nel 2021.

Chi blocca le rinnovabili.

La ricerca Regions di Elemens ha analizzato 209 progetti di impianti eolici sotto esame alla commissione di valutazione di impatto ambientale al ministero della Transizione ecologica. Dei 209 progetti, il ministero della Cultura ha espresso 41 pareri negativi e solo 6 positivi; silenzio totale per altri 162 progetti. Le Regioni hanno mandato alla commissione Via del ministero 46 pareri negativi e appena un parere positivo; mutismo per gli altri 162 progetti. Tempo medio di anticamera: 5,4 anni.

La maggior parte dei progetti si concentra in Puglia e Sicilia. Le Regioni più solerti nell’esaminare i progetti sono Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Liguria, Sicilia e Veneto. Le più indolenti? Umbria, Basilicata e, in fondo, le Marche.

Segnali positivi.

L’associazione Gruppo impianti solari Gis informa che il Consiglio di Stato ha respinto un ricorso del ministero della Cultura: sbloccati due impianti solari a Montalto di Castro (Viterbo) per 235 megawatt.

La Regione Lombardia ha approvato le compensazioni per le comunità che ospitano stoccaggi sotterranei di gas.

La Provincia di Brescia ha sbloccato il progetto dell’A2A per produrre biometano dai rifiuti in un impianto a Bedizzole.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/il-paradosso-italiano-rinnovabili-bloccate-il-90percento-e-produzione-gas-caduta-AEZfzFOB?s=hpl

Reddito Universale e salute mentale. - Matthew Smith














La povertà, la disuguaglianza e  l’isolamento sociale  possono portare a problemi di salute mentale, ansia e depressione. Il reddito universale può aiutare ad alleviare questi problemi.

Durante gli anni dopo la seconda guerra mondiale negli Stati Uniti sono stati portati avanti quattro progetti di ricerca sulla psichiatria sociale e su come prevenire la malattia mentale. Il primo, Robert Faris e H. Warren Dunham’s  Mental Disorder in Urban Areas è  stato uno studio di Chicago che ha scoperto come le persone con diagnosi di  schizofrenia  tendessero a provenire dalle aree povere e caotiche della città.

Il secondo è stato il Social Class and Mental Illness di Frederick Redlich e August Hollingshead, incentrato su classi e disuguaglianze a New Haven, nel Connecticut. Il terzo studio è stato lo Stirling County Study, che si è concentrato su una contea della Nuova Scozia, in Canada, ed è stato condotto da Alexander Leighton. Questo studio ha scoperto che l’isolamento sociale potrebbe innescare problemi di salute mentale, tra cui  ansia  e  depressione .

Lo studio finale è stato  il Mental Health in the Metropolis di Leo Srole e Marvin Opler, un progetto focalizzato su Manhattan, che ha scoperto che l’isolamento sociale crea problemi e disordini di salute mentale, all’interno di una città frenetica. Lo studio ha anche enfatizzato il ruolo della povertà e stabilito un legame tra cattiva salute fisica e mentale.

Nel complesso, questi studi hanno rilevato che la povertà, la disuguaglianza e l’isolamento sociale sono tutti fattori di una cattiva salute mentale. Sebbene alcuni tentativi siano stati fatti per affrontare questi problemi durante gli anni ’60, negli anni ’70 gran parte dell’interesse per la psichiatria sociale è diminuito.

Oggi ci sono rinnovate preoccupazioni per l’aumento dei tassi di malattia mentale, ma poche persone parlano di ciò che è necessario per prevenirla. Quando penso alle soluzioni che potrebbero affrontare la povertà, la disuguaglianza e l’isolamento sociale e che sono strettamente legate alla salute mentale, penso sempre più che il reddito di base universale possa essere una possibile soluzione. 

Sono anche sempre più convinto che uno dei fattori che dobbiamo considerare per valutare se il reddito universale possa funzionare sia determinare i suoi effetti sulla salute mentale. Quando i test pilota sul reddito universale sono stati condotti in Canada, Finlandia o altrove, le persone coinvolte hanno riferito che la propria salute mentale è migliorata.

Ma perché è così? Ebbene, il reddito universale aiuta ad affrontare i tre fattori sociali implicati nella malattia mentale. In primo luogo, riduce la povertà e, inoltre, elimina l’ansia associata ai cambiamenti del sistema del welfare. Le persone semplicemente ottengono il loro reddito senza fare domande.

In secondo luogo, riduce la disuguaglianza in parte perché è dato a tutti, indipendentemente dal loro reddito, ma anche, e soprattutto, offre alle persone l’opportunità di salire la scala sociale accedendo all’istruzione, avviando un’attività in proprio, impegnandosi in attività creative o artistiche. Fornisce un cuscinetto economico in modo che le persone possano apportare cambiamenti positivi nella loro vita. Erode la disperazione e la depressione associate al vivere sui gradini più bassi della scala sociale.

Infine, fornisce alle persone mezzi economici per impegnarsi di più nelle loro comunità. Se le persone trovano che il volontariato sia significativo o desiderano dedicare del tempo alla cura dei membri della famiglia, il reddito universale consente loro di farlo. Offre un’opportunità di crescita sociale ed emotiva, piuttosto che una semplice crescita economica.

Se il sistema di welfare non fosse così tanto impegnato nel determinare chi merita i benefici e nel vagliare coloro che sono ritenuti spettanti o meno, le persone che lavorano nel sistema sarebbero in grado di dedicare il loro tempo ad aiutare effettivamente chi sta male. Libererebbe un’enorme quantità di risorse umane per affrontare problemi più difficili, come dipendenze, abusi e altri problemi di salute mentale. Il reddito universale sarebbe anche un enorme vantaggio per coloro che attualmente soffrono di malattie mentali e lottano per sbarcare il lunario mentre cercano di stare meglio. Il reddito universale non impedirebbe tutte le malattie mentali o risolverebbe tutti i nostri problemi sociali, ma darebbe un enorme carico al sistema in modo che sia più facile affrontare i problemi più difficili da sradicare.

Proprio come i professionisti della salute mentale, gli attivisti, i pazienti e gli enti di beneficenza devono essere più audaci nello spingere i cambiamenti sociali necessari per prevenire la malattia mentale; i sostenitori del reddito di base universale devono iniziare a includere le valutazioni della salute mentale nei loro progetti pilota. Soprattutto, dobbiamo iniziare a parlare e provare nuove politiche sociali progressiste che possano aiutare a ridurre l’enorme costo della malattia mentale per la società.

Articolo originale apparso su Psychology Today

https://beppegrillo.it/reddito-universale-e-salute-mentale/

Completata la mappa del genoma umano, Dna senza segreti. - Enrica Battifoglia

 

Ci sono voluti 21 anni e tecnologie avanzatissime, ma finalmente il Dna umano non ha più segreti e diventa più facile fare passi in avanti nella medicina personalizzata, con la diagnosi di malattie finora impossibili da riconoscere, nella genetica delle popolazioni e nella possibilità di riscrivere il Dna.

I risultati sono pubblicati in sei articoli in un numero speciale della rivista Science, che a questo traguardo dedica la copertina.

"E' come avere un vocabolario" del Dna, osserva il genetista Giuseppe Novelli, dell'università di Roma Tor Vergata. "Abbiamo dei termini di riferimento che finalmente rendono possibile fare la diagnosi di alcune malattie" rare, caratterizzate da sequenze genetiche instabili.

"Non basta sequenziare il Dna: bisogna saperlo leggere e bisogna interpretarlo. In caso contrario, risulta molto difficile fare la diagnosi malattie dovute a sequenze ripetute, con interruzioni che in passato non si potevano vedere".

Il grande libro della vita era stato tradotto per la prima volta nel 2001, ma i computer di allora non erano riusciti a decifrare tutti i passaggi e avevano lasciato degli spazi bianchi, che complessivamente corrispondevano all'8% del genoma. Solo adesso queste lacune sono state colmate e diventa possibile leggere il Dna umano dall'inizio alla fine senza interruzioni, grazie al lavoro fatto dal consorzio internazionale chiamato Telomere-to-Telomere (T2T). "Stiamo vedendo capitoli che non sono mai stati letti prima", scrivono i ricercatori. I nuovi capitoli corrispondono a 200 milioni di lettere, che complessivamente equivalgono all'informazione contenuta in un cromosoma. Era come avere una mappa di new York senza Manhattan, dicono i ricercatori.

"Se ottenere il sequenziamento del Dna è come mettere insieme un puzzle, il genoma di riferimento è avere l'immagine del puzzle finito sulla scatola: ti aiuta a mettere insieme i pezzi", ha detto uno degli autori della ricerca, l'ingegnere biomedico del National Institute of Standards and Technology (Nist), Justin Zook. Le parti mancanti comprendono sequenze che si ripetono molte volte e ora è chiaro che proprio nelle ripetizioni si nasconde il segreto della diversità umana, osserva la genetista Rachel O'Neill, dell'Università americana del Connecticut e responsabile scientifica del progetto T2T. Per portare alla luce questo lato ancora nascosto del Dna umano "ci sono voluti nuovi metodi di sequenziamento del Dna e di analisi computazionale", rileva il genetista Francis Collins, consulente scientifico della Casa Bianca ed ex direttore del National Institutes of Health (Nih). "E' valsa la pena aspettare", aggiunge, perché "adesso emerge una varietà di sorprendenti caratteristiche architettoniche, con importanti conseguenze per la comprensione dell'evoluzione umana, della variazione e della funzione biologica". Il nuovo libro del Dna è anche a prova d'errore, considerando che i ricercatori hanno utilizzato una sorta di correttore automatico, un programma chiamato Merfin che analizza le sequenze e corregge gli eventuali errori.


https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2022/03/31/completata-la-mappa-del-genoma-umano-dna-senza-segreti-_b824c874-fd47-4ea4-b577-aee08bccecad.html

venerdì 1 aprile 2022

Spese militari, Prodi a La7: “Dibattito surreale. Aumenti solo dopo aver fatto una politica della difesa europea comune”

 

Un “dibattito surreale”. Così a PiazzaPulita su La7, l’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, definisce il dibattito degli ultimi giorni sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil. Secondo Prodi “questi aumenti di spesa, che bisogna fare per avere la difesa, si debbono fare quando si è fatta un politica estera e della difesa europea comuni”. “Io sono molto preoccupato del fatto che la Germania abbia di molto aumentato il suo bilancio della difesa, che doveva fare – prosegue Prodi – Però fare prima questo e poi vedere chissà quando una politica europea comune è pericoloso perché, voglio dire, lei stanzia 100 miliardi di euro, l’industria tedesca comincia a lavorare sulle commesse, e le politiche dei diversi stati si dividono”.

Una modalità che, puntualizza il conduttore Corrado Formigli tirando le somme del ragionamento di Prodi “rafforza i nazionalismi” a scapito quindi della difesa europea comune. Questo passo, secondo Prodi va fatto ora: “Se non lo facciamo adesso non lo facciamo più”. Fare una politica di difesa comunitaria “in tutta Europa”, specifica ancora l’ex premier, “non si può perché c’è l’unanimità. Allora bisogna fare come con l’euro, una cooperazione rafforzata”. A trascinarla, secondo Prodi, i quattro Paesi più “forti” in Euoropa, Francia, Spagna, Germania e Italia, che così potranno trascinare almeno altri 10 Stati in questa politica comune.

Una posizione vicina a quella di Conte e lontana da Draghi? Per Prodi no. Che specifica: “No, su questo non si è discusso, perché se si discute su questo io voglio vedere chi è in disaccordo”

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/04/01/spese-militari-prodi-a-la7-dibattito-surreale-aumenti-solo-dopo-aver-fatto-una-politica-della-difesa-europea-comune/6544707/?utm_content=fattoquotidiano&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR0YRjPgn-Kn6CbqG88cYjZV13cm3F9I7fQdZm4B9Ik-1a1POcjWDsuTens#Echobox=1648803815

SuperPinocchio. - Marco Travaglio

 

Il 25 marzo, dopo il vertice Nato, il segretario generale Jens Stoltenberg annuncia: “I membri han concordato di raddoppiare gli sforzi per rispettare l’impegno del 2014 di portare la spesa militare ad almeno il 2% del Pil entro il 2024”. Mario Draghi conferma: “Quello del 2% è un impegno preso nel 2006, sempre confermato da tutti i governi. Ora è tornato alla ribalta perché è più urgente e c’è l’esigenza di iniziare a riarmarci”. Per l’Italia, significherebbe passare nei Def del 2022-’23 da 25 a 39-40 miliardi annui. Tutti plaudono, tranne 5Stelle, Alternativa e SI. Il 28 marzo il ministro Lorenzo Guerini scrive alla Stampa“Obiettivo 2% del Pil per le spese della Difesa entro il 2024”. Il tutto “per costruire la Difesa Ue”, che non c’entra nulla con la Nato, spende già in armi il quadruplo della Russia e, se avesse un solo esercito al posto di 27, risparmierebbe e farebbe risparmiare i suoi membri. Il 29 marzo il governo fa proprio l’odg di FdI (opposizione) che lo impegna a “incrementare le spese per la Difesa al 2% del Pil… traguardo fissato al 2024”. Il M5S protesta. La sera Conte va da Draghi e gli conferma che un conto è un ritocco progressivo della spesa militare spalmato su più anni (nel solco degli aumenti di 1,1 miliardi l’anno dei suoi tre anni di governo), fino al 2% se e quando ce lo potremo permettere, tipo fino al 2030 (così magari c’è tempo per parlare di esercito Ue); un altro è dirottare in armi 14-15 miliardi in pochi mesi. Draghi ribadisce: 2% del Pil nel 2024, poi va a piangere al Quirinale da Mattarella, minacciando la crisi di governo. Palazzo Chigi, in una dura nota, ribadisce l’obiettivo di “un continuo e progressivo aumento degli investimenti entro il 2024”. Conte replica a Dimartedì: “Mai messo in discussione il tendenziale al 2%. Ma con l’orizzonte 2024 avremo un picco notevole: 15 miliardi e i cittadini e il Paese adesso hanno altre priorità”. Tg e giornali ripetono che Draghi “tira dritto” contro il disertore Conte, presidiando militarmente la linea del Piave: 2% nel 2024, non un minuto di più!

L’altroieri, tomo tomo cacchio cacchio, Guerini parla all’Agi del 2% “entro il 2028”. E ieri Draghi dice che il dogma del 2024 è solo “un’indicazione di tendenza, non un obiettivo”, infatti “molti governi l’han disatteso”, ergo “si fa quel che il ministro Guerini ha deciso per il 2028”. Ma allora perché spalmare quei 14-15 miliardi solo su 6 anni e non su 10 per allontanare l’amaro calice? E perché, se la sua linea del Piave era sempre stata il 2028, aveva sempre detto 2024, scordandosi di avvertire Mieli, Polito, Merlo, Sallusti&C.? Perché adora le sorprese? Per destabilizzare inutilmente il governo? Per far incazzare milioni di italiani distrutti dal caro- bollette? Per regalare un po’ di voti a Conte? O solo perché è un bugiardo?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/01/superpinocchio/6544411/

Gas, inciucio sui rubli fra l’Europa e Putin. - Francesco Lenzi

 

IL MECCANISMO - Il gioco delle parti fra l’Ue (soprattutto Scholz e Draghi) e il russo, che incassa euro, ma li cambia nella sua moneta.

Ieri mattina, Mario Draghi, a domanda precisa sul pagamento in rubli del gas russo, ha risposto che “le aziende europee continueranno a pagare in euro o dollari”. Nel pomeriggio, Vladimir Putin ha firmato il decreto che da aprile modifica i termini di pagamento per le esportazioni di gas verso i Paesi cosiddetti “ostili” (tra cui tutti quelli Ue), scatenando le proteste. Chi sta bluffando? In attesa delle tecnicalità, si può dire nessuno dei due. Per capirlo occorre spiegare come il sistema finanziario russo sta evitando di collassare.

Dopo le sanzioni occidentali la Banca centrale russa non aveva più riserve valutarie per sostenere il cambio del rublo. Mosca ha replicato obbligando gli esportatori russi a convertire in rubli l’80% dei ricavi e limitando il ritiro di valuta estera, misure che stanno operando in sostituzione della Banca centrale. Così gli esportatori devono cedere valuta estera al mercato russo, rendendola disponibile per le istituzioni che devono finanziare le importazioni o il pagamento dei debiti in valuta estera. Se la valuta fosse invece conservata, rimarrebbe troppo scarsa sul mercato russo e la sua domanda ne farebbe crescere il valore, deprezzando il cambio del rublo come è avvenuto dopo le sanzioni. La valuta russa non è più convertibile liberamente, il suo mercato è confinato alla Russia, ma il crollo dei primi giorni dell’invasione dell’Ucraina è stato ormai riassorbito: il suo valore è tornato al livello pre-guerra. Questo recupero era essenziale per la Banca centrale, che da settimane lotta contro un’inflazione al 2% settimanale. Solo stabilizzando il cambio può sperare di evitare un devastante scenario iperinflattivo. Questo impianto opera negli spazi lasciati liberi dalle sanzioni ma può reggere solo se la valuta estera ottenuta con le esportazioni rimane libera, cioè accessibile al mercato russo. Se non fosse più trasferibile una volta che l’esportatore russo ha ricevuto il pagamento, si blocca tutto. Questo è lo scenario che Putin vuole evitare con la decisione di far pagare il suo gas in rubli.

Lo scenario potrebbe presto materializzarsi. Le banche russe non sono escluse dalle transazioni in euro. Solo sette, tra cui non compare GazpromBank, sono fuori dal sistema Swift. Gli Stati Uniti però, con l’entrata in vigore delle sanzioni sui regolamenti in dollari, hanno escluso varie banche russe tra cui la Sberbank, la più grande della Russia, dal poter trasferire i dollari se non per operazioni consentite dalle licenze. In sostanza, da sabato scorso, un esportatore di gas russo può ricevere dollari sul conto della Sberbank, ma poi quei dollari non sono più trasferibili. Non possono cioè essere riportati in Russia per convertirli in rubli e aiutare il sistema finanziario russo. Ieri, Putin, illustrando il decreto, si è infatti giustificato spiegando che “loro stanno ricevendo gas, pagano in euro e poi congelano questo pagamento”. A questo serve il provvedimento, che nella sostanza sposta l’onere di convertire euro e dollari in rubli e rende molto più complicato scindere il legame tra l’approvvigionamento di gas e il libero uso della valuta estera ottenuta come corrispettivo. Euro e dollaro non saranno più convertiti in rubli dall’esportatore, ma indirettamente da chi acquista il gas russo. Questo però non significa che il pagamento debba avvenire in rubli. È una sottigliezza che però conferma la linea di Draghi e Putin.

Nel decreto si legge che l’importatore “ostile”, per esempio Eni, deve aprire un conto in valuta estera presso la GazpromBank, alimentandolo con la valuta estera usata per pagare la fornitura e che viene poi utilizzata da GazpromBank per essere convertita in rubli sul mercato russo. Una volta realizzata la conversione, il corrispondente valore in rubli è accreditato su un altro conto in Gazprombank, questa volta denominato in valuta russa, e quindi trasferito all’esportatore di gas russo. Il pagamento è in euro o dollari, ma viene eseguito in rubli e solo quando questi vengono depositati sul conto dell’esportatore di gas l’operazione è completata e la fornitura può aver luogo. Lo schema regge a una condizione essenziale: GazpromBank non può esser oggetto di sanzioni che ne limitino la capacità di scambiare la valuta estera degli importatori di gas con i rubli delle istituzioni presenti sul mercato russo. A questo punto la decisione di colpire queste transazioni equivarrebbe alla decisione di terminare gli acquisti di gas dalla Russia, mettendo in ginocchio i Paesi Ue più esposti.

Ieri i ministri di Francia e Germania hanno detto di esser pronti a terminare l’approvvigionamento di gas russo se non potranno pagarlo in euro o dollari. Quello che pare di capire dal decreto è che questo resta così. Nella sostanza non cambia nulla, se non per il fatto, non trascurabile, che congelare i pagamenti sarebbe molto complicato. A quel punto resta solo di chiudere il gas. Ma su questo, a livello europeo, pare non esserci ancora molto accordo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/01/incassa-euro-ma-ottiene-rubli-cosi-mosca-prova-a-resistere/6544347/

Cos'è il battaglione Azov e perché Putin parla di denazificazione dell’Ucraina. - Biagio Simonetta

 

La notte del 21 novembre 2013, il destino dell'Ucraina cambia per sempre. A Kiev esplode la protesta filo-europeista più grande della storia. Una protesta che andrà avanti per qualche mese, portando in piazza centinaia di migliaia di persone. E che costringerà il presidente filorusso, Viktor Janukovic, ad abbandonare il Paese.

È in quelle settimane di inferno che a Urzuf, una cittadina a una quarantina di chilometri da Mariupol, nasce il battaglione Azov. Il nome deriva dal mare che bagna quella costa, il mar d'Azov appunto. Siamo nell'Oblast’ di Donec’k, territorio conteso e maledetto, dove ormai da anni la Russia dà sostegno ai separatisti. E dove il battaglione Azov, che dell'invasore russo è nemico, si è fatto conoscere per le sue atrocità e le sue posizioni discutibili. Come la strage di Odessa, con un raid all'interno della Casa del Sindacato nel quale vennero barbaramente uccisi almeno 48 manifestanti filo-russi.

Il casus belli di Putin.

È il battaglione Azov la ragione per la quale Putin parla di denazificazione dell'Ucraina. Sono gli uomini di Andriy Biletsky - leader della destra ultranazionalista ucraina, con una storia legata ai gruppi estremisti che sfoggiano simboli nazisti – ad essere considerati, almeno ufficialmente, il casus belli dell'invasione russa in Ucraina. Un gruppo nato nei mesi caldi della Maidan Revolution del 2014, che successivamente ha trovato una specie di nulla osta da parte del governo di Kiev. Perché mentre Janukovic scappa dal Paese, i governi successivi non prenderanno mai le distanze da questo gruppo militare, che anzi sarà inquadrato nelle forze armate nazionali. Una scelta discutibile, che ha spianato la strada a Putin. La propaganda del Cremlino, in questi anni, ha sfruttato ampiamente le posizioni politiche di questo gruppo militare per calcare la mano sul giudizio di un'Ucraina nazista, da liberare. Ed è per questo che l'offensiva russa è fortemente concentrata su Mariupol, città nido degli uomini di Biletsky.

Chi sono quelli del battaglione Azov.

Il battaglione Azov è fatto più che altro da soldati volontari, provenienti da gruppi e movimenti politici legati all'estrema destra. Ucraini, ma non solo. Perché nelle sue fila conta volontari, nostalgici del nazifascismo, provenienti da diversi Paesi europei. Circa duemila uomini (numeri non ufficiali, ci sono rapporti che parlano addirittura di 17mila uomini ndr), famigerati per addestramenti molto duri ma anche perché accusati di aver commesso crimini di guerra.

Il gruppo, come detto, è nato durante la Rivoluzione ucraina del 2014, quando le truppe ufficiali di Kiev si scoprirono palesemente impreparate a intraprendere una guerra, e cittadini di ogni genere presero le armi e si recarono a est. A combattere.

Nel conflitto in Donbass, il battaglione Azov è stato accusato di aver massacrato, stuprato e assassinato civili, secondo l'Alto Commissariato per i diritti umani dell'ONU. Accuse sostenute anche dalla Human Rights Watch, organizzazione internazionale che si occupa di diritti umani.

Il battaglione, che negli anni si è nutrito delle frange più estreme dei gruppi ultras del calcio, non ha mai nascosto le sue radici, adottando il Wolfsangel nazista come simbolo.

I suprematisti bianchi.

Andriy Biletsky, è il leader del battaglione Azov, ma è noto anche come il leader bianco. Sui social media ha condotto una vera e propria campagna di reclutamento e propaganda. Ha inondato Internet di immagini delle sue truppe che marciano per le strade, di slogan e incitamenti.

È nato a Kharkiv, città a maggioranza russa. E lui stesso è di madrelingua russa. Biletsky ha sempre rifiutato di identificarsi come un neonazista preferendo invece definirsi un nazionalista ucraino, ma alcune delle sue dichiarazioni pubbliche parlano da sole. Nella sua intervista probabilmente più celebre ha parlato di «missione storica dell’Ucraina in questo secolo per guidare i popoli bianchi del mondo nella loro ultima crociata contro l'Untermensch guidata dagli ebrei». È noto anche il suo legame, e quello dell'intero battaglione, coi suprematisti bianchi americani, quelli resi celebri dall'attacco a Capitol Hill di gennaio 2021.

Gli oligarchi e la propaganda di Putin.

Il battaglione ha goduto del patrocinio del controverso ministro ucraino Arsen Avakov e di diversi oligarchi ucraini, alcuni dei quali di origine ebraica, che sembrano aver messo da parte i loro scrupoli sull’ideologia del gruppo per assicurarsi la sovranità ucraina nel sud-est del Paese. Tutte situazioni perfette per la propaganda di Putin. Negli ultimi anni, infatti, il battaglione Azov ha prodotto – soprattutto sui social network - contenuti ideali per la televisione di Stato russa, dando un volto reale alle affermazioni del Cremlino sull’ascesa dell’estrema destra in Ucraina.

Non c'è dubbio, allora, che questa frangia di estrema destra, e la presunta impunità di cui gode, abbia danneggiato in modo significativo la reputazione internazionale dell’Ucraina, lasciando il Paese vulnerabile dinanzi alle narrazioni ostili.

Gli uomini di Biletsky, tuttavia, in Ucraina sono una netta minoranza. Non rappresentano minimamente l'intero esercito, né le posizioni di un Paese sempre più europeista. Il presidente Zelensky, del resto, è di origini ebree, e sembra difficile poterlo accusare di essere un leader neonazista. È chiaro, insomma, che il Battaglione Azov sia più che altro un pretesto. L'errore ucraino è lampante: aver concesso a questo reggimento un nulla osta per lavorare al fianco dell'esercito ufficiale. Un errore che Putin non si è fatto sfuggire.

Nella foto: Membri del battaglione Azov pregano nei boschi fuori Kharkiv (Afp)

https://24plus.ilsole24ore.com/art/cos-e-battaglione-azov-e-perche-putin-parla-denazificazione-dell-ucraina-AEE5tfLB?s=hpl